In coppia con Mukka
Genere: Azione/Drammatico
Pairing: RinXSesshomaru, KagomeXInuyasha
Rating: NC17
AVVISI: Angst, Chanslash, Prostituzione Minorile.
- Rosso. Colore del vizio e della perversione. Passione? Amore? Parole sconosciute, nell'ambiente in cui la storia si svolge. Rin ha sedici anni. Jaken è il suo sfruttatore. Sesshomaru è il capo della più importante cosca mafiosa di Tokyo. Inuyasha è suo fratello. Kagome la moglie di quest'ultimo. Queste vite si scontreranno, o solo sfioreranno accidentalmente, molte e molte volte, sullo sfondo del quartiere a luci rosse della città.
Commento dell'autrice: Parlando per me XD L'idea originale della storia era mia, ed è incredibile ed affascinante osservare quanto le abbia giovato la collaborazione con un'altra ficwriter. Nella mia testa era una storia molto più introspettiva, molto più cupa, molto più pallosa, in effetti XD Invece Mukka è stata in grado di darle quell'indirizzo yakuziano d'azione che ha nettamente risollevato il tono, facendone una bella action-fic ù_ù Sono molto soddisfatta è_é!
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Seeing red
Capitolo Uno
Specialissima


Si dice che non si possano distinguere, per telefono, i diversi tipi di silenzio. Ebbene, Jaken aveva imparato a distinguere il silenzio di Sesshomaru, capo della cosca malavitosa attualmente più importante e pericolosa di Tokyo. E questo perché semplicemente ne sarebbe andato della sua vita. Sesshomaru non chiedeva niente, non chiamava per nome nessuno e si limitava a comunicare ora e luogo in cui voleva trovare ciò che ordinava gli fosse consegnato. E, sopra ogni cosa, era particolarmente “sensibile” a tutto ciò che sarebbe potuto sembrargli un qualsivoglia affronto.
- Se-Sesshomaru-san! – disse Jaken con timore reverenziale, - Come sta?
Sesshomaru non disse una parola per molti secondi. Poi, con voce fredda e distaccata, parlò.
- Alle ventuno e trenta nella mia residenza cittadina.
- Sì, certamente! Come vuole!
Con un brivido, interruppe la conversazione telefonica. E rabbrividì per due motivi.
Il primo: “Come sta”??? Da dove, DA DOVE gli era uscita fuori quella frase?! A Sesshomaru! Probabilmente l’avrebbe ucciso quando l’avesse visto. Quanta confidenza…
Il secondo motivo del brivido era decisamente più grave, e si chiamava “scarsa disponibilità di materia prima”. Insomma, modestia a parte le sue ragazze erano molto apprezzate in tutta la città. E quell’uomo chiama alle nove per averne una entro mezz’ora! E dove la trovava una disponibile, adesso? Delle sue ragazze migliori, in casa non ne aveva nessuna. Doveva per forza andare a rintracciarne qualcuna per le strade di Shibuya; per quanto la cosa potesse infastidirlo, era sempre meglio prendersi un disturbo piuttosto che disattendere le richieste di colui che, nel suo ambiente, era noto come Principe dei Demoni per orgoglio e spietatezza.
Salì perciò sulla sua (piccola e poco appariscente) Mercedez Benz grigia metallizzata dalle dimensioni di una discreta limousine, e si diresse in fretta a setacciare le vie del quartiere a luci rosse.
Inutile dire che c’era più di una ragazza per ogni angolo, ed erano tutte appoggiate a muri e lampioni, tranne qualcuna che metteva in mostra la mercanzia aprendo la cerniera del giubbino o camminando avanti e indietro per il marciapiede, ancheggiando sensualmente.
**

