In coppia con Mukka
Genere: Azione/Drammatico
Pairing: RinXSesshomaru, KagomeXInuyasha
Rating: NC17
AVVISI: Angst, Chanslash, Prostituzione Minorile.
- Rosso. Colore del vizio e della perversione. Passione? Amore? Parole sconosciute, nell'ambiente in cui la storia si svolge. Rin ha sedici anni. Jaken è il suo sfruttatore. Sesshomaru è il capo della più importante cosca mafiosa di Tokyo. Inuyasha è suo fratello. Kagome la moglie di quest'ultimo. Queste vite si scontreranno, o solo sfioreranno accidentalmente, molte e molte volte, sullo sfondo del quartiere a luci rosse della città.
Commento dell'autrice: Parlando per me XD L'idea originale della storia era mia, ed è incredibile ed affascinante osservare quanto le abbia giovato la collaborazione con un'altra ficwriter. Nella mia testa era una storia molto più introspettiva, molto più cupa, molto più pallosa, in effetti XD Invece Mukka è stata in grado di darle quell'indirizzo yakuziano d'azione che ha nettamente risollevato il tono, facendone una bella action-fic ù_ù Sono molto soddisfatta è_é!
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Seeing Red
Capitolo Quattro
Spiegazioni e annunci

Toc! Toc! Ovattati suoni provenienti da un lontano ed oscuro mondo…
Con cautela, si risvegliò, trascinando per l’ennesima volta la sua stanca coscienza aldilà della barriera. Era ancora vivo, era ancora incatenato alla realtà fisica di una vita che non aveva mai realmente goduto o vissuto, chiudendosi in una freddezza innaturale che forse ispirava del timore reverenziale, ma certo non era un buon biglietto da visita per farsi degli affetti.
E così il Principe dei Demoni si destò da un sonno disturbato, su quella piccola branda dietro al piccolo negozio del fratello; la ferita stava guarendo velocemente grazie alle ottime cure di Kagome, ma ancora molto mancava prima che riacquistasse piene forze.
Toc! Toc! Di nuovo quel leggero bussare fui ripetuto, ricevendo in risposta un seccato invito ad entrare.
La porta si aprì.
Dapprima non la riconobbe, così semplice, il viso finalmente ripulito in tutta la sua ingenuità. Non riconobbe in quella normalissima fanciulla, armata di un caldo sorriso e del vassoio della cena, la piccola donna che Jaken costringeva a battere ogni sera. Era come tante altre al mondo, con due grandi occhi neri e le dolci, morbide forme appena arrotondate finalmente avvolte da comodi e caldi abiti.
- Cena, Sesshomaru-san? – La voce uscì timidamente, quasi avesse paura di esistere dopo così tanti anni di silenzio. Parlava con frasi essenziali, ma cariche di genuina felicità: per lei portare quel vassoio con quel semplice pasto, e magari posarlo in grembo al suo Salvatore, doveva essere il massimo degli onori.
Il cenno che le rivolse fu ovviamente privo di emozioni: consegna quel che devi consegnare, e vedi di fare in fretta, raccontavano i suoi occhi. L’iniziale stupore nel vederla così cambiata, così lontana da quella bambolina che si era presentata a casa sua la sera prima, era già stato abilmente dissimulato, sepolto sotto la coltre di ghiaccio in cui era imprigionata anche quel suo vecchio residuato di anima.
Si mise a sedere, fingendo ricercata lentezza nei movimenti laddove vi era oculata attenzione a non procurarsi inutili fitte di dolore con mosse brusche. Lei si avvicinò gentilmente, per nulla turbata dal fatto di doversi nuovamente accostare ad un letto con un uomo sopra: era libera, ora, e lo era grazie a lui.
- Spero non abbia cucinato mio fratello. – borbottò, in ricordo di certi spaventosi miscugli che Inuyasha continuava a definire “nouvelle cousine”. Ma gli bastò avvertire il pesante odore di ciò che era sul vassoio, e osservarne l’inquietante aspetto, per capire che ogni suo timore era fondato.
- Kagome-san era impegnata con me… - sussurrò Rin, quasi a mo’ di scusa.
- Ti ha grattato di dosso un bel po’ di robaccia. – ovviamente era impossibile stabilire se la frase fosse uscita con insito piacere o con malcelata rabbia, ma Rin era una delle poche persone al mondo cui non importava affatto il tono che Sesshomaru utilizzava: era stato il primo ad udire la sua voce dopo tre, lunghi anni, e tutto ciò che ora la fanciulla chiedeva era semplice conversazione, anche senza particolari accezioni affettive nascoste tra le parole. – Però questa roba sembra presa da un cassonetto!
