In coppia con Mukka
Genere: Azione/Drammatico
Pairing: RinXSesshomaru, KagomeXInuyasha
Rating: NC17
AVVISI: Angst, Chanslash, Prostituzione Minorile.
- Rosso. Colore del vizio e della perversione. Passione? Amore? Parole sconosciute, nell'ambiente in cui la storia si svolge. Rin ha sedici anni. Jaken è il suo sfruttatore. Sesshomaru è il capo della più importante cosca mafiosa di Tokyo. Inuyasha è suo fratello. Kagome la moglie di quest'ultimo. Queste vite si scontreranno, o solo sfioreranno accidentalmente, molte e molte volte, sullo sfondo del quartiere a luci rosse della città.
Commento dell'autrice: Parlando per me XD L'idea originale della storia era mia, ed è incredibile ed affascinante osservare quanto le abbia giovato la collaborazione con un'altra ficwriter. Nella mia testa era una storia molto più introspettiva, molto più cupa, molto più pallosa, in effetti XD Invece Mukka è stata in grado di darle quell'indirizzo yakuziano d'azione che ha nettamente risollevato il tono, facendone una bella action-fic ù_ù Sono molto soddisfatta è_é!
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Seeing Red
Capitolo Dieci
Attacco Al Palazzo


- Vuoi divertirti, Naraku-san? – Lei gli si sedette a cavalcioni sulle ginocchia, la corta gonna in velluto nero molto più in alto del normale, le belle cosce divaricate che altro non chiamavano se non una sua reazione. I seni, abbondanti, quasi esplodevano dalla camicetta mezza slacciata; la loro linea curva era un chiaro invito a tuffarsi, perdendosi in quella calda morbidezza.
- Vattene. – La scostò malamente, costringendola a scendere. Era bella, quella troia, molto invitante, ma il momento non era per niente adatto. Quasi offesa per non essere stata sfruttata, lei si sedette su di un divanetto, le lunghe gambe a penzoloni mentre si riassestava la camicetta, i cui bottoni sembravano seriamente voler esplodere da un momento all’altro.
Era costretto a rinunciare ad una bellezza del genere per, per… quella deficiente di Kagura, che i cani se la facessero!
Era riuscita a mancare l’occasione anche quella volta, e Sesshomaru, morto che non voleva arrendersi all’idea, adesso certamente lo stava cercando: la sua protetta doveva averci rimesso se non le penne, almeno qualche buon litro di sangue. E questo il Principe dei Demoni non l’avrebbe fatta passare liscia: l’onore prima di tutto, e poi forse la vita. Quante cazzate.
Ecco perché non poteva sollazzarsi a suo piacimento: prima o poi Sesshomaru sarebbe corso da lui, pretendendo di strappargli le palle con le sue stesse mani. E voleva essere lucido per quel momento, non tra le gambe di una prostituta, grondante sudore e liquido seminale.
Lei raccolse le sue cose – le scarpe, e una borsetta – quindi si alzò, diretta alla porta. Una mano scattò verso il suo sottile braccio di ragazzina, e, voltandosi, vide un sinistro ghigno nel volto del boss.
Oh, al diavolo. Non sarebbe certo stata una scopata a fargli male. Anzi.

Kiol era sempre stato un buona guardia. Leale, fredda, calcolatrice. Mai un lamento, ma un osservazione: era lì per fare quel che doveva fare. E lo faceva, scrutando in silenzio con quei suoi fanali d’occhi, verdi come la foresta pluviale; lo faceva, a braccia conserte, ritto innanzi al cancello della grande villa. Era solo il primo di molti ostacoli per arrivare al boss, e forse la sua vigile attenzione non era propriamente vitale, ma non per questo si permetteva di abbassare la guardia.
Anche se era notte; era una notte fredda, nonostante la stagione, e l’umidità già cercava le sue ossa, non troppo anziane ma già stanche e indebolite da quello stile di vita. Kiol decise che non sarebbe certo morto nessuno, se si fosse seduto a terra, magari avvolto in una bella coperta.
E in effetti, anche se non l’avesse fatto, le cose non sarebbero andate diversamente; certo, magari quella pallottola non l’avrebbe raggiunto direttamente alla tempia, forse la sua morte sarebbe stata meno fulminea e più dolorosa, ma con i forse non si fa certo una storia: quindi, sappiate che non appena egli si chinò, cercando del conforto sul freddo pavimento in cui era puntellato il cancello della villa, e precisa pallottola lo colpì alla testa, non lasciandogli neppure il tempo di accorgersi di stare morendo.
Sesshomaru, spettro nella notte, avanzò silenzioso, senza rivolgere altro sguardo alla guardia, se non per assicurarsi che fosse seccato e non necessitasse di una seconda ripassata; sorrise malignamente, spiando la propria pistola: gran cosa, i silenziatori.