Rosso. Colore del vizio e della perversione. Si sarebbe anche potuto dire dell’amore, della passione, ma erano tutte cose che a Jaken non interessavano: per lui il rosso era il colore dei quattrini, perché i quattrini si facevano col sesso. Per questo, tutte le sue ragazze si vestivano di rosso.
Le guardò tutte attentamente. Non erano certo le migliori che aveva, ma erano quelle a disposizione, e doveva arrangiarsi.
E poi, a dire la verità, ne avrebbe pure avuta una DAVVERO bellissima, ma… c’era un piccolissimo problema. La sua età. Sedici anni. Intendiamoci, davvero un fiorellino; lunghi e lisci capelli neri, grandi occhi castani, pelle d’avorio e bocca di pesca, bassina e sottile, ma proporzionata e di naturale eleganza, tanto che struccata non si sarebbe detta quella che era.
Eccola là, Rin. In piedi sul marciapiede, con le braccia dietro la schiena, che scrutava la strada illuminata da luci al neon di ogni tipo ed il solito sorriso allegro sulle labbra. Sbuffando per quell’assurda quanto reiterata manifestazione d’ilarità – le aveva detto mille volte di non sorridere a quel modo – accostò ed abbassò il finestrino. Rin si affacciò subito, ridacchiando. La sua espressione sembrava dire “Jaken-san, che sorpresa! Dimmi tutto quello che vuoi!”, come se lui non fosse l’uomo che la costringeva a prostituirsi ma un amico di vecchia data. Simpatia e disponibilità. Questo sembrava dire il suo sorriso, ma Rin non diceva niente, Rin non parlava. Non aveva mai detto una singola parola da quando la conosceva, ed erano già tre anni. Non sapeva neanche quale fosse il suo vero nome, perciò l’aveva “battezzata” lui.
- Stasera non stai per strada. – le disse freddamente, - Ti porto in casa da un cliente.
Rin batté le mani, continuando a sorridere.
- Piantala di fare così, non sembri neanche una puttana, cazzo! Non ti ho detto “ti porto al parco giochi”, ti ho detto che ti porto da un cliente!
Lei continuò a sorridere, annuendo. Evidentemente aveva capito e la cosa la rendeva molto felice, chissà.
- Sali in macchina. – disse Jaken spazientito.
Appena la ragazzina fu al suo fianco, ricominciò a parlare.
- Ti porto dal signor Sesshomaru-san. Sai chi è?
Lei lo guardò con occhi curiosi.
- No, eh? È il capo degli Youkai. Mai sentiti nominare? Sono la cosca più grande di tutta la città e tu non ne hai mai sentito parlare?! Ma dove vivi?!
Rin sorrise imbarazzata, come a volersi scusare.
- Dannata mocciosa, farai la mia rovina. Devi comportarti in maniera specialissima con questo cliente. È chiaro?
Rin annuì.
- Meno male. Ah, ecco. Siamo arrivati. Decimo piano, interno quarantasette. Scendi, che aspetti?
Lei scese, ma Jaken poté vederla esitare un attimo prima di muoversi verso il portone del grigio ed altissimo palazzo dove si trovava l’appartamento di Sesshomaru.
- Bè? Che hai, stupida?!
Poi sembrò realizzare.
- Ah, ho capito. Ti preoccupi per il ritorno. Bè, non ci pensare, come minimo di terrà per tutta la notte; dopo prendi i soldi ed un taxi e tornatene a casa. Mi raccomando con lui: specialissima, abbiamo detto!
Rin annuì, voltandosi verso l’entrata. Jaken mise in moto la Mercedes e sparì nella notte.
**

Rin osservò con attenzione l’enorme palazzone grigio che la stava di fronte. Era diverso dalla residenza degli altri capimafia di cui le avevano parlato le altre ragazze di Jaken-san. Non era elegante, non era sfarzoso, non c’erano giardini né piscine. E soprattutto era poco appariscente e decisamente brutto. L’esatto contrario dei villoni tanto di moda in quel periodo.
Comunque, tutto sommato, era contenta di trovarsi lì. Detestava stare per strada, e poi, qualsiasi cosa ci si volesse fare dentro, le macchine erano troppo scomode. Lo sapeva bene. Almeno stavolta avrebbe avuto un letto.
Non c’era traccia del solito, allegro sorriso, sul volto di Rin, mentre entrava nell’edificio; ma quell’ombra durò poco, e nell’ascensore per il decimo piano le labbra tornarono a prendere la solita forma, mentre la ragazza ripeteva a sé stessa “tranquilla, dai. Durerà poco.”.
**

Sesshomaru stava seduto in poltrona da già un quarto d’ora. UN QUARTO D’ORA. Qualcuno sarebbe stato punito severamente per quell’attesa. Mai fare aspettare il Principe dei Demoni.
Tra l’altro, quella era stata una giornata di merda e non sarebbe stata una cosa buona, per nessuno, se il suo umore fosse peggiorato ancora.
Finalmente il campanello squillò e, senza emettere un fiato, Sesshomaru si sollevò dalla sua poltrona e si diresse verso la porta, aprendola.
Bè, non c’era dubbio che la ragazza assurdamente sorridente che si trovò davanti fosse una puttana. Il cortissimo vestitino rosso a righe nere sottili ed il trucco appariscente e volgare non lasciavano alcun dubbio. Ma non c’era nessun dubbio sul fatto che quella fosse una dannata mocciosa. Quanti anni avrebbe potuto avere? Quindici? Sedici? Non più di diciassette, a voler essere generosi.
La scrutò a lungo. No, non era roba per lui. Tornò un attimo dentro l’appartamento, afferrando il lungo cappotto marrone dall’appendiabiti e poi la condusse fuori, sul pianerottolo, tirandola per un braccio. Lei non disse nulla, non protestò in alcun modo.
Sesshomaru chiamò l’ascensore e la spinse dentro, poco delicatamente, premendo poi il pulsante che li avrebbe portati al piano terra.
Lei continuò a rimanere in silenzio. Fissava per terra, senza muovere un muscolo. Il sorriso completamente scomparso dal viso. Sesshomaru la guardò con sufficienza. Che diavolo aveva quella ragazzina?
- Ti ha mandata Jaken, vero?
Lei annuì semplicemente, e lui comprese.
- Tu non parli.
Rin sorrise leggermente, senza sollevare lo sguardo.
Sesshomaru tornò a guardare fisso davanti a sé, senza dire una parola di più.
**

Kagura salì sull’Harley rossa, dotata della capacità di raggiungere velocità spaventose in tempi praticamente nulli, di cui l’avevano dotata per l’occasione, e mise in moto, mettendosi poi al discreto inseguimento della BMW nera che era partita poco prima.
Non aveva nulla di personale contro quell’uomo, ma provare ad ucciderlo era una di quelle cose che si dovevano fare, se stavi al servizio di Naraku del clan della Shikon. Cosa Naraku volesse da Sesshomaru degli Youkai, Kagura non lo sapeva, ma sapeva per certo che sarebbe stato molto più facile ottenerlo nel momento in cui lui fosse morto. E Kagura non poteva tirarsi indietro, quando si trattava di lavorare per Naraku. “I debiti, Kagura,”, le aveva detto centinaia di volte, “non si dovrebbero mai avere. Sono degradanti e costringono il debitore ad essere succube del creditore. Non è una situazione piacevole, vero?”.
…quel bastardo godeva nel ricordarle la sua perduta libertà. Godeva nell’utilizzarla per omicidi di cui non le fregava un accidente.
Lei era un killer, oh che killer, ed a Naraku faceva comodo tenerla fra le fila dei suoi sottoposti.
- Kagura, affianca la macchina.
Come al solito, rabbrividì nel sentire la voce fredda ed atona della ragazzina seduta sul sellino dietro di lei.
- Lo sto facendo, Kanna. Non darmi ordini.
Quella merda di Naraku le metteva alle calcagna la mocciosa ogni volta che le affidava un compito da svolgere. Che non si fidasse di lei, era chiero. Sapeva che a costringerla era solo un dannato debito – che comunque avrebbe saldato al più presto – e che sarebbe fuggita via, veloce come il vento, alla prima occasione favorevole, ecco perché la faceva sempre accompagnare dall’unico essere umano di cui si fidasse, Kanna appunto. La presenza di quella ragazzina – avrebbe potuto avere al massimo sedici anni – la inquietava. Giravano strane storie su di lei. Si diceva che rubasse l’anima delle sue vittime, per quanto nessuno potesse confermarlo, perché nessuno l’aveva mai vista uccidere. Quando portava a termine una missione, accanto a lei, mai sporca di una goccia di sangue, c’erano solo cadaveri freddi.
**

Quella moto che lo stava seguendo da un po’ era sospetta. Se n’era accorto da molti minuti e non era per niente allegro. Si sentiva infastidito ed oltraggiato.
Aveva riconosciuto Kagura, l’assassina di punta di Naraku, eppure gli era sembrato di essersi espresso abbastanza chiaramente con quel rifiuto della natura quando, l’ultima volta che l’aveva visto, lo aveva avvertito di non scocciarlo più.
Lentamente, la moto si affiancò al finestrino della sua macchina. Lui accelerò. Aveva bisogno di un po’ di vantaggio, sapeva che sarebbe stata battaglia di lì a poco. La moto lo seguì subito nell’accelerazione, riuscendo quasi ad affiancarsi di nuovo.
- Tu. – disse gelido Sesshomaru alla ragazzina seduta sul sedile di fianco a lui, – Tieni il volante.
Istantaneamente, sollevò le mani dal volante per afferrare la pistola sotto la giacca, e se Rin, superato un momento di iniziale sorpresa, non fosse stata veloce quanto lui nell’obbedire all’ordine, la macchina sarebbe sbandata.
L’uomo si affacciò al finestrino mirando alla testa di Kagura, pochi metri indietro. Dopo lo sparo, lei deviò leggermente dalla sua traiettoria, evitando la pallottola. Con una smorfia di disappunto, Sesshomaru si preparò a puntare nuovamente, ma lei fu più veloce. Senza sapere come né perché, in un secondo l’uomo aveva una lama di metallo conficcata nel petto.
La moto s’infilò in un vicolo, scomparendo dalla strada principale, nel momento in cui lui, copiosamente sanguinante, si accasciò per metà fuori dal finestrino. E, per quanto Rin potesse essere brava a tenere il volante, l’auto perse stabilità, andando a schiantarsi contro un muro.
**

Quando Rin uscì dalla carcassa di lamiere e si guardò intorno, era ancora notte. Grazie al cielo, la macchina non era esplosa, e lei era praticamente illesa; gli airbag avevano funzionato bene. Dell’uomo, di Sesshomaru, a prima vista nessuna traccia.
Mosse qualche passo contando gli ematomi su braccia e gambe, e fu improvvisamente attratta da una pozza di sangue per terra che sembrava espandersi sempre più. Al centro, lui. Probabilmente era stato sbalzato fuori dalla macchina prima dell’urto. Sembrava ancora vivo, per quanto impercettibilmente il suo petto di muovesse. L’unica ferita grave pareva essere quella causata dal killer poco prima.
Rin aveva qualche dubbio sul fatto che sarebbe riuscita a portarlo a casa sola con le proprie forze, ma Jaken-san, d’altronde, aveva detto di essere specialissima con lui. Zoppicando leggermente, si diresse verso Shibuya caricandosi l’uomo privo di conoscenza sulle spalle, mentre le gambe di lui, data la differenza d’altezza, strisciavano per terra ad ogni passo.

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