- No, no! – Rin con delicata fermezza gli impedì di mettere da parte il vassoio, meritandosi un’occhiataccia: da quando in qua una marmocchia poteva dire “no” a lui? – Lei è molto debole, deve mangiare! – ma la tesi non sembrava convincerlo di molto, anzi dalla sua espressione si evinceva facilmente ciò che gli frullava per la testa: “Meglio morto per gli stenti che morto avvelenato.” – Guardi, è buono. – insistette lei, prendendo un pezzo di uno strano pane color carbone e portandoselo alla bocca.
Non osservando nessuna reazione che andava dalle convulsioni alla morte istantanea, finalmente il principe dei Demoni fissò con aria di sfida la cena, deciso a tentare di sfamarsi e contemporaneamente sopravvivere.
Rin, ovviamente, sorrise. Però poi si ritrovò un piatto sotto al naso.
- Non mi piace mangiare osservato da chi non mangia. – fu la spiegazione, e in quello sgabuzzino boss mafioso ed ex prostituta condivisero un pasto forse non troppo invitante, ma certo carico di amore fraterno.
- Ohilà, sta mangiando! – Inuyasha, noto per trovare sempre i momenti meno opportuni, in quella entrò nella stanza, squadrando divertito il fratello. – Non hai sempre detto che saresti morto, pur di non assaggiare di nuovo la mia cucina?
- Caro, però avresti potuto aspettare che finissi con Rin e cucinassi io… - azzardò la moglie, seguendolo dentro la stanza; dal colorito non proprio roseo i primi due occupanti compresero che doveva aver già cenato, e solo la forza dell’appetito impedì loro di lanciare i piatti dalla piccola finestrina ovale posta sopra la branda.
- Si… si sente male, Kagome-san? – mormorò la quasi bambina, la forchetta che tremava leggermente nella mano.
- Uh… no, solo un po’ di pesantezza di stomaco. Io credo… gulp! – non seppero mai cosa credeva, dato che era corsa fuori dalla stanza, una mano premuta sulla bocca; si augurarono che trovasse il bagno in tempo.
- Non posare i piatti, Sesshomaru! Non è la mia cucina, ultimamente mia moglie è un po’ debole di stomaco. – Spiegò Inuyasha, apparentemente per nulla preoccupato. Ma il sopracciglio leggermente sollevato del Principe dei Demoni tradiva una fiducia praticamente inesistente. – Davvero, ultimamente vomita per un nonnulla, anche quando cucina lei! Mangia, rimettiti in forze. E anche tu: sei magra come un chiodo!
Rin sorrise, arrossendo ed abbassando il bel viso.
- Beh, Sesshoamru, sei più propenso a parlare, adesso?
Di nuovo un fatticazzituoi stava per uscire dalle non proprio delicate labbra dell’uomo, ma bastò lui una sfuggente occhiata alla piccola che lo osservava con innocenza, per decidere che non aveva voglia di scadere nel turpiloquio. E in fondo, sia lei, che aveva rischiato la vita per salvarlo, sia lui, che già molte volte l’aveva rischiata, e molte altre ancora sarebbe stato disposto a farlo, meritavano di conoscere la verità; o almeno, una fetta di essa.
- Naraku vuole uccidermi. – ammise, anche se l’affermazione era già fatto conosciuto. – Questo sia perché desidera il controllo sul mio impero… sia perché vuole la Shikon No Tama.
Inuyasha quasi cadde d’in piedi, e a fatica mantenne una qualsiasi forma di controllo:
- Come fai a dirlo? E come può lui sapere della Shikon? E’ un segreto della nostra famiglia! Chi mai può averlo rivelato?
Un ricordo, un ricordo brillante e chiassoso come solo sanno essere i ricordi delle sbronze, attraversò come un lampo la mente di Sesshomaru, riportandogli magicamente davanti agli occhi sé stesso, qualche anno prima, ubriaco come non mai e circondato tre prosperose quanto seminude donzelle, intento a blaterare circa la bellezza e il valore della Shikon No Tama, e intento ogni due per tre a prometterla in regalo a tutte le fanciulle che gli passava accanto.
- Vorrei tanto sapere com’è possibile che un simile segreto così gelosamente custodito possa essere filtrato alle orecchie di quel… - Inuyasha proseguiva imperterrito nelle sue imprecazioni, senza notare che, per la prima volta da quando lo conosceva, Sesshomaru aveva abbassato gli occhi, evitando d’incrociare qualsiasi sguardo.
Rin invece, che guardava tanto e parlava poco, aveva intuito una qualche forma di… imbarazzo?, da parte di quel gelido ma gentile uomo, e lo fissò con stupore, cercando di capire cosa nascondesse. Lui alzò appena il volto, incrociandola, così indagatrice, e si lasciò sfuggire un leggero sorriso, forse incoraggiante.
- E poi perché ucciderti! – come al solito, la voce di Inuyasha riusciva a penetrare anche nel più spesso e magico dei momenti. – La Shikon No Tama è nascosta, e solo noi sappiamo dove… o meglio, non lo sappiamo, ma… beh ucciderti è una cosa stupida, no? Se non sbaglio, nostro padre ci ha sempre detto che per aprire la cassaforte serviva una nostra mano…
- Precisava che la mano dovesse essere attaccata al corpo?
- Beh, no…
- Appunto. Non so quante e quali informazioni possegga Naraku: però so che devo recuperare la Gemma, prima che vi arrivi lui. E prima che ci arrivi con una nostra mano in tasca.
Inuyasha, che fino ad allora aveva misurato la stanza con ampi passi, come una belva costretta in una gabbietta, si fermò di colpo, sedendosi con un tonfo su una vecchia poltrona posta nell’angolo.
- Noi non sappiamo dove sia… abbiamo solo quella mappa delirante, ricordi?
- Sarà delirante, ma noi l’abbiamo e Naraku no. – purtroppo quando una persona è molto, molto ubriaca, finisce per non ricordare più nulla. E così dalla mente di Sesshomaru mancavano alcuni fondamentali tasselli di memoria, compreso qualche fotogramma che ritraeva una di quelle donzelle intenta a copiare con frenesia la mappa che lui ridendo aveva acconsentito di mostrarle. Lei sapeva che era un pezzo da un milione di yen, e quando, dopo qualche mese, aveva proposto l’affare a Naraku, ebbe la conferma di non essersi per niente sbagliata. – Quindi, questo può essere considerato un vantaggio.
- Può essere considerato un vantaggio anche il fatto che tu hai un buco nel petto e lui no? Se non fosse stato per il pulsante dolore proveniente dalla ferita, e per la sottile ma timida risatina di Rin, probabilmente sarebbe finita in rissa, come al solito. Ma per quella volta seppe, con un certo orgoglio, trattenersi.
- Una mappa delirante che conduce alle fognature di Tokyo. – Inuyasha fischiò leggermente, certamente non pregustando la gita in vista. – Non so se posso permettermi di chiudere il negozio e venire…
- Io vado con il Signor Sesshomaru! – annunciò Rin, con un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava all’altro. Era così bello, così elettrizzante, poter scegliere dove andare e con chi andarci! Forse senza rendersene completamente conto, ella stava iniziando ad annusare la libertà; e le piaceva un sacco.
In quella tornò Kagome, le gote leggermente arrossate. Doveva aver vomitato fino all’anima, e forse qualcosa in più. Non sapeva nulla dei discorsi e dei problemi di cui si era discusso sino ad allora, ma la sua espressione era greve, carica di apprensione.
- Va tutto bene? – in quanto a toni affettuosi-ma.non-troppo, Inuyasha se la batteva bene con Sesshomaru, ma nel suo sguardo, al contrario di quello del fratello, erano facilmente leggibili pensieri e sensazioni, ed ora si intuiva una forte preoccupazione. Si era alzato, avvicinandosi di qualche passo alla moglie.
- Io… beh… sai ho appena avuto la conferma, e… - lei tacque, deglutì, si asciugò una lacrima che era sfuggita dalle ciglia. – Inuyasha, aspettiamo un bambino…
Il tonfo che si era sentito subito dopo proveniva dal pavimento di legno, precisamente dove il ragazzo aveva sbattuto la testa perdendo i sensi.
L’urlo invece proveniva da Rin, che si era alzata ed era corsa ad abbracciare quella che per lei già quasi sembrava una sorella maggiore.
Il silenzio proveniva dal Principe dei Demoni, che mentalmente aveva già cancellato il fratello come possibile alleato nelle lotte che sicuramente di lì a poco avrebbe dovuto affrontare: con un marmocchio in arrivo, Inuyahsa non si sarebbe mai unito a lui.
Era solo. Così come era solo in quella stanza pervasa da una felicità che non poteva o non voleva capire.

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