rp: stefan olsdal

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: PG
AVVISI: Slash, Fluff.
- La mattina del dieci dicembre duemiladodici, Brian apre gli occhi e si ritrova avvolto in un centinaio di strati di coperte calde ma desolatamente solo nel proprio letto. Una tale mancanza di rispetto nei confronti della sua palese vetusta persona non può restare impunita. Peccato che Matthew sia irraggiungibile, e che pertanto a fare le spese per la sua insubordinazione sia tutto il resto del mondo.
Note: Tanti auguri, Brian \*O*/ Sì, lo so, il compleanno di Brian era l'altroieri, ma io ho bisogno di tempo per scrivere, specie da quando non riesco più a scrivere flashfic ed ogni storia approfitta di qualsiasi pretesto per diventare spropositatamente lunga XD
Comunque u.u Niente, in realtà questa fic non nasce da nessuna ispirazione precisa, semplicemente ad un certo punto l'altroieri ho cominciato a sentire Brian parlarmi nella testa come non accadeva da un po', e questo è il risultato ♥
Scritta per la Maritombola @ maridichallenge con prompt #15 (X e Y hanno una relazione a distanza), e sul prompt #41 (Ed è bello) della 500themes_ita.
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Matthew aveva avuto quantomeno la decenza di presentarsi a casa il ventiquattro novembre senza por tempo in mezzo, questo Brian doveva riconoscerglielo. Non che ciò valesse in alcun modo a migliorare la sua posizione, considerando la situazione contingente che eliminava a priori qualsiasi possibilità di attenuanti applicabili, ma era giusto ricordare il particolare, fosse anche solo per darsi un singolo motivo al quale pensare quando l'avrebbe avuto nuovamente per le mani e si sarebbe trattato di decidere se lasciarlo in vita o terminare la sua patetica esistenza.
Il ventiquattro novembre mattina si era puntualmente fatto trovare sullo zerbino rosa a macchie leopardate fucsia che aveva preteso di scegliere personalmente quando avevano affittato l'appartamento ed erano di conseguenza dovuti andare all'IKEA per acquistare la relativa mobilia-barra-articoli di arredamento. Brian - imbottito di antibiotici per cercare di tenere a bada la tonsillite ricorrente contro la quale combatteva ormai da mesi, ed avvolto in una sciarpa arrotolata sei volte intorno al collo ed in una felpa larga almeno un paio di taglie in più rispetto alla propria - l'aveva accolto con la migliore fra le proprie espressioni affatto impressionate, come se, per Matthew, trovarsi lì quella mattina fosse il minimo da fare per non incorrere in qualche orrenda punizione divina coinvolgente mutilazioni e dannazioni eterne, cosa che peraltro corrispondeva al vero. Il suo sguardo di ghiaccio non s'era ammorbidito neanche quando Matt aveva piegato le labbra nel suo solito sorriso un po' triste e carico di scuse, ed aveva sfilato da sotto il cappotto una scatola di cioccolatini al liquore.
"Sorpresa," aveva abbozzato, e Brian aveva inarcato un sopracciglio, scostandosi dall'uscio per lasciarlo passare.
Ad onor del vero, bisognava riconoscere che le successive due settimane (tralasciando l’incidente relativo al Buddha in giada imperiale che era accidentalmente caduto sul piede di Matthew fratturandogli un dito, incidente col quale Brian negava recisamente di avere alcunché a che fare nonostante sia lui che Matthew sapessero perfettamente che non era così) erano state per Brian probabilmente le migliori in un lungo periodo in cui non avevano fatto che succedersi settimane peggiori, e bisognava riconoscere nondimeno che gran parte del merito per questo improvviso ed inopinato miglioramento andava senza dubbio attribuito a Matthew, il quale, preso atto della generica cattiva disposizione del proprio compagno rispetto al mondo circostante, invece di afferrare le proprie rachitiche stampelle e fuggire in Australia col primo volo disponibile, aveva ingoiato il rospo, smesso i panni del frontman di fama mondiale col gesso al piede ed indossato quelli della diligente infermiera devota per prendersi cura del proprio uomo depresso e malaticcio, cosa che, lentamente ma inesorabilmente, era riuscita a disciogliere lo spesso strato di ghiaccio attorno al cuore della Regina Checca delle Nevi, come Dom amava chiamarlo quando si riferiva a lui, rendendolo meno uggioso e più genericamente ben disposto, almeno nei confronti della sua persona.
Naturalmente, al punto in cui si trovava Brian quando, la mattina del dieci dicembre, si risvegliò, sommerso dai sei strati di coperte in differenti tessuti e a differente densità all'interno dei quali Matthew si era premurato di imbozzolarlo la sera prima dopo averlo imbottito di pasticche colorate e vomitevole tè bollente alla pesca nana del Madagascar, niente di tutta questa storia pregressa di amorevoli cure ed affezionate attenzioni aveva più un valore. La parte sinistra del letto era vuota e non c'erano crediti precedentemente accumulati che potessero rendere questa realtà meno offensiva o irritante.
Tirando rumorosamente su col naso, Brian strisciò all'esterno del caldo bozzolo, pentendosene all'istante e decidendo pertanto molto saggiamente di tornare indietro e nascondersi nuovamente sotto le coperte, impegnandosi il più possibile ad aggrottare le sopracciglia ed arricciare le labbra in un broncio impietoso. Lasciando emergere dalle coperte solo un braccio, come fosse un periscopio, recuperò a tentoni il cellulare abbandonato sul comodino e, pur sapendo già perfettamente cosa aspettarsi, provò a chiamare Matthew. La voce femminile impersonale ed anche vagamente antipatica della segreteria telefonica lo invitò gentilmente a riprovare più tardi o lasciare un messaggio dopo il bip, e lui, altrettanto gentilmente, la mandò a quel paese e poi chiamò Helena per la quotidiana telefonata mattutina a Cody. Cercava di andarlo a trovare il più spesso possibile - giornalmente, in periodi come quello in cui non era in tour e neanche impegnato ventiquattro ore su ventiquattro in studio - ma Helena gli aveva espressamente proibito di avvicinarsi a suo figlio - che da lui, oltre alle guance da criceto, aveva ereditato anche la salute particolarmente cagionevole - quando era ammalato.
Ad Helena bastarono venticinque secondi di conversazione per scoppiare in una risata divertita e sussurrargli "Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?". Al colmo del disappunto, Brian tirò su col naso un'altra volta e borbottò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi fra le coperte.
- Cosa te lo fa pensare? - biascicò poi, cercando di sbirciare all'esterno del letto per capire che ore fossero.
- Non lo so, hai sempre quel tono di voce lì, quando sta qualche giorno e poi se ne va. - rise ancora Helena, - Oggi, poi, sembri particolarmente di malumore.
- Be', ti sbagli. - sbottò lui, - Matthew è qui e sta preparando i pancake per colazione. Mi ha promesso di metterci sopra lo sciroppo d'acero e portarmeli a letto, e se sono di malumore è solo perché sto diventando sempre più decrepito e brutto.
Helena rise ancora, divertita. Brian la immaginò scuotere il capo con aria a metà fra l'intenerito e l'incredulo mentre preparava una tazza di latte e cereali per Cody, e si concesse un sospiro stanco e vagamente nostalgico.
- Ovviamente non c'è nulla di vero in quello che hai appena detto. - commentò quindi, mentre Brian sbuffava ancora.
- Niente a parte il fatto che divento sempre più decrepito e brutto. - confermò lui, arreso, fra le risate divertite della sua ex. - Ma la pianti? - la rimproverò, fingendosi molto più offeso di quanto in realtà non fosse, - Hai il cuore di pietra, giuro. Cody?
- In arrivo. - lo rassicurò lei, allontanando la cornetta. "Cody, di' ciao a papà," la sentì raccomandarsi dolcemente col figlio a distanza.
- Papà! - strillò Cody, entusiasta, afferrando il telefono e fuggendo in un'altra stanza come faceva sempre quando parlava con suo padre, geloso di quei momenti d'intimità che solo a fatica riusciva a strappare dalla vita concitata dalla quale Brian non sembrava mai in grado di prendersi una pausa, - Tanti auguri!
- Grazie, piccolo. - rispose Brian in una mezza risata, accoccolandosi meglio fra le coperte, - Pronto per andare a scuola?
- Sì. - annuì lui, e poi Brian lo sentì come interrompersi all'improvviso per riflettere. - Zio Matthew è andato via senza farti gli auguri, vero? - domandò quindi, con l'aria di uno che chiede per scrupolo ma in realtà non ha alcun bisogno di sentirsi confermare a viva voce qualcosa che sa già essere vera.
- Che? - sbuffò Brian, spalancando gli occhi, - Ma da cosa l'hai capito?
- Boh, parli diverso quando se ne va. - rispose Cody con la massima naturalezza. Poi, dissipata la propria curiosità, tornò all'argomento principe della giornata. - Ti ho comprato un regalo! - annunciò felice, - Con la mia paghetta. - precisò con una punta di orgoglio.
- Davvero? - sorrise Brian, rigirandosi su un fianco.
- Sì! - confermò Cody, - Quindi guarisci presto, così posso dartelo.
- Va bene. - annuì Brian, compiaciuto, - Sono curioso di sapere--
- E' una borsa dell'acqua calda! - disse precipitosamente Cody, impaziente di rivelare al padre cosa avesse comprato per lui, - Così puoi dormire al caldo e smettere di ammalarti così spesso. - precisò, compiaciutissimo della propria scelta saggia ed evidentemente brillante.
Brian rise, scuotendo il capo con aria rassegnata.
- Va bene, tesoro. - concluse, - Ora vai a scuola. E ricorda da parte mia a mamma di rispiegarti di nuovo il concetto del regalo e della sorpresa.
- Papà, sei un cretino. - borbottò Cody, offeso, porgendo nuovamente il telefono ad Helena e correndo via per non perdere l'autobus per la scuola.
- Brian? - il sorriso perenne ed evidente nella voce di Helena lo investì come un'onda anomala di tepore improvviso, avvolgendolo tutto e costringendolo a propria volta ad un sorriso simile, - Che gli hai detto?
- Che dovevi rispiegargli il concetto dei regali e della sorpresa.
- Sei un cretino. - rise Helena, - Era solo impaziente di fartelo sapere. Sei contento?
- Estatico, - rispose Brian, accentuando ancora quel tono di offesa che si era ormai del tutto dissipato, - mio figlio mi ha appena confessato di avermi regalato una borsa dell'acqua calda, neanche fossi un nonnetto ottuagenario. Sono così depresso che penso mi trasferirò sul divano a guardare repliche di Dynasty ingozzandomi di cioccolatini.
- Bel modo di festeggiare i quaranta. - concordò Helena in una risata. - Cerca di rimetterti, piuttosto. - aggiunse più dolcemente, - A presto.
Dopo averla salutata, Brian si concesse altri cinque minuti sotto le coperte, prima di cominciare ad accorgersi di tutta quella serie di familiari doloretti ossei che avevano cominciato a tormentarlo recentemente quando si attardava a letto troppo a lungo. Sbuffando contro l'età e contro la ribellione ingiustificata del suo vecchio corpo, si costrinse a scivolare in una lagna infinita fuori dalle coperte, recuperando un plaid a scacchi dalla poltrona vicina e trascinandosi faticosamente verso il divano, fra le rassicuranti morbidezze del quale si lasciò sprofondare con un ennesimo sbuffo contrariato prima di avvoltolarsi la coperta attorno alle spalle.
Chiamare Stef non rappresentava niente di diverso rispetto al passaggio logico immediatamente successivo a tutta questa indecorosa fatica, motivo per il quale Brian si decise a non frapporre più la barriera della propria volontà fra se stesso e la telefonata, ed afferrò nuovamente il cellulare, schiacciando con forza il numero uno ed aspettando che l'autodialer facesse il resto.
- Pronto? - rispose la voce sempre pacata e compassata di Stef dopo non più di un paio di squilli.
- Stef. - cominciò Brian con aria grave, - Mio figlio mi ha comprato una borsa dell'acqua calda per il compleanno.
- Ossignore. - sbuffò Stef, passandosi una mano sulla faccia in segno di anticipata stanchezza rispetto alla conversazione che doveva ancora avere luogo, - Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, vero?
- Che? - sbottò Brian, sconcertato, - Ma cosa c'entra?! Ma mi ascolti? Ti ho detto una cosa molto precisa. Mio figlio--
- Sì, ma è evidente che Matthew se n'è andato senza farti gli auguri, - insistette Stef, - E tu sei incredibilmente contrariato da questo fatto.
- ...be', sì. - ammise Brian, piegando le labbra in un broncio carico di disappunto, - Sì, se proprio vogliamo dimenticarci che oggi compio mille anni e questo sarebbe già un motivo più che sufficiente per essere contrariato, Matthew se n'è andato senza farmi gli auguri e questo mi rende ancora più contrariato, contento? Come hai fatto a capirlo?
- Non lo so, - rispose Stefan, quasi stupito dalla domanda, come non avesse mai pensato di potersi chiedere una cosa del genere, - E' qualcosa nella tua voce, quando se ne va c'è sempre.
- Ma piantala. - sbuffò lui, - Comunque non c'è. Se n'è andato. Ieri sera! Non ha neanche aspettato la mattina. E' fuggito via nella notte come un delinquente. Potrei denunciarlo.
- Per cosa, lesa maestà? - domandò curiosamente Stefan.
- Zitto! - lo interruppe Brian, urtatissimo, - Non capisci la gravità della situazione?
- Brian, i Muse sono in concerto ad Helsinki, stasera. - cercò di ragionare Stef, mentre Brian lo immaginava pinzarsi la radice del naso e fissare il soffitto con aria supplice, invocando un qualche miracolo che potesse salvarlo dalla successiva mezz'ora di conversazione, - Nonostante i tuoi ripetuti tentativi di sabotare il loro tour attentando alla vita del loro cantante nonché tuo fidanzato usando enormi Buddha di giada come armi contundenti.
- Queste sono volgari illazioni delle quali non mi curerò nemmeno, e comunque poteva anche partire stamattina! - sbuffò Brian, - Ci sono meno di tre ore di volo, da qui a lì. E poi nessuno mi leverà mai dalla testa che abbia fissato la data di ripresa del tour oggi appositamente per non restare con me il giorno del mio compleanno. - concluse con un altro sbuffo offeso.
- ...certo. - sospirò Stef, - Brian, cerca di riflettere un minimo. Hai dimenticato di prendere le tue medicine?
- Impiccati.
- Scherzo. - rise Stef, - No, dai, sul serio. A parte che le date del tour non le decide personalmente Matthew e non poteva certo dire al tour manager "no, guarda, il dieci dicembre no che se non sto a casa per il suo compleanno il mio uomo si sente trascurato". Ma poi, se davvero avesse preferito andarsi a nascondere in Finlandia proprio oggi, potresti biasimarlo?
- ...non mi piace dove sta andando a parare questo discorso. - sentenziò cupamente Brian, tirandosi su la coperta fin sotto al naso, - Penso che riattaccherò, ora.
- Davvero, Brian. - insistette Stefan, sospirando pesantemente ed ignorando del tutto la sua vana minaccia, - Sono almeno due mesi che fai terrorismo psicologico su quel povero disgraziato. Io per primo non ho ancora capito se questi benedetti auguri per questi benedetti quarant'anni li vuoi fatti o no. E se non l'ho capito io, figurarsi se può averlo capito Matthew, che per carità, ha tanti pregi, ma certamente, quando Madre Natura distribuiva la sagacia, era impegnato a mangiare la sabbia nella piscinetta del parco giochi ed è risultato assente.
Brian sbuffò sonoramente, cercando di trattenere l'impulso di ridere causato dall'immagine mentale che Stefan gli aveva appena regalato.
- E' per questo che non mi hai ancora fatto gli auguri? - domandò quindi, - Perché non hai capito se li voglio o meno?
- Ecco, appunto. - sospirò Stef, - Scusa, Brian. Auguri.
- No! - strillò istericamente Brian per tutta risposta, - Non li voglio! Cosa c'è da festeggiare in me che mi trasformo lentamente in Matusalemme?!
- Ma vedi? Vedi?! - strillò anche Stefan, nella voce la stessa sfumatura isterica che colorava anche quella di Brian, - Sono due mesi che ti comporti così! Se provavamo ad organizzare qualcosa per il tuo compleanno sbuffavi subito che non c'era niente da festeggiare, se rinunciavamo ti offendevi perché avevamo rinunciato troppo in fretta e non ti sentivi abbastanza considerato, e ti stupisci davvero che Matthew preferisca fuggire al circolo polare artico piuttosto che restare lì a farsi trattare malissimo solo perché non ti piace invecchiare e puntualmente quando ti accorgi che sta accadendo diventi isterico?!
- Io non sono per niente isterico! – strillò Brian, dimostrando quindi di esserlo eccome, - E sai cosa ti dico? I tuoi auguri ed anche i tuoi rimproveri non richiesti te li puoi anche tenere per te!
- Bene! – strillò anche Stef, - Non chiedo altro! Arrivederci!
- Addio! – rispose Brian, alquanto drammaticamente, prima di interrompere la chiamata con la stessa violenza con la quale avrebbe schiacciato uno scarafaggio orrendo se se lo fosse trovato di fronte sul ripiano della cucina e poi, non contento, lanciando il telefono sull’angolo opposto del divano, augurandosi di non rivederlo mai più.
Tutto quel movimento e tutta quella concitazione avevano avuto un solo effetto sul corpo di Brian, naturalmente negativo, perché non esisteva fenomeno naturale, atmosferico o emotivo che non avesse effetti negativi sul corpo di Brian: gli avevano fatto venire fame. Gorgogliando con estremo disappunto, Brian strisciò giù dal divano, avvolgendosi nella coperta per trascinarsi stancamente in cucina. Aveva bisogno di qualcosa di caldo, morbido e dolce, per cui decise che avrebbe preparato una camomilla ed avrebbe dunque passato la successiva mezz’ora ad inzuppare biscotti finché non fossero diventati morbidi abbastanza da poter essere ingeriti anche dal suo organismo palesemente secolare.
Si fermò sulla soglia della porta, però, notando un bigliettino – in realtà un quadrato di carta strappato da una pagina di un quaderno a quadretti – appeso alla maniglia con lo scotch. Lo staccò per portarlo più vicino al viso e poterlo leggere più agevolmente. Il biglietto, nella calligrafia incasinata ed onestamente indecorosa per un ultratrentenne che Matthew si ostinava a conservare neanche fosse un tratto distintivo della propria personalità, recitava: “Dunque, siccome siamo stati insieme senza praticamente mai vedere nessun altro due settimane e nonostante questo non sono riuscito ad assorbire per osmosi se volessi ricevere gli auguri ed un regalo per il compleanno o meno, io per non saper né leggere né scrivere il regalo te l’ho fatto, però poi sono anche fuggito in Finlandia dove non potrai farmi alcun male se la cosa non dovesse andarti a genio. Scusami, Bri, io ti amo ma amo anche le mie gambe, i miei piedi e in generale tutte le varie parti del mio corpo. Sono fuggito per autoconservazione.
Comunque, il regalo è oltre questa porta. Buon compleanno!”
Inarcando un sopracciglio e sbuffando dal naso, Brian appallottolò il bigliettino e lo ficcò senza riguardi in una delle tasche anteriori della felpa, spalancando la porta della cucina con un calcio e preparandosi a ritrovarsi sotto gli occhi quello che ovviamente sarebbe stato il regalo di compleanno più orrendo che si fosse mai visto da quando l’uomo aveva inventato l’usanza di regalare cose brutte ed inutili alla gente per festeggiare un fatto che non aveva alcun diritto di essere festeggiato, e poi, altrettanto ovviamente, si immobilizzò sulla soglia, gli occhi spalancati, le labbra dischiuse in segno di sorpresa, una miriade di fiori multicolori ad incontrare il suo sguardo ovunque lo guardasse.
- Oddio… - mormorò, muovendo un paio di passi incerti all'interno della stanza, - Oddio.
Matthew aveva spostato il tavolo per la prima colazione al centro esatto della cucina, cosa che, in qualsiasi altro momento, non gli avrebbe fatto guadagnare altro che una strigliata e possibilmente un paio di scapaccioni molto forti dietro la nuca. Non in quel momento, però, specialmente considerato il fatto che, sul ripiano del tavolo, campeggiava il portatile personale di Matthew, aperto ed acceso da chissà quante ore, peraltro. Sullo schermo, un video in attesa di partire ed un altro quadratino di carta a quadretti attaccato con lo scotch, con sopra scritto "pigia play!".
In estatico, quasi ascetico silenzio, Brian prese posto sulla sedia addobbata con un cuscino a forma di cuore che Matthew aveva sistemato proprio davanti al computer ed avviò il filmato. Per i primi tre o quattro minuti non si vedeva altro che Matthew che cercava di spostare il portatile in modo da inquadrarsi in maniera appena passabile, il tutto condito da una sequela di imprecazioni e insulti talmente buffi che, nonostante il mal di gola, Brian non poté fare a meno di ridere di gusto.
Dopodiché, intorno al quinto minuto di registrazione, il vero e proprio video d'auguri ebbe finalmente inizio.
"Ehi. Ciao. Buon compleanno!" diceva Matthew, agitando la manina oltre lo schermo, "Lo so che sei arrabbiato con me, avrei dovuto restare, ma mi facevi paura. Smettila di farmi paura, Brian. Perché devi sempre farmi paura? Ma poi, perché il tuo compleanno deve essere sempre una cosa così complicata? Io invecchio esattamente come invecchi tu, ma non faccio tutte queste storie, ogni anno."
Brian lo osservò interrompersi e poi schiarirsi imbarazzato la gola, come potesse osservarlo aggrottare le sopracciglia in reazione alle sue ultime parole.
"Ma sto andando fuori tema!" riprese a chiacchierare quindi, sollevando entrambe le mani in un gesto esageratamente gioioso. "Niente, dunque. Ho pensato a lungo a cosa regalarti per il compleanno, ma la verità è che sei troppo complicato per me. Okay? Lo ammetto candidamente. Non riesco a starti dietro. Per cui, visto che non ti manca niente e regalarti uno stupido orologio o uno stupido dolcevita mi sarebbe sembrato ridicolo, ho pensato di riempire la cucina di fiori e girarti un video. Anche perché tu gli orologi non li usi che ti danno fastidio al polso, e i dolcevita figurarsi, che metti magliette con lo scollo a v fino all'ombelico anche in pieno gennaio. Ho pensato, magari i profumi dei fiori gli liberano le vie respiratorie - aromaterapia! - e il mio video lo mette di buon umore - Matthewterapia! - per cui mi è sembrata la scelta più sensata," Brian lo osservò arricciare le labbra in una smorfia pensosa e grattarsi il mento con ponderazione, "Mi sovviene adesso che forse non è una scelta tanto sensata, ma mi è sembrata carina, sul momento. Meno male che sono in Finlandia."
- Meno male che sei un cretino e non posso prenderti a pugni perché sarebbe come perpetrare atti di crudeltà contro gli animali! - rise Brian, assestando un colpetto vagamente affettuoso sul fianco del portatile e poi incrociando le braccia sul tavolo ed appoggiandovi sopra il mento per continuare a guardare lo schermo con aria sognante, mentre Matthew continuava a parlare.
"Insomma, niente, volevo solo dirti che sono felice che stai invecchiando. Cioè, sono felice che stiamo invecchiando. Insieme. Nel senso che è una cosa bella ed io un po' l'ho sempre sognata, cioè, invecchiare insieme alla persona che amo. Che saresti tu. E quindi, boh, niente, tutto quello che spero è di riuscire a rendere il tempo che passa una cosa meno brutta per te, come tu la rendi una cosa meravigliosa per me. Ed ora, visto che palesemente non sono capace di parlare come una persona seria, però so cantare come una persona seria, ecco... ecco," biascicò, allungandosi fuori dall'inquadratura per recuperare una chitarra acustica abbandonata lì di lato, "Buon compleanno, Bri."
Avrebbe voluto risparmiarselo, giusto per fingere di possedere ancora un briciolo di dignità e non avere lasciato che lo stupido folletto dagli occhi azzurri del quale s'era innamorato gliela strappasse tutta di dosso, ma per tutti e cinque i minuti che seguirono, e che videro Matthew impegnarsi in una ridicola quanto adorabile cover di Absolute Beginners per voce e chitarra, Brian non riuscì neanche per un secondo a trattenere le lacrime.
Naturalmente, Stef si aspettava la telefonata che lo raggiunse pochi minuti dopo la fine dello spettacolo, motivo per il quale invece di rispondere al telefono col solito laconico "pronto?" trovò più opportuno rispondere con un semplice ed efficace "vai".
- Sono un cretino epocale. - biascicò Brian, ancora impegnatissimo ad asciugarsi le lacrime.
- E questo ormai non stupisce più nessuno. - sospirò pazientemente Stef, - Quanto è bello il regalo che ti ha fatto, da uno a dieci?
- Venticinque. - ammise Brian in un mugolio intenerito.
- Bene. - sorrise Stef, - Allora chiamalo, uomo orribile che non sei altro.
- Ma non risponde, - si lamentò Brian, - ho già provato!
- Dio mio, devi averlo terrorizzato proprio parecchio.
- Sta’ zitto, non ti ho dato il permesso di prendermi in giro. Proverò a mandargli un messaggio. - concluse lui, annuendo a se stesso con palese eccessivo autocompiacimento.
- Ecco, bravo. - rise Stef, - Fammi sapere poi.
- Seh. - concesse Brian, prima di interrompere la chiamata e restare poi in contemplazione della schermata per l'invio dei messaggi per i successivi dieci minuti. La testa ancora confusa dalla commozione e dalla generica esondazione d'amore che stava colpendo il suo povero cervello vecchio e stanco, si arrese con un gemito alla propria incapacità di trovare qualcosa di divertente e-barra-o spiritoso e-barra-o simpatico da scrivere a Matthew, e pertanto si limitò a scrivere "cretino".
Mattew chiamò puntualissimo pochi secondi dopo, e nello schiacciare il tasto verde per rispondere alla telefonata Brian si concesse un sorriso soddisfatto. Si sentiva già meglio.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian.
Rating: PG-13
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Il concerto parigino del Live8 (e soprattutto il tempo passato nel backstage) non potrà svolgersi in maniera tranquilla, se sommiamo alla normale follia di Matthew e Brian anche quella di un fangirlantissimo Bono e cospargiamo tutto con una spruzzata di esasperazione da parte di Dom e Stef! E cosa c'entra il peluche a forma di cane?!
Note: Questa demenza senza il benché minimo senso e priva anche di veridicità a livello storico (la foto che ha ispirato tutto questo non è stata scattata il giorno del Live8 e decisamente Bono non era a Parigi a pulire per terra quando il concerto aveva luogo X’D Per non parlare del fatto che Brian e Matt non erano in luna di miele a Parigi in quel periodo! Erano in luna di miele altrove ù_ù”””) è dedicata ad Eide e IrishBreeze <3 Due ragazze amabili con le quali condivido varie ed eventuali passioni musicali e fangirlanti <3 In particolare, è colpa della prima se l’idea m’è venuta in mente, ed è colpa della seconda se mi sono sentita stimolata a portarla avanti fino alla fine. Quindi, come al solito, io sono del tutto incolpevole ù_ù Prendetevela con loro ù_ù
Ringrazio altresì tutte le altre fangirl che sono rimaste pazientemente in attesa della fine, e che hanno sopportato i miei deliri via MSN (neechan, Juccha, Lemmina <3) e via SMS (Nai <3). Vi lovvo <3
Non odiatemi troppo, eh X’D
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Before you begin… Questa è la dose mensile (mensile? Facciamo anche settimanale… o giornaliera… ç_ç Sono perduta) di lol demente della liz :D Pertanto, niente di quanto descritto in questa storia è reale, e neanche realistico, se è per questo X’D Si fa per ridere, e perdonatemi se per una volta (la modestia dov’è?) fa veramente schifo X’DDDD
I tati non mi appartengono, eh. Nessuno di loro. E non ci lucro su, no no ù_ù Affatto.

Matt, Brian E Il Peluche A Forma Di Cane


Bono si nascose nello sgabuzzino.
Non era un avvenimento che avesse luogo molto spesso, ma la situazione contingente era tale da impedirgli di poter continuare a girovagare libero per gli studi. Edge, da qualche parte, lo stava cercando. E voleva la sua testa.
Il frontman sbuffò, incrociando le braccia sul petto e giocando a prendere a calci una scopa.
Non capiva sinceramente quale fosse il problema del suo chitarrista!
In fondo, non aveva fatto altro che esternare la propria intenzione – neanche, il proprio desiderio – di invitare due comunissimi e normalissimi ospiti al Live8…
Si guardò circospetto intorno. Constatò che l’antiquato chiavistello della porta fosse ben chiuso e poco propenso ad aprirsi e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, cercò un numero in rubrica e chiamò. Attese solo pochi secondi, non più di uno squillo, prima che una voce allegra e trillante rispondesse dall’altro lato della cornetta.
- Ciaaaaaaao Bono!
- Carissimo! – esultò felice il frontman, mettendo una mano sul fianco e accomodandosi su uno scatolone nel mezzo della stanza, - Come va? Ho saputo che sei di nuovo felicemente ammogliato!
- Già. – annuì la voce allegra e trillante, - Lo sai, non sono tipo da privarmi di una relazione per troppo tempo…
- Sì, be’, quando ho sentito con chi stavi mi sono quasi preoccupato… ho temuto, non so, che gli alieni ti avessero rapito durante la notte, per scambiarti con una replica perfettamente uguale a te ma totalmente folle…
- Ah! Attento a non parlare di alieni davanti alla mia nuova mogliettina… non vuoi davvero iniziare questo discorso in sua presenza! – rise la voce allegra e trillante.
- Sì, ho letto qualcosa in giro… - rise a sua volta Bono. – Ma dimmi, dimmi, che programmi avevate per la prossima settimana?
- Mah. – sbottò la voce allegra e trillante, mentre si trasformava rapidamente in una voce dubbiosa e sbuffante, - Siamo qui a Parigi in luna di miele, e…
- Parigi! – gioì Bono, battendo una mano sullo scatolone, - Cosa sentono le mie orecchie!
- …scommetto che stai per proporci un nuovo modo per salvare il mondo. – asserì la voce dubbiosa e sbuffante, mentre un’altra voce, più lontana, annoiata e insofferente, borbottava “ma hai finito con quello stupido telefono?!”.
- Esatto! – annuì Bono. – Avrete sentito che Parigi sarà una delle location dove avrà luogo il Live8, no?
- Ah-ha…
- E quindi, se non avete niente di meglio da fare…
La voce dubbiosa e sbuffante, appunto, sbuffò, e mormorò “aspetta che chiedo”. Dopodichè Bono ascoltò le due voci confabulare per un po’, e dopo qualche secondo la voce annoiata e insofferente si trasformò in una voce allegra e trillante proprio come la prima, e disse “Cantare? Non vedo l’ora!!!”.
- Direi che va bene. – rispose infine la voce dubbiosa e sbuffante, tornando pure lei allegra e trillante, - Ci vediamo lì!
La conversazione venne bruscamente interrotta quando la seconda voce allegra e trillante strappò il cellulare dalle mani della prima e minacciò “ora se non lo spegni lo butto nella Senna!”.
Bono sogghignò, e si preparò ad uscire vittorioso dallo sgabuzzino, meditando di non dire nulla ad Edge fino a quando per lui non fosse stato troppo tardi per poter fare qualcosa per cambiare la situazione.

*

- Che giornata meravigliosa! – strillò Bono Vox, saltellando felice come un coniglio da un lato all’altro del backstage, dando all’enorme stanza gli ultimi ritocchi.
- Perché ho come l’impressione che qualcosa andrà storto e saremo coinvolti in una situazione assurda? – chiese Edge, aiutando il proprio frontman a sistemare la fodera rossa anti-macchia sul divanetto nel mezzo della stanza.
- Non riesco a capire di cosa tu stia parlando. – cinguettò Bono, abbandonando la fodera al suo destino e ricominciando a saltellare allegramente, volando di poltrona in poltrona per verificare la morbidezza dell’imbottitura.
- Sto parlando… - disse Edge, afferrandolo per una spalla e portandolo di fronte all’enorme armadio pieno di assurdi costumi di scena che l’irlandese aveva piazzato su una parete della stanza, - …di quello.
Fra i vestiti faceva capolino in effetti una gigantesca cesta ricolma di giocattoli.
- Ehm. – disse Bono e, non trovando altro di più intelligente da aggiungere, tacque.
Ehm il cavolo. A cosa dovrebbero servire i giocattoli?!
- …portano allegria e colore all’ambiente! – motivò Bono, illuminandosi d’immenso, mentre prendeva una palla a caso e cominciava a farla rotolare sul pavimento.
- …certo. – annuì Edge, fingendo di credergli, - Soprattutto stando chiusi in un cestone qua dentro. Mi convinci proprio, B.
- Oh, insomma! Sono solo giocattoli! Cosa vuoi che significhino?!
- Significano esattamente che c’è qualcosa che non mi hai detto! E voglio sapere cos’è!
- …
- …perché se è quello che temo…
Proprio in quel momento, la porta si spalancò e Brian Molko fece il proprio ingresso trionfale, seguito a ruota da Matthew Bellamy, il suo nuovo ragazzo.
- Siamo un po’ in anticipo! – gridacchiò il frontman dei Placebo, tuffandosi sul divano e lanciando una banana a Matt, che la prese al volo, - Spero non sia un fastidio!
- Figuratevi!!! – gioì Bono, fregandosi le mani, - Siete sempre i benvenuti qui!!! Buon divertimento, spero che la permanenza sia di vostro gradimento! – e, così dicendo, prelevò Edge e lo trascinò nell’altra stanza, richiudendosi istantaneamente la porta alle spalle.
- Ecco, era esattamente quello che temevo! – sbottò Edge, gesticolando, - È da quando è venuta fuori la storia che stanno insieme che mediti di invitarli al Live8 per cantare!!! Lo sapevo che sarebbe successo!
- Ma Edge, scusa! – si lamentò il moro, stringendosi nelle spalle, - Fino a questo momento, ogni volta che si è provato a farli stare insieme nella stessa stanza, si sono ottenuti effetti disastrosi che andavano dallo scoppio della quarta guerra mondiale alla detonazione di una bomba atomica! Permetti che colga l’occasione di una loro possibile civile convivenza per istigarli a suonare per fare qualcosa di buono per il mondo e salvare l’Africa da-
- Tu dici troppe belle parole. – lo interruppe Edge, tappandogli la bocca, - E non ti guardi abbastanza intorno. Quella ti pare una civile convivenza?! – sbuffò, indicando Matt che divorava banane sul divano ripassando i testi assurdi delle proprie canzoni e Brian che faceva di tutto per distrarlo, miagolando intorno a lui e strusciandoglisi addosso.
- …facciamo… “pacifica” al posto di “civile”…? – mormorò Bono timoroso.
- Bah! – concluse Edge esasperato. – Che finirà male lo sappiamo entrambi. Tanto vale prepararsi al peggio e correre ai ripari in caso di bisogno.

*

Al termine della propria esibizione, Matthew Bellamy rientrò felice nel backstage e si accasciò sul Divano Rosso Del Riposo, con un sorriso soddisfatto sul volto. Neanche due secondi dopo, Brian Molko era al suo fianco, e lo guardava con occhi brillanti d’amore e devozione.
- Siete stati fantastici! – commentò il frontman dei Placebo, giungendo le mani sotto il mento, - E tu con questa camicia sei… sei… veramente incommentabile!!!
- Spero in senso buono… - ridacchiò Matthew, stendendosi più comodamente sui cuscini, mentre Brian si arrampicava sul divano e si accoccolava contro di lui.
- Una volta tanto, sì! – rise l’uomo, sistemando i cuscini sotto la testa del proprio compagno e aiutandolo a distendersi meglio. – Adesso che fai?
Matthew aprì appena gli occhi per lanciargli uno sguardo luminoso di gioia e sporgersi verso di lui, baciandolo lievemente sulle labbra.
- La nanna. – rispose, tornando disteso.
- Ma… ma… - balbettò Brian, deluso, - La mia esibizione…
Stefan trattenne Steve dallo sgozzare il proprio frontman, mentre il batterista ripeteva sconvolto “la tua esibizione, Brian…?!”.
- Mi sveglierò in tempo per vederti, tesoro… - lo blandì Matt, sollevandosi ancora una volta per baciarlo sulla punta del naso, mentre Steve strillava e, indicandoli, faceva notare a Stef che “quei due bastardi parlavano come se loro non esistessero affatto!”.
- Ma!!! – continuò Brian, sempre più triste, - Io canto stasera! C’è ancora un sacco di tempo! Mi annoierò!!!
Matthew sorrise ancora una volta, possibilmente più soddisfatto di prima, e non rispose.
- Matt!!! – lo richiamò Brian.
Nessuna risposta.
- …Matt?
Un lieve grugnito annunciò rombando che il frontman dei Muse stava già dormendo e si apprestava anche a cominciare a russare.
- Matt!!! Non ci posso credere!
Con uno sbuffo irritato saltò giù dal divano e si accucciò per terra, le gambe incrociate, fissando Matthew felicemente assopito, abbandonato contro i cuscini, con un sereno sorriso sul volto.
- Oooh… - mormorò, a metà fra la delusione e la tenerezza, - Non riesco neanche ad avercela con lui… è così adorabile… vero Dominic, che è adorabile? – chiese amorevolmente, afferrando il povero batterista che passava di lì e costringendolo a sedersi accanto a lui.
- ALT, Molko! – disse il batterista, alzando le braccia, - Non so cosa diavolo vuoi! – proseguì, - Ma sappi! che nella mia mente assomigli molto al male primordiale! Tipo il serpente di Adamo ed Eva! E, per quanto mi riguarda, potresti tranquillamente essere la sua reincarnazione! – si interruppe, prese fiato, continuò. – Quando Matt mi ha detto che stavate insieme, mi sono opposto! Quando mi ha detto della luna di miele, mi sono disgustato! Quando mi ha detto di oggi, mi sono spaventato, e ho fatto bene!
Brian annuì lentamente, ascoltandolo con attenzione.
- Non mi stai simpatico. – continuò Dom, - Non ti trovo piacevole e non vedo alcuna ragione per la quale dovrei andare d’accordo con te, passare del tempo con te o anche solo restare ad ascoltarti! E quindi ora gradirei essere lasciato in pace. Ci comprendiamo?
Brian annuì ancora.
Poi sorrise.
- Allora? – chiese innocentemente, - Non lo trovi anche tu adorabile?
Dominic si diede una manata sulla fronte.
- No, dico… - cominciò mugugnando, - Tu potrai pure essere enormemente malefico, l’incarnazione del demonio sulla terra e tutto il resto, ma… - lo squadrò da capo a piedi, - insomma, sei parecchio bellino. Sei una specie di emo-barbie piatta, bassa e con i piedi in posizione normale…
- …guarda che-
- No, non credo affatto che la situazione nelle tue mutande sia diversa da quella nelle mutande di Barbie. E comunque, il succo non è questo. È che comunque sei… - lo squadrò di nuovo, - piacente. Ora, vuoi cercare di spiegarmi in poche parole per quale motivo uno come te dovrebbe essere attratto da… - squadrò Matt, - lui?!
Brian ghignò.
- Avevi detto che non avevi alcuna voglia di parlare con me…
- Sì, ma la mia curiosità scientifica sta avendo la meglio. – annuì il batterista, - Quindi?
Brian giunse le mani sotto al mento.
- Ma guardaloooo!!! – disse, indicando il proprio uomo profondamente addormentato, - È la cosa più carina che esista! Quel nasino!
- Enorme!
- Quel visetto!
- Affilato e puntuto come un coltello!
- Quel fisico!
Quale fisico?!
I due si guardarono.
- Sai, Dom… - disse infine il frontman dei Placebo, interrompendo il secondo di silenzio, - Mi conforta sapere che non sei attratto dal suo uomo, davvero. Però non c’è bisogno di farmelo sapere in maniera così rude… mi fai passare per un uomo privo di gusto…
- È quello che sto dicendo! Insomma… guardalo! Ew!
- Sai, non credo che a Matty farebbe piacere sentirti dire cose simili…
- Tanto dorme, chissene.
Brian ridacchiò debolmente e si appoggiò sui palmi delle mani, accomodandosi meglio sul pavimento.
- Comunque in effetti non è del tutto perfetto. – disse, rimirando il quadretto di Matty addormentato, - C’è qualcosa che manca.
- Oh! – ridacchiò Dom, mettendosi in ginocchio, - Lo so io! Un bel paio di baffi!
E, così dicendo, tirò fuori dalla tasca dei jeans un uniposca dorato e si mise a dipingere la faccia di Matt.
- Noooo, cosa fai?! – strillò Brian, portando le mani alle guance e, subito dopo, accorgendosi dell’inutilità del gesto, utilizzandole per qualcosa di più sensato, tipo scacciare Dom come fosse stato una mosca, - Non deturpare il bellissimo volto del mio uomo! – minacciò, e subito dopo afferrò la borsetta, ne estrasse un pacchetto di salviette imbevute e cercò di ripulire il naso di Matt dalle macchie di colore, tra le sonore proteste di quest’ultimo, che continuava a ripetere mugugnando “nooouh, ho sonnoooouh”.
- Brian, si può capire cosa diavolo stai facendo…? – disse Stef, avvicinandosi a lui, attirato dal suo muoversi frenetico attorno all’inglese.
- Dom l’ha sporcato! Io l’ho pulito!
- …ma lascialo in pace! – sbottò il bassista, inorridito, - Non vedi che dorme?!
- E infatti io sto vegliando sul suo sonno.
- Ah, be’. Ovvio.
- Piuttosto, Stef, Stef! Dammi una mano, non capisco!
Stef si sedette al suo fianco, incrociando le braccia.
- Cos’è che non capisci?
- Be’, guardalo! – disse, indicando il proprio uomo, - È bellissimo, su questo siamo tutti d’accordo.
- …
- …Stef?
- Sì, sì, certo, Brian.
- Ecco. Solo che… non so, è come se gli mancasse qualcosa… - commentò dubbioso, grattandosi il mento.
- …come quando manca la ciliegina sulla torta?
- Ecco! Sì! Esattamente!
Stef scrollò le spalle.
- Sta dormendo. – disse, - E quindi non sta mangiando banane. È ovvio che ti sembri strano.
- Lo vedi che non hai capito niente?! Non sto parlando di questo!
- Ma come no? – chiese Stef, assottigliando gli occhi e fissando Matt con interesse artistico, - Guarda che io sono serio, secondo me gli manca la banana…
- …se c’era un doppio senso, Stefan…
- No, no! – si affrettò a difendersi lo svedese, - Dico sul serio… aspetta.
Si sollevò da terra e corse saltellando verso il frigo-bar a pochi metri da loro, lanciando lontano Dominic che, dopo essere sopravvissuto al “battibecco” con Brian, aveva decisamente bisogno di reidratarsi.
Aprì lo sportello e scomparve all’interno dell’elettrodomestico, riemergendone solo quando ebbe trovato ciò che cercava.
- Ecco! – disse, esibendo un’enorme banana matura ma ancora mangiabile.
Si avvicinò al frontman del Muse e posizionò la banana in equilibrio sulla sua testa, per poi allontanarsi di qualche metro e rimirare compiaciuto il proprio capolavoro.
Brian guardò Matt. Poi la banana sulla sua testa. Poi Stef.
- Stefan, mi stai prendendo per il culo, vero?
- Ovviamente. – rispose il bassista annuendo.
- …no, era per capire. Ora puoi sparire, grazie.
- Agli ordini! – sorrise Stef, dirigendosi ridacchiando verso il bagno.
Brian tornò a sedersi per terra, stendendo le gambe davanti a sé e continuando a fissare Matt con disappunto. Non poteva tollerare di trovarlo così imperfetto! Doveva assolutamente risolvere quell’enigma!
Fissò la banana ancora in equilibrio precario sulla sua testa e annuì. Decisamente qualcosa in quel punto gli donava. Ma la banana era del tutto fuori luogo!
- Uff! La gente passando qua davanti potrebbe dire cattiverie tipo “non ce l’ha nelle mutande e quindi se la mette in testa”!
Bono, che andava raccogliendo tutta la spazzatura lasciata in giro per la stanza dagli artisti che attendevano il proprio turno di esibirsi, si sistemò la cuffietta da domestica sulla testa e, dopo aver ascoltato le parole di Brian, gli si avvicinò.
- Bri… - disse comprensivo, - Solo tu potresti arrivare a pensare una bastardata di un tale pessimo gusto… solo tu, e forse anch’io…
- Uffa, Bono!!! Non riesco a venirne a capo! Matty è bellissimo, ma gli manca qualcosa e io non riesco a capire cos’è!
- …la banana non basta?
- No che non basta! Non è appropriata! – e così dicendo, gliela strappò dalla testa con un gesto stizzito e la lanciò nel sacchetto nero che Bono trascinava attaccato alle spalle. – Aaaargh, adesso è ancora peggio!!! Guarda, senza niente sopra è così… spoglio!!!
- Non stiamo parlando di un albero di Natale, Bri… - lo blandì Bono, cercando di calmarlo, - Avanti, dai, lascia perdere questa stupidaggine… vieni con me, ti mostro una bella cosa… - disse, prendendolo per mano e conducendolo gentilmente verso l’armadio, - Vedi, qua dentro c’è un’enorme cesta piena di giocattoli! L’ho preparata apposta per te e Matt, così quando lui si sveglierà potrete giocare insieme! E intanto tu puoi giocare da solo!
- Uuuh! – pigolò Brian, illuminandosi alla vista del cestone, - Sì! Che cosa carina! Grazie Bono!
- Puoi chiamarmi papà! – si commosse l’irlandese, dandogli una pacca sulla testolina.
- Grazie papà! – disse Brian sorridendo, - Ma attento ai capelli!
- Oooh, sei così carino quando fai così! Dai, dai, gioca, che papino ha altro da fare…
- Okay papino! – continuò Brian, accucciandosi per terra accanto alla cesta e cominciando a scavare fra i giochi con aria indemoniata.
E mentre cercava e cercava, d’improvviso lo trovò.
Eccolo, l’addobbo perfetto!
Riemerse dal cestone nel quale era caduto, con i capelli scarmigliati e un piccolo cagnolino di peluche a batterie in mano.
- Yay! – disse felice, - Ragazzi, guardate! L’ho trovato!
Tutti gli artisti presenti si voltarono a guardarlo, attirati dal suo urletto gioioso.
- Non mi dire che hai intenzione di mettergli addosso quel cane! – strillò Dom, inorridito.
- Potrebbe essere un’idea… - commentò Stef, - Almeno si metterebbe il cuore in pace. E lascerebbe in pace noi.
Ignorando tutti quei commenti, Brian trotterellò felice accanto al proprio uomo, posizionò il cane di peluche sulla sua testa e poi lo accese.
Il cane si guardò intorno, piegando il capino a destra e poi a sinistra. Scodinzolò festoso. E poi abbaiò.
- Bau! – disse il cane.
- Awh!!! – dissero tutti, colpiti a morte dalla carineria estrema di quella scenetta.
- Ma che…? – disse Matthew, svegliandosi e sollevando il capo dal cuscino, mentre il cane si reggeva in equilibrio precario sulla sua testa.
- Heh. – sorrise Brian, felice, socchiudendo graziosamente gli occhioni, - Adesso sì che è perfetto!
In coppia con Nainai
Genere: Generale.
Pairing: BrianxMatthew
Personaggi: Placebo, Muse, Gerard Way, Chester Bennington e un po' di PG originali °_°
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash.
- Una storia dolce. Una storia a frammenti. Passato e presente. Fotografie che raccontano i momenti di un tour e di una storia d'amore.
Quella di Brian e Matthew. Del loro inizio. Del loro desiderio di stare insieme.
E della distanza.
Note: Io non è che abbia moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
They Have Trapped Me In A Bottle


Before you begin… Ciao, siamo Nai e liz *_* Ditelo, che siete felici di vederci <3 E questa è la seconda storia che scriviamo insieme e decidiamo di pubblicare dopo Cupid’s. Speriamo vi piaccia altrettanto X3 (anche perché questa è una storia vera!).
Precisazioni del caso: nessuno dei personaggi citati ci appartiene (e dal momento che sono veramente… ma veramente svariati °.° È giusto dirlo XD) e noi non abbiamo niente a che fare con loro se lasciamo da parte il fatto che li amiamo tutti, in un modo o nell’altro è_é Non abbiamo niente a che fare con loro e, per la maggior parte, non hanno mai fatto né faranno niente di quanto descritto in questa storia.
Ovviamente non ci guadagniamo niente >_< Sono solo fanfiction, in fondo ù_ù
Per quanto fanfiction, però, la base di partenza è reale °_° È ambientata fra la fine di luglio e l’inizio di settembre di quest’anno, durante il Projekt Revolution (festival itinerante al quale hanno preso parte band celebri come i Linkin Park, ideatori del progetto, e i My Chemical Romance… e il bello è che avranno tutti un ruolo, in questa storia XD). Siamo state abbastanza scrupolose, ma se c’è qualche cavolata random non badateci troppo >.<
Per quanto sia triste, né Cody né Gaia sono contemplati è_é” In fondo è meglio così, credeteci :D
Buona lettura :*

One:

Ci sono giorni che semplicemente dovrebbero non esistere.
A volte sogno di tracciare una linea rossa sopra questi giorni. Sogno che basti questo – un colpo di pennarello, pescato a caso dentro il cesto della frutta senza che nemmeno sappia come ci è arrivato – per farli sparire ugualmente dai miei ricordi.
Lo sogno.
E generalmente sto facendo proprio come ora. Sto guardando fuori da un finestrino un mondo che va veloce nella direzione opposta.
Sono stanco. Non ho molto altro da dire, molto altro che mi pesi addosso. Sono semplicemente stanco. Come qualunque persona che sia stata costretta per un lungo periodo di tempo a sottoporsi allo stress costante di un lavoro dai ritmi frenetici.
Potrei essere stanco come un manager di impresa, o come un dirigente di industria, o come un professore universitario in giro per congressi. Invece sono stanco come il cantante di una band rock in tour da quasi un anno e mezzo. E questo, per uno strano caso del destino, vale a togliere attendibilità, dinanzi alla gente, al mio stato fisico e mentale. Per questo strano caso del destino, infatti, la gente sembra credere che un musicista rock non possa in alcun modo rivendicare il diritto a qualificare il proprio come “lavoro”. Figuriamoci a riconoscergli “ritmi frenetici” al punto da indurlo a stancarsi.
Di conseguenza, io sono stanco. Davvero. Ma ufficialmente non posso dirlo.
Stefan fa un gran casino quando si lascia cadere pesantemente accanto a me. Il cuscino sistemato sulla panca si abbassa e slitta un po’ sul legno, lui si sistema contro il tavolo e mi gira lo sguardo addosso, anche se io non posso vederlo.
Infatti non lo vedo, ma lo so.
-Hai intenzione di restare con la faccia incollata al vetro finché la tua pelle non si fonderà con il finestrino?
È un’immagine disgustosa. Penso che dovrei dirglielo, ma mi limito a storcere il naso senza muovermi e a mugugnare qualcosa di assolutamente incomprensibile, che vorrebbe essere una protesta risentita.
Sono patetico.
Stefan sospira, si rimette dritto, so che sta scambiando un’occhiata con Steve. Lo so anche perché Steve smette per un attimo di giocare con quelle dannate bacchette e libera la mia mente dall’orrido e ripetuto ticchettio che ha prodotto finora. Presumibilmente Stefan gli sta chiedendo con lo sguardo cosa diavolo devono fare con me. Quasi certamente Steve gli sta rispondendo con un’alzata di spalle.
-Brian!- mi richiama Stefan con una certa urgenza. Mugugno di nuovo una cosa molto simile alla precedente, che stavolta vorrebbe essere un’attestazione di presenza…Il mio vocabolario si sta riducendo incredibilmente in questi pochi minuti.- O.k., senti.- Sento. Ma lui ci pensa su. Si ferma un attimo e raccoglie le idee. Nel frattempo io colgo l’immagine del deserto che sfila contro di noi. Poi il profilo di un altro autobus, leggo il nome del gruppo sulla fiancata quando ci superano. Il deserto ritorna nel mio spazio visivo…- C’è qualcosa che possiamo fare io e Steve per tirarti su di morale?- s’informa Stef alla fine.
-No.- borbotto appena.
La prima parola di senso compiuto da non ricordo quante ore.
Un altro sospiro. Adesso Stefan sta puntando Alex. Lei è seduta nel posto più lontano del tour bus. Si ricambiano lo sguardo, lei scuote il capo dicendogli di lasciarmi perdere. Mi passerà.
Ha ragione lei, è chiaro. Credo che nessuno, a parte i cavalli, sia mai davvero morto di stanchezza.
Solo che Stefan non accetta di lasciarmi perdere. Per lui occuparsi di me è una priorità, una necessità indefettibile. A volte questa cosa mi fa piacere. Altre volte mi sfinisce, esaurendo le mie ultime energie. Come questa volta…
-Senti, Bri.- Tono carezzevole, giusto per farmi sentire che è preoccupato per me e che, quindi, sarebbe carino che io gli dessi quel minimo di attenzione necessario a rassicurarlo. Mi ci sforzo, mi tiro un po’ più su sulla panca, rimetto le spalle in asse con il resto del corpo e stacco la fronte dal finestrino.- Lo so che siamo tutti a pezzi e che non vediamo l’ora di tornare a casa, ma dobbiamo tenere duro ancora un po’.
Borbotto qualcosa che non so nemmeno io cosa sia. Forse un assenso, forse una nuova protesta. Suscito l’ennesimo respiro profondo da parte di Stef. Lui mi guarda, io non alzo il viso ma tanto i suoi occhi li sento anche a metri e metri di distanza, anche quando sto facendo tutt’altro e non ho neppure voglia di voltarmi a sincerarmi che lui sia davvero lì…
C’è questo silenzio che si protrae un po’. Steve ridacchia, Stefan gli sibila di piantarla, aggiunge che è un cretino e che dovrebbe aiutarlo invece di ridere. Steve gli dice che si preoccupa troppo e si alza per andarsi a prendere una birra dal mini frigorifero. Torna indietro con tre bottiglie, ne posa una davanti a Stefan, l’altra me la apre e la allunga verso il mio viso.
-Grazie.- mormoro sollevando gli occhi su di lui mentre prendo la birra dalle sue mani.
Mi sorride come a dirmi che non importa.
-Beh, almeno guarda che bel tramonto.- prova ancora Stefan, cercando invano di scuotermi dalla mia apatia.
Mi volto. Oltre il finestrino si allunga una striscia rosa sull’orizzonte. Una parte del vetro, illuminata direttamente dalle luci del tour bus, mi rimanda il mio volto disfatto.
-Ne ho visti di più belli.- sussurro sollevando la macchina fotografica e fermando il tempo.

***

La fotografia è una “cosa” di Helena.
In una relazione, inevitabilmente, le persone prendono qualcosa le une dalle altre. Io ho preso da Helena molto più di quanto le abbia dato ed alla fine l’unica cosa che le riconosco è questa. Lo penso mentre soppeso la macchina fotografica sul palmo della mano.
Fuori si è fatto tutto buio. Ci sono solo le stelle ed i fari della nostra piccola carovana di autobus e camion ad illuminare la strada che passa attraverso il deserto. Io sono l’unico qui dietro ancora sveglio. Stefan se n’è andato a dormire da poco; Steve sonnecchia su un divanetto, ogni tanto si rigira, apre un occhio e mi brontola qualcosa, poi crolla di nuovo senza pretendere una risposta. Alex è in cabina guida, stava ascoltando musica con l’autista fino ad una decina di minuti fa, ora mi arrivano di tanto in tanto le loro risate e qualche battuta a voce alta. Mi ha chiesto se volevo sedermi con loro, ho risposto che preferivo restare ed andare a dormire anche io.
Helena è uscita dalla mia vita da un po’ ormai.
Helena ed io ci siamo lasciati in modo civile, seduti dentro un caffè, sorridendoci mentre ci dicevamo “addio”.
Ha fatto male lo stesso. Ma non a me.
Io da lei avevo già preso tutto quello che volevo. Il mio nuovo equilibrio, la mia nuova pace interiore, la mia nuova capacità di accettare e di farmi accettare dagli altri.
Lei da me voleva solo una cosa, ma quella davvero non poteva dargliela. Perché io non l’amavo, ed alla fine doveva accorgersene, doveva capire le mie bugie e la mia falsità, nascosta dietro lo zucchero. E dirmi che era finita lì. Com’è finita, infatti.
Sì, sembra strano a me per primo. È stata lei a lasciarmi, lei a dirmi che tra noi non c’era nulla, quando il nulla ero solo io. Il fatto che sia stata lei ha reso possibile che entrambi sorridessimo quando ci siamo alzati da quel tavolo dentro il caffè.
Da allora sono stato felice. Lo ero anche con lei, ma in modo diverso. Quel modo ordinario e pervicace delle storie serie ma senza anima. Lei mi aveva curato, io le ero riconoscente, ero vivo grazie a lei ed ero felice di questo.
Ma è stato solo quando lui è entrato nella mia esistenza che ho capito davvero che fino a quel momento ero sopravvissuto. E basta.
Suona il cellulare. Mi strappa ai ricordi. Poso la macchina fotografica davanti a me sul ripiano chiaro, spingo le dita nella tasca dei jeans e riesco con difficoltà a tirar fuori il telefono. Leggo il nome sul display mentre la suoneria sveglia di nuovo Steve. Solleva la testa e mi guarda, contrariato.
-Digli che non può rompere quando qui sono le tre di notte e noi domani abbiamo un concerto!- sbotta prima di lasciarsi ricadere sui cuscini.
Sorrido. Improvvisamente mi sento meno stanco.
-Matt.- chiamo rivolto alla persona dall’altro immaginario capo dell’apparecchio.
Ridacchia e poi tira un respiro profondo. Come se avesse davvero bisogno d’aria.
…Come se quell’aria fossi io.
-Brian!- esclama alla fine.- Dove sei?- mi chiede subito dopo con urgenza.
Ridacchio anch’io.
-Da qualche parte, in un deserto “x” qualunque, in uno stato a caso degli USA.- riassumo ricominciando a fissare il paesaggio oltre il vetro.
Adesso che è veramente buio riesco a vedere quasi solo il mio profilo. O quello dei mobili, che sembrano arancione sotto la luce artificiale. Vedo il divanetto su cui Steve ha ricominciato a dormire, la bottiglia di birra che Stefan ha mollato a metà. La mia ormai vuota. La macchina fotografica con l’obiettivo serrato ed il laccio logoro che mi ricade addosso oltre il bordo del tavolo.
-Uno Stato a caso?!- ripete Matt.
Sento che ne sta combinando qualcuna. Mi arrivano il rumore dei suoi passi e poi dei suoni sordi, come se spostasse qualcosa che cadendo produce un tonfo leggero. Mi piacerebbe chiedergli cosa sta facendo, ma preferisco aspettare. Matt è un mago, sapete? Sa fare piccole magie. Riesce a fare apparire cose meravigliose dal nulla. Ma se gli chiedi ad alta voce cosa sta facendo e lui ti risponde, allora la magia non funziona più.
I rumori finiscono. Ha una voce allegra ed eccitata quasi quanto quella di un bambino, quando riprende a parlare.
-Sai cosa ho comprato oggi?- mi domanda.
-No…- rispondo io. Alzo una gamba ed incastro il ginocchio contro il tavolo posandoci sopra il gomito.
-Un atlante degli Stati Uniti d’America.- mi spiega.
-Cosa dovresti farci?- chiedo stupito.
-Beh, come cosa?!- sbotta lui, deluso.- Ci seguo le tappe del Festival!
Rido.
-Matt!- lo richiamo.
Mi vengono in mente un centinaio di cose da dirgli, suonano tutte come una sorta di rimprovero. Mi fermo a metà quando mi rendo conto che sono altrettante scuse per non ammettere quanto mi faccia piacere questa sua idea.
Sì, Matt è un mago.
“E questa è una delle sue magie”, penso mentre mi sistemo contro lo schienale della panca e lo lascio continuare senza più contraddirlo.
-Ho preso una scatola enorme di pennarelli colorati…- si ferma e ci ripensa- O.k., i pennarelli li avevo presi per altro in realtà.- precisa.
-Cosa?
-Mah. Volevo fare una specie di disegno da appendere sul palco nelle prossime date, ma è venuto una schifezza!- confessa ridendo.- Allora ho deciso che potevo utilizzarli in un altro modo e, quando ho capito che Dom non apprezzava che ci colorassi i contorni della sua batteria…
-Come diavolo hai fatto a sopravvivergli?!- sbotto ridendo anch’io.
-Semplicemente si è vendicato su una delle mie chitarre!- mi risponde lui.- Ci ha fatto i baffi, Brian! Ti rendi conto?!- mi chiede come se da questo dipendesse la sua vita.- I baffi e poi…tipo…degli occhiali da sole o qualcosa del genere. Insomma, adesso ha una faccia e…
-I pennarelli sono indelebili?- domando io, passandomi le dita sugli occhi per scacciare via quel po’ di stanchezza che rimane. Voglio parlare con lui ancora un po’…
-Ma và!- ritorce lui. Non sembra particolarmente arrabbiato, ma del resto ormai l’ho capito che lui e Dominic hanno un loro linguaggio personale per comunicare, fatto anche di piccoli dispetti da ragazzini.- Ovviamente andranno via comunque, ma chiaramente adesso passiamo tutte le prove ad insultarci vicendevolmente ed a guardarci in cagnesco. Chris e Tom ci odiano già.
-Immagino.- soffio appena, sorridendo. Mi rilassa immensamente sentirlo parlare.- Allora dimmi, quando hai capito che Dom non gradiva la tua arte, cosa hai fatto dei pennarelli?- m’informo.
-Ah sì.- Riacchiappa qualcosa, un altro rumore, probabilmente l’atlante gli era scivolato, perché quando ci batte su la mano riconosco il rumore delle pagine e del cartonato plastificato della copertina.- Ho deciso che potevo segnarci le date del vostro tour. Tipo, in rosso le date del Festival, in blu quelle del tour di “Meds” e, quando andate via da una tappa, ci metto un segno verde. Poi indico anche i giorni che passate in ogni città e…
-Matt.
Si interrompe ed aspetta.
Io prendo fiato. Una. Due volte. Prendo fiato e glielo dico.
-Non dovresti.
Il suo silenzio fa più male di quanto pensassi. Ora so cosa ha provato Helena quel giorno, lo so perché adesso sì che sono innamorato. E quindi so cosa vuol dire avere paura.
-Sei un cretino, Brian.- mi risponde lui con una serietà che gli è totalmente inusuale.
-…già.
Un altro silenzio. Nel vuoto che lascia ci si potrebbero infilare migliaia di pensieri. Ma la mia mente si ostina a non farcene entrare nemmeno uno, perché è come se ciascuno di quelli che si affacciano iniziasse con “se lui non ci fosse…”. Ed io in realtà non voglio nemmeno pensare alla possibilità che lui non ci sia.
-Sai che tra tredici giorni tornerete in Europa?- mi chiede alla fine.
“…tredici giorni…”
-E voi andrete in Australia.- rispondo io.
-No, solo ad ottobre. A settembre siamo in Europa come voi.
-Est Europa.- correggo.- E noi in sala prove.
-Beh, come noi adesso.
Respiriamo con lo stesso ritmo. Qualcosa di terribile se non fosse meraviglioso. E ridiamo nello stesso momento, come due idioti.
-Che schifo di lavoro!- commenta lui per primo.
-Non ti credi nemmeno tu quando lo dici!- ribatto io.
-L’anno prossimo vacanze insieme!- pretende.
-L’anno prossimo si vedrà.- sminuisco.
-Tu non mi ami abbastanza!- protesta lui.
-Non vedo neppure perché dovrei farlo…- ci scherzo io.
-…Vuoi andare a dormire, cretino?! Domani devi lavorare!- sbotta Matt arrabbiato.
“No, Matt. Voglio parlare ancora un po’…”
-Sì, papà, vado a dormire, promesso.- sorrido invece.
-Ecco!
Quando riattacco e guardo di nuovo fuori dal finestrino, mi dico che avrei dovuto chiedergli dove siamo - “Guarda sul tuo atlante, Matt, dimmi se mi vedi” - invece non l’ho fatto, forse per paura che lui me lo dicesse davvero. Che puntasse il dito su un deserto “x” qualunque di uno Stato a caso e mi dicesse “sei qui”. E potesse avere ragione.
-Che ne dici se ora mantieni la tua promessa?
Mi volto verso Stefan, che mi guarda e sorride. Ricambio il suo sorriso e scivolo lungo la panca per uscire da dietro il tavolino.
-A che ora arriviamo domani?
-Alle dieci.- risponde lui sbadigliando.
-Dovremmo svegliare Steve e mettere a letto anche lui.- noto distrattamente, mentre passiamo per raggiungere la zona notte.
-Io non ci provo nemmeno, l’ultima volta mi stavo beccando un cazzotto sul naso!- ricorda Stefan, gettando un’occhiata a Steve.
-Questo perché lui ha aperto gli occhi e si è ritrovato il tuo brutto muso davanti. Invece, se lo sveglio io…- comincio ad argomentare con saccenteria, ma badando a tenermi lontano dal nostro batterista.
Stefan mi manda cortesemente a cagare e si infila risoluto nella propria cuccetta. Mi stendo anch’io e fisso il tettuccio del tour bus.
-Stefan.- chiamo. Lui brontola qualcosa per farmi capire che mi ascolta.- Che cazzo ci facevi ancora sveglio?- domando.
-Mi assicuravo che non cercassi di strozzarti con il laccio della macchina fotografica.- sospira girandosi verso la parete- Ed ora dormi, Brian! Dannazione a te!
Ridacchio e lo imito, arrotolandomi nelle coperte.
-‘Notte, Stef.
-‘Notte, insopportabile scocciatore dell’esistenza altrui.- mi risponde, prendendosi immediatamente una cuscinata addosso.
-Stronzo!- gli strillo contro.
-Fanculo!- ritorce lui restituendomi il favore.
-Volete dormire?!- strepita Steve, svegliandosi di botto e ripiombando nell’incoscienza quasi nello stesso momento.
-Come accidenti ci riesce secondo te?!- protesto fissando sconvolto Steve riprendere a russare come se niente fosse.
-Non è umano, è evidente.- afferma Stefan, annuendo convinto.- Ora, però, ti prego, Brian, dormiamo davvero!- m’implora, lasciandosi ricadere sul materasso.
-Sì sì.- borbotto stendendomi di nuovo anch’io.
-E dì a Bellamy di chiamarti di giorno, se ci riesce.
-Mi chiama quando vuole.
-Sei una ragazzina.
-E tu sei stronzo.
-Lo hai già detto.
-Beh, volevo ribadirlo.
-Se non dormite, giuro che vengo lì e vi “addormento” io.- s’intromette Steve.

***

Sedevo sul fondo del backstage. Avevamo appena finito di esibirci, ero felice di come fosse andata, ancora assordato dalle urla dei fan sotto il palco, sereno dopo che la mia storia con Helena era finita appena quattro giorni prima.
Stefan e Steve erano spariti da qualche parte. Dopo i concerti hanno ognuno il proprio rituale. Stefan ama continuare il bagno di folla, raggiungendo i fan per le foto, gli autografi, i complimenti a voce e tutto quanto ne consegue. Steve doveva essere corso a chiamare la moglie e la figlia.
Io non avevo niente da fare. Quattro giorni prima sarei stato attaccato ad un cellulare anch’io, ma in quel momento potevo starmene seduto a terra, contro le casse della strumentazione, con il cellulare effettivamente in mano e nessuno da chiamare.
Helena mi aveva fatto un regalo enorme. Fino a prima di lei questa mia condizione mi avrebbe gettato nello sconforto… in quel momento dentro di me c’era invece solo una luminosità calda e profonda.
Mi venne incontro direttamente dalla zona del palco. Aveva le mani in tasca e sorrideva, teneva gli occhi fissi su di me, quasi volesse farmi capire che mi cercava, che era proprio me che voleva. M’incuriosì, fino a quel momento non ci eravamo mai nemmeno scambiati due parole. Ero convinto che ci stessimo evitando, una di quelle convinzioni silenziose che si creano e che ci portano a parlare di “taciti accordi”. Il nostro accordo avrebbe dovuto prevedere che ognuno di noi due ignorasse l’altro. Lui lo stava per violare.
Si fermò davanti a me e mi guardò senza sfilare le mani dalle tasche dei pantaloni. Io ricambiai il suo sguardo ed attesi.
Quando parlò non mi sembrò davvero che avesse violato alcunché.
-Complimenti.- mi disse.
-Grazie.
-È stata un’ottima performance.
Mi strinsi nelle spalle, ripetere “grazie” era privo di senso. Non c’era ironia nella sua voce, non provavo alcuna avversione o fastidio nel rimanere seduto a parlare con lui. Già questo mi stupì.
-Noi ci esibiamo tra poco.- Lo sapevo, annuii.- Resti a guardarmi?
Rimasi sbigottito. Aprii la bocca annaspando. Lui mi fissava con un candore tale da darmi il capogiro e nemmeno si rendeva conto – credo – di quanto assurdo fosse quello che mi aveva appena domandato.
Sarebbe stato già tanto se lui mi avesse chiesto di rimanere per sentire loro. Ma mi aveva appena chiesto di rimanere a guardare lui. E nel farlo mi aveva fissato con la stessa espressione che io usavo da bambino, quando correvo da mio padre a mostrargli i voti presi a scuola, in cerca della sua approvazione.
In quel momento capii che, tutte le volte che Matthew Bellamy aveva detto di stimare me e la mia band, non aveva mentito. A differenza mia.
Che, quando gli avevo consegnato il premio agli EMA del 2004 e lui mi aveva abbracciato per ringraziarmi, non aveva mentito. A differenza mia.
…che, quando mi aveva fatto i complimenti poco prima, non aveva mentito.
Ma lì nemmeno io nel dirgli “grazie”.
Fu il senso di colpa a farmi accettare di restare. Provavo una vergogna terribile al pensiero di quanto ero stato meschino fino a quel momento. Guardai la sua esibizione, mi fermai anche dopo, quando mi invitò ad andare con lui al party che si teneva dopo il concerto; mi fermai con lui anche al party, mentre tutti gli altri intorno ci guardavano come se fossimo impazziti. E forse lo eravamo. Io rimanevo al suo fianco, lo ascoltavo parlare a raffica come il suo solito, e per una volta – la prima in questa assurda storia – non ne trovavo la voce sgradevole, il tono spiacevole, le parole stizzenti. Trovavo la sua presenza confortante.
So che non fu l’alcool – come mi giustificai il giorno dopo con Steve e Stefan – a farmi accettare il suo invito a casa. So che ero perfettamente padrone di me, mentre lo guardavo balbettare qualche scusa ridicola sul fatto che voleva il mio parere su alcuni lavori incompiuti. E so che ero perfettamente padrone di me anche quando acconsentii, ben sapendo che si stava nascondendo, ed anche male, e che i suoi occhi azzurri finivano per tradirlo più della sua incapacità di mentire.
Per questo, e per rendergli più facile il resto, fui io a baciarlo quando arrivammo a casa sua e lui ebbe richiuso la porta dietro di noi.
Ricordo che mi disse impacciato che non aveva mai fatto sesso con un uomo. Lo disse subito, ed io risi divertito da questa sua sincerità e dal fatto che riuscisse a mettere nero su bianco quello che voleva senza esserne veramente imbarazzato. In fondo a parte il mio bacio non avevo ancora ammesso di avere voglia di lui. Potevo tranquillamente prenderlo in giro, mollarlo lì ed andarmene. Lui non ne aveva paura. O più semplicemente, a differenza della maggior parte delle persone comuni, lui era disposto a rischiare di essere sincero.
Non posso davvero negare che fu questo a conquistarmi. Se lui fosse stato appena meno sincero, appena più interessato, quella notte sarebbe rimasta solo un episodio della mia vita, come negli anni se ne erano succeduti tanti. Ma Matthew Bellamy era quello che io vedevo e quello che vedevo mi aveva già strappato l’anima.
Mi si avvicinò quasi con timore, guardandomi attentamente, come non sapesse neanche cosa aspettarsi da me. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando cademmo con un tonfo pesante sul letto – senza spingerci, senza fretta, sfiorammo il materasso con le gambe dopo aver vagato alla cieca lungo tutto il corridoio e buona parte della camera da letto, e semplicemente ci lasciammo cadere lì come foglie – continuò a guardarmi a quel modo sbottonando la mia camicia, scivolandomi addosso con i polpastrelli, sfilando la cintura dai jeans dopo averla sfibbiata. Continuò a guardarmi a quel modo anche quando rimasi completamente nudo fra le sue mani, come avesse paura che potessi improvvisamente trasformarmi in qualcos’altro o scomparire in una nuvola di vapore.
Continuò a guardarmi e lo guardai anch’io. E quando i suoi occhi incontrarono i miei, lui sorrise appena, imbarazzato, chiedendomi se mi stesse dando fastidio, se fosse troppo lento o troppo veloce. Capii che voleva essere rassicurato, ma non potevo realmente dirgli che nonostante i movimenti maldestri era così perfetto da farmi pensare avesse studiato quei momenti nel dettaglio per fare in modo che si adattassero perfettamente ai miei desideri.
Adoravo che mi guardasse in quel modo, adoravo che i suoi occhi irradiassero quel tipo di venerazione che riservi alle cose nuove che trovi stupende al punto da toglierti il fiato. Adoravo che mi toccasse piano, lievemente, come fosse spaventato.
…adoravo che mi toccasse.
E no, non potevo dirglielo, perché erano solo dieci ore e qualcosa che ci conoscevamo. Ed anche se per lui non sembrava passato troppo poco tempo per mettersi nelle mie mani in quel modo, per me era ancora troppo, troppopresto.
Mi limitai a sollevarmi sui gomiti e baciarlo, attirandolo a me con una mano sulla nuca, sperando che decidesse di lasciare da parte le insicurezze e si lasciasse un po’ andare.
Lo fece.
Affondò con un sospiro sollevato il viso nell’incavo fra il mio collo e la mia spalla, baciandomi lievemente in una scia bagnata e morbida che viaggiava verso il petto. Sembrava stesse seguendo una mappa ideale, toccando tutti i punti più sensibili del mio corpo, come volesse registrare le mie reazioni e imparare a muoversi nel modo giusto.
Come si stesse preparando ad altre milioni di volte.
E nessuno dei sospiri che mi sfuggirono dalle labbra, nessun ansito, nessun gemito, nessun movimento improvviso del mio corpo, nessun accenno di spinta verso di lui, niente fu falso, non simulai niente, non forzai nulla solo per compiacerlo; e quando mi morsi le labbra per non urlare, fu solo perché se non l’avessi fatto avrei urlato davvero; e quando mi aggrappai alle sue spalle per non cadere, fu solo perché se non l’avessi fatto sarei caduto davvero; e quando lui mi si strinse addosso, e chiamò il mio nome mentre veniva, io chiamai il suo. E non fu perché durante il sesso sono cose che si fanno. Fu perché lui era lì. E stava godendo per me, con me, dentro di me. Ed io facevo lo stesso. E ringraziarlo – per tutto, tutto – era davvero il minimo che potessi fare.

***

Vedevo i suoi occhi. Erano limpidi al punto da risplendere anche al buio. La luce della luna filtrava dalla finestra spalancata e lui mi guardava, perché quell’azzurro chiaro e brillante era fisso su di me. Mi guardava, appoggiato con i gomiti al cuscino, il busto sollevato, mi studiava come se fossi stato un’insolita opera d’arte caduta sul suo letto…
-…cosa?- mormorai alla fine.
Sorrise, penso, perché il suo sorriso fece un rumore divertente, come uno sbuffo leggero di fiato. Per un momento gli occhi si chiusero e poi tornarono a guardarmi.
Ma non mi ripose.
-Matt.- chiamai a bassa voce, sorpreso io per primo di come fosse stato facile prendere confidenza con un diminuitivo. Come se fossimo amici da sempre. Amanti da tutta la vita. Respirai e sollevai lo sguardo a ricambiare il suo attraverso la penombra. Mi chiesi se anche i miei occhi riuscivano ad essere così limpidi al buio- Che intenzioni hai adesso?
Non so perché glielo chiesi, ma immagino avesse a che fare con la consapevolezza che lui non sarebbe mai riuscito a rivolgermi quella domanda. La mia risposta la conoscevo già, volevo che tutto quello fosse più di una notte. La sua mi rigirava in testa dandomi un leggero capogiro, come se avessi le vertigini e rischiassi da un momento all’altro di cadere giù.
-Serie.- mi rispose lui come se stessimo discutendo di una cosa perfettamente ordinaria. Del tempo. Del tour. Dei progetti per il giorno dopo. Poggiò la guancia su una mano e mi fissò con il viso inclinato, aspettando.
Divenne urgente assicurarmi che avesse capito davvero.
-Sai di cosa sto parlando, Matthew?- ribadii, sentendo il mio tono alzarsi impercettibilmente, dandomi l’esatta misura dell’ansia che mi agitava. Annuì per interrompermi, ma non lo feci lo stesso.- Sto parlando di stare insieme. Sto parlando di sopportarci l’un l’altro ogni volta che uno di noi due starà male, che avrà voglia di urlare, di rendersi impossibile ed insopportabile. Sto parlando di dormire assieme e svegliarsi assieme la mattina dopo, sto parlando di imparare a capirsi anche quando non si parla, di riuscire ad intendere i silenzi anche quando si fanno pesanti, di superarli nonostante non se ne abbia la voglia. Sto parlando di dire al mondo che tu sei me ed io sono te, di ammetterlo davanti ai nostri amici, di farlo accettare a loro ed a chiunque altro e…
-Stai parlando troppo.- mi mormorò lui, piano.
Lo disse in un modo tanto quieto da zittirmi. Un tono fioco e sottile, che non perse di forza per essere così labile, ma acquistò di gentilezza e di delicatezza nell’infilarsi tra le mie paure ed i miei dubbi.
Sentii un nodo serrarmi la gola comunque, e somigliava fin troppo ad un pianto trattenuto.
-Tu mi hai chiesto che intenzioni io abbia, ed io posso risponderti solo su questo.- mi spiegò pacatamente lui- E ti rispondo che le mie intenzioni hanno a che fare con il non lasciarti uscire da qui per non tornare più.- ammise stringendosi nelle spalle- Il resto non lo so, Brian, e nemmeno me lo chiedo ora come ora.
Vorrei chiedermelo io per tutti e due…
Ed invece rimasi a fissarlo, le labbra schiuse su una frase che non ho mai detto. E, invece di chiedermelo per entrambi, ho smesso del tutto di farlo.
Ricordo che il mattino dopo quando mi svegliai ancora tra le sue coperte, lui era già uscito. Lo scoprii dopo un po’, quando tornò in camera da letto, vestito di tutto punto, con un vassoio e con i croissant appena sfornati ancora in un pacchetto. Risi, perché mi sentivo idiota nel ritrovarmi ad avere un uomo che mi portava la colazione a letto. Lui rise con me, rendendosi conto che era davvero ridicolo. Ma poi c’era una confusione terribile su quel vassoio, le tazze del caffè rischiarono almeno un paio di volte di cadere e Matt aveva dimenticato – grazie al cielo – sia i fiori, sia la spremuta d’arancia o la marmellata con le fette biscottate, e tutto questo bastò a rimettere le cose in ordine, mentre mi tiravo a sedere e lui si metteva di fianco a me, incrociando le gambe come un bambino e posando il vassoio tra noi.
Non ricordo, invece, di cosa parlammo. Sciocchezze, penso. E già pensare questo mi basta, e non riesco a ricordare altro. Mi basta perché era l’inizio della nostra abitudinarietà, la confidenza che si crea nelle coppie un pezzo alla volta e che è fatta anche di discorsi futili dimenticati subito dopo che si esce dalla porta di casa.
Quando uscii dalla porta di casa sua quel mattino, lui era con me.
Doveva andare agli Studi della Universal, ci salutammo sul portone ed io presi un taxi per farmi riaccompagnare. Sorridevo ancora quando scesi dall’auto ed attraversai la strada.
-Brian!
Sollevai lo sguardo, abbastanza stupito. E se già dovevo trovare assurdo sentire la voce di Stefan a quell’ora del mattino davanti casa mia, fui ancora più stupito quando me li ritrovai lì entrambi. Stef a braccia conserte sul petto e con un’espressione tutt’altro che amichevole in faccia e Steve che mi guardava divertito.
-Che accidenti ci fate qui?- chiesi d’istinto.
-Che accidenti ci facevi tu fuori casa?!- strillò Stefan furioso- E perché diamine sei vestito come ieri?! E soprattutto, dove accidenti sei finito ieri?!
Sbattei le palpebre, realizzando che era palesemente preoccupato per me.
-Stef, ho trentacinque anni…- feci notare.
-E non sei capace di badare a te stesso, è evidente!- strepitò lui senza neppure ascoltarmi.- Ti abbiamo cercato tutta la notte! Eravamo in pensiero per te! Potevi almeno…che so! fare una telefonata! O quanto meno rispondere al telefono!
Tirai fuori dalla tasca del cappotto il cellulare e mi accorsi che effettivamente mi avevano chiamato più volte.
-Ahah- registrai indifferente.- Sono vivo. Posso andare a dormire?- chiesi educatamente.
-Avresti già dovuto essere a dormire!- ci tenne a specificare lui.- Avresti dovuto aprire la porta in pigiama, urlare contro di noi che le dieci del mattino non sono un orario accettabile per essere svegliati e poi invitarci ad affogarci in un caffè!
-Hai di me una visione orribile.- notai perplesso.
-Non c’entra!
Scrollai le spalle, infastidito dal protrarsi inutile di quella discussione.
-Comunque io sono già affogato in un caffè per stamattina.- ammisi semplicemente, tirando fuori dalla tasca anche le chiavi per aprire il portone.- A casa di Matt.- specificai.
Stefan mi fissò come se non potesse credere che fossi proprio io, vivo, vegeto ed in carne ed ossa, davanti a lui. Steve si accodò a lui per un momento. Poi scoppiò a ridacchiare come un ragazzino – ed io lo seguii praticamente subito – e commentò.
-Allora era vero…
Stefan si voltò verso di lui, continuando a mantenere la stessa espressione sconvolta.
-Non dire “allora è vero” come se fosse una cosa normale…- lo pregò in un soffio strozzato.- Brian!- chiamò poi, voltandosi. Sbuffai e mi feci spazio per andare ad aprire- Cos’è questa storia? Vi hanno visti tutti al party ieri sera, ma io non posso credere che davvero tu e Bellamy…- non finì la frase, come se la sola idea fosse inconcepibile. Aprii il portone appoggiandomici con la schiena e li guardai, invitandoli silenziosamente ad entrare- Insomma, voi due vi odiavate fino a ieri!-mi ricordò alla fine.
Ci pensai su, spingendo il portone finché non urtò contro il muro, e rimasi lì appoggiato aspettando che loro sfilassero davanti a me.
-No, ci sbagliavamo tutti su quello.- spiegai quindi.
Steve rise di nuovo, facendo risuonare tutto l’atrio del palazzo, provai a dirgli di piantarla, ma siccome lo feci ridendo anch’io non servì a molto. Stefan invece mi guardò. Mi guardò attentamente per un bel po’ di tempo. Poi non disse più nulla e seguì Steve fino all’ascensore.
 

***

 
Nota di fine capitolo della Nai:

…bah.
E’ il concetto che credo renda meglio il perché di questa storia.
Giusto per dovere di cronaca, comunque, dico subito che il titolo è rubato a parte del titolo – chilometrico – con cui il Sig. Molko ha identificato una “graziosa” rassegna fotografica da lui realizzata durante il tour.
Il titolo completo è perfino più deprimente del pezzetto scelto! ^_^
Al momento l’unico “perché” della scelta è dato dal fatto che mi piacesse l’idea di un Brian Molko che dichiara al mondo di essere stato preso in trappola in una bottiglia. Come un genio o un folletto.
Ma sto divagando e, siccome devo lasciare spazio alla Liz per la sua nota di fine capitolo, mi interrompo qui.
Spero che vi sia piaciuto, avevo bisogno di zucchero e questa storiella a capitoli – leggera ed inconsistente – è zucchero e poco altro. Un po’ di sano romanticismo ogni tanto fa bene al cuore *_*
Inoltre sono così felice che la Liz abbia deciso di assecondare questa follia e collaborare alla sua realizzazione che penso piangerò di gioia (ç_ç) e desidero dichiararle pubblicamente il mio eterno amore!!!
Detto questo. Un bacio ed al prossimo capitolo!

Nota di fine capitolo della liz:

…amore a parte è___é Anche io sono molto felice di aver assecondato questa follia e…
…anzi, no, amore a parte il cavolo: questa storia È amore <3 È tipo la personificazione dell’amore romantico come lo intendo io nei miei sogni di gloria *.* Ed è fantastico che la Nai sia riuscita a partorire una cosa simile… peraltro tutta da sola <_< Non credetele, quando mi dà i meriti: la maggior parte delle volte mi arrogo meriti non miei perché lei scrive cose talmente belle che poi mi ispirano a scriverci su dando il massimo ù.ù *sì, in questo consiste il mio aiuto*
Comunque, comunque. Anche se ancora non si vede, per i capitoli futuri avrete di che odiarmi *-* *risata malvagia*
*scompare in dissolvenza*

Genere: Commedia, Romantico.
Pairing: BrianxMatt, accenni lievissimi di DomxMatt.
Rating: PG-13.
AVVISI: Boy's Love.
- I trent'anni sono un traguardo importante nella vita di un uomo. Brian Molko ne è perfettamente consapevole, ed è per questo che per il compleanno di Matthew vorrebbe organizzare qualcosa di molto speciale...
Commento dell'autrice: Buon compleanno, Matt ;O;!!! *si riprende* In realtà, questi trent’anni il nostro amato frontman li ha fatti *calcola* tipo una settimana fa *piange* Ma sono riuscita a concluderla solo oggi >.< Scusami, Matty, non volevo, è stata colpa del porno Kaulitzest çOç!
Comunque. Non fosse stato per il forum di MuseLive.com, questa roba non avrebbe visto mai la luce. Nel senso che, nel topic degli auguri a Matt, a un certo punto uno ha postato l’immagine di una tortina verde con alieno & navicella spaziale XD ed io non ho proprio potuto fare a meno di cogliere la palla al balzo e… creare questo, ecco XD
Che poi, non ho senso: una fic per fare gli auguri a Matthew, e il protagonista è Brian. Ma si può? Ho ragione quando dico che in realtà il mio gruppo preferito sono i Placebo, è solo che non l’ha ancora capito nessuno – me stessa compresa.
Ovviamente – precisazioni inutili – il Goldsmith College è la scuola d’arti drammatiche che ha frequentato Brian a Londra. (Peraltro, lolliamo insieme: il sito cita fra gli allievi famosi chiunque tranne lui, povero tato!). Ed Andy, come al solito, esiste – perché è vera la convivenza con uno spacciatore nei nel primo anno londinese di diciottenne!Matt – ma non si chiama veramente Andy. È solo che nella prima fic in cui l’ho usato l’ho chiamato in questo modo, ed io, be’, sono una donnina fedele XD
Nient’altro da dire è.é Vedete che il Mollamy non l’abbandono mai? Non preoccupatevi <3 Spero che abbiate gradito la storia! :*
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ALIEN-SHAPED CAKE

Per trovare una spiegazione razionale alla propria coesistenza con Brian Molko nella cucina in finto marmo di quell’anonimo appartamentino londinese, Chris dovette andare indietro con la memoria di molti giorni.
Dovette risalire, precisamente, ad una settimana prima.
Anche quel giorno si trovava con Brian, ma non era solo – con loro c’era anche Dom – e stava in un altro luogo – il proprio ordinatissimo salotto.
- È che vorrei organizzare una bella festa. – aveva mugolato in quell’occasione proprio Brian, arrotolato come gli si confaceva su una poltrona scamosciata bianco panna che, lo sapeva, Kelly avrebbe vendicato con la furia di un mohicano, - I trent’anni sono importanti.
- E tu lo sai bene, - aveva sibilato stizzito Dom, che, probabilmente, avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto ed impegnato in qualsiasi altra faccenda, piuttosto che in quel salotto a parlare col fidanzato del proprio migliore amico del quale era inspiegabilmente e ferocemente geloso, - visto che li hai già passati da un pezzo.
- Ma che dici?! – aveva ribattuto Brian, saltando sulla poltrona come l’avessero punto con uno spillo e piantando con forza i tacchi squadrati degli stivaletti nella morbida imbottitura lanuginosa, - Lo sanno tutti che devo compierli l’anno prossimo!
- Seh. – aveva sospirato il batterista, roteando gli occhi, - È da cinque anni che devi compierli l’anno prossimo.
Brian non aveva raccolto la provocazione ed era tornato a rivolgere l’attenzione solo a Chris, come faceva sempre quando si sentiva incompreso. Chris aveva sospirato e l’aveva accontentato con un sorriso partecipe e curioso. Ormai le dinamiche di quel destrutturato gruppo che erano diventati da quando i Placebo erano entrati nelle loro vite erano così precise ed ovvie che riusciva a trovarle perfino noiose.
Lo sarebbero state, probabilmente, se non fossero state anche piuttosto rassicuranti.
- Insomma, una cosa informale. – aveva continuato Brian, annuendo, - Non voglio mica affittare Buckingham Palace e chiedere alla vecchia di presenziare e farlo cavaliere. Però mi serve il vostro aiuto…
Dom aveva incrociato le braccia sul petto ed aveva sbuffato come un bambino di tre anni, mentre Brian spiegava il proprio piano malefico nell’approvazione di Chris, che continuava – per proprio conto – ad annuire compitamente, prendendo nota.
In seguito a questi eventi, Brian aveva saggiamente pensato che fosse più utile tenere al proprio fianco l’uomo che lo sopportava, rispetto a quello che non lo tollerava.
Perciò, in definitiva, a Dom era toccato tenere fuori Matthew per tutto il pomeriggio adibito alla preparazione del party – con suo sommo gaudio – ed a lui, invece…
…a lui era toccato tenere compagnia a Brian mentre, in quella preparazione, finiva immerso fino al collo.
E non immaginava neanche in che guaio si fosse cacciato.
- Non trovi anche tu che sia bellissima? – stava appunto pigolando il frontman dei Placebo, quando Chris riuscì a distaccarsi dal tunnel dei propri ricordi abbastanza da dargli ascolto.
Le mani giunte sotto il mento ed uno sguardo brillante d’amore sul volto, Brian fissava ammirato un’enorme torta multistrato ricoperta letteralmente da cima a fondo di lucida glassa verde.
Chris dubitava perfino fosse commestibile.
- È… - si sforzò di rispondere, cercando furiosamente le parole per rendere il commento in modo che non suonasse drammaticamente offensivo come… be’, come in effetti era. - …particolare. – concluse quindi, annuendo soddisfatto per la propria prontezza di spirito.
Brian gli lanciò un’occhiata dubbiosa, e Chris deglutì, terrorizzato.
Accidenti.
- Particolare? – chiese ansioso il frontman, voltandosi a guardarlo ed assediandolo fisicamente, facendoglisi vicino e minaccioso in maniera quasi intollerabile, - Cosa intendi per particolare? Stai cercando di dire che è brutta? Che non ti piace? Che non piacerà a Matt?
- N-No… - ansimò Chris, tirandosi indietro. Avrebbe dovuto essere più cauto. Mai mentire ad una donna. - Particolare vuol dire particolare… - arrangiò celermente, - Nel senso, non è comune vedere una torta ricoperta di glassa verde, ecco, è… una scelta coraggiosa!
Brian sembrò soddisfatto dalla spiegazione. Si tirò indietro con un sorriso radioso e tornò ad affaccendarsi intorno alla torta, per procedere all’operazione successiva: distribuire palline di zucchero argentato sui bordi come si fosse trattato di luci direzionali su una pista d’atterraggio.
- Brian… - riprese il bassista, chinandosi ad osservare l’intricato disegno delle palline, - C’è un piano, dietro tutto questo?
Lui lo sferzò con un’altra occhiata poco convinta.
- Stai di nuovo cercando di dire che non ti piace?
- Ma no, assolutamente! – si affrettò a negare, - È ancora una scelta molto coraggiosa, ma… ecco, mi piacerebbe comprenderne i dettagli.
Brian sospirò come non riuscisse proprio a concepire la sua ottusità.
- È ovvio che tu non capisca. – spiegò pazientemente, - Non hai ancora visto la ciliegina.
Chris inarcò le sopracciglia, dubbioso.
- Non so se il color ciliegia starà bene con questa tonalità di verde… e va bene che Dom dice che qualsiasi cosa, vista dalla giusta angolazione, può sembrare fucsia, ma anche in quel caso non so se-
- Parlavo di una ciliegina metaforica. – sospirò ancora Brian, arricciando le labbra in una smorfia di profonda delusione, - Sto aspettando che Stef me la porti.
A questo punto, c’è solo da preoccuparsi, pensò distrattamente Chris, mentre osservava Brian ritoccare la traiettoria delle palline con scrupolosità perfino eccessiva.
Fortunatamente, l’attesa non durò troppo a lungo, perché pochi minuti dopo il particolarissimo campanello che imitava il muggito di una mucca nonché il tintinnio del suo campanaccio – che Matt aveva preteso di installare in un pomeriggio di folle passione per il fai-da-te – annunciò ai due l’arrivo di qualcuno, e quel qualcuno era appunto Stef. Stef che stringeva fra le mani una scatola bianca di medie dimensioni, ed aveva sul viso un’espressione abbattuta, confusa e stanca che Chris non faticò a riconoscere come un riflesso perfetto della propria.
- Brian, non chiedermelo mai più! – furono le prime parole dello svedese quando si fece strada all’interno dell’appartamento, dopo aver salutato Chris con un mugolio di sofferenza repressa, - Sono serio, la prossima volta ti uccido.
Chris lo osservò entrare, sinceramente perplesso, e poi gli si avvicinò per liberarlo dall’ingombro del pacco mentre sfilava la giacca e la posava su una poltrona.
- L’hai trovato? – fu l’unica, cinguettante risposta di Brian, mentre irrompeva in salotto portandosi dietro il profumo dello zucchero e della crema al cioccolato con la quale aveva farcito la torta.
- Trovato? Non direi. – rispose l’uomo, piantandosi di fronte al compagno di band con le mani sui fianchi e le gambe semidivaricate, in una piccata espressione di rimprovero, - Le cose trovate si trovano, appunto, non ti costringono al suicidio mentale per guadagnartele. Diciamo che il modo più preciso di dirlo è “ho minacciato il commesso perché me lo facesse su misura e dal vivo”. Ecco, questo rende.
Brian agitò disinteressato una mano davanti al viso ed informò il proprio bassista che stava utilizzando troppe parole per poter essere davvero ascoltato.
- Perciò dimmi solo dov’è il pacco e facciamola finita.
Stefan sospirò ed indicò la scatola bianca ancora fra le braccia di Chris, prima di lasciarsi andare con evidente disperazione su un divano a caso, coprirsi gli occhi con un braccio e annunciare a gran voce di stare schiacciando un pisolino.
Brian non gli augurò neanche un buon riposo: si diresse – come sempre minacciosissimo – verso Chris e gli strappò il pacco di mano, poggiandolo sul tavolo e scoperchiandolo con velocità inaudita.
- Eccolo!!! – esultò poi, al colmo della felicità, - Oddio, è ancora più bello di quanto non sperassi!!!
Mentre Stef mugugnava un’imprecazione random dal divano, Chris si avvicinò curioso e sbirciò quasi timidamente all’interno dell’involucro, per sincerarsi del contenuto.
Di fronte a lui si stagliava una statuina di zucchero a forma di tipico alieno verde che stazionava immobile in piedi accanto ad un’altra statuina, a forma di navicella spaziale, bianca e rossa.
Il tutto era grande abbastanza per coprire interamente la grandezza dell’ultimo strato della torta che, con tanto amore, Brian aveva preparato per il suo Matt.
- …allora c’era questo, dietro. – constatò incredulo, la gola secca ed un incipiente mal di testa a farsi strada fra i neuroni.
- Sì! – annuì allegro Brian, - Adesso sbrigati, aiutami a portarlo di là, voglio che la torta sia pronta quando cominceranno ad arrivare gli invitati!
- …invitati? – si ritrovò a chiedere soprappensiero, mentre aiutava Brian a trasportare la scatola in cucina con la massima cura, - Che invitati, scusa? A parte Matt e Dom siamo tutti qui…
Brian lo sferzò con l’ennesima occhiataccia disapprovante della giornata. Probabilmente stava pure cominciando a pentirsi di averlo scelto come collaboratore onorario, chissà.
- Non essere ridicolo, Chris. Ho detto che sarebbe stata una festa informale, mica deprimente.
- …e questo significa…?
- Aaah, non preoccuparti! – borbottò, afferrando la navicella e posandola con cura in cima alla torre di pan di spagna glassato, - Pochi amici intimi. Alex, Tom, Steve, cose così.
Chris annuì dubbioso e si dedicò ad aiutare Brian nella complicata operazione di piazzare il piccolo alieno verde accanto alla navicella senza distruggere quanto faticosamente creato fino a quel momento, e fu proprio in quell’istante che la mucca muggì annunciando l’arrivo dei primi ospiti.
- Stef, tesoro, ti dispiace andare tu? – chiese Brian con tono falsamente dispiaciuto, - Qui siamo un po’ occupati…
Stefan, nell’altra stanza, grugnì qualcosa di indefinito ma si alzò comunque, andando ad aprire la porta e facendo gli onori di casa.
Impegnato com’era nel posizionamento dell’UFO zuccherino, Chris non riuscì a farsi una chiara idea di cosa stesse succedendo. Fu forzato a realizzare tutto, però, quando Stef li raggiunse in cucina e dichiarò candidamente che David era arrivato e si stava chiedendo dove fossero tutti.
A quel punto, Chris si ritrovò obbligato a sollevare lo sguardo e fissare Brian con aria smarrita.
- David chi? – chiese incerto.
Brian si strinse nelle spalle e ridacchiò debolmente.
- Oh… David Bowie. – rispose timido, - Non potevo certo lasciarlo fuori, su! – aggiunse poi, come fosse una giustificazione.
Chris spalancò la bocca e fece per chiedere qualcosa. Poi la richiuse e rifletté un altro paio di secondi. Ed infine decise che sì: per quanto la verità potesse fare paura, urgeva chiarirla.
- Brian, chi altri hai invitato con precisione?
Brian si mordicchiò un labbro e fece finta di pensarci su.
- Solo un paio di amici comuni. Micheal Stipe, Robert Smith, Gerard Way, Chester Bennington, Bono Vox…
L’elencò continuò per un altro paio di minuti. Ed alla fine, fu chiaro che, almeno per un particolare, Brian era sempre stato sincero: non aveva invitato la Regina. In compenso, però, era proprio l’unica che mancasse.
Quando i due riemersero dalla cucina – solo nel momento in cui la torta fu, a parere di Brian, del tutto perfetta – il salotto era pieno e Stefan s’era tramutato in una specie di maggiordomo borbottante acredine e risentimento.
- Ti ucciderò. Lo so che ti ucciderò. – andava mugugnando mentre continuava a rispondere al citofono ed aprire la porta ad intervalli regolari di tre secondi.
Perso in mezzo a quel delirio di volti conosciuti, sorridenti ed allegramente chiacchieranti, Chris si sentì, per la prima volta nella propria vita, così irrimediabilmente confuso da dimenticarsi perfino come si chiamasse, quali fossero le proprie origini e cosa stesse facendo in quel posto.
- Allora io andrei… - sussurrò poco convinto a Brian, mentre faceva per raggiungere la propria giacca sull’attaccapanni.
- Ma che stai dicendo?! – strillò lui, afferrandolo per la collottola e tirandoselo dietro, - Matthew sarà qui fra pochi minuti! Dove credi di andare?!
Ah, già… Matthew. I trent’anni. La festa, realizzò finalmente, a fatica, mentre la mucca muggiva per la trecentesima volta.
- Dev’essere lui! – gioì Brian, saltellando sul posto e trascinando in quella strana danza un povero Chris del tutto inerme, - Forza, nascondetevi!
Gli ospiti si guardarono l’un l’altro confusi ed un po’ incerti, ma ubbidirono. In pochi secondi, ogni anfratto del piccolo salotto di casa fu occupato ed utilizzato come tana dalla quale sbucare fuori al momento opportuno.
Quando il risultato fu soddisfacente, ed ogni lembo di tessuto ribelle fu rintuzzato negli angoli alla meno peggio, Brian ridacchiò e si diresse giulivo verso la porta.
- Tesoro, sei tornato! – mugolò felicemente, sollevandosi per baciare Matt in punta di labbra, - Andato bene lo shopping?
Matthew annuì distrattamente ed entrò in casa, guardandosi intorno con aria cupa mentre Brian “dimenticava accidentalmente” la presenza di Dominic e gli chiudeva la porta sul naso, guadagnandosi in cambio un appellativo poco lusinghiero.
- Come mai così triste…? – indagò quindi il moro, avvicinandosi titubante ed aiutando Matthew a liberarsi della leggera giacchetta di cotone che indossava.
- È che per tutto il pomeriggio Dom non ha fatto che ripetermi “compra questo, compra quello, è il tuo compleanno, te lo meriti”… - mugugnò l’inglese, stringendosi nelle spalle e distogliendo lo sguardo, - Solo che io non ce l’ho mica tutta questa voglia di festeggiare. Insomma, trent’anni sono così tanti
Brian fece un passo indietro, scioccato. Dom ristette sulla soglia e spalancò gli occhi, come chiedendosi se fosse proprio vero ciò che aveva appena sentito.
Da ogni singolo divano, poltrona ed anfratto nascosto della stanza, si alzò un riecheggiante quanto spaventoso “oh” di stupore e vaga disapprovazione.
- …che razza…? – biascicò Matt, guardandosi intorno spaesato, - Brian, che era quel rumore?!
Ma Brian non ascoltava. Testa bassa ed occhi ardenti di rabbia, fissava il proprio uomo come se la sua prima intenzione fosse caricarlo con una testata degna del più potente toro da corrida dell’intera Spagna.
- Perciò trent’anni sarebbero tanti, eh…? – bisbigliò crudelmente, stringendo i pugni.
- …Bri, cosa… - accennò Matt, turbato da quel repentino cambio d’umore, - Cosa ho detto di sbagliato…?
Brian sbuffò e si rimise dritto, intrecciando le braccia sul petto.
- Nulla. – rispose, gelido, - Figurati.
Poi si girò, raggiunse l’attaccapanni, recuperò un giubbino a caso – era di Matt, ma non sembrò saggio farglielo notare – afferrò un berretto ed un paio di occhiali da sole e si diresse a passo deciso verso l’uscita.
- Goditi la torta. – sibilò acido, prima di andare via.
Fu in quel momento che David Bowie trovò appropriato affacciare la testolina bionda da dietro un divano, sorridere timidamente e – dopo aver osservato Matthew scattare indietro e strillare neanche avesse voluto ucciderlo – sussurrare un imbarazzato “Be’, sorpresa!”, in seguito al quale i mobili presero vita e si misero a partorire persone come madri evangeliste, lasciando il povero inglese ingolfato nel panico più nero.
- Quell’essere incommentabile del tuo uomo, - trovò opportuno informarlo Dom, mentre tutto intorno fiorivano occhiatacce disapprovanti e sguardi diffidenti, - ti ha organizzato una festa di compleanno a sorpresa. Potevi almeno evitare di rovinargli tutto dandogli del vecchiaccio!
Matthew spalancò gli occhi e cercò confusamente la rassicurante figura di Chris in mezzo alla folla, come se Dom lo stesse attaccando con troppa violenza per potersi difendere e lui avesse bisogno di un cavaliere senza macchia e senza paura che potesse proteggerlo adeguatamente. Chris, in effetti, rispondeva in pieno alla descrizione.
- Io non gli ho detto che è un vecchiaccio! Ma che hai sentito?! – sbottò infatti alla volta del proprio batterista, quando Chris fu abbastanza vicino da potersi nascondere per metà dietro le sue spalle ampie e robuste.
- È come se l’avessi fatto. – scrollò le spalle lui, - Gli hai detto che trent’anni sono già troppi.
- Ma che cazzo, lui li deve ancora fare! Anzi, sono io che mi sento a disagio nei suoi confronti, per essere ben un anno più vecchio di lui! – rispose Matt, sempre più agitato, aggrappandosi alle spalle di Chris ed usandole a mo’ di trampolino per saltellare istericamente sul posto.
A quel punto, perfino Chris – generalmente bonario nei confronti di un frontman che sapeva essere, in fondo, innocentemente e tenacemente ingenuo – non poté fare a meno che unirsi allo sguardo colmo di allucinata incredulità di Dominic, e si mise a fissare Matthew oltre la sua spalla, con aria inquisitoria.
- Ma parli sul serio? – chiese a bassa voce, mentre, tutto attorno, gli invitati riprendevano la classica routine festaiola di chiacchiere e risate.
Matthew regalò anche a lui l’occhiata del cucciolo innocente, ed inclinò il capo – come a dare maggior valore alla propria incolpevole idiozia.
- Che intendete dire? – aggiunse, come se già il quadretto non fosse abbastanza deprimente.
- Intendiamo dire che il tuo uomo i trenta li ha passati da un bel pezzo! – sbraitò Dom, agitando un pugno bellicoso nella sua direzione, - E non posso credere di stare dicendo qualcosa in sua difesa, ma tu decisamente non te lo meriti, eccheccazzo! – concluse infuriato, prima di voltarsi indietro e cominciare a sbottare rabbia e insofferenza verso la cucina, trotterellando isterico come uno scoiattolo ingiustamente deprivato delle ghiande che con tanta fatica aveva raccolto per tutta l’estate.
- …Chris…? – chiamò debolmente Matthew, osservando il biondo allontanarsi e cominciando a temere seriamente per la propria vita.
Il bassista gli sorrise condiscendente e gli batté un’amichevole pacca sulla spalla.
- Nessuno te ne fa una colpa. – mentì, perché Matthew sapeva che tutti, dannazione, gliene stavano facendo una colpa, - È normale che tu non l’abbia capito, Brian non dimostra la sua età e, se può, mente pure in merito. – scrollò le spalle, simulando un’indifferenza che avrebbe dovuto tranquillizzarlo ed invece lo mandò ancor più in paranoia, - Però, insomma, Brian ha trentacinque anni. Ne fa trentasei a dicembre.
…e lui gli aveva detto che trent’anni erano già troppi.
Trent’anni! Troppi!!!
E viene fuori che lui ne ha trentacinque!!!

In apparente stato di morte cerebrale, Matthew fissò Chris, le lacrime agli occhi e il labbro tremulo.
- Dimmi che non è vero. – biascicò indecentemente, scrollando incredulo il capo.
Impietosito, Chris si strinse nelle spalle, e probabilmente provò anche a ritrattare tutto e far finta di niente, ma era un uomo troppo onesto per riuscirci in maniera convincente, perciò Matt lo fermò con un breve cenno del capo e fissò attentamente le punte delle proprie scarpe per un enorme periodo di tempo, come a cercare nei ghirigori dorati che impreziosivano la punta nera la risposta a tutti i drammi della sua esistenza.
Frattanto, Dom s’era affacciato dalla cucina reggendo la torta fra le braccia con aria frettolosa.
- Visto che c’è, vediamo se è commestibile. – annunciò compitamente il batterista, planando agilmente in mezzo al fittissimo dialogo che Bono e Chester stavano intrattenendo di fronte al tavolo e poggiando l’enorme vassoio rotondo proprio fra di loro.
- Coraggio, Bells. – cercò di consolarlo Chris, stringendolo compassionevole attorno alle spalle, - Tornerà, chiarirete e domattina sarà tutto a posto. Andiamo a mangiare, almeno potrai fargli i complimenti per com’è bravo a cucinare i dolci! – propose incoraggiante. Poi si fermò e rifletté brevemente, arricciando le labbra in una smorfia poco convinta. – Be’, forse. – concluse saggiamente, annuendo come a darsi ragione da sé.
Matthew seguì l’amico fin davanti al tavolo e lì rimase per qualche secondo ad osservare contrito la splendida torta che gli si parava di fronte. Verde dalla punta alla base, cosparsa di palline di zucchero lucenti come perle e sormontata da una splendida scultura in zucchero raffigurante un piccolo alieno verde nell’atto di scendere dalla propria astronave per esplorare quel meraviglioso pianeta di pan di spagna e cacao.
Allungò una mano, come a voler verificare quella meraviglia fosse vera. Ma poi si ritrasse, e sorrise furbo.
Aveva avuto un’idea migliore.
*
Brian lo conosceva benissimo. Nel corso degli ultimi due anni passati insieme – e di insieme si poteva parlare, nonostante i tour, i viaggi e i continui impegni di lavoro, perché la verità, molto semplicemente, era lui e Brian fossero stati del tutto inseparabili nelle occasioni in cui stavano insieme, e continuamente tendenti l’uno verso l’altro anche quando stavano separati – Brian aveva imparato a memoria ogni sua passione, ogni suo divertimento, ogni sua opinione. Tutto ciò che lo faceva ridere e arrabbiare e disperarsi. Tutto ciò che gli piaceva e tutto ciò che odiava. Perfino le parole esatte per farlo star meglio quando stava male, e quelle per riportarlo a terra quando cominciava un’improbabile quanto fuori luogo scalata per la conquista del Paradiso.
“Perché – l’hai detto tu, no, Matt? – per entrare in Paradiso devi pagare un prezzo che non sei disposto a concedere.”
E nello specifico, ogni santa volta, voleva dire “Torna giù, piccolo, che sei bravo, bravo davvero, ma non sei ancora diventato un dio, né mai lo sarai, perché cose del genere proprio non esistono”.
Brian, con lui, non era stato prudente. Non s’era comportato come la maggior parte delle persone giunte all’apice di una brillante carriera ed alla metà di una triste vita. Non aveva trattenuto niente per sé, non era stato avaro d’emozioni – né nel darle né nel pretenderle – e non aveva evitato alcun momento spendibile insieme.
Al punto che sì: anche Matthew lo conosceva alla perfezione.
L’enorme edificio principale del Goldsmith College, immerso nella notte ambrata di luci di Londra, rendeva perfettamente onore alla propria essenza di vecchio maniero ottocentesco. Letteralmente ricoperto d’edera e fronteggiato da uno sterminato prato verdissimo ed umido di brina, era perfino inquietante. Al punto che Matt esitò nell’addentrarsi alle sue spalle alla ricerca della nicchia fra gli alberi del cortile interno che sapeva essere il luogo preferito di Brian.
Lo individuò subito: la giacchetta multicolore che aveva comprato secoli prima da Harrod’s, e che lui aveva distrattamente preso con sé prima di uscire, spiccava curiosamente nel verde scurissimo degli alberi nella notte. Era così piccolo – accucciato su una panchina, lo sguardo fisso nel vuoto ed il mento affondato fra le ginocchia – che non sarebbe stato strano prenderlo per un bambino che avesse perduto la mamma e non sapesse dove andare.
La verità di Brian era che non importava quanti anni avesse, perché era rimasto piccolo dentro. Non immaturo né egoista e capriccioso alla maniera sciocca dei bambini, ma insicuro e fragile come se la parte più pura di lui si fosse dibattuta negli anni per preservarsi integra comunque e nonostante tutto, e alla fine ce l’avesse pure fatta.
- Per quello che può valere, - sussurrò con un sorriso tenero, sedendosi al suo fianco e poggiando fra i loro corpi un piatto con l’ultimo piano della torta e la statuetta che le si accompagnava, - non sapevo che avessi più di trent’anni.
Brian si lasciò andare ad un ghigno amarissimo, senza guardarlo ma sciogliendo leggermente le gambe.
- Lascia perdere. – gli disse atono, - Non è davvero importante.
Matthew sorrise, accomodandosi meglio contro lo schienale della panchina ed indicando distrattamente la torta fra loro.
- È stato un pensiero carino. – commentò, - Grazie.
Brian rise a bassa voce e scosse il capo, rimettendo i piedi a terra.
- Ti ho detto che non importa. – lo rassicurò, rassegnandosi finalmente a guardarlo, - Non c’è bisogno che tu mi faccia i complimenti per farti perdonare. Non ce l’ho con te.
Matthew sorrise ancora e si sporse verso di lui, arrivando fino ad un centimetro dal suo viso e fissandolo intensamente negli occhi.
- …è vero. – constatò, tirandosi indietro, un po’ stupito. – Non sei arrabbiato.
Brian scosse il capo e si appoggiò a propria volta allo schienale.
- Sono solo uno stupido. – rispose in un soffio.
Matthew ridacchiò e gli fece passare un braccio attorno alle spalle, attirandolo a sé.
- Sì, lo sei. – annuì, - Ma ti amo anche per questo.
- Questo non mi lusinga granché. – borbottò Brian, fingendo un broncio infantile, - Mi piacevi di più in versione penitente.
Matt rise ancora, stringendolo con calore.
- Sai cosa ho pensato la prima volta che ti ho visto? – gli chiese poi, sfiorandogli la guancia con un bacio, - Non quando ci siamo conosciuti. Molto prima. Proprio la primissima volta.
Brian si adagiò contro la sua spalla e sospirò brevemente, prima di negare con un lento cenno del capo.
Matthew sorrise.
- Era il mio primo anno a Londra. Non avevamo i soldi per comprare un appartamento tutti insieme, dico, io, Chris e Dom, perciò abbiamo affittato delle stanze in giro. Ed io stavo con un tizio, Andy, faceva lo spacciatore ma era uno sfigato. – scrollò le spalle, - Uno si aspetta sempre che quelli che lavorano in quel ramo siano ricchi sfondati, ma Andy era tristissimo, stavamo praticamente in un bilocale che era uno sputo ed avevamo un televisorino minuscolo in cucina che-
- Matthew! – ridacchiò Brian, spostando la torta altrove per potersi sistemare meglio sul sui corpo, - Questo discorso va a parare da qualche parte?
- Ci sto arrivando. – rise lui, stringendolo a sé, - Insomma, una mattina facevo colazione e guardavo MTV. Ed è passato il video di Teenage Angst.
- Mio Dio! – rise forte Brian, allungando una mano a cercare le dita di Matt per stringerle e giocarci un po’, - Se è davvero la prima impressione, quella che conta…!
- Be’, - lo interruppe Matthew, affondando nell’incavo del suo collo, - per me è stato così.
- …ed è stata disastrosa? – inquisì lui, cercando i suoi occhi.
Matt scosse il capo.
- Ho pensato che tu fossi una creatura da un altro pianeta. – raccontò con aria sognante, - Sembravi troppo perfetto per venire dalla terra. E poi, sinceramente, non ero neanche sicuro al cento per cento di sapere cosa in effetti tu fossi. – ridacchiò sommessamente, - Perciò, siccome il fatto che tu potessi essere un maschio mi turbava tanto quanto quello tu potessi essere una donna, mi limitai a pensare che dovevi essere proprio un alieno.
- …un alieno.
- Sì. – rise lui, - Negli angeli non ho mai creduto.
- …okay. – sospirò lui, arrendendosi, - Quindi?
Matthew scrollò le spalle.
- Niente. – sbuffò, - Cioè, è una cosa stupida, e dopo una settimana l’avevo già dimenticata. Però, quando poi ci siamo conosciuti, me lo sono ricordato.
Brian sollevò gli occhi nei suoi e se ne lasciò catturare.
- E? – lo incitò impaziente.
- Ed era vero. – annuì Matt senza esitazioni, - Sei troppo perfetto per venire dalla terra. Confessalo, sotto questa maschera c’è un faccino verde e bitorzoluto! – lo prese in giro, tirandogli una guancia.
- …ma piantala! – sbottò Brian, offeso, trincerandosi dietro un broncio di circostanza e nascondendosi dietro l’intreccio della proprie braccia sul petto, dandogli le spalle, - Sei una merda.
Matthew ridacchiò e tornò a nascondersi contro la sua pelle, respirandogli addosso.
- C’è una vocina dentro di me che non fa che ripeterlo. – sussurrò sul suo collo, dandogli i brividi, - Se ti amo tanto, forse è anche un po’ per questo.
- …perché sono un alieno? – mugugnò lui, più per evitare l’imbarazzo che per reale curiosità.
Matthew strizzò gli occhi e si sporse a baciarlo sulle labbra.
- …d’accordo. – borbottò Brian, quando si furono separati, - Ma almeno l’hai assaggiata? – mugolò, indicando la torta dimenticata sul bordo della panchina.
Matt scosse il capo.
- Speravo di mangiarla insieme.
Brian sorrise ed annuì.
- Ma l’alieno lo mangio io! – precisò, afferrando l’omino verde e mettendone velocemente la testa in bocca.
Matthew fece una smorfia delusa e gli si chinò ancora addosso, addentando i piedi dell’omino e staccandoli in un morso.
- Facciamo a metà, no? – chiese poi, facendo ballare i piedini verdi fra le labbra.
Brian sospirò pazientemente, scuotendo il capo, simulando un’esasperazione che era quanto di più lontano dal suo stato d’animo esistesse in tutto il mondo.
- Facciamo a metà.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: CodyxJayJay.
Rating: R.
AVVISI: Boy's Love, OC, What If?.
- Brian Molko e Matthew Bellamy hanno lo stesso problema, ma non lo sanno. Brian Molko e Matthew Bellamy, ed entrambi hanno un figlio che è esattamente il loro problema. Brian Molko e Matthew Bellamy hanno anche la stessa soluzione da adottare: il problema è che potrebbe perfino ritorcersi contro di loro!
Commento dell'autrice: Ho cominciato questa storia alla fine di febbraio XD La sto finendo adesso che siamo alle porte della fine di maggio. Converrete con me che oltre due mesi di tempo siano vagamente eccessivi per una storiella priva del benché minimo senso e di appena (si fa per dire!) ventuno pagine, ma insomma, io avevo davvero bisogno di scriverla XD Tanto per cominciare perché io amo JayJay u.u (e se ve lo state chiedendo, no, per quanto la cosa possa dispiacermi, un figlio di Matt Bellamy ancora non esiste. Soprattutto perché lui preferisce letteralmente fuggire in Australia piuttosto che sistemarsi e moltiplicarsi come il buon Signore comanda!) e secondariamente perché Cody è un puccino e, pure se non si merita di essere già fangirlabile fino a questo punto nonostante abbia appena tre anni, immaginarlo in teneri atteggiamenti col figlio del nemico pubblico numero uno di papone è troppo bello çOç Come si fa a non amarli?! T^T
La canzone che dà il titolo alla storia (e dalla quale ho preso pure i tre versi che la aprono) è l’omonima Rawhide, che è il titolo di una sigla di non mi ricordo che telefilm sui cowboy americano, ma che comunque è stata portata alla ribalta dal film (quello vero, quello originale) dei Blues Brothers. È la canzone che i ragazzi cantano quando sono nel country-bar, per evitare di farsi ammazzare a suon di bottigliate dai gioiosi avventori del luogo XD Come titolo è adattissimo:rawhide, infatti, è la pelle grezza, non ancora conciata. Voglio dire, per una fanfiction che, in fondo, è un racconto di formazione, avrebbe potuto esserci titolo più azzeccato? XD *si vanta di meriti inutili*
Spero che leggere questa storia sia per voi piacevole quanto per me è stato scriverla <3 E lunga vita alla coppia principale *_* Prima o poi la rivedrete, prometto XD!
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RAWHIDE

All the things I'm missin',
Good vittles, love, and kissin',
Are waiting at the end of my ride

- Non ti perdonerò mai.
Stefan si limitò ad ascoltare silenziosamente il rollio della macchina sull’asfalto, prendendosi tutto il tempo necessario per sospirare pesantemente e roteare gli occhi, prima di rispondere.
- Cody, non è colpa mia, se ora stai andando in America.
Il ragazzino, seduto al suo fianco nella vettura, sembrò come arruffare le penne. Dal momento che, però, di penne non ne aveva, tutto ciò che arruffò fu l’enorme massa di boccoli corvini e ribelli, che si agitarono sulla sua testa quando si voltò a guardarlo, sgomento.
- Come fai a dire che non è colpa tua?! Sei stato tu a consigliare allo stronzo-
- Stavo cercando di dire – lo interruppe l’uomo, flemmatico, imboccando la strada che li avrebbe finalmente condotti all’aeroporto, - che non è una colpa.
- Oh, certo! – sbottò Cody, tirando celermente fuori dalla tasca del giubbotto un elastico, per racchiudere le ciocche in una corta coda ricciuta, - Non è colpa di nessuno, se passerò il prossimo mese della mia vita rinchiuso in una fattoria del nordovest statunitense, a pelare patate e raccogliere grano. È per merito tuo, Stefan! Grazie mille!
- Mi pare piuttosto improbabile ti mettano a pelare patate. – suppose Stef, accelerando impercettibilmente, - Si vede che hai le mani da pianista.
- Che vuoi che veda un villico ignorante?!
L’uomo sospirò ancora, più profondamente.
- Smettila di parlare come tuo padre alla tua età. – consigliò, - Tu sei molto più maturo di quanto non fosse lui.
- Quello che non concepisco – continuò Cody, ignorandolo, - è come sia stato possibile che mia madre fosse d’accordo! Non ha senso! E resta comunque colpa tua: se non fossi rimasto ad ascoltare le paranoie dello stronzo adesso non mi ritroverei a dovere andare ad espiare una colpa che non ho commesso!
- Ti ho già detto – lo corresse Stefan, - che nessuno ha colpa di niente.
- Bene! Allora non dovrei andare a risolvere un problema che non ho!
Stef gli lanciò un’occhiata perplessa.
- Quindi, stare chiuso in camera tua da quando torni da scuola fino all’ora di cena per poi non farti più vedere fino all’indomani mattina, secondo te, è “non avere alcun problema”.
- Sono solo asociale! – rimarcò Cody, sbigottito, gesticolando animatamente, - Ho diciott’anni, cazzo! E comunque, mio padre non mi manda in Ohio perché sono asociale, ma perché è convinto che io sia gay! – si lasciò andare ad una smorfia, incrociando ostinatamente le braccia sul petto. – Ed io non lo sono, ma se lo fossi che problema ci sarebbe?! Tu sei gay! Anche lui è gay!
- Oh, è come Vinny ha sempre sospettato, allora. – ridacchiò il bassista, entrando nel parcheggio dell’aeroporto e fermandosi di fronte al casello del bigliettaio per pagare i venti minuti di deposito che gli sarebbero serviti per accompagnare Cody al check-in, - Tua madre è solo una copertura!
Cody si mordicchiò un labbro.
- Sai benissimo cosa intendevo. – sbottò. – E dì al tuo fidanzato di non speculare sul mio stato familiare… è già abbastanza frustrante sapere che in genere mio padre lo accoppiano con te.
Stef si lasciò andare ad una risata di cuore, spegnendo la macchina ed uscendone fuori con la solita andatura sciolta della pertica alta più di due metri ma incredibilmente snodata che era. Cody, invece, faticò un po’ a liberarsi dalla cintura di sicurezza, recuperare lo zainetto rosso incastrato fra le gambe ed uscire dall’abitacolo. Ci mise tanto, probabilmente, anche perché in realtà di uscire non aveva alcuna voglia.
- Almeno poteva degnarsi di accompagnarmi lui. – commentò, avviandosi al fianco di Stefan verso l’entrata dell’aeroporto. Nella sua voce c’era una nota di rammarico che Stef non poté evitare di notare, ed alla quale rispose con un’amichevole pacca sulla spalla, chinandosi a recuperare l’enorme valigia del ragazzino dal portabagagli e sussurrando un blando “Sai che doveva lavorare” che, peraltro, per quanto fosse debole come scusa, rappresentava anche la candida verità.
Heathrow era la solita accozzaglia di volti, lingue e destinazioni. Anche ad essere pronti e ben disposti nei confronti di un viaggio transatlantico, non lo si sarebbe comunque trovato un posto rassicurante.
Cody si strinse all’uomo che lo affiancava, ricominciando a mordersi impietosamente il labbro inferiore e prendendo a torturarsi le dita come per porre l’accento sul proprio travaglio interiore. Stefan sorrise bonario e gli schiaffeggiò debolmente una mano.
- Non ti distruggere, o tuo padre è capacissimo di farti ricoverare in ospedale per un intervento di ricostruzione.
- Certo. – sputò Cody, astioso, - Gli interessano solo le cose importanti per lui. Quelle importanti per me non hanno alcun significato.
- Dio, Cody, perché non puoi essere come tutti i normali adolescenti della tua età? Stai andando in America! Per un mese!
- Sto andando a pelare patate in Ohio per un mese!!! – corresse il ragazzo, sedendosi sulla propria valigia in un evidente attestato di stizza.
- Da come la metti tu sembra una punizione.
- Prova a metterla in un modo in cui non lo sembri. – lo sfidò, senza neanche guardarlo. – Non capisco, sul serio. Quello non è mai stato costretto a fare cose simili. S’è goduto l’infanzia, l’adolescenza e pure la giovinezza. – continuò con una smorfia di disappunto, - Anzi, non mi risulta abbia mai smesso di godersela, in realtà. Ha fatto sempre quel cazzo che voleva, e-
- Rospetto… - lo apostrofò dolcemente Stefan, scompigliandogli i capelli e rendendo del tutto vano l’elastico che li reggeva, al punto che Cody, infastidito, si scostò e prese a pettinarsi velocemente con le dita, per ricomporre il codino, - Guarda che tuo padre, per fare quel cazzo che voleva, per poco ci lasciava la pelle.
- Ma tu guarda che sfiga. – commentò acido lui. Poi abbassò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. – È un ipocrita.
Stefan ripensò alla discussione che aveva avuto con Brian qualche giorno prima. A quanto l’avesse visto preoccupato da come il suo adorato figlio unico passasse le sue giornate chiuso in casa, privo di un qualsiasi stimolo esterno, rintanato in camera propria nei momenti peggiori, appiccicato al pianoforte e del tutto sordo ad ogni richiamo in quelli migliori, e di come avesse notato negli occhi del proprio migliore amico una traccia di smarrimento talmente evidente che proprio non aveva potuto fare a meno di proporre quella soluzione strampalata.
“C’è un amico di Vin che ha una fattoria nel nord-America… forse, passare un po’ di tempo a contatto con la natura gli farebbe bene”.
L’aveva detto perché era certo di tutta una serie di cose.
Prima di tutto, che Brian al solo sentire una cosa simile, di fronte alla reale possibilità di privarsi della propria ragione di vita per un mese intero, avrebbe immediatamente rinunciato all’idea, finendo per tranquillizzarsi di riflesso.
Secondo poi, che Helena non avrebbe mai accettato quel trasferimento, per motivi identici e probabilmente ancora più potenti di quelli che avrebbero dovuto muovere Brian.
Infine, che entrambi si rendessero conto, con quella soluzione eccessiva e paradossale, che in realtà Cody non aveva niente di sbagliato e sarebbe bastato aspettare un po’ per vederlo andare in giro nottetempo con un mucchio di amici ubriachi – ed allora che sarebbero stati dolori.
Ciò che l’aveva stupito, invece, era stata la facilità disarmante con cui sia Helena che Brian avevano accettato la sua proposta senza battere ciglio.
Questo gli aveva dato da pensare.
In fondo, lui non viveva in quella casa. Non poteva sapere esattamente in che modo si comportasse Cody.
Forse, le sue supposizioni erano troppo ingenue. Probabilmente, sia Helena che Brian sentivano quel problema più profondamente di quanto non potesse lui. Magari, addirittura, una soluzione che per lui era sembrata assurda, per loro invece era del tutto razionale, una specie di manna dal cielo.
Era stato questo sospetto a convincerlo della necessità di chiedere a Vincent di prendere contatto con quel suo amico, per organizzare il tutto.
La cosa, ovviamente, s’era rivoltata contro di lui, ma di questo non aveva mai dubitato: a Brian non era sembrato vero di poter obbligare il figlio ad una cosa simile, liberandosi allo stesso tempo di una parte delle responsabilità aggiungendo al proprio discorso un semplice “Stef ci ha consigliato”.
Sospirò, porgendo una mano a Cody per aiutarlo a rimettersi in piedi.
In fondo, quello era il mestiere ingrato del padrino.
- Sta solo cercando di evitare tu compia i suoi stessi errori. – disse, indirizzandolo verso la fila del check-in con una pacca sulla schiena.
Cody si lasciò andare ad una risata di scherno.
- È proprio vero che le colpe dei padri ricadono sui figli.
*
Matthew Bellamy avrebbe avuto bisogno di più mani rispetto a quelle che si ritrovava, per fare il conto preciso di tutti i motivi per i quali riteneva giusto e doveroso dare una raddrizzata al proprio omonimo figlio.
Uno di quei motivi era proprio lì, davanti ai suoi occhi, in quel momento.
Dalla porta, Matthew James Junior Bellamy lo fissava con aria profondamente scazzata, le braccia abbandonate lungo i fianchi e uno sbadiglio sfacciato nascente a tremare sulle labbra.
- Cosa hai combinato?! – si decise a sbottare Matthew, allargando le braccia ai lati del corpo, mentre Gaia, sua moglie, accorreva dalla cucina e si pressava una mano sulle labbra per evitare di erompere nell’urletto stridulo che il modo in cui suo figlio era conciato avrebbe sicuramente giustificato.
- Ti riferisci a…? – domandò Matthew Junior, con aria da sbruffone, appendendo una mano ad un fianco.
- Mi riferisco a quest’acconciatura e all’ennesimo piercing nuovo!
Suo figlio rise sonoramente, facendosi strada in casa spintonandolo con malagrazia. Il fatto fosse effettivamente più robusto e più alto di lui gli permetteva questo ed altro, in fondo. Sapeva che non avrebbero dovuto dargli da bere latte e cacao, quand’era piccolo!
- Tu – disse il ragazzo, sottolineando quel pronome con una dose di disgusto tale che Matthew ne ebbe paura, - sei proprio l’ultima persona al mondo a poter sindacare sulle acconciature altrui. – commentò, dirigendosi con nonchalance verso le scale, per salire al piano di sopra.
- Oh, senti, io i colori me li sono passati tutti, ma la cresta biondo platino proprio non sta né in cielo né in terra! – puntualizzò l’uomo, rincorrendolo fino alla base delle scale, - E quel coso al naso? A quanti siamo, quattro? Ti danno un premio se raggiungi i cinque?
- Il premio dei cinque l’ho già ritirato, mi avvio verso quello dei dieci. – ghignò il ragazzo, sfilandosi dalle braccia la giacca sdrucita che indossava e mostrando a coprire la pelle una maglia strappata in più punti che, di coprente, non aveva proprio nulla. – E questo è il sesto, comunque. Dobbiamo rifare l’appello?
- Ragazzino, bada a come parli, o-… Matthew! Torna subito qui!
- Jay, papà, Cristo santo! – sbottò lui, fermandosi a metà della rampa, appositamente per voltarsi a guardarlo con rabbia, - Quante cazzo di volte dovrò ancora dirtelo? Mi chiamo Jay!
- Tu ti chiami Matthew Bellamy, e non sarà certo lo stupido soprannome che ti hanno affibbiato quegli idioti che frequenti a farmi cambiare idea in proposito!
Jay roteò gli occhi, riprendendo a salire le scale senza più voltarsi indietro. Matthew continuò a strillargli addosso ancora per qualche minuto, prima di arrendersi al fatto che non l’avrebbe più ascoltato. Quando lo capì, si passò una mano fra i capelli, abbassando lo sguardo e sospirando pesantemente.
- Dovresti cominciare a chiamarlo Jay, sai? – suggerì Gaia, avvicinandoglisi con cautela ed intrecciando dolcemente le dita con le sue, - Non è un sacrificio enorme.
- Il sacrificio enorme è tollerarlo, Gaia. Dio, ma lo vedi?! Non ha rispetto di niente e di nessuno, fa solo quello che vuole, non studia, sarà sicuramente bocciato, non intende andare all’università-
- …e ti senti in grado di rimproverarlo tu, che non hai neanche concluso il liceo? – ridacchiò sua moglie, dandogli un buffetto su una guancia.
- Be’, tu che potresti non gli dici una parola! – fece notare lui, - Qualcuno dovrà pur rimproverarlo!
- Oh, avanti! – sbottò lei, roteando gli occhi e voltandogli le spalle per tornare in cucina, esattamente come aveva fatto suo figlio poco prima, - Ha appena compiuto sedici anni, è nel bel mezzo del suo periodo di ribellione… come fai a non ricordare il tuo?
- Io avevo qualcosa di serio contro cui ribellarmi! – strillò Matthew, afferrando al volo il coltello che Gaia gli aveva lanciato ed utilizzandolo immediatamente per tagliare a cubetti il pomodoro che aveva trovato sul tagliere, - Mio padre mi aveva mollato a sette anni, avevo un fratello stronzo che mi portava in giro come un fenomeno da baraccone, mia madre era una svampita come poche ed io ero uno sfigato colossale! La mia vita faceva schifo!
- Be’, la mia no. – commentò Gaia, scrollando le spalle e scolando la lattuga nel lavandino, - Ma mi vestivo comunque come Madonna e andavo comunque in giro a combinare casini.
Matthew si mordicchiò l’interno di una guancia, raccogliendo i pezzetti di pomodoro sul palmo della mano e rovesciandoli nell’insalatiera fiorata dove Gaia stava provvedendo a sminuzzare delle carote.
- Non sono tanto i piercing e le tinture che mi preoccupano, tesoro… - rifletté, passando a sciacquarsi le mani sotto il rubinetto, - È che è viziato da morire. Non capisco come abbiamo fatto a lasciarcelo sfuggire così di mano! – si chinò sul frigorifero, recuperando una bottiglia d’acqua ed una di coca cola e posandole sul tavolo, - Sul serio. È pigro e fa solo quello che gli dice la testa. È un totale irresponsabile. Io la scuola l’ho mollata, sì, ma perché avevo già in mano un EP ed un contratto con la Dangerous. Lui che ha, eh? Appena si avvicina ad uno strumento fa danni senza neanche toccarlo, ed è stonato come una campana! – richiuse il frigo con violenza, afferrando le due bottiglie sotto le ascelle e dirigendosi a passo spedito verso la sala da pranzo, - L’unica cosa che gli interessa è andare in giro a farsi figo con quell’altro gruppo di pseudo-punk dei suoi compagni di classe!
Gaia sospirò, ridacchiando a bassa voce dell’agitazione del marito. Terminò di preparare e condire l’insalata e poi lo raggiunse in sala da pranzo, portando con sé l’insalatiera che lui provvide immediatamente a toglierle dalle braccia per liberarla del peso.
- Non faticare troppo! – le disse premuroso, - Finisco io di preparare.
- Non fare il cretino, sono solo al secondo mese. – borbottò lei, spintonandolo fino alla sedia ed obbligandolo a sedersi. – Comunque, ascoltami. Hai ragione, quando dici che Jay sta un po’ esagerando. – si interruppe un attimo, giusto per osservare divertita Matthew annuire con foga, e poi riprese. – Sai, il cognato del cugino del fratello di Sveva, ti ricordi Sveva, vero? Ci frequentavamo un sacco, quando stavamo in Italia! Comunque, questo tipo ha una fattoria. Da qualche parte negli Stati Uniti d’America. Potremmo mandarlo un po’ lì, ti pare? Faticare potrà fargli solo bene, e chissà, magari trova la vocazione della sua vita.
Matthew la guardò, luccicando d’ammirazione.
- In momenti come questo mi ricordo perché ti amo!
- La cosa indecente è che tu possa scordarlo! – commentò lei con una smorfietta falsamente offesa, mentre lui si rimetteva in piedi e la stringeva fra le braccia.
- È fantastico. – concluse infine Matthew, dirigendosi di gran corsa verso le scale, - Chiama questa Svezia-
- Sveva, Matt!
- Quello che è! Chiamala e mettiti d’accordo con lei. Lo spiantato parte al massimo dopodomani. Tanto è in vacanza!
Gaia inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto.
- Matt, si può sapere dove stai andando? – gli chiese, osservandogli salire le scale due a due, - Mi sembra un po’ presto per ordinargli di preparare la valigia.
- Macché valigia e valigia! – sbottò lui, ormai in cima alla rampa, - Vado a sradicarlo dal letto per vedere se ci dà una mano a preparare la tavola!
Gaia ridacchiò, scuotendo rassegnata il capo. Quando cominciò a sentire le urla provenire dal piano di sopra, seppe che la battaglia era persa, e tornò in cucina per scolare la pasta.
*
Quando Cody Molko e Matthew James Junior Bellamy arrivarono al Cleveland Hopkins International Airport, capirono per quale motivo quella città fosse soprannominata “la metropoli della riserva occidentale”. Quella non era una città: era un’indecente accozzaglia di gente appartenente a qualsiasi razza e qualsiasi cultura. C’era una tale differenziazione che, più che un aeroporto, quella roba sembrava la sede del Parlamento Europeo… però all’americana.
In ogni caso, non era un luogo in cui fosse facile notarsi. Se poi neanche ti conoscevi…
Per questo motivo, i due ragazzi presero per la prima volta nota delle rispettive esistenze nel momento in cui si trovarono in un luogo meno affollato, più tranquillo e, soprattutto, più in movimento: il bus che, facendo il giro delle campagne circostanti, fuori dalla zona industriale, li avrebbe condotti al piccolo agglomerato rurale nel quale si trovava la fattoria di Jack Felton, che li avrebbe ospitati per tutto il mese successivo.
Naturalmente, nessuno dei due sapeva che si sarebbero trovati a condividere un solaio per tutta la durata della loro permanenza, né immaginavano minimamente cosa sarebbe successo dopo, ma si notarono.
Jay notò Cody perché sembrava l’unico essere vagamente coetaneo nel raggio di chilometri.
Cody, invece, notò Jay perché non notare quel tizio sembrava un’impresa impossibile. Alto, magro, con due occhi impossibilmente azzurri puntati nel niente di fronte a sé, quello strano ragazzo dall’aria tormentata stava letteralmente spalmato su due sedili, e si faceva aria con una mano, scostandosi di dosso con l’altra la maglia a rete che lo fasciava fino all’ombelico e sotto la quale si intravedeva un piercing al capezzolo sinistro, ascoltando distrattamente musica dal lettore mp3 che gli pendeva ozioso dal collo.
Rimase a fissarlo un po’ troppo a lungo, forse: perché alla fine lui se ne accorse, gli sollevò addosso quegli occhi incredibili, inarcando le sopracciglia con aria inquisitoria, e lo indicò con un cenno del capo. Cody sussultò e spostò lo sguardo sulla campagna sempre uguale – verde, gialla, verde, gialla – fuori dal finestrino. Sentiva il cuore battere ad un ritmo semplicemente indecente. Quella cosa non era normale.
Si riscosse soltanto quando sentì un lievissimo sbuffo d’aria al proprio fianco annunciargli orgogliosamente che qualcuno s’era seduto accanto a lui. Temeva anche di sapere chi.
Si voltò a guardare, ed i suoi timori trovarono immediatamente riscontro.
- Una ragazza carina come te non dovrebbe viaggiare da sola.
Ok. L’aveva preso per una ragazza. Ed il modo in cui stava insinuando potesse essere lui il “fortunato” che avrebbe potuto proteggerla era semplicemente disgustoso.
Ma quello era comunque un accento inglese. Non poteva ignorarlo!
- Da dove vieni? – chiese perciò, senza che la cosa avesse il benché minimo legame con quanto gli aveva detto lui.
Il ragazzo inarcò nuovamente le sopracciglia.
- Maschio? – chiese a propria volta, senza degnarsi di rispondere.
Cody annuì.
- Mi dispiace. – aggiunse senza nessun motivo valido. Non era neanche vero gli dispiacesse – cosa diavolo c’era da dispiacersi?!
L’altro ragazzo si lasciò andare ad una smorfia delusa, incrociando le braccia sul petto.
- Peccato. – borbottò, - Sembravi femmina.
Cody scrollò le spalle.
- Ognuno ha i suoi difetti. – buttò lì senza pensarci, e il tipo rise di gusto.
- Comunque, Inghilterra. – rispose finalmente, - Anche tu, no?
Cody annuì ancora, sorridendo brevemente.
- Londra. – precisò atono.
- Dai! – rise il biondo, battendosi una mano sulle ginocchia, - Anche io! Come ti chiami?
- Cody. – rispose lui, tendendo una mano che il tizio strinse con fin troppo calore. – Tu?
- Jay. – annunciò quello, una nota di orgoglio purissimo nella voce.
- …che razza di nome sarebbe? – ridacchiò lui, poco convinto.
Jay lo fissò, colmo di disappunto.
- Viene da JayJay. – spiegò.
- …che dovrebbe essere un nome più dignitoso?
Il biondo sbuffò, roteando gli occhi.
- Ho un nome da maggiordomo. – borbottò, - Anzi, da figlio di maggiordomo. Matthew James Junior. Perciò i miei amici hanno cominciato a chiamarmi JayJay, e poi semplicemente Jay.
Cody annuì comprensivo, invidiandolo pure un po’: se anche avesse avuto degli amici, nessuno gli avrebbe mai affibbiato un soprannome del genere. Lui non aveva un nome soprannominabile.
Cody era semplicemente un nome molto stupido. Non che fosse particolarmente brutto; era solo terribilmente inadatto ad accompagnare una persona per tutto l’intero corso della sua vita. Era carino per un bambino, grazioso per un adolescente, ridicolo per un ragazzo, imbarazzante per un adulto ed incredibile per un anziano. Praticamente, smetteva di essere utile a quindici anni. Lui ne aveva già diciotto, e suo padre non gli aveva mai permesso di cambiare nome – accidenti a lui e a quel suo stupido amico che aveva pensato bene di crepare in gioventù per poi condannare un povero innocente a portare quello stupidissimo nome.
L’unica sua fortuna era non avere neanche una persona che fosse così intima da sfotterlo per quella sua disgraziata condizione. Nessuno degli amici di suo padre si sarebbe mai permesso, ed i compagni di scuola potevano sfotterlo per così tanti altri motivi – il suo aspetto vagamente effeminato perché gracile e dai lineamenti dolci, il conservatorio, i concerti per vecchi bacucchi nel salotto di casa ogni sabato sera, i quaderni di Yugi-Oh che sua madre si ostinava a comprargli senza neanche guardare la copertina – che il suo nome passava decisamente in secondo piano.
- Tu hai un bel nome, comunque. – sentenziò a quel punto Jay, come avesse seguito il filo interiore dei suoi pensieri e si fosse preparato a smentirlo in quei pochi minuti, - È musicale.
- Oh. – ridacchiò lui, divertito, - E tu lavori per NME? Sei un esperto?
Anche Jay rise, o almeno sghignazzò, facendo ripartire l’i-pod da dove s’era interrotto, lasciando però un orecchio libero dalla cuffia, per poter continuare ad ascoltare lui.
- Io no, mio padre sì. – annuì, - Io sono un frana in campo musicale, però ho buongusto. E lì mi fermo.
- Ma dai, e tuo padre chi è? Magari lo conosco, sai, pure-
- Guarda, non mi va di parlarne. – lo interruppe lui, con una smorfia irritata, - Lo odio quello stronzo, è colpa sua se sono qui adesso.
- Ah, a chi lo dici. – annuì Cody, sbuffando pesantemente, - Vale lo stesso per me.
Jay rise ancora, offrendogli la cuffia libera.
- Pare che abbiamo un sacco di cose in comune. – commentò divertito, - Un po’ di Mozart?
Cody tese l’orecchio e, dall’auricolare che la mano di Jay – unghia mangiucchiate e smaltate di nero annesse – gli tendeva, sentì provenire la familiare Aria della Regina della Notte dal Flauto Magico. Lasciò scorrere incredulo lo sguardo sull’individuo che ancora gli sorrideva.
- E tu ascolteresti Mozart? – gli chiese, sbigottito.
- Te l’ho detto che ho buon gusto. – commentò supponente Jay, scrollando le spalle.
- Giurami che non stai cercando di fare colpo. – aggiunse malizioso, chinandosi impercettibilmente verso di lui.
Oddio, cosa diamine sto facendo?!
Jay sorrise con la sua stessa sfumatura di malizia divertita.
- Nah. Se avessi voluto fare colpo su un pianista, gli avrei dato da ascoltare Rachmaninov.
Cody sorrise apertamente e sinceramente – anche troppo – guardandolo con limpida ammirazione.
- Come hai fatto?
Jay sghignazzò.
- Le conosco bene le mani dei pianisti. – disse soltanto, ficcandogli l’auricolare nell’orecchio senza aspettare il suo permesso, - E adesso silenzio. – concluse.
E silenzio fu. Se non altro per omaggiare la melodia stupenda che passava dall’auricolare alle sue orecchie, rilassandolo e cullandolo in un abbraccio quasi paterno. Per la verità, non avrebbe saputo trovare un aggettivo si adattasse meglio al suo rapporto con Mozart, che non fosse proprio paterno.
Nonostante la sua entrata nel mondo della musica – nonché la sua iscrizione al conservatorio, ormai quasi decennale – fosse stata sostanzialmente una scelta obbligata impostagli da suo padre, lui non se n’era mai lamentato. A suo parere, suo padre faceva il mestiere più bello del mondo. Girava il mondo, ascoltava musica di ogni genere, la assimilava, la rielaborava, la faceva propria e poi ne produceva altra che riusciva ad essere allo stesso tempo nostalgica dei suoi ascolti e del tutto nuova rispetto ad essi.
Sì: suo padre aveva talento. Ed era per questo che, dopo aver smesso di comporre e cantare, era diventato un produttore.
Invece, in lui, il talento difettava del tutto. Sì, sapeva suonare il pianoforte, e sapeva suonarlo bene. Ma dipendeva più dall’eterno esercizio al quale si era sottoposto, che non da un vero e proprio talento di base. La sua, per certi versi, era la condizione più sfortunata di tutte: adorava la musica, adorava suonare ed avrebbe voluto riuscirci a livelli eccelsi. Purtroppo, per quel difetto di base, non ci sarebbe mai riuscito.
E non che suo padre non avesse cercato di stimolarlo in tal senso, peraltro: era stato tutto meno che un padre assente, nonostante i tour. Ed ogni volta che era a casa lo teneva con sé. Lo nutriva di musica. All’inizio di ogni genere e provenienza, ma quando aveva colto la sua spiccata preferenza per la musica classica aveva cominciato ad ingozzarlo letteralmente di opere e composizioni varie. Rachmaninov, ovviamente, su tutto.
Ma la vera passione di Cody era proprio Mozart. I compositori europei in generale, sì, quelli austriaci – Haydn, Strauss, Schubert! – in particolare, ma se avesse dovuto citare un nome, uno solo, che avesse per lui più significato di tutti gli altri, quel nome sarebbe stato Mozart.
Suo padre cercava di dargli tanto a livello culturale. E ci riusciva.
Riusciva a dargli molto poco, però, a livello affettivo.
Non che fosse esattamente una sua colpa, peraltro: Cody era sempre stato un bambino piuttosto timido, e suo padre non era noto per essere particolarmente esplicito con le proprie dimostrazioni d’affetto. A meno che stendersi in ginocchio di fronte al proprio bassista o baciarlo di fronte a mezzo mondo una cinquantina di volte nell’arco di vent’anni non fosse anch’essa considerabile una dimostrazione di vero affetto. Cody non ne era tanto sicuro. Tutt’altro: era fermamente convinto che le dichiarazioni d’amore di suo padre nei confronti di Stefan potessero essere trovate in tutt’altri tempi e modi – come ad esempio nei momenti in cui gli concedeva di decidere per la propria vita e per quella dei suoi cari, come aveva fatto in quell’occasione.
In compenso, Mozart lo faceva sentire amato. Amato davvero. Le Nozze di Figaro avevano scandito le sue giornate per mesi. S’addormentava fra le rassicuranti e dolcissime note dell’ultimo atto, quello che da sempre gli aveva messo in testa l’idea – sicuramente un po’ ingenua, ma tanto piacevole – che non ci fossero disastri o fraintendimenti ai quali non potesse essere posto rimedio.
Con quell’opera aveva un rapporto speciale, ma in realtà era un po’ con tutta la produzione del compositore che non poteva proprio fare a meno di sentirsi felice. Aveva sempre pensato Mozart componesse musica come volesse far sentire ad ogni singola persona in ascolto quanto quell’aria fosse stata appositamente pensata per lui. Per farlo sentire felice o triste o confuso o sollevato o divertito. Comunque per lui.
- Io ci sono cresciuto, con questa musica. – soffiò Jay quando l’aria si fu conclusa, spegnendo l’ipod e raccogliendone gli auricolari, prima di riporlo nel proprio tascapane.
- Sai che non si direbbe affatto? – ridacchiò lui, dondolando un po’ le gambe davanti a sé, nel tentativo di sgranchirle. Viaggiavano seduti ormai da quasi un’ora. – Sembri più il tipo che ascolta solo punk. O qualcosa di simile.
- Se dovessi andare in giro per come dettano i miei gusti musicali, sarei un improponibile miscuglio di moda settecentesca ed abbigliamento emo, credo. – rise apertamente lui, incrociando a propria volta le gambe sul sedile, incurante dell’enormità di spazio che occupavano, lunghe com’erano. – Trovare il broccato però non è così facile. – aggiunse poi, stringendosi nelle spalle, - Perciò dell’intenzione originale rimane solo la parte che riguarda l’emo, mi sa. – e rise ancora, tanto contagioso che Cody non poté proprio resistere all’idea di seguirlo.
- Comunque sia… - disse, voltandosi a guardare fuori ed adocchiando un’enorme distesa di campi coltivati e una figuretta abbronzata in salopette scamosciata che si agitava per farsi vedere dal limitare di un sentiero sterrato giallo di polvere, - mi ha fatto piacere di conoscerti, ma credo di essere arrivato. – lo informò, indicando la scena. – Mi hanno detto che avrei capito dove avrei dovuto scendere perché ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarmi. Dev’essere lui.
Jay lo guardò con un misto di curiosità, stupore ed incredulo divertimento negli occhi.
- …comincio a pensare che il nostro incontro non sia stato casuale, sai? – insinuò malizioso, - A me hanno praticamente detto le stesse cose. Condite da un “Se ti azzardi a ignorarlo e non scendere, giuro che ti faccio fuori con le mie mani”, anche, ma il significato era più o meno lo stesso.
Il bus si fermò proprio davanti all’uomo in salopette, che continuava ad agitarsi concitato. Cody e Jay scesero dal veicolo con aria un po’ confusa, avvicinandoglisi timorosi.
- Siete voi due? – chiese loro l’uomo, un po’ rude, squadrandoli poco convinto dall’alto in basso. – Sembrate piuttosto gracilini. – commentò. Poi lasciò scorrere lo sguardo attentamente, prima su Jay e poi su Cody, e su di lui esitò parecchio. – Tu sei sicuro di essere maschio? – aggiunse, inarcando le sopracciglia.
- L’ultima volta che ho controllato lo ero ancora. – rispose cupamente Cody, con una smorfia infastidita, tra le risate divertite di Jay.
Il tipo scrollò le spalle, evidentemente insoddisfatto.
- Be’, tu sarai di sicuro frocio, ma quantomeno non pari del tutto inutile. – borbottò, riferendosi a Jay. – Io mi chiamo Thomas Felton. Sono il fratello minore del proprietario e mi occupo delle stalle. Seguitemi, vi porto in fattoria.
Stavano già cominciando a muoversi dietro al tipo, trascinandosi appresso i bagagli, quando videro un’altra figuretta concitata correre verso di loro. A prima vista, somigliava perfino all’uomo che li aveva accolti: abbronzantissimo, seminudo e biondo da far paura. Non come Jay, il cui biondo platinato faceva sì paura, ma per altri motivi. I capelli del ragazzo ondeggiavano nel vento ed erano dorati come il grano.
Così perfettamente americani da dare il voltastomaco.
- Li accompagno io! – disse il ragazzo, fermandosi ansante davanti a loro e poggiando le mani sulle ginocchia, piegandosi lievemente per riprendere fiato, sorridendo comunque come se fino a quel momento avesse solo passeggiato.
Il signor Felton lo guardò con severità.
- Dovresti essere con le vacche! – lo rimproverò aspramente, dandogli una manata sulla nuca.
Il ragazzo rise divertito, massaggiando il punto che aveva ricevuto lo schiaffo, senza però dare particolare segno di essersi fatto veramente male.
- Le ho già riportate in stalla! – si giustificò il ragazzo, continuando a ridere allegramente, - Posso pure accompagnarli io dallo zio.
L’uomo scrollò le spalle e, senza dire altro, li lasciò lì, avviandosi velocemente verso la fattoria – che, in lontananza, si scorgeva appena all’orizzonte.
Quando Cody si voltò a guardare il ragazzo, vide che Jay l’aveva adocchiato già da un po’, e lo scrutava curiosamente, come avesse dovuto studiarlo. Inarcò le sopracciglia e, abbandonando la propria enorme valigia lì dove stava, si avvicinò a loro.
- Io sono Sebastian! – proruppe il ragazzo in salopette, salutandoli entrambi con un sorriso ed un ampio gesto del braccio, - Ho quindici anni!
“Quindici anni”, pensò Cody, rabbrividendo vistosamente, “E fisicamente ne dimostra venti. Mentalmente, magari, anche dodici”. Ciononostante, non poteva fare a meno di sentirsi considerevolmente in difetto nei confronti di quel ragazzotto incredibilmente semplice ed anche così a proprio agio, sempre sorridente malgrado le corse e i rimproveri e disposto ad aiutarli senza pensieri dopo aver portato le vacche dalla stalla al pascolo e viceversa.
Lui, probabilmente, sarebbe morto di stanchezza al primo passo fuori dal letto.
- Seguitemi. Mio zio può essere piuttosto severo, quando vuole.
Il ragazzo si voltò e prese alla svelta il sentiero che già suo padre aveva percorso, senza voltarsi indietro neanche una volta.
Jay non aveva ancora detto una parola.
Non disse niente neanche allora. Si limitò a recuperare da terra il proprio striminzitissimo e sbrindellatissimo zaino ed inseguire alla svelta il ragazzino in allontanamento, mentre Cody rimaneva immobile a boccheggiare, a qualche passo dalla propria valigia.
- Ehi! – si forzò infine a dire il ragazzo, richiamandolo e gesticolando animatamente, - Jay! Aspetta!
Il biondo si fermò di scatto, voltandosi a guardarlo ed inarcando un sopracciglio inquisitore.
- Cosa? – chiese con disinteresse, cercando di non perdere di vista il Sebastian in allontanamento senza però privare dell’attenzione che necessitava il Cody in statuaria disapprovazione della sua condotta. – Che hai?
Cody abbracciò idealmente il mondo che lo circondava, con un gesto stanco ed esasperato.
- Potresti anche aiutarmi, no? – borbottò, indicando espressamente la valigia con un cenno del capo.
Jay sollevò anche l’altro sopracciglio, guardandolo adesso con palese incredulità.
- Scusa l’impertinenza, - inquisì, avvicinandosi comunque alla valigia e caricandosela in spalla senza una lamentela di più, - ma se sapevi che non saresti riuscito a portarla, perché l’hai riempita tanto?
Cody si strinse nelle spalle e guardò altrove, imbarazzato.
- Confidavo nella bontà del genere umano. – buttò lì, mentre Jay ridacchiava divertito. – Comunque sia… - borbottò, con una sorta di infastidita curiosità, cercando di mostrarsi disinteressato, - com’è che fissavi a quel modo quel tipo? Hai preso per femmina pure lui?
Jay scoppiò a ridere, fronteggiandolo con spavalda sicurezza.
- Non che la cosa sia importante. – rispose tranquillo. – Per te lo è?
Preso alla sprovvista, Cody si strinse nelle spalle.
- …non credo… - biascicò, - Aspetta, cosa? Che a te piaccia lui o che ti piaccia un maschio in generale?
Il biondo lo fissò malizioso, strizzando le palpebre fino a rendere gli occhi due minuscole striscioline azzurre.
- Entrambe le cose. – disse infine, prima di voltarsi ed avviarsi nella direzione verso la quale Sebastian era già sparito, senza neanche attendere una risposta.
Meglio così: perché Cody una risposta proprio non ce l’aveva. E, sinceramente, non sperava nemmeno di trovarla tanto presto.
*
Jack Felton fu duro e rude e totalmente disinteressato, esattamente come si erano aspettati entrambi. Non appena li vide apparire sulla soglia di casa, per prima cosa mandò Sebastian e dar da mangiare alle mucche quasi prendendolo a calci e strillandogli di “togliersi quel sorriso cretino dalla faccia, se non voleva farsi spaccare tutti i denti”, e per seconda cosa li fissò con estrema disapprovazione, le braccia serrate sul petto, rigide come quelle di un cadavere, e sul volto un cipiglio disgustato.
- Mai che fare un favore a qualcuno si riveli conveniente per chi il favore lo fa. – lo ascoltarono commentare, con tanto disprezzo da farli sentire perfino in colpa, - Sia ben chiaro che non accetterò nessun capriccio o niente del genere. – li redarguì seriamente, agitando un dito davanti alle loro facce basite, - Questa fattoria è enorme, ma guadagnare un sacco di soldi implica per forza dei sacrifici. I lavoratori, qui, sono pochi ma buoni. Spero lo siate anche voi.
Cody aveva deglutito, terrorizzato, mentre perfino Jay, dall’alto della sua spregiudicata spavalderia, sembrava vagamente inquietato da quelle che erano, a tutti gli effetti, minacce pure piuttosto consistenti.
- Sono già le sette e mezza di sera. – continuò il fattore, impietoso, - Ciò significa che siete in ritardo per la cena ed in perfetto orario per andare a letto. Sebastian vi mostrerà la vostra stanza.
Sebastian era tornato dalla stanza, trotterellando allegro, proprio in quel momento, come se l’avesse effettivamente sentito, e li aveva scortati celermente fuori dalla casa, lungo un vialetto sterrato ed infine ad una specie di enorme capannone diroccato dall’aria drammaticamente fatiscente.
- Le nostre stanze sono qui…? – aveva esalato terrorizzato Cody, mentre Jay si guardava curiosamente intorno, sistemandosi meglio i bagagli sulle spalle.
- Qui ci sono gli alloggi della manodopera. – aveva risposto tranquillo il ragazzo, aprendo senza alcuna difficoltà l’enorme portone in legno massiccio che chiudeva l’edificio, - Sono già tutti occupati, ma sotto il tetto c’è un solaio vuoto. L’abbiamo organizzato per farci stare voi due.
Non ci volle molto per scoprire che ciò che Sebastian intendeva per “organizzato” era ciò che un qualsiasi altro essere umano pensante avrebbe inteso come “arrangiato in fretta e furia e senza neanche particolare sentimento”: il solaio era un ambiente rettangolare di media grandezza, che soffriva però delle privazioni spaziali imposte da un tetto spiovente che lo rendeva sempre più ristretto e meno vivibile man mano che ci si avvicinava all’unica finestra – che in realtà era un’apertura circolare nel legno che mostrava ancora segni di avere avuto, un tempo, del vetro a chiuderla. Vuoto in maniera quasi desolante, era “arredato” solo da un paio di sottilissimi materassini sdruciti, privi di lenzuola, e da una lurida catasta di qualcosa che sembrava proprio paglia, ammonticchiata in un angolo talmente in fondo alla stanza che sembrava perfino irraggiungibile.
- Be’, buonanotte! – augurò giovialmente Sebastian, prima di sparire, chiudendosi la porta alle spalle.
- …Dio. – borbottò Cody, guardandosi intorno con aria sconsolata, - Passerò la notte a contare le pulci!
- Attività noiosa e poco utile. – fece notare JayJay con una smorfia, appendendo una mano al passacintura dei jeans.
- Tanto sicuramente non riuscirò a dormire! – si giustificò lui, indicando lo stanzone con un vago gesto di entrambe le braccia, - Dio, che schifo! Non ci sono nemmeno lenzuola!
- Su, su… - sorrise conciliante Jay, lasciandosi ricadere con un tonfo sul proprio materassino e producendosi subito dopo in un vagito di dolore che stava a significare il materasso non fosse abbastanza gonfio da sostenere neanche il suo pur non eccessivo peso, - In fondo, è estate pure qua. – annuì, come a darsi ragione da solo, - Non sentiremo freddo.
Dopodiché, si sfilò la giacca di pelle, rimanendo con indosso solo quell’improponibile maglia a rete che considerava un indumento.
Rimise su la giacca neanche un minuto dopo.
- Oppure sì. – biascicò sconsolato, stringendosi nelle spalle e frizionandosi le braccia, cercando di riscaldarsi, - Dannazione, perché fa tanto freddo anche se siamo in agosto?!
Cody sospirò profondamente, sedendosi cauto sul proprio materasso ed allungandosi ad arpionare la valigia, per poi trascinarla fino a sé.
- Siamo piuttosto a nord e in aperta campagna… - illustrò, - Ovviamente la temperatura è più bassa. E stanotte sarà anche peggio. Meno male che ho portato una coperta… - esalò sollevato, aprendo il valigione e prendendo a rovistare all’interno.
- …perché ti sei portato dietro una coperta? – chiese giustamente Jay, sporgendosi nella sua direzione con aria curiosa.
Cody si strinse nelle spalle.
- Non si può mai sapere. – concluse, spiegando un enorme plaid multicolore e rispedendo la valigia nell’angolo da cui proveniva con un calcio.
A quel punto, sfilò la giacca e la appallottolò con cura, sistemandola sul materasso a mo’ di cuscino, e solo allora si sistemò la coperta addosso, lanciando di tanto in tanto occhiate incuriosite a JayJay, che per propria parte sembrava intenzionato a fare tutto meno che abbassarsi a chiedergli di dividerla. D’altro canto, però, lo stava pure fissando come se nella sua persona si fosse trovata la risposta a tutte le domande dell’universo, perciò Cody poteva ragionevolmente supporre in realtà la voglia di chiedergli quel dannato favore fosse piuttosto forte, dentro di lui.
Sospirò ancora, sollevando un lembo della coperta con aria allusiva.
- Se avvicini il tuo materasso, possiamo usarla in due.
Jay s’illuminò tutto come un’allegra lampadina, e scattò in ginocchio, strisciando energico verso di lui prima di lasciarsi ricadere disteso sul materasso, rintanarsi a propria volta sotto il plaid e gettare lontano la propria giacca.
- …dovresti tenerla, per-
- Nah, non sarebbe comoda, come cuscino. È dura. – considerò il biondo, senza neanche lasciargli finire la frase, - E poi la tua è abbastanza grande e morbida per entrambi.
Cody gli lanciò un’occhiata incerta. Aveva detto che avrebbero potuto dividere la coperta, mica che da quel momento in poi avrebbero condiviso l’intera esistenza. JayJay, però, non sembrava il tipo da stare lì a sottilizzare su queste questioni, perciò il moro si rassegnò a sospirare per l’ennesima volta e poggiare il capo sul cuscino improvvisato, per provare a dormire.
- Non vorrei esserti sembrato cretino, poco fa. – precisò Jay, bene intenzionato a non lasciare che quella giornata orrenda finalmente si concludesse, - Non è che non ti ho chiesto di dormire insieme per timidezza. Non sono granché timido.
- L’avevo sospettato.
Jay ridacchiò, affondando il gomito spigoloso nel piumino ed abbandonando il capo sul palmo della mano, per guardarlo dall’alto. A disagio, Cody tirò su la coperta fino al collo, come a volercisi nascondere sotto.
- È che pensavo tu non fossi molto abituato a cose simili.
- Diavolo, no che non sono abituato a cose simili! – sbottò il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, - Sono sperso da qualche parte in Nord-America, pelerò patate per tutto il prossimo mese rovinandomi per sempre le mani e sarò circondato solo da estranei fino a quando non potrò tornare a casa!
- Santo cielo, questa cosa delle patate da dove esce fuori?! – rise Jay, franando letteralmente al suo fianco, - Se ti turba così tanto, ti prometto che pelerò io la tua parte! Tanto, io ho ben poco da rovinare. – concluse, tirando fuori le braccia da sotto la coperta ed esponendo le mani alla luce della luna che filtrava attraverso i cocci di vetro ancora attaccati a ciò che restava della finestra.
Cody gli si avvicinò, scrutando silenziosamente la sagoma nettissima di quelle lunghe dita contro i pallidissimi raggi lunari.
- Guarda che le tue mani sono proprio belle. – commentò, - Hai delle belle dita. Affusolate ed aggraziate.
- Ed anche totalmente inutili! – aggiunse Jay, con l’ennesima risata, - Sono un disastro con qualsiasi strumento. Credo di essere stonato fin dentro al cervello! Ma comunque, - sbottò, fissandolo curioso, - non cambiare discorso. Non stavamo parlando delle mie mani. E quando ti ho chiesto se non fossi abituato a cose simili, non mi riferivo ai lavori di fatica!
- …ed a cosa?
Il sorriso di JayJay si fece più piccolo, ed anche vagamente più inquietante.
- Al dormire con qualcuno.
Cody distolse lo sguardo, mortalmente in imbarazzo. Cominciava a sospettare non dovesse esserci proprio modo di sottrarsi al fuoco incrociato delle sue domande.
- In… in che senso? – abbozzò, incapace di trovare sufficiente coraggio per fronteggiare i suoi occhi.
- Oh, in qualunque senso tu voglia. – spiegò Jay, scrollando lievemente le spalle, - Ce ne sono talmente tanti! – dopodichè ridacchiò, chinandosi più insistentemente verso di lui. – Però, se vuoi, sarò più esplicito: sei mai stato con qualcuno? Insieme, dico.
Se anche avesse ancora avuto dei dubbi, il modo sottile e insinuante in cui aveva calcato la voce su quella parola glieli avrebbe tolti tutti.
- No, credo… - borbottò quindi, giusto per rispondere qualcosa, - Almeno, non in senso stretto, ecco.
- Non esiste un senso stretto. – rise Jay, - Tutti i sensi sono stretti. Ed amplissimi. Per dire, io mi sono innamorato una volta sola, ma sono stato con un mucchio di persone. Ora, c’è chi mi direbbe “allora sei stato solo con chi hai amato” e chi, invece, mi direbbe “sei stato proprio con tutti quanti”. Io posso vederla come preferisco. E lo stesso vale per gli altri. – si sporse ancora un po’ verso di lui. Ormai erano talmente vicini che Cody poteva intuire la luce di quegli occhi assurdamente azzurri pure nel buio con il quale il loro cantuccio riparato dagli spifferi li proteggeva. – Tu come la vedi?
La vedo bellissima.
Dio, se la vedo bellissima.

- …no, credo di non essere stato mai con nessuno.
Jay rise ancora – il suono della sua risata era splendido. No, non c’era proprio neanche una possibilità che quel ragazzo potesse essere davvero stonato dentro – e gli si accucciò accanto, sistemando la coperta per entrambi.
- È un vero spreco. – commentò, - Dovresti decisamente trovarti una donna.
Cody inarcò le sopracciglia, cercando di riscuotersi dall’irreale torpore ammaliato in cui l’aveva gettato la vicinanza di Jay.
- Perché mi consigli una donna? – chiese, - Mi era sembrato di capire tu non facessi differenza fra i sessi.
- Non fare differenza, ora, andiamo. – borbottò lui in risposta, - È ovvio che delle differenze ci sono. Due uomini non sono geneticamente fatti per coesistere in una relazione romantica. – asserì, annuendo nuovamente in quel buffo modo che lo faceva sembrare in cerca d’approvazione continua prima di tutto da se stesso, - Due uomini possono pure scopare e trovarlo fantastico, ma l’amore…
Cody sbuffò. Stanco – e del tutto assurdamente offeso – si voltò su un fianco, dandogli la spalle.
- M’è venuto sonno. – si giustificò blandamente, - Buonanotte.
Jay si sollevò appena, scrutandolo curioso. Dio, si sentiva quegli occhi addosso, sulla schiena, oltre la felpa, fin sulla pelle. Era tremendo. Gli dava i brividi.
- Per quanto, se fossi tu… - sussurrò il biondo lentamente, chinandoglisi appena addosso, sfiorandogli un orecchio con le labbra. E poi si ritrasse, tornando a distendersi comodamente sul materassino. – Be’, buonanotte.
Dannazione.
Ed era andato lì per convincere suo padre di non essere gay, una volta per tutte!
Sarebbe stato dannatamente più difficile del previsto.
*
La prima settimana di lavoro passò sfiancante e noiosa come aveva previsto. Il tizio li mise davvero a pelare patate, altro che rispetto per le mani dei pianisti. JayJay fece il possibile per rendere il tutto meno pesante – nel senso che fisicamente dimezzò i suoi carichi di lavoro, prendendoli sulle proprie spalle – e la cosa lo fece sentire dannatamente in colpa, al punto che si sentì perfino in dovere di provare a riportare le cose alla normalità – una normalità in cui lui potesse lavorare esattamente quanto tutti gli altri esseri umani di sesso maschile e della sua età, senza per questo dover rantolare in un angolo come stesse per morire da un momento all’altro. Ogni volta che provava a riprendere parte di ciò che Jay gli aveva tolto di mano, però, si sentiva rispondere che “non era proprio il caso di fare complimenti”, e comunque lui era davvero abbastanza robusto e forte da lavorare per due. Il tutto, condito da un sorriso talmente splendente e sincero da mettere fuori uso perfino le più banali capacità di organizzazione mentale.
Inutile: quel ragazzo aveva su di lui effetti decisamente deleteri.
Molto più di quanto non fosse tollerabile, peraltro.
La riprova arrivò un pomeriggio a metà della seconda settimana. Avevano concluso il giro di mungitura delle vacche prima del previsto e si erano perciò buttati su una montagnola di pagliericcio abbandonata all’ingresso del fienile. Riparati dal sole all’ombra dell’enorme casolare, s’erano messi ad osservare il mondo circostante con aria annoiata, chiacchierando del più e del meno senza particolare interesse e cercando, in sostanza, di riprendere fiato dalle fatiche della giornata lavorativa.
Erano quasi le sette. Fra poco sarebbe toccato loro rimettersi in piedi e caracollare stancamente verso la casa padronale, per la distribuzione del rancio.
…il solo riuscire a pensare in quei termini metteva Cody in uno stato d’ansia difficilmente mitigabile: era sempre stato abituato a mangiare alle otto in punto, non ancora prima del tramonto. Ed in un salottino lindo ed ordinato, non alla mensa del padrone. Con una vera cena, non con una dannata minestra di rape.
Sospettava che, a quel punto, l’unico reale effetto di quella vacanza su di lui sarebbe stato un dimagrimento di proporzioni patologiche, in seguito al quale sua madre sarebbe probabilmente morta di crepacuore, visto che già di per sé lui non è che fosse granché robusto.
- La fattoria è molto tranquilla a quest’ora, vero? – disse JayJay, interrompendo il flusso del suoi pensieri e lanciando attorno a sé uno sguardo stranito, - È la prima volta che me ne rendo conto.
- Perché è la prima volta che riusciamo ad avere un momento di pausa. – commentò Cody, sospirando pesantemente, - Uuuh, guarda. – disse infine, ironico, - C’è la tua ragazza che viene da questa parte.
Jay inarcò le sopracciglia e poi gettò lo sguardo nella direzione che il cenno del capo di Cody gli indicava, ed i suoi occhi incontrarono Sebastian che, come al solito, trotterellava felice lungo il vialone.
- Che starà venendo a fare…?
La risposta arrivò da sola, pochi minuti dopo, quando il ragazzo si fermò a qualche metro da loro, su uno spiazzo di ciottoli rotondi e lucidi, e si chinò a cercare qualcosa fra i fili d’erba. Il qualcosa, venne poi scoperto, era un tubo. Uno di quelli che usavano per bagnare i germogli alla sera, prima di concludere la giornata lavorativa. Sebastian lo posò nuovamente per terra, in un punto in cui fosse visibile, poi si rimise dritto e sfibbiò i passanti della salopette, che ricadde a terra scivolando sul suo corpo nudo e bagnato di sudore.
Cody e Jay spalancarono gli occhi in un movimento simultaneo.
- Oddio… - bisbigliò il moro, portando una mano al viso, - Non dovremmo essere qui… - aggiunse, voltandosi a guardare timidamente il ragazzo che gli stava seduto accanto.
Lui si limitò a scrollare le spalle ed accomodarsi meglio sulla paglia, puntellandosi coi gomiti per evitare di scivolare verso le pendici della montagnola.
Frattanto, Sebastian aveva scalciato lontano la salopette e s’era nuovamente chinato a raccogliere il tubo, che poi aveva messo immediatamente in funzione e col quale aveva preso a lavarsi.
Dio santo…
Decisamente non avrebbero dovuto assistere a quella scena. Quel ragazzino aveva quindici anni! Quindici dannatissimi anni! Ed il movimento delle sue braccia mentre reggevano alto il tubo, la morbidezza dei suoi ricci che andavano stendendosi lungo il collo e le spalle sotto il peso dell’acqua, le gocce che scivolavano velocissime lungo le guance, il mento, il collo, giù verso i pettorali e gli addominali, che poi andavano a raccogliersi brevemente nel suo ombelico prima di diventare troppe per poter essere rette ancora, e che quindi scendevano verso punti che era più facile non guardare non nominare nemmeno pensare, che rimanevano imprigionate nella peluria biondissima del pube, che scivolavano lungo le anche ed i glutei, per poi scorrere ancora, divorando centimetri su centimetri di pelle delle cosce robuste e compatte, lungo i polpacci contratti e muscolosi, fino alle caviglie forti sporchissime di terra, per concludere la loro folle corsa sui piedi, enormi e sproporzionati rispetto alla sua altezza piuttosto modesta, che però denunciavano già la possibilità di farsi altissimo e fortissimo e grandissimo e bellissimo, Dio, Dio, Dio
Si obbligò prepotentemente a distogliere lo sguardo da quello spettacolo, piantandolo ansiosamente su JayJay, che per proprio conto invece sembrava del tutto intenzionato a goderselo fino alla fine. Non seppe nemmeno che fare, si limitò ad ansimare, sconvolto, quando vide il biondo leccarsi le labbra e morderle con forza, ed allora diventò quasi impossibile evitare di far scivolare lo sguardo più in basso, per assicurarsi che quella reazione nervosa non fosse dovuta proprio a quello, ed invece era esattamente a quello che si doveva, perché i jeans attillatissimi di Jay tiravano sull’inguine, e mostravano orgogliosamente qualcosa che Cody avrebbe preferito di sicuro non vedere.
- Jay… - annaspò, sconvolto, - È solo un ragazzino…!
Lui neanche lo guardò. Sollevò una mano e la poggiò neanche troppo gentilmente sulla sua faccia, in uno schiaffetto frontale che gli fece prudere fastidiosamente il naso e che poi si spostò lentissimo sulle sue labbra.
Il dorso della mano di Jay era morbido e lievemente umido di sudore.
Cody dovette perfino trattenere il respiro, per resistere alla tentazione di saggiarne il sapore.
La sua mano scese verso il mento e poi si lasciò ricadere sul petto, mentre Cody riprendeva a respirare e passava velocemente la lingua sulle labbra riarse dal caldo e dalla confusione e da Dio, tutto il resto.
La sua pelle era salata. Un po’ aspra. Il sapore di Jay era buonissimo.

- Cosa stai… - abbozzò, ma lui non lo degnò di nessuna risposta. L’unica cosa che fece fu scendere ancora, fino a sfiorarlo con la mano fra le gambe.
Malgrado i pantaloni dal tessuto pesante, Cody sentì quella pressione direttamente dov’era più pericolosa. Sulla propria eccitazione.
Non se n’era neanche accorto.
Scoppiò in un singhiozzo stupito ed impaurito quando Jay voltò la mano, toccandolo stavolta col palmo bene aperto, cominciando a muoversi lentamente verso l’alto e poi verso il basso.
Dio mio, cosa stiamo facendo?
Cosa mi sta facendo?
…cosa gli sto facendo?

Perché anche la sua mano s’era mossa. Indipendentemente dalla volontà che stava tentando senza successo di imporle.
Stai ferma. Torna a posto. Non farti coinvolgere.
Troppo tardi.

Quando Jay lasciò andare il primo di una lunga serie di sospiri soddisfatti, Cody chiuse gli occhi e si distese. La sensazione della mano di Jay fra le cosce era bellissima. Indescrivibile. Sporca e perversa e impossibile, e non avrebbe voluto lasciarla andare per nessuna ragione al mondo.
Sperò che Jay stesse provando le stesse cose. Sperò di essere abbastanza bravo, sperò di farlo godere nello stesso modo assurdo in cui stava godendo lui. Si rendeva anche conto di quanto assurda e pericolosa fosse la china che i suoi pensieri stavano discendendo, ma non riusciva veramente a dare importanza al dettaglio.
Le immagini di Sebastian continuavano a danzare perfino sotto le palpebre chiuse. Così come lo scrosciare dell’acqua ed i sospiri di JayJay che riempivano l’aria e si fondevano coi propri, in una melodia eccitante e perfetta. La migliore che avesse mai sentito.
*
Tutto ciò che aveva detto JayJay quando avevano finito, era stato “Sarà meglio saltare la cena in favore di una doccia”.
Cody aveva deglutito ed annuito confusamente, ancora tremante a causa dell’orgasmo. Non riusciva neanche a concepire come Jay fosse in grado di parlare, figurarsi ragionare, in un momento come quello. Si sentiva talmente scombussolato che aveva come l’impressione che, se avesse provato ad alzarsi e muovere qualche passo, sarebbe rovinato a terra dopo neanche due secondi.
Jay, invece, s’era alzato in piedi con un saltello soddisfatto ed aveva preso a camminare speditamente verso il casolare degli alloggi dei dipendenti. La doccia di quell’edificio doveva essere vuota, a quell’ora.
Cody aveva aspettato, disteso sulla montagnola di paglia, per una quantità di tempo imprecisata. Quando il sole era quasi scomparso all’orizzonte, finalmente, s’era sentito in grado di provare a rialzarsi e camminare. Aveva raggiunto il casolare – fortunatamente privo di JayJay – aveva fatto una doccia sbrigativa – inorridendo, ed anche giustificatamente, per lo stato dei pantaloni che avrebbe dovuto buttare, perché col cavolo che si sarebbe messo a lavarli – e poi s’era rintanato direttamente in solaio, arrotolandosi sotto la coperta e nascondendo il viso nel piumino, sperando di addormentarsi prima che JayJay tornasse.
L’unica cosa che voleva era evitare il dialogo con lui.
Con lui, come con tutto il resto del mondo.
Dio, partire era stato l’errore più grande che potesse fare. In assoluto.
Ovviamente, i suoi desideri non trovarono risposta alcuna, ed anzi, il destino si divertì a prenderlo in giro facendo entrare in solaio Jay proprio nel momento in cui lui si rivoltava sul materassino, in cerca di una posizione più comoda, rivelando così di essere perfettamente sveglio, ed anzi, ben lontano dall’addormentarsi. Ormai, il sonno sembrava solo una crudele utopia.
- Oh! – lo salutò il biondo, agitando un sandwich, - Me l’ha dato la signora Felton per te. Ha paura che tu stia male, visto che non ti sei fatto vedere per la cena.
Cody scosse il capo ed abbassò lo sguardo, imbarazzato.
- Non lo vuoi? – s’informò Jay, stupito, e lui rispose negando più decisamente e stringendo il piumino fra le mani. – Ok… - biascicò il biondo, - Lo mangio io, allora. Sono arrivato tardi ed il signor Felton mi ha mandato a letto senza cena.
Cody scrollò le spalle, socchiudendo gli occhi e rinunciando alla vana speranza di evitare il dialogo.
- Come mai sei arrivato tardi…? – chiese esitante, - Avevi abbastanza tempo…
- Sì, ma dopo la doccia sono andato a cercare Sebastian…
Cody si morse le labbra ed affondò le unghie con forza nel piumino, fino a sentir dolere le giunture delle dita.
Dio. Quella che gli pungeva fastidiosamente gli occhi in quel momento era gelosia. Inequivocabilmente.
…si conoscevano da una settimana! E per quanto avessero già fatto la maggior parte delle cose che in genere possono giustificare la gelosia nelle coppie – avevano dormito insieme, avevano condiviso i pasti, s’erano masturbati a vicenda, oddio! – loro non erano una coppia, perciò quell’insostenibile irritazione era del tutto ingiustificata.
Eppure c’era. E non poteva neanche ignorarla.
- Per fare che? – chiese, in uno slancio masochistico, cercando di fissare con interesse le crepe nelle assi del legno del pavimento.
Jay si lasciò ricadere sul materasso, fissandolo a lungo con aria curiosa. Le sopracciglia aggrottate e il piccolo broncio che gli increspava le labbra gli davano un’aria infantile e molto tenera. Dovette obbligarsi a non sorridere.
- Parlare. – disse infine il biondo, scrutandolo con attenzione, - Solo parlare. – precisò, - Gli ho chiesto di non rifarsi più la doccia all’aperto.
- Mh. – sbuffò, con un ghigno a metà fra l’ironico e l’irritato, - Non mi era parso che ti avesse dato tanto fastidio. – lo prese in giro.
Jay aggrottò ancora di più le sopracciglia, deluso.
- L’ho fatto per te. – gli rinfacciò, - Perché a te, invece, ha dato palesemente fastidio.
Cody sospirò, rilassando le spalle.
Quel ragazzo era veramente un caotico marasma di ovvietà. Sul serio, sembrava uscito fuori da un telefilm per adolescenti infoiate. Sensuale e sensibile e premuroso e intelligente e tutto il resto.
Sarebbe stato perfino disgustoso, se non fosse stato anche così… dannatamente…
- Quindi la prossima mossa che devo aspettarmi è che tu arrivi su un cavallo bianco a salvarmi da qualsiasi cosa mi metta a disagio? – soggiunse critico, fissandolo con scetticismo, - No, perché in quel caso faresti meglio ad assicurarti che il cavallo abbia le ali. Altrimenti come fai a riportarmi in Inghilterra?
JayJay si ritrasse neanche l’avesse punto con uno spillo.
- …perché cavolo ti stai comportando così?! – sbottò confuso, - Cos’è, ti fingi dolce e gentile fino a quando le persone non si fidano di te e poi le ripaghi prendendole a calci nelle palle?!
Sospirò, rilasciando lievemente la presa sul piumino e sistemandosi meglio sotto la coperta.
- Non è questo… - mormorò incerto, - È che… - deglutì, - quello che è successo oggi mi ha… un po’ confuso. – ammise, - Insomma, Sebastian ha quindici anni, e noi-
- Be’, io ne ho sedici. – commentò Jay, scrollando le spalle, - Non vedo cosa ci sia di male, siamo coetanei.
Cody aprì la bocca, la richiuse, cercò di respirare e non ci riuscì.
- …quanti anni hai? – boccheggiò, sporgendosi verso di lui con terrore.
- Sedici… - ripeté Jay, indietreggiando, vagamente spaventato dal suo sguardo invasato.
- …cazzo! – sbottò a quel punto Cody, saltando in piedi ed allontanandosi fino a che il soffitto glielo permise, - Cazzo!
- Ma che diavolo hai?! – strillò Jay, visibilmente infastidito, seguendolo nel movimento e rimanendo dritto sul materasso.
- Che diavolo ho?! Dio! – annaspò lui, prendendo a girare in tondo e ficcandosi nervosamente le mani fra i capelli, - Hai la minima idea di quanti anni abbia io?!
Jay scrollò le spalle, tirando a indovinare.
- Non saprei… quattordici? È per questo che sei sconvolto?
- …quattordici!!! – gridò lui a propria volta, sempre più stridulo, - Magari! Ne ho diciotto, cazzo, diciotto!
Il biondo spalancò gli occhi, fissandolo incredulo.
- Dici davvero? – chiese, a metà fra lo stupore e lo scetticismo.
- No, figurati! – ritorse lui, ormai ad un passo dall’isteria, - È solo che trovo molto divertente l’idea di poter essere accusato di pedofilia dalla maggior parte delle magistrature mondiali!
Jay inarcò le sopracciglia, tornando a sedersi in uno sbuffo di polvere.
- Adesso calmati. – consigliò pianamente, - Forza, torna qui. Nessuno ti accuserà di pedofilia.
- Oh, certo. – borbottò lui, tornando comunque a sedersi al suo fianco, - Questo migliora molto le cose. – piegò le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e stringendosi con disperazione la testa fra le mani, - Diosanto, non posso crederci…
- Avanti! – lo incoraggiò Jay con una breve pacca sulla spalla, - Abbiamo solo passato il pomeriggio in maniera piacevole…
- Questo è un modo di metterla. – mugugnò Cody, tornando a guardarlo, - Un altro modo, invece, è che abbiamo passato il pomeriggio spiando un minorenne nudo. Ed io, in particolare, poi mi sono pure fatto masturbare da un altro minorenne!
- Vestito.
- …questo sicuramente convincerà qualsiasi giuria della mia innocenza!
- Ma piantala! – rise Jay, dandogli uno spintone, - Anche io mi sono fatto masturbare da un maggiorenne!
- Sì, ma questo non è un reato! No, aspetta. Io sono il maggiorenne che ti ha masturbato, quindi per me è comunque un reato!
- Ma uffa! – sbottò lui, roteando gli occhi, - Come sei pignolo! Guarda che non è dispiaciuto a nessuno. Io, almeno, di sicuro non ho alcuna intenzione di denunciarti. E per quanto riguarda Sebastian, credo che lui non se ne sia nemmeno accorto…
- Il che vuol dire semplicemente che dovrò convivere per sempre con il fantasma della mia silenziosa colpa. – biascicò ancora lui, tornando a nascondere il viso fra le braccia.
Al suo fianco, Jay ridacchiò ancora e gli si arrotolò addosso, cercando di consolarlo con qualche sbrigativa carezza sulle spalle.
- Avrei dovuto capirlo prima che avevi diciott’anni. – sussurrò, direttamente al suo orecchio, - In effetti parli proprio da diciottenne.
- Non mi è utile che continui a rinfacciarmelo… - si lamentò lui, con un mugolio di puro dolore. Jay rise ancora, stringendolo più teneramente.
…avrebbe dovuto provare a trovare un altro modo, per consolarlo! Perché quello decisamente non serviva!
- Dai, dai. – sussurrò il biondo, oscillando avanti e indietro come volesse cullarlo, - Se le cose si mettono male, scappiamo in North Dakota e ci mettiamo a coltivare cereali. Tutti coltivano cereali in North Dakota!
Cody non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una risatina nervosa e contratta, per quanto intimamente divertita, poggiando il capo nell’incavo della spalla di JayJay. Era così forte e muscolosa che non sembrava davvero potesse essere più piccolo di lui. Per certi versi lo inquietava, e per altri lo faceva sentire così al sicuro e tranquillo che quasi non gl’interessavano più, quei due anni di differenza.
- Una fattoria non voglio più vederla neanche da lontano… - mugugnò cupamente, lasciandosi cullare dal morbido dondolio del suo abbraccio, - In questo momento, voglio solo tornare il prima possibile alla civiltà.
- Mancano solo altre tre settimane… - lo redarguì il biondo, - Possiamo sopravvivere!
- Se saranno come quella che è appena finita, ho i miei dubbi! – sbuffò lui.
Ma stava respirando di nuovo. Si sentiva meglio.
Cercò di muoversi delicatamente all’interno della stretta di JayJay, per trovare una posizione più comoda senza dargli l’idea che volesse separarsi da lui – perché proprio non voleva.
Lui capì l’antifona, e lo lasciò andare quel tanto che bastava perché riuscisse a distendersi. Dopodichè, torno a chiudersi attorno a lui, stendendosi al suo fianco e respirando lentamente fra i suoi capelli.
E quello era decisamente il momento migliore di tutto il viaggio, fino ad allora.
- Seriamente. – continuò a parlare Jay, lentamente, a bassa voce, come se gli stesse cantando una ninna nanna, - Pensa a come sarebbe bello. Addormentarsi ogni sera così, col canto dei grilli ed il fruscio delle canne nelle orecchie. – lo strinse ancora un po’. Cody sollevò le braccia e lo strinse a propria volta, nascondendo il viso sul suo petto. – Te la compro davvero, una fattoria. Tu ci vieni a gestirla con me?
Chiuse gli occhi ed annuì impercettibilmente. Jay rise piano e gli sfiorò la fronte con le labbra.
- Alla faccia dell’incongruenza genetica di due maschi in una relazione romantica! – aggiunse il biondo con un’altra risata divertita, stringendolo ancora un po’ a sé.
Cody catturò il trillo bassissimo della sua voce ed il tocco delicato della sua pelle e li trattenne fra i pensieri come tesori preziosi. Fino a quando non si addormentò.
*
Una settimana dopo, qualsiasi metodo miracoloso avesse usato JayJay per consolarlo sembrava lontano anni. E tutti gli effetti di quegli abbracci erano svaniti, disgregandosi come mattoni d’argilla, martellata dopo martellata, fino a lasciare solo il vuoto e un senso di smarrimento impossibile da spiegare come da cacciare via.
Era stanco. Disgustato.
Decisamente la vita di campagna non faceva per lui.
Jay aveva smesso di guardare Sebastian come fosse l’ottava meraviglia del mondo, ma ciò non aveva impedito a lui di continuare ad esserne irrazionalmente geloso, cosa che lo turbava molto più del necessario e molto più del sopportabile.
Comunque sia, le loro fatiche avevano dato i loro frutti: quella mattina, Jack Felton li aveva convocati nel suo “ufficio” – uno studiolo dall’aria decisamente agreste, spoglio e puzzolente d’aia – per informarli che s’erano comportati bene durante il periodo di prova, ed erano riusciti a guadagnarsi la sua fiducia.
Il premio? Occuparsi del porcile. Dopo aver portato a termine tutti gli altri compiti della giornata, ovviamente.
- …è un disastro.
Cody si guardò intorno con aria smarrita. I maiali, nelle loro cuccette, grufolavano felici, zampettando oziosamente dalla parete alla mangiatoia e viceversa. Sotto di loro, attraverso le griglie che li separavano dagli scarichi, gli avanzi del cibo si mescolavano agli escrementi e scolavano sul metallo, raccogliendosi in piccole pozze sul pavimento.
La puzza era insostenibile.
Jay scrollò le spalle.
- È un porcile. – disse, come se questo potesse servire a giustificare il tutto. Ed era in effetti così, ma…
- Quel tizio non può davvero obbligarci a pulire tutto questo! Che razza di gratifica sarebbe?!
Il biondo fece una smorfia e gettò uno sguardo al panorama, ridacchiando brevemente di fronte a due maiali che caracollavano fino ad un angolo per abbandonarsi lì e dormire.
- Mi sembra di aver visto un tubo, giusto qua fuori. – considerò, - Probabilmente Felton lo usa per pulire tutto più in fretta. Lo prendo e vedo se è così.
Cody annuì senza pensarci. Non stava veramente seguendo il discorso. Si chinò platealmente, cercando un centimetro pulito sulla ringhiera al quale appoggiarsi per non scivolare troppo verso il basso, e cercò di capire in che condizioni versassero quelle specie di depositi di letame che stazionavano sotto ogni maiale.
…be’, “pessime” poteva riassumere bene il concetto.
- Nel frattempo… - riprese Jay, - Tu prendi ‘sta pala e comincia a raccoglierne più che puoi in un punto solo. Sarà più facile. – e così dicendo si allungò su di lui, si appoggiò tranquillamente alla base della sua schiena e si sporse verso dei ganci appesi in alto sulla parete, dai quali tirò giù due vanghe, una delle quali finì fra le braccia di Cody senza che lui nemmeno potesse effettivamente accorgersene.
- Mi… mi hai… - boccheggiò, sfiorandosi la schiena – il sedere, sarebbe stato più corretto dire – nello stesso punto in cui l’aveva toccato Jay.
- Non ricominciare con le paranoie, avanti, ormai abbiamo pure dormito insieme! Datti una mossa! – rispose il biondo senza ascoltarlo, dirigendosi celermente verso l’esterno del porcile, - Non possiamo mica restare qui tutta la notte! Io sono già esausto!
Quando lo vide uscire, stringendo la propria vanga fra le mani, Cody pensò che i vertici dell’economia mondiale avrebbero dovuto riunirsi e cominciare a pensare di utilizzare l’imbarazzo come fonte energetica: per conto proprio, si sentiva talmente agitato che se avesse avuto anche tre porcili da pulire, ciascuno contenente una o due tonnellate di letame in più di quello, non avrebbe avuto alcun problema a farlo.
Nel momento in cui Jay rientrò, tutta la sporcizia della stanza era stata accumulata in una montagnola di sterco proprio vicino alla porta sul retro. Cody la indicava con un ditino tremolante, ancora completamente rosso in viso.
- Ho finito! – disse, con fin troppa ansia, distogliendo lo sguardo.
Jay si avvicinò, guardando il tutto con aria soddisfatta.
- Bel lavoro! – si complimentò infine. E stavolta non si appoggiò. Il suo non fu un gesto accidentale, né una manovra obbligata. Gli schioccò una pacca sul sedere talmente forte e talmente convinta che il suono rimbombò echeggiando per tutto l’ambiente circostante.
- Ehi! – provò a protestare il ragazzo. Ma già Jay non lo ascoltava più: aveva azionato la pompa. E della montagnola, in pochi minuti, non rimase più niente. – Jay! – lo richiamò, ormai rosso fino alla punta delle orecchie, - Senti, dobbiamo parlare!
Lui fermò il getto d’acqua e si asciugò il sudore dalla fronte con un rapido gesto del braccio, sospirando stancamente.
- Di cosa, scusa? – chiese innocentemente, voltandosi a guardarlo.
Niente da fare. Restava comunque un ragazzino.
- Non lo so, dimmi tu! – borbottò inviperito, - Mi pare evidente che fra noi… - s’interruppe, cercando le parole. Ma che parole avrebbe dovuto usare?! Cosa poteva trovare, di adatto alla situazione che stavano vivendo? Siamo innamorati? Siamo attratti? Siamo due pazzi? - …c’è qualcosa! – concluse infine.
Ecco. Qualcosa si adattava bene.
Qualcosa non voleva dire niente.
A giudicare dal sorrisetto malizioso sulle labbra di Jay, però, qualcosa poteva anche dire tutto.
- …la tua espressione mi fa paura! – biascicò confusamente, indietreggiando di qualche passo.
Jay scoppiò a ridere.
- Certo che tu dai importanza a certe sciocchezze veramente assurde! – lo prese in giro, poggiandosi ad una ringhiera, mentre un maiale fraintendeva il suo gesto e si sporgeva verso di lui con un grufolo incuriosito.
- …che intendi? – borbottò lui, stringendosi nelle spalle come sulla difensiva.
- Le parole. L’età. Il sesso. – rispose Jay, fissandolo seriamente, - Le intenzioni. Le motivazioni. Le giustificazioni.
Pietrificato, Cody rimase immobile, mentre Jay si allontanava dalla ringhiera – con grande disappunto da parte del maiale deluso – e gli si avvicinava. Lento, ipnotico come una pantera.
Ricordava di aver visto quelle movenze sinuose e sensuali altrove.
Le ricordava benissimo.
Erano le stesse di suo padre durante i concerti. Le stesse che costringevano masse di migliaia di persone a seguire il suo movimento come stregate, senza riuscire a distogliere lo sguardo neanche per sbaglio. Gli stessi movimenti che costringevano tutti a cercarlo freneticamente oltre la folla, quando per caso accadeva che lo si perdesse di vista.
La stessa inconcepibile carica erotica. La stessa ineluttabile attrazione.
Si sollevava dalla pelle di Jay e si attaccava alla sua. Rendeva l’aria umida e irrespirabile, rendeva il pavimento molle ed instabile, rendeva il mondo confuso e sbiadito.
La realtà non è niente.
Non è vera la metà dei tuoi occhi.

- I fatti contano molto di più. – sussurrò Jay a voce bassissima, ormai giunto a pochi centimetri da lui. Il suo respiro gli s’infrangeva caldissimo contro le labbra, stordendolo. Non avrebbe potuto muovere un muscolo neanche volendo. E non era tanto sicuro di volerlo, dopotutto. – Se ti tocco, se ti accarezzo… - aggiunse, sollevando una mano a modellare il contorno del suo zigomo, scendendo poi lungo il collo ed appendendosi alla nuca, - …vale molto di più. – concluse, chinandosi a baciarlo.
Cody chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Cercò di convincersi di avergli dato un permesso, da qualche parte fra il momento in cui s’era presentato e quello in cui avevano capito che avrebbero passato insieme tutto il mese successivo.
Un permesso non c’era stato affatto. Jay s’era infilato nella sua vita con una disinvoltura perfino irritante, e senza chiedere il permesso a nessuno.
…ma non c’era davvero nulla di irritante. Non nelle sue labbra morbidissime contro le proprie. Non nella sua lingua calda e bagnata e lenta, che accarezzava sensuale la propria con impudenza, affondando fino a spaventarlo e poi ritraendosi per lasciarsi rincorrere. Non nelle sue mani, pesanti e bollenti eppure così lievi contro la pelle, quasi impalpabili, al punto che sentiva perfino il bisogno di coprirle con le proprie per assicurarsi che fossero proprio lì dove le sentiva, e che non si allontanassero troppo presto.
Anche se sospettava che non sarebbe stato mai abbastanza.
Quando Jay si separò da lui, infatti, Cody accompagnò l’indesiderata assenza di contatto con un mugolio insoddisfatto, al quale Jay rispose con una risatina intenerita, appoggiandosi a lui fronte contro fronte, senza allontanare le mani dal suo corpo.
- …Dio. – borbottò alla fine Cody, quando riuscì a sentirsi abbastanza sicuro di sé da poter sollevare gli occhi nei suoi, - Un porcile! Ti rendi conto?! Il mio primo bacio, in un porcile!
I maiali, come si sentissero chiamati in causa, grugnirono tutti insieme il loro democratico sdegno, e poi trovarono di meglio da fare.
Jay rise e lo allacciò al collo con un braccio, trascinandolo fuori da lì. Non chiese il permesso neanche allora.
Sarebbe proprio stato il caso di abituarsi.
*
- Sei sicuro che non vuoi che chiami mio padre? – chiese Cody con un mezzo singhiozzo, intrecciando le dita con le sue e cercando già confusamente il cellulare all’interno della tasca dei jeans.
- Nooo, dai! – rise JayJay, fermando la sua mano con la propria e lasciandogli un bacetto sulla fronte, - È giusto che torni a casa. Sei stanco, ed odi questo posto.
- Sì, ma non sono del tutto sicuro di potermi fidare. – borbottò lui, mettendo su un broncio irrimediabilmente tenero e scivolando con la fronte sul suo collo, fino alla spalla, - E se poi ricomincia a piacerti Sebastian?
- …non potrei mai separarlo dai suoi veri grandi amori.
- …sarebbero?
- Le mucche!
- …che schifo, Jay! – inorridì, dandogli un pizzicotto sul fianco, - È solo un ragazzino, evita di dire cose tanto disgustose!
Per tutta risposta, il biondo si limitò a ghignare divertito, massaggiandosi il fianco dolorante.
- E va bene. – sospirò alla fine Cody, - Vuol dire che cercherò di fidarmi di te. Tanto, comunque, la base per un buon rapporto è questa, no? La fiducia.
- Ecco. – annuì decisamente Jay, - Bravissimo. Rimani così per sempre, ti prego. – implorò, chinandosi a baciarlo.
- Sì, certo, ti piacerebbe! – rise lui, evitando le sue labbra, - Appena torni a Londra mi appiccico a te come una patella sullo scoglio, altrochè!
- Mmmh. – mugolò lui, cercando e trovando finalmente la sua bocca, - Quando comincerai a sentirmi lamentare della possibilità, potremo riparlarne.
- Sei un irrimediabile cretino. – rispose lui, mordendogli il labbro inferiore, - Ti ho già dato il mio numero di cellulare, comunque dammi anche la tua mail, okay? Così appena arrivo a casa comincio ad intasarti la posta di roba assolutamente inutile sulla quale pretenderò il suo illuminato parere.
Jay rise ancora, abbandonandosi contro di lui. Il piercing al naso gli solleticava la pelle del collo. Cody sorrise. Era una sensazione piacevolissima.
- D’accordo. – concesse il biondo, - Imparala a memoria, tanto è facile. Emme punto Bellamy… ed ora che hai?
La definizione medica sarebbe stata “crisi respiratoria”. In realtà, stava semplicemente ridendo al punto che non riusciva nemmeno ad immagazzinare l’aria sufficiente per mantenersi in vita.
- Oh, Cody? Mi devi morire qui? Non è il caso. – borbottò Jay, afferrandolo per le spalle, lievemente preoccupato.
- No… - ansimò lui, reggendoglisi addosso, aggrappandosi con forza al tessuto già rovinato della sua canottiera strappata ad arte, - È solo che è molto divertente, pensavo che a mio padre prenderà un infarto quando vi presenterò… per svariati motivi, primo fra tutti che spera ancora io sia eterosessuale… – spiegò, trattenendo a stento le risate, - ma anche perché vedi, lui conosceva un tipo con lo stesso cognome, e lo odiava furiosamente! Penso che morirà nel sapere che il suo unico pargolo sarà associato ad un Bellamy per un lungo periodo di tempo a venire!
- …oh. – prese nota Jay, inarcando incuriosito le sopracciglia, - Che strano, pensavo che il mio cognome non fosse poi tanto diffuso, in Inghilterra. Non è che poi – ridacchiò, - scopriamo che era proprio mio padre quello che tuo padre odiava?
- Be’, non lo so! – rise a propria volta Cody, stando allo scherzo, - Quello di cui parlo io era Matthew Bellamy, il cantante dei Muse… e adesso sei tu quello che ha qualcosa che non va. – concluse, fissando perplesso il volto di Jay diventare pallidissimo.
- …Matthew Bellamy… - annaspò lui, spalancando gli occhi, - il cantante dei Muse… è mio padre…
Anche Cody spalancò gli occhi, boccheggiando per qualche secondo ed annegando nella propria confusione mentale per un’enorme quantità di tempo, prima di decidersi a parlare.
- Io mi chiamo Cody Molko. – rivelò infine, incredulo al punto che non avrebbe saputo se mettersi a ridere o a piangere, - Sono il figlio di Brian Molko.
I due rimasero immobili a fronteggiarsi per un po’, incerti sul da farsi.
Poi, Jay scrollò le spalle e si lasciò andare ad un piccolo sorriso divertito.
- Sarà eccitante. – asserì infine, strizzando malizioso gli occhi, - Come Romeo e Giulietta.
Cody scoppiò a ridere, gettandogli le braccia al collo.
- Speriamo almeno in un altro tipo di finale!
Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: R.
AVVISI: Language, OC, What If?.
- "Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo."
Commento dell'autrice: Chi mi conosce lo sa: io vivo di gossip <3 Il pettegolezzo ha su di me effetti strepitosi <3 Per dire, mi porta al fangirling sconsiderato. E lo sappiamo tutti qual è la principale conseguenza del fangirling sconsiderato: la scrittura compulsiva, ovviamente!
È esattamente ciò che è successo con questa storia che, personalmente, amo alla follia, nonostante mi renda conto di quanto sia ideologicamente opinabile. Davvero, lo so! Ma quando, sulla community di SuckerLove.com ho letto di questa news (poi smentita) secondo la quale non solo i Placebo avevano trovato un nuovo batterista col quale stavano registrando il nuovo album, ma questo nuovo batterista era addirittura un ventenne!!!, ho cominciato a fantasticare furiosamente su quello che avrebbe potuto essere uno scenario plausibile nel quale questo dramma s’era consumato, ed è venuto fuori Andrew <3 Che, povero tato, è sì un coglioncello, ma non si merita tutto ciò che ha passato XD Soprattutto perché io l’ho amato fin dal primo momento çOç
Comunque. Io mi sono divertita troppo XD Anche se so che, concettualmente, è pure un tantino deprimente, come fanfiction. Voi cercate di non pensare a Steve T_T *piange* e vedrete che andrà tutto meglio >.<
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FROGSTORM

Alex entrò in ufficio con un enorme sorriso sulle labbra. Sembrava tanto soddisfatta del proprio operato che, malgrado la situazione fosse tutto meno che allegra, perfino Brian si sentì abbastanza fiducioso da sorridere a propria volta.
- Ho una splendida notizia! – annunciò la donna, prendendo posto sulla propria poltrona, dietro l’enorme scrivania in mogano lucido.
Brian ritirò le gambe sull’altra metà del divano tanto grande da sembrare vuoto nonostante lui ne occupasse almeno la metà, disteso e scomposto fra il bracciolo ed il cuscino com’era, e Stefan si accomodò sulla poltrona nell’angolo opposto, intrecciando le dita sul petto.
- Quindi? – chiese il frontman, inarcando curioso le sopracciglia.
Il sorriso della manager si fece più ampio.
- Possiamo scegliere noi il batterista! – esultò, socchiudendo gli occhi e stringendosi nelle spalle.
Il sorriso sul volto di Brian scomparve in un istante, mentre tornava a mettere istantaneamente i piedi a terra e si sporgeva in avanti verso la donna, come non potesse credere a ciò che aveva appena sentito. Stefan chinò il capo sul palmo aperto, sbuffando disapprovazione.
- Alex. – sibilò gelido Brian, stringendo la presa delle dita sul bracciolo con un movimento quasi isterico, - Ti ho mandata ad obbligare la produzione a concederci una proroga, te lo ricordi?
L’espressione della donna non subì la minima variazione.
- Certo che me lo ricordo, Brian. – disse zuccherina, spingendosi lentamente avanti e indietro sulle rotelle della poltrona, come stesse solo giocando, - Ma, come avevo ampiamente previsto, il direttore mi ha riso in faccia e mi ha sventolato il contratto sul naso, minacciando di strapparlo seduta stante. – si concesse un sospiro, rilassando le spalle e fermando anche il movimento cigolante della sedia, - Almeno sono riuscita a convincerlo a lasciare a noi la scelta del nuovo batterista. È un’enorme concessione.
Brian spalancò la bocca, pronto a strillarle addosso una qualsiasi cosa, anche solo per sfogare l’irritazione, ma Stefan lo fermò con un breve gesto della mano ed un sospiro incerto.
- Significa… - accennò il bassista, lanciando un’occhiata dubbiosa alla manager, - che dobbiamo cominciare ad organizzare i provini?
- Esatto. – annuì lei, - E raccogliere le cartacce che sicuramente tappezzano il pavimento di casa di Brian, per vedere se fra gli appunti emo che ha preso da quando Steve è andato via c’è qualcosa di vagamente utile per l’album nuovo.
- Questo è offensivo. – sbottò il frontman, mentre Stef si arrendeva all’evidenza per la quale era inutile cercare di salvare Alex da un litigio furioso con Brian, perché un litigio furioso era esattamente ciò che quei due volevano e stavano cercando da… mesi, ormai.
- No, questa è la verità. – scoccò Alex, secchissima, incrociando le braccia sul petto, - È probabile che la maggior parte delle cose che hai scritto sia del tutto cestinabile. Non te ne faccio una colpa, Brian, so che non sei abituato a lavorare così. Ciononostante, è tutto quello che abbiamo. D’altronde, - continuò, riflessiva, - penso che nessuno là fuori si aspetti che il prossimo album dei Placebo sia una pietra miliare della storia della musica. Sicuramente non se lo aspetta la critica, e molto probabilmente non se lo aspettano neppure i fan. – si interruppe e scrollò le spalle, sistemando con un gesto stanco i lunghi capelli ricci dietro le spalle, - Perciò, diamoci semplicemente da fare e vediamo cosa viene fuori.
Dal momento che difendersi avrebbe implicato il dover mentire, e dal momento che mentire necessitava di abbastanza presenza di spirito per orchestrare una storia verosimile e che, soprattutto, potesse reggere il peso dell’azzurrissimo sguardo indagatore di Alex, e dal momento, infine, che lui questa presenza di spirito non se la sentiva proprio, né addosso né dentro, Brian decise di tornare ad arricciarsi sul divano, ritirando le gambe sotto il sedere ed incassando la testa nelle spalle quasi fino a fare scomparire il collo, prendendo a fissare il vuoto con aria ostile.
- Oh, avanti. – borbottò Alex, sospirando, - Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Non potevi mica rimanere in eremitaggio per tutto il resto della tua vita! Un batterista nuovo vi serve.
- Se me l’avessi detto prima, - scattò il cantante, squadrandola astioso, - avrei accettato l’offerta di Dave ed avrei risolto così! La sola idea di mettermi a fare dei provini mi snerva a morte!
- Brian… - sospirò Stefan, massaggiandosi la fronte, - Dave Grohl palesemente ama te più della propria donna, perciò era ovvio che, vedendoti depresso com’eri, si offrisse di aiutarci con le registrazioni… ciononostante, quell’uomo ha più progetti collaterali in corso che capelli sulla testa, e, per inciso, di capelli sulla testa ne ha un mucchio, perciò-
- Perciò quando cominci a parlare così tanto è perché stai cercando di distrarmi. – sibilò Brian, spostando uno sguardo sempre più infuocato dalla manager al bassista, - Ora, siccome non sarà facile distrarmi dalla rabbia che sto provando, lascia perdere e pensa ad organizzare questa stronzata, perché, per inciso, tutto ciò che io farò sarà guardare i batteristi sfilarmi davanti agli occhi e dire che non ne voglio sapere niente.
- Il che sarebbe anche un vantaggio, - commentò Alex con sufficienza, - dal momento che nelle mie previsioni già ti vedevo insultarli tutti uno per uno consigliando loro di darsi all’ippica.
Brian rispose con una prevedibile imprecazione e scattò nuovamente in piedi, dirigendosi spedito verso la porta.
- Domani alle otto del mattino, Brian. – scoccò impietosa la manager, senza neanche osservarlo uscire dalla stanza, - Cerca di evitare di obbligarmi a venirti a prendere a casa.
*
D’accordo. Doveva ammettere di conoscere i Placebo solo per sentito dire. Doveva ammettere di essere venuto al provino solo per disperazione e senza neanche essersi adeguatamente preparato prima. Doveva ammettere pure che magari non era stata un’idea geniale, quella di partecipare solo perché sua madre l’aveva minacciato di buttarlo fuori a calci – lui e la batteria, ovviamente – se non avesse trovato un ingaggio serio entro la fine del mese. Sua madre era una donna impietosa, e soprattutto non aveva mai tollerato la scelta che aveva fatto, di abbandonare il college per mettersi a fare il batterista di una band che s’era sciolta prima ancora di arrivare ad una demo, ma nonostante questo probabilmente non era stata una buona idea seguire gli ordini e presentarsi senza pensarci meglio.
Ammetteva tutte le proprie colpe e se ne pentiva, davvero.
Ciononostante, lo sguardo astioso e scandalizzato con cui lo stava investendo Brian Molko in quel momento era del tutto offensivo e inappropriato.
- Io sono… - abbozzò incerto, prendendo posto sullo sgabello dietro la batteria.
- Lascia perdere. – scoccò secchissimo Molko, con un vago gesto di disinteresse, - Non ce ne facciamo niente, del tuo nome, se non ti assumiamo.
Spalancò gli occhi.
In che cazzo di posto era finito?
La bionda seduta al fianco di Brian – presumibilmente la manager, visto che l’unico altro essere umano presente in quella stanza era il bassista, di cui non sarebbe riuscito a ricordare il nome neanche se ne fosse andato della propria vita – non mostrò alcun segno di stupore per la sgarbata uscita del frontman.
Questo era preoccupante.
Stava palesemente a significare che, da quando i provini erano cominciati – ed era logico supporre fossero cominciati presto, visti i profondi segni di stanchezza sui volti dei tre – quello era stato un comportamento standard.
Erano le sei del pomeriggio.
Anche a voler essere cattivi ed ipotizzare avessero cominciato a lavorare verso le nove e mezza, si trattava comunque di più di otto ore di quella routine.
Deglutì e si strinse nelle spalle.
Aveva come la vaga impressione di non avere nulla a che fare col tipo di universo nel quale stava forzosamente cercando di intromettersi, e d’altronde gli pareva pure che i Placebo non avessero granché da spartire con i Children Of Bodom, coi quali, invece, si sentiva parecchio più affine, ma, fanculo al genere musicale, lui era un bravo batterista. Avrebbe fatto vedere a quel dannato arrogante cos’era in grado di fare, si sarebbe meritato quell’ingaggio, avrebbe guadagnato abbastanza da costringere sua madre a complimentarsi con lui e poi sarebbe uscito da quel disastro indenne, ed avrebbe potuto ricominciare a fare ciò che amava – cioè pestare felicemente la batteria – almeno per altri due o tre mesi.
- D’accordo. – borbottò, sistemandosi sullo sgabello e tirando fuori dalle tasche posteriori dei jeans le bacchette.
Di fronte lui, Brian ebbe un sussulto e strinse le labbra.
- …cosa c’è? – chiese, incerto. Ormai si aspettava qualsiasi tipo di imprevisto.
Brian si riprese subito.
- Nulla. – rispose gelido.
- Sei il primo che fa questa cosa con le bacchette. – intervenne a quel punto il bassista, sorridendo appena. La sua voce era dolce e morbida. Tremendamente rassicurante. – Gli altri che abbiamo visto hanno semplicemente usato quelle lì. – disse, indicando con un cenno del capo le anonime bacchette di plastica posate a fianco della cassa principale, - Il punto è che il nostro ex batterista prendeva le bacchette alla stessa maniera, e quindi ovviamente Brian è turbato. Tu scusalo, per questo e per tutto il resto, e vai avanti.
Si limitò ad annuire, vagamente confuso, mentre Molko sferrava un’occhiataccia tremenda alla volta del proprio bassista, e digrignava i denti.
Ok, non c’era nulla di cui dovesse avere paura. Se pure quella specie di nano carnivoro avesse provato a divorarlo, il gigante buono sarebbe stato dalla sua parte.
Si chinò distrattamente verso le bacchette per terra, poggiando le proprie sulla pelle del tamburo, e le prese fra le mani, rigirandosele fra le dita.
- Avete visto un mucchio di incompetenti, oggi. – borbottò, - Bacchette di plastica, bah. Io le mie me le porto sempre dietro. – sorrise, - Sono speciali. E non mi riferisco solo alla decorazione a spirale. – li informò orgoglioso, scaricando nuovamente le bacchette di plastica per terra, per riprendere le proprie e mostrare loro la lunga striscia di vernice blu che, partendo dalla punta lievemente arrotondata, raggiungeva l’estremità inferiore di entrambe le bacchette avvolgendosi attorno all’intera superficie. – Le ho richieste io, proprio così. Ho scelto la qualità del legno, disegnato la forma ed abbozzato la spirale. – sorrise lievemente, lasciando loro addosso un’istintiva ed affettuosa carezza, - Sono cose molto personali. Lo strumento del batterista non sono i tamburi, sono le bacchette.
Il bassista gli sorrise comprensivo, mentre Molko voltava altrove lo sguardo, intrecciando annoiato le braccia sul petto, e la manager annuiva interessata.
- Bene, allora. – disse proprio la donna, accavallando soddisfatta le gambe, - Facci vedere cosa sai fare.
Per far vedere loro ciò che sapeva fare veramente, tanto per cominciare avrebbe avuto bisogno di una batteria più completa, o almeno del doppio pedale, ma non era uno stupido: da ciò che sapeva dei Placebo aveva più o meno inquadrato il loro genere musicale – anche se, sinceramente, non riusciva a ricordare nemmeno un titolo delle due o tre canzoni che doveva comunque avere ascoltato. Non poteva certo uscirsene con un qualche ritmo pesantissimo che li avrebbe portati a fissarlo con disgusto e stabilire non fosse lui ciò di cui avevano bisogno. Doveva far vedere loro qualcosa di speciale, sì, ma senza esagerare.
Gli vennero in mente solo i Rush. O Baterista era una composizione convincente. Abbastanza complessa ma facilmente ascoltabile e, soprattutto, affatto presuntuosa.
Sì, sarebbe andato con quella.
Gli sguardi soddisfatti che riuscì ad intendere di sfuggita sui volti del bassista e della manager, mentre suonava, lo rassicurarono molto, in quel senso: aveva fatto la scelta giusta. Guardò Brian solo per un millisecondo fra un passaggio e l’altro, e vide né più né meno di ciò che si aspettava: un’espressione del tutto indifferente, un paio di braccia strette con palese irritazione su un petto talmente immobile che dava quasi l’impressione il suo possessore non avesse neanche bisogno di respirare per sopravvivere e due sopracciglia esageratamente inarcate a palesare un profondissimo quanto malcelato senso di disturbo che non poteva essere causato solo dal fatto che evidentemente lo sopportasse a stento, ma doveva avere dei motivi più profondi. Doveva partire da chissà quando. Essersi formato per chissà che cosa.
Niente da fare: sarebbero piovute rane, prima che quell’uomo si rassegnasse ad assumerlo.
Poteva anche prendere ed andarsene. Stava solo sprecando tempo.
Fu con una più che giustificata dose di sconfitta rassegnazione che, dopo aver terminato il proprio assolo, si abbatté contro il tamburo, in attesa della condanna.
Neanche i timidi applausi del bassista e della manager lo consolavano più: la loro posizione geografica – con Brian al centro, che pareva perfino più austero di un vecchio magnate di una qualche storica major – così come le loro espressioni incerte e la cura che mettevano nel non sbilanciarsi con i commenti, indicavano palesemente che non erano loro a comandare. E non solo: non comandavano e la loro opinione valeva pure poco.
- Bene. – concesse infine Brian, gelido e impietoso. – Bravo. Ma suppongo tu sappia che non stai facendo un provino per entrare in un gruppo prog. Perciò potevi anche evitare tutto questo sfoggio di presunzione, visto che vogliamo una batteria che serva la nostra musica, non che debba costringere la nostra musica a modificarsi per servire lei.
Serv…!
- Ehi, io non-
- Brian, per favore. – lo interruppe la bionda, voltandosi a guardare il cantante, - Cerca di contenerti. Stava solo cercando di fare buona impressione!
- È la mia band. – rimarcò Brian, fissandola con astio, senza il minimo filtro, - È sempre stato così, abbiamo sempre fatto la mia musica, e non ho intenzione di mettermi alle dipendenze del primo sbarbato di turno solo perché sa suonare i Rush e la cosa lo rende megalomane.
Lui spalancò gli occhi.
- Se avessi voluto vantarmi, avrei fatto ben altro, stronzo! – saltò in piedi, pestando con forza le bacchette sul tamburo, - Ed io che ho anche sprecato due preziosissimi minuti della mia vita a cercare di pensare a qualcosa che potesse farvi contenti! Vaffanculo, non so neanche che ci sto a fare, qui!
- In effetti me lo sto chiedendo anch’io. – ghignò crudele quell’orrore di nano malefico, accavallando oziosamente le gambe, - È evidente che non sei ciò che stiamo cercando.
- Perché è evidente che preferite avere delle merde qua dietro, piuttosto che uno con le palle che sappia dare una direzione alla musica! – s’infuriò lui, calciando con violenza le bacchette di plastica lontano da sé, - La batteria è l’anima del ritmo! Una batteria incerta o priva di personalità è del tutto inutile, anzi, toglie spirito alla musica! Se è questo, quello che volete, allora è ovvio che io non sono la persona più adatta!
Il ghigno di Brian non soffrì della minima incertezza. Si fece, anzi, perfino più ampio e soddisfatto.
- Non so per che tipo di zotici abbia suonato tu fino a questo momento, ma al mio paese non c’è nessuno strumento che regni sugli altri, come cavolo ti chiami.
- Mi chiamo-
- Non mi interessa. – proseguì lui, scuotendo il capo, - Non mi interessava all’inizio quando non sapevo ancora se ti avrei preso o meno, figurati se m’interessa adesso che so per certo che non ti prenderò.
Figlio di puttana!
- Sono io che non lavorerò per te neanche se m’implorerai in ginocchio!
- Perfetto, allora i nostri interessi coincidono. – sorrise più apertamente Brian, socchiudendo gli occhi ed inclinando il capo, - Perché vedi, gli strumenti lavorano assieme. Si chiama armonia per un motivo ben preciso. Non abbiamo bisogno di nessun invasato portatore sano di fanatismo.
- Brian, adesso smettila… - mormorò il bassista al suo fianco.
- Perché? – insistette lui, scrollando le spalle, - Sto mettendo i fatti per quelli che sono. È ovvio che è un fanatico della batteria.
- È lo strumento che suona, Brian, diavolo! – gli fece notare la manager, spalancando gli occhi, - Anche tu sei un fanatico delle chitarre! Ti prego!
Il cantante si limitò a roteare gli occhi e sospirare esasperato, come se nessuno in quella stanza fosse in grado di comprendere ciò che stava dicendo.
- Avevi detto che tutto ciò che avresti fatto sarebbe stato dire che non ti interessava niente. – bisbigliò ancora la donna, delusa, - Non dovevi fare ostruzionismo in questo modo.
- Perdonami se penso al bene della band.
- Ed è quello che stai facendo? – sibilò secco il bassista.
Brian neanche rispose.
Incerto, lui rimase fermo dietro la batteria, ad inumidirsi le labbra e stringere furiosamente le bacchette fra le dita.
Le alternative, a quel punto, erano due: lasciarsi sconfiggere da quella persona orrenda e tornare a casa nel disonore, pronto ad affrontare sua madre, oppure persistere, restare lì e… farsi sbranare sul serio, probabilmente.
Sospirò e tornò a sedersi sullo sgabello, allentando la presa sulle bacchette.
- Ok. – disse incerto, - Abbiamo cominciato col piede sbagliato. Mi dispiace. Mettetemi alla prova, chiedetemi di suonare ciò che volete. Vi assicuro che sono la persona adatta, ve lo giuro.
Suonava patetico. Suonava patetico ed era pure falso, cazzo, lui non stava sbagliando. Aveva fatto tutto per bene. Era quel bastardo che, evidentemente, un batterista non lo voleva proprio.
Sul volto del bassista si aprì un breve sorriso speranzoso, mentre la manager, dall’altro lato, scuoteva lentamente il capo, del tutto sfiduciata. Brian, nel mezzo, lo fissava senza pietà, altero e granitico.
- Bene. – sganciò lì, come una bomba, - Come vuoi. Accennami la batteria di Black Eyed.
…cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Ecco. Quel dannato principe sul pisello sarà pure stato uno stronzo, ma lui era e restava comunque il coglione che s’era presentato al provino senza neanche prepararsi prima. Certe cose si pagano. Si pagano sempre.
Merda.
Sua madre non faceva che ripeterglielo. Il mondo del lavoro – qualsiasi lavoro – è una giungla. O sei perfetto sotto ogni punto di vista o sei fuori. Perché se solo mostri una sbavatura, gli sciacalli che ti concedono di lavorare alle loro dipendenze cominceranno a pensare di poter trovare qualcosa di meglio. E dietro di te la lista è lunga. C’è solo da scegliere.
Cazzo. Cazzo. E cazzo.
- Io… - deglutì forzatamente, - ecco, non è che ce l’abbia molto presente, in questo momento…
Dio, non aveva neanche la più pallida idea di cosa fosse!
- Be’, dai, non è di un album recentissimo… - lo incoraggiò la manager, cercando di sorridere conciliante, - Perché non ci fai One Of A Kind?
Dio! Dio! Andava sempre peggio! Dannazione!
- Non è stato un singolo, magari non l’ha sentito. – biascicò a quel punto il bassista, nell’estremo tentativo di aiutarlo, - Avanti, fai Infra-Red e la chiudiamo qui.
Oh. Eccome se la chiuderemo.
- …non la conosci?
Non poté fare altro che abbassare lo sguardo e scuotere il capo. Ritornato indietro ai tempi del liceo, si sentiva colpevole come quando la McKinsey, la sua professoressa preferita, gli faceva scivolare sotto il naso il questionario di letteratura inglese e scuoteva angosciata il capo, come a dire “eccolo qui, il mio più grande tormento ed il mio più inglorioso fallimento!”.
Cavolo.
Era andato tutto storto.
- Adesso non fai più tanto il presuntuoso, eh? – scoccò la fastidiosissima voce acuta e nasale di quell’uomo intollerabile, - Adesso sono finiti i grandi discorsi, mh?
- Brian, non infierire… - mormorò il bassista, massaggiandosi la fronte.
- Non infierire?! – strepitò lui, furioso, - È lui che sta infierendo! Su quel poco di pazienza che mi è rimasta!
L’intera sala rimase silenziosa come fosse stata vuota, per molti minuti. Imbarazzato ed umiliato, lui non poté che rimanere immobile al proprio posto a fissarsi le punte delle Converse sdrucite, perfette per la testa di cazzo che era. Merda. Era proprio il prototipo perfetto del cazzone. Quel bastardo di Molko doveva averlo intuito subito, ecco tutto. Non sarebbe stato neanche difficile. Trovava addirittura incredibile l’essere riuscito a non sputtanarsi fino a quel momento! Aveva tenuto duro molto più di quanto non ci fosse da aspettarsi!
E adesso, a quello stronzo, aveva dato tutte le ragioni del mondo per continuare a insultarlo per sempre. E probabilmente aveva perso sul serio qualsiasi possibilità di essere assunto. E si sentiva addosso lo sguardo deluso di quel bassista di cui, accidenti, gli sarebbe pure piaciuto riuscire a ricordare il nome, così almeno avrebbe potuto ringraziarlo come meritava, visto che, per parte sua, s’era comportato molto meglio di quanto non dovesse.
- Benissimo. Me ne vado a casa. – disse lapidario Molko dopo un po’, - Tanto è palese che ormai questo coglione è ko. Alex, domani torni alla EMI e pretendi una proroga. Punto.
S’era alzato – aveva sentito la sedia strisciare piano contro il pavimento in marmo misto – ed aveva cominciato a camminare quietamente verso l’uscita – poteva sentire il lieve ticchettio dei tacchi bassi di quelle elegantissime scarpe lucide e nere che indossava – e lui non aveva potuto permetterglielo. Aveva sentito nel profondo che, malgrado tutti gli errori di cui doveva per forza farsi carico, non poteva fargliela passare liscia. Perché l’umiliazione gli bruciava troppo forte sotto la pelle, e pure sotto le ciglia. Pericolosamente.
Non aveva mai pensato di non essere più un ragazzino, in fondo.
Era un’altra cosa che sua madre gli ripeteva spesso. Sua madre, ma anche suo padre, che pure era un po’ più morbido, e perfino i suoi amici, che in teoria avrebbero dovuto essere in tutto e per tutto uguali a lui. Sei infantile. Non sei mai cresciuto. Sei ancora un bambino.
Aveva voglia di piangere, e non riusciva a non vergognarsene. Non riusciva neanche a farsela passare, però.
- Tu… - mormorò, alzandosi finalmente in piedi, - sei una merda. In queste condizioni non è possibile lavorare! Non puoi pretendere che uno si metta a lavorare per te, se lo obblighi a stare sotto pressione fin dal momento in cui ha la sfiga di passarti sotto agli occhi! – cercò di prendere un respiro. Non gli riuscì. Esalò un singhiozzo spaventoso e continuò semplicemente a urlare, - Dovresti… fanculo… chiuderti in una fottuta stanza senza porte e senza finestre e restare lì per sempre, tanto nel mondo civile non hai molte possibilità di essere veramente ascoltato, se ti comporti così! Almeno, se scomparissi e basta non costringeresti le persone a… a doverti per forza tollerare, o a scusarsi per te! – si interruppe ancora. Era sull’orlo delle lacrime. Era disgustoso. Dio!, doveva uscire immediatamente da quella stanza! – Non lo voglio, questo lavoro di merda! Tienitelo pure! Solo, ti conviene imparare a suonare sul serio, perché non troverai proprio nessuno che voglia farlo per te!
Uscì così. Senza salutare. Senza scusarsi. Senza neanche guardarsi indietro.
Improvvisamente, perfino tornare a casa a mani vuote sembrava un’alternativa plausibile.
*
Brian rimase a fissare la porta con le sopracciglia inarcate, come se non riuscisse proprio a capire cosa diavolo fosse preso a quel dannato ragazzino, per una quantità indefinibile di tempo.
Poi tornò semplicemente a sedersi, accavallando le gambe ed intrecciando le braccia.
- Certo, non gli si può dare torto. – commentò a quel punto Alex, sbuffando pesantemente.
- Prego? – scoccò lui, acidissimo, lanciandole un’occhiataccia cattiva.
- Mi hai capita perfettamente. – si limitò a notificare lei, senza neanche degnarsi di ricoprirlo del disappunto che avrebbe meritato, - L’hai trattato peggio di tutti gli altri.
- Probabilmente perché ha visto che era davvero bravo e correvamo davvero il rischio di assumerlo. – scoccò Stefan, sollevandosi in piedi come se il solo stare seduto accanto a Brian lo infastidisse.
- Prego?! – ripeté il cantante, sempre più incredulo.
- È bravo. – rimarcò lo svedese, stringendosi nelle spalle.
- Tu scherzi, forse! – strillò lui, alzandosi a propria volta, - Non sa le canzoni!
- Può sempre impararle.
- Ma soffre di gravi influenze metal, dai! Lo si sentiva chiaramente, anche se ha fatto di tutto per nasconderlo! Non capisco come faccia a piacerti!
- È palesemente un bravo ragazzo, Brian, nonché il migliore fra tutti quelli che abbiamo sentito oggi. Ecco come fa a piacermi. – concluse brevemente l’uomo, infilando le mani nelle tasche.
Brian sbuffò con manifesto fastidio e, dopo aver borbottato qualcosa sull’evidente incompetenza di chiunque lo circondasse nel raggio di cento chilometri, aveva ripreso a pestare i piedi verso la porta, con la chiara intenzione di uscire per non tornare mai più.
Stefan l’aveva afferrato per un braccio e riportato al suo posto con una facilità disarmante. Come fosse stato di carta.
- Non lo troverai un altro che suoni come Steve. – gli scoccò a bruciapelo, fissandolo negli occhi quasi con rabbia, - Un altro con cui far funzionare lo stesso tipo di chimica e la stessa perfetta sincronia, non lo troverai mai.
Brian cominciò a divincolarsi. Sul viso, lo stesso sguardo sconvolto di chi si sente oltraggiato fin nell’onore. Stefan lo trattenne immobile davanti a sé.
- Devi ficcartelo in testa. – insistette, duro e freddissimo esattamente com’era stato Brian fino a quel momento, - È rimasto tanto a lungo proprio per questo, per la chimica. Per il legame strettissimo che c’era fra tutti noi. Ma s’è infranto, Brian. Non c’è più un cazzo. Perciò piantala coi giochini da bambino tradito e datti una regolata. Non hai più quindici anni.
- Stefan-
- Soprattutto, io non sono disposto a tollerare oltre questo tuo atteggiamento. – continuò il bassista, senza lasciargli tempo di rispondere. – Sta a te decidere del futuro dei Placebo. Metti la testa a posto, o vado via anch’io e risolviamo così. Fine.
Brian spalancò gli occhi. Dietro di lui, Alex cercò di farsi invisibile, scomparendo nella gonfissima giacca in piuma d’oca che aveva già indossato.
Doveva essere la prima volta in più di dieci anni che Stefan si facesse sentire in quel modo.
- Mi stai minacciando…? – esalò appena il cantante, fissando sgomento il proprio bassista.
Lui, dal proprio canto, si limitò a sorridere.
- Sì. – rispose sbrigativo, lasciandolo finalmente andare.
Brian si massaggiò distrattamente il braccio, senza interrompere il contatto visivo con Stef – neanche avesse paura che dovesse d’improvviso svanire non appena l’avesse perso di vista.
Poi, d’improvviso, sospirò e puntellò le mani sui fianchi, sporgendo il bacino con aria infantile.
- Suppongo di dover cedere. – borbottò alla fine, seccatissimo, - Non posso mica mandare tutto a monte dopo aver faticato tanto.
Stefan inarcò le sopracciglia, fissandolo un po’ incredulo ed un po’ rassegnato – come se lo fosse aspettato da sempre.
- Inutile. – sbottò Alex, esalando un sospiro di pura rassegnazione, - Ci sono cose delle vostre teste che non riuscirò mai a comprendere.
I due si lasciarono andare ad una breve risatina, voltandosi a guardarla come volessero scusarsi.
- Comunque sia, Brian, hai fatto il casino ed ora lo risolvi. – proseguì perentoria la manager, indicandogli la porta.
- …ovvero? – chiese il cantante, incerto.
- Be’. – annuì Stef, competente, - Tu l’hai buttato fuori. Ora ti tocca riprenderlo. Poco da fare.
- Cosa?! – strillò Brian, spalancando gli occhi, - Mai e poi mai!
Per convincerlo, a Stef bastò inclinare il capo.
*
Pioveva. Dannazione pure al Padreterno che proprio aveva deciso di smontargli l’intera esistenza.
Barricato all’interno dell’ingresso degli studi, si buttò addosso al distributore automatico al quale aveva preso il caffè e continuò a sorseggiare quella schifosissima spremuta di niente che riempiva il bicchierino, provando almeno a riscaldarsi le mani – con poco successo, visto che l’orrida brodaglia era pure inesorabilmente tiepida.
Che schifo di giornata.
Che schifo di vita.
E che schifo di caffè. Fanculo.
- Se hai bisogno di un ombrello, al limite te ne presto uno io.
Merda.
Ma non poteva proprio rassegnarsi a lasciarlo in pace, quel terribile topo da combattimento?!
- Non ti preoccupare. – ringhiò, stringendo il bicchierino fra le dita fino a sentirlo scricchiolare, - Ora me ne vado.
Brian sospirò rassegnato, e lui si voltò a guardarlo col migliore dei suoi pigli infuriati. Era passata perfino la voglia di piangere. Adesso aveva solo un bisogno incredibile di mettergli le mani addosso e lasciarlo pesto e sanguinante sul pavimento. Tanto, non avrebbe potuto nuocere alla sua carriera più di quanto non avesse già fatto fino a quel momento.
Sperò che Brian gli leggesse tutto questo addosso e decidesse saggiamente di abbandonarlo finalmente al proprio destino che, per quanto triste, avrebbe sicuramente preso una notevole piega verso l’alto, quando lui fosse sparito.
Brian, però, non sembrava intenzionato ad andarsene.
- Sembra che invece dovrai tornare indietro. – disse, atono com’era stato sempre da quando l’aveva visto, - E firmare un contratto. Almeno per i prossimi sei mesi.
…ok.
Era un masochista? Gli piaceva farsi maltrattare? O che?
- …eh?
- Sia ben chiaro. – ci tenne a precisare il cantante, piantandogli un indice fastidiosamente puntuto proprio nel centro del petto, - Fosse per me, ti rispedirei a succhiare omogeneizzati da un cucchiaino a forma di pecora. Ma – sospirò teatralmente, - sembra che tu sia piaciuto agli altri. E, in generale, avresti potuto essere peggio di quanto in effetti tu sia. Perciò poche storie e seguimi.
Ancora incredulo, si limitò ad annuire meccanicamente.
Pioveva ancora, sì, ma non erano mica rane.
Perciò poteva essere solo uno scherzo di dubbio gusto. O un dannato miracolo.
Forse, il Padreterno non lo odiava poi così tanto.
All’interno dell’enorme sala dei provini, il bassista e la manager lo attendevano trepidanti, armati di un sorriso incoraggiante che sembrava comunque ancora un po’ incerto.
- Bene! – disse la donna, entusiasta, andandogli incontro con fare condiscendente, - Vedo che Brian ce l’ha fatta a riportarti indietro senza sentire il bisogno di sbranarti per i corridoi. È un buon inizio!
Brian si limitò a sbuffare e lasciarsi ricadere sulla propria sedia, senza la minima grazia.
Il bassista gli si avvicinò, tendendogli conciliante una mano.
- È un piacere averti fra noi…
- …Andrew. – completò lui, deglutendo confuso. Non gli pareva vero essere finalmente riuscito a presentarsi. – Andrew Connelly. Piacere. E grazie mille per tutto quello che hai fatto per me…
- …Stefan. – rispose a propria volta lui, ridendo divertito, - Olsdal. Non lo ricordavi, vero?
Imbarazzato, lui distolse lo sguardo, ma il bassista scosse energicamente il capo e gli concesse una poderosa pacca sulla spalla.
- Non ce l’ho con te, figurati. – lo rassicurò, - Farai un mucchio di sacrifici per adattarti, nei prossimi mesi. Mi considero già abbondantemente ripagato!
Andrew ringraziò con un sorriso mesto, lanciando un’occhiata di sfuggita a Brian, che continuava a ruminare acredine dalla propria scomoda seggiolina nel mezzo della stanza.
Magari non sarebbero piovute rane, ma Dio… per fare funzionare quella cosa ci sarebbe davvero voluto un miracolo.
Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
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TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 1
SLEEPING WITH GHOSTS

“Don’t waste your time
Or time will waste you”
Muse – “Knights of Cydonia”


In effetti s’era sempre sentito un po’ in colpa per quello che aveva combinato a dicembre, l’anno prima. S’era sempre sentito un po’ in colpa e s’era sempre sentito anche un po’ – molto – vigliacco per quella fuga repentina e ingiustificabile, pretesa e ottenuta con tanti di quegli allucinanti strepiti che aveva sempre avuto paura che Tom e i ragazzi, da quella volta, avessero maturato nelle loro menti un’idea di lui in versione pazzo isterico che di sicuro non giovava alla sua autostima. Se ne accorgeva ogni volta che, ad esempio, Dom o Chris gli facevano un suggerimento a riguardo di qualcosa che avesse scritto: si avvicinavano sempre con timore, premettendo sempre che trovavano il suo lavoro fantastico, prima di dire quello che avrebbero preferito cambiare.
Anche Tom aveva difficoltà a parlare con lui. Al punto che ogni tanto, quando aveva bisogno di fare un qualche cambiamento nelle date dei tour o delle uscite dei singoli, neanche glielo diceva. Si limitava a farlo e poi avvicinarlo con cautela, offrirgli una cena o qualcosa di simile e mormorare “Adesso non ti arrabbiare, Matt, ma ho dovuto modificare questo, questo e quest’altro…”, ricevendo puntualmente in risposta uno stupito “Perché dovrei arrabbiarmi, scusa? Se hai deciso così avrai avuto un motivo, e poi il manager sei tu, sei tu che devi occuparti di queste cose, il mio lavoro è un altro…”, al quale, spesso, seguiva un sorriso imbarazzato e un “No, ma era per essere sicuro che non ti saresti infastidito”, che lui poteva spiegare solo ed esclusivamente come uno strascico della furia che l’aveva preso quando s’era trattato di tornare in studio a registrare coi Placebo.
Né Tom, né Dom, né Chris avevano mai capito. Anche perché, sul momento, sì, non l’aveva presa benissimo, aveva pregato un po’ tutti gli déi dell’universo perché gli concedessero di sfuggire a quella tortura, e s’era lamentato, e aveva protestato, ma era anche eccitato, era anche emozionato, e non vedeva l’ora, dannazione a lui, non vedeva l’ora di rientrare in studio e registrare di nuovo, non… non vedeva l’ora di rivedere Brian…
Per settimane aveva collezionato idee e spunti. E per settimane, i suoi amici avevano assistito stupefatti allo spettacolo sconvolgente di lui che rientrava in albergo, afferrava il cellulare, si gettava sul letto e chiamava Brian, improvvisando conversazioni del tipo “Ho visto questa scena fantastica oggi, per strada, dobbiamo assolutamente infilarla da qualche parte nello studio album, poi!”. Li avevano ascoltati chiacchierare per ore intere con toni che a volte sfioravano il romanticismo, e vagavano da un isterico “Molko, piantala, una buona volta, di dire porcate!” a un trasognato “Sì, anche tu mi manchi… un po’…”, sussurrato a stento, buttato fuori a fatica, coprendo la cornetta con una mano nella speranza che non sentisse nessuno.
Scene quasi surreali.
Cose di cui si vergognava da morire.
Per circa un mese avevano dovuto credere che fra loro ci fosse davvero qualcosa. Che stessero pensando a metter su famiglia o chissà cos’altro.
Dio.
E poi era successo qualcosa. Qualcosa che perfino Tom, malgrado sentimentalmente fