In coppia con Mukka
Genere: Azione/Drammatico
Pairing: RinXSesshomaru, KagomeXInuyasha
Rating: NC17
AVVISI: Angst, Chanslash, Prostituzione Minorile.
- Rosso. Colore del vizio e della perversione. Passione? Amore? Parole sconosciute, nell'ambiente in cui la storia si svolge. Rin ha sedici anni. Jaken è il suo sfruttatore. Sesshomaru è il capo della più importante cosca mafiosa di Tokyo. Inuyasha è suo fratello. Kagome la moglie di quest'ultimo. Queste vite si scontreranno, o solo sfioreranno accidentalmente, molte e molte volte, sullo sfondo del quartiere a luci rosse della città.
Commento dell'autrice: Parlando per me XD L'idea originale della storia era mia, ed è incredibile ed affascinante osservare quanto le abbia giovato la collaborazione con un'altra ficwriter. Nella mia testa era una storia molto più introspettiva, molto più cupa, molto più pallosa, in effetti XD Invece Mukka è stata in grado di darle quell'indirizzo yakuziano d'azione che ha nettamente risollevato il tono, facendone una bella action-fic ù_ù Sono molto soddisfatta è_é!
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Seeing Red
Capitolo Sei
On The Road


I capelli, nera seta volteggiante tra le spire del vento, gli ricordavano i selvaggi ma armonici movimenti delle onde di mareggiata, eleganti e imprevedibili.
Una volta, quando era ancora giovane, quando era ancora suo padre l’unico in famiglia ad avere una patente di guida, aveva avuto un cane, un simpatico botolo marrone con lo stesso hobby di quella ragazzina: starsene per tutta la durata del viaggio in automobile con la testa fuori dal finestrino; beh, magari Rin non teneva la lingua di giù, penzolante, e non abbaiava alle macchine che gli si affiancavano, ma nella sua mente il paragone con quell’antico amico d’infanzia era stato fulmineo: la stessa dannata gioia di vivere li univa, come un invisibile cordone ombelicale.
Il sole era forte, quel giorno, caldo e generoso come sa essere solo un sole di inizio estate; baciava placidamente il paesaggio di verdi collinette e quell’auto, una vecchia DeSoto color argento, che, solitaria, attraversava la campagna, diretta ad una meta nota solo all’autista.
Finalmente la testa di Rin tornò dentro al finestrino, gli occhi che brillavano di una esistenza riscoperta e subito amata, soprattutto perché aveva l’onore di seguire Sesshomaru-san, quell’austero uomo che così strane ma così piacevoli sensazione scatenava in lei, forse senza neanche rendersene conto.
Era diventato, se possibile, ancora più silenzioso, dopo aver trovato quel bigliettino nelle fogne. L’aveva trascinata in uno dei suoi molti covi segreti, dal quale aveva tirato fuori quella macchina (della quale pochi, e certamente non Naraku, sapevano l’esistenza) ed erano subito partiti, lasciandosi alle spalle i grigiori della città.
- Fa molto caldo. – disse, ovviamente senza aspettarsi una risposta: lo conosceva da poco – pur avendo avuto l’onore di ascoltare i ricordi della sua infanzia – ma già lo aveva capito, aveva imparato come relazionarsi a lui, allacciando un legame molto più stretto rispetto a quelli cui entrambi erano da troppo tempo abituati.
Un impercettibile segno nel suo volto, un minuscolo cenno invisibile a chiunque, le diede ad intendere che l’ascoltava, mentre guidava con una sicurezza tutta sua, un braccio sul volante e l’altro mollemente poggiato in grembo. La osservò di sfuggita, con la coda dell’occhio, mentre si affannava a togliersi quel maglione che la moglie di Inuyasha le aveva fornito, rimanendo con un solare top giallo, un poco più corto in vita, che permetteva d’intravedere parte di un simpatico ombelico; e non solo quello.
Era stato solo in un attimo, mentre la fanciulla alzava le braccia sfilandosi il maglione, che lui aveva notato la profonda cicatrice, che dalla spalla s’inerpicava per la sua bella schiena, quasi attraversandola tutta. E non era sola, attorniata da altri segni, forse meno evidenti, ma tutti testimonianza di una esperienza non delle migliori.
Per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, per la prima volta da molti anni a questa parte in cui conosceva esseri umani di cui non gli era mai importato nulla, si ritrovò interessato, curioso circa il suo passato. Quasi affamato di sapere chi avesse osato farle ciò, come fosse finita in un giro come quello della prostituzione. E quindi glielo chiese, senza mezzi termini o imbarazzo alcuno.
Si accorse subito che era stato un errore, se ne accorse non appena vide quella chiara scintilla di felicità spegnersi nella notte di quei grandi occhi, il capo che si chinava con ritrovata modestia e le mani che si stringevano l’un l’altra, quasi dandosi coraggio a vicenda.
***