Naraku uscì da lei, con un sospiro. Non urlava mai, neppure durante l’orgasmo, preferiva trattenere tutto dentro di sé, annegare in quella sensazione. E pretendeva lo stesso silenzio anche da quelle che passavano sotto di lui.
Questa, quella dalla corta in velluto e la camicetta che più rigonfia non si può, certamente non era stata avvertita, e così era stata tanto stupida da cominciare a simulare inutili e rumorosi orgasmi. Per questo era stata costretto a colpirla, prima che con quel casino gli rovinasse l’attimo finale.
Il suo cadavere lo fissava, sbalordito da ciò che lui aveva fatto; distolse lo sguardo, abbottonandosi i pantaloni, e chiamando qualcuno affinché la portasse via.
Il suo protettore forse avrebbe preteso un risarcimento, ma qualche yen in più certo valevano il brivido di strappare la vita durante un orgasmo. Lo valevano eccome.

Sesshomaru era appostato lì dietro da troppo tempo, per i suoi gusti. L’ultima guardia che aveva ucciso faceva orrida mostra di sé, proprio nel corridoio dal quale non era più riuscito a muoversi: lì dentro c’era una vigilanza fin troppo fitta, per i suoi gusti. Quel bastardo di Naraku era uno che sapeva il fatto suo. Bene, ucciderlo sarebbe stato ancora più soddisfacente.
Abbassò una mano sulla tasca, incontrando la regolare superficie della Shikon No Tama; quella era il suo passaporto verso la morte di Naraku.
La guardia passò davanti a lui, senza vederlo; era in agguato come un puma da circa dieci minuti, il tempo necessario per apprendere i vari giri di ronda di quei gorilla; questo, che l’aveva appena sorpassato, passava di lì e nell’ala ovest di quel piano. Poi c’era il suo compare, che si faceva la est. E infine un jolly, che non disdegnava nessuna direzione. Quindi, l’esatto ordine di azione era…
Uno, due, tre…
Saltò fuori, puntando la pistola; la guardia non ebbe neppure il tempo di estrarre, che già un foro nel suo petto lasciava fuoriuscire liquido nero rossastro. Cadde a terra.
Quattro, cinque, sei…
Non ebbe neppure bisogno di voltarsi prima per controllare di aver ragione; puntò la pistola, poi ruotando il corpo, e colpì anche la seconda, che fu scaraventata contro il muro. Lo avevano sporcato, ma che peccato.
Sette, otto, nove, dieci…
- Bastardo, cosa…? – questo era un po’ più veloce. Non furbo, ma abbastanza da riuscire a tirare fuori la pistola; peccato che non potesse usarla, ora che una pallottola nel cervello gli offuscava la vista.
L’adrenalina defluì. Era grazie a quella che Sesshomaru era sopravvissuto a simili duelli degni di Sergio Leone. Fece un respiro, recuperando tutta la fredda logicità di cui necessitava per uscire tutto d’un pezzo anche da quella storia, quindi si diresse verso la porta che nel palazzo era maggiormente sorvegliata: quindi, la stanza di Naraku.

Sedeva alla scrivania, forse un po’ appisolato, le membra che si lasciavano intorpidire dalla piacevole sensazione di aver appena posseduto una donna. Prese un sigaro dalla scatola, lo accese.
Il grande portone in legno fu scosso, sbattuto, aperto con violenza. Sesshomaru, perfettamente calato nel suo ruolo di Angelo della Morte, lo fissò, ghignando. Finalmente, finalmente avrebbe avuto la vendetta che cercava. Finalmente quel bastardo sarebbe morto.
La sua solita inespressività era sostituita da una rabbia sorda, che neppure il Principe dei Demoni seppe spiegarsi appieno. Teneva così tanto a quella ragazzina, da lasciarsi confondere e offuscare così? Sì, evidentemente sì.
Naraku, dopo un primo momento di disorientamento, sorrise. Proprio come previsto.
- Eccoti qui, Sesshomaru. Se non sei a casa a piangere, devo dedurre che la tua marmocchia è ancora viva? -
- Non parlare. Sei morto. – La pistola venne lentamente alzata, fino a raggiungere il livello del volto dell’uomo.
- Io? Morto? Ah, non credo. – Si alzò divertito, ignorando ostentatamente l’arma che lo seguiva. –Tu piuttosto, sei più sciocco di quel che credevo: vieni a trovare questo caro, vecchio amico… lasciando indifeso il tuo agnellino?
Le iridi dell’uomo si dilatarono appena, mentre la mente faceva due più due. Rin. Idiota che non era altro, cosa gli era saltato in testa di abbandonarla per cercare una stupida vendetta?
- Vedi questo? – Naraku alzò il piccolo telecomando, dotato di un solo bottone azzurro, affinché Sesshomaru potesse vederlo con chiarezza. – Puoi spararmi, ma io lo premerò. E quando lo farò, Kagura, che è già sul posto, non attenderà un attimo di più, e ammazzerà l’agnellino. Che ne dici? Forza, ora: dammi la gemma!

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