- Non è stata una buona annata, proprio per niente. – era un uomo grande e grosso, suo padre, dai capelli castani e un ruvido barbone che la pungeva sempre ogni volta che gli correva incontro, saltandogli addosso e schioccandogli un bel bacio.
Un uomo giusto e gentile, suo padre, sposato con una dolce creatura, una bella donna con gli stessi capelli e gli stessi occhi della piccola Kaioto (Sì… un tempo si chiamava così…); un semplice contadino con tre figli maschi e una sola femmina, la più piccola, la sua bambolina, il suo tesoro.
E adesso lei si trovava proprio sulle sue ginocchia, coccolando uno dei nuovi coniglietti che la primavera aveva portato tra le nascite della fattoria in cui vivevano, ognuno con il suo compito, forse poveri ma felici.
- Dovremo chiedere un prestito… - scosse il capo, afferrandola negli incavi delle ascelle e facendola scendere sul pavimento di legno sempre un po’ sporco. – Credo non ci sia altra soluzione.
- Se lo dici tu… - sua madre l’aveva fermata, prima che corresse in cortile a restituire il cucciolo a colei che l’aveva messo al mondo; con una meticolosità mista ad amore che solo lei sapeva emanare, le aveva aggiustato il buffo codino che portava sempre, nella parte alta della testa. Da tempo aveva rinunciato nel tentare di mantenere pulita ed in ordine come ogni buona signorina quella piccola ribelle, sempre intenta a seguire i fratelli più grandi in ogni folle avventura, ma ancora era per lei fonte di grande piacere poterla aggiustare qualche volta, senza pretendere la perfezione. – Sai come la penso di quegli strozzini… -
Finalmente l’aveva lasciata andare, così che la bambina, assolutamente non interessata a quei discorsi ‘da adulti’, era corsa in cortile, quasi non udendo la risposta del padre.
- So che è rischioso, ma credo che se facciamo qualche sacrificio dovremmo essere in grado di restituire tutto; o questo, o moriamo di fame.
***

Sesshomaru non parlava, e apparentemente neppure badava a quel racconto, la mano che stringeva forse un po’ troppo forte il volante e la campagna che sfrecciava attorno a loro, verde macchia che li circondava. Ma era stato lui a chiederle del suo passato, quindi Rin sapeva che tutta l’attenzione era incentrata sulle sue parole.
Da tre anni, tutte le sere amava rievocava i lontani ricordi di quel padre e di quella madre, e di quei fratelli che tanto l’avevano amata, crescendola in una dorata armonia ora perduta per sempre. Eppure, adesso che raccontava le cicatrici del suo cuore a quell’uomo, era come se queste avessero improvvisamente ripreso a sanguinare, più copiosamente del solito, implorando cure.
***

Sangue. Scorreva lento e denso, espandendosi nel loro pavimento di legno sempre un po’ sporco. Fuoriusciva dalla gola di suo padre, da quella gola che aveva sempre un po’ di barba ispida pronta a pungerla ogni volta che lo abbracciava; era attraversata da parte a parte da un furioso e profondo taglio.
Le sue dita ebbero un ultimo, spaventoso spasmo, gli occhi che ancora imploravano pietà agli aguzzini, e che l’avrebbero implorata in eterno, il sangue che, nella sua forse lenta ma certo inesorabile marcia aveva raggiunto la sua bambola preferita, gettata un po’ più in là, inzuppandola con gustoso piacere.
Prima lo avevano legato, e avevano catturato il resto della sua famiglia. Erano in tre, tre balordi guidati da un boss, che si erano dapprima selvaggiamente divertiti con sua madre, denudandola, umiliandola e violentandola davanti al marito ed ai figli, poi, una volta soddisfatti, avevano fatto sì che lui assistesse all’esecuzione del più grande dei suoi figli, del medio, del più piccolo, e della moglie.
Nessuno sarebbe venuto in loro soccorso, nessuno, nonostante le urla, i pianti, i strepiti che da ben due ore riecheggiavano dalla loro fattoria; non esisteva una sola persona in quella zona che desiderava mettersi contro quel sanguinario e temuto strozzino.
Il cadavere di sua madre era stato gettato accanto a lei, costringendola alla visione di quel corpo martoriato, dissacrato, ricoperto di sangue, gli occhi neri ora spenti per sempre il cui sguardo fisso la terrorizzava, ma che non aveva il coraggio di chiudere, il sangue, quella maledetta sostanza!, che viaggiava verso di lei, ansioso di avvolgerla, annegarla…
Era viva grazie a quell’eterna espressione implorante del padre, che tutto quel dolore aveva accolto nel suo cuore, non chiedendo altro che almeno la piccola fosse risparmiata, vi prego, almeno lei, almeno la mia bambolina, lasciatela vivere!
Non era certo stato accontentato per pietà; già appena arrivato, lo strozzino l’aveva puntata, con quegli occhi così simile al maiale che avevano intenzione di vendere alla fiera del paese, intuendo in quella bambina la futura donna, le cui tette avrebbe avuto un grande valore.
Aveva urlato come non mai, la piccola, mentre uno degli aguzzini della sua famiglia la afferrava per un braccio, aveva urlato come un animale diretto al macello, ma nessuno dei suoi cari avrebbe mai più potuto aiutarla.
Quell’urlo fu l’ultima testimonianza al mondo dell’esistenza della sua voce. Fino ad oggi.
***

- Ho viaggiato molto, venduta di padrone in padrone, fino ad arrivare nel giro di Jaken. – una piccola lacrima, unica testimonianza di molte altre versate nel corso degli anni e di altre ancora adesso a fatica controllate, tracciò il contorno destro del suo volto, scivolando giù per il collo e asciugandosi sotto i benefici raggi estivi.
Sesshomaru non parlava, silenzioso spettro che cambiava le marce dell’auto; aveva sempre vissuto in giri mafiosi, e di storie simili ne conosceva a migliaia. Eppure… eppure quella gli sembrò… scandalosa. Una faccenda che chiamava vendetta a Dio.
- Quando avremo del tempo libero, mi dirai il nome di quell’uomo. – concluse. – Regoleremo i tuoi conti. E quei segni sulla schiena? -
- Io non voglio vendetta, Sesshomaru-san. Io voglio solo dimenticare. – mormorò, rivolgendo di nuovo l’attenzione al bel paesaggio, quasi domandandosi come fosse possibile che al mondo coesistessero cose così belle con cose così orribili. – La cicatrice? L’anno scorso, un cliente ha perso la testa. Si chiamava… - si portò un indice alle labbra, innocente gesto di colei che riflette. – Ah, sì: Makou! Era ubriaco… ma per fortuna sono riuscita a scappare.
Per poco la macchina non sbandò, e in ogni caso un po’ lo fece, anche se in modo impercettibile, così che lei non se ne accorse. E, impegnata a rovistare nella memoria com’era, non si era accorta neppure del lampo che aveva attraversato le ambrati iridi di Sesshomaru: Makou; Makou era uno dei suoi uomini.
Non capiva nemmeno perché questa nuova informazione lo aveva sconvolto: da anni mandava sia Makou sia gli altri ragazzi a compiere vendette e delitti per conto suo; non era certo un agnellino d’uomo, quindi perché sapere ciò che aveva fatto lo aveva quasi mandato fuori strada? Immerso com’era nei suoi pensieri, quasi si perse la svolta, una svolta semi nascosta dalla vegetazione, un sentiero in terra battuta che serpeggiava coraggiosamente in mezzo a un fresco boschetto.
- Siamo arrivati, Sesshomaru-san? – domandò vivacemente lei, quasi dimentica di tutti gli orrori che aveva appena rievocato. – Oh! – gli occhi si erano allargati fino all’inverosimile per la sorpresa. – Che villa stupenda! E’ sua?
- Sì. – era anche di Inuyasha, a voler essere pignoli, era l’unico bene che nel testamento il padre imponeva di dividere come buoni fratelli, e non nemici giurati.
Inizialmente, lui aveva creduto che ciò fosse dovuto al fatto che il genitore aveva chiesto di essere sepolto lì, in quella silenziosa ma viva campagna, in gran segreto, sicuro che in questo modo mai le sue spoglie mortali sarebbero state oggetto di stupide dissacrazioni.
Ma adesso un’altra teoria aveva folgorato la mente del Principe dei Demoni.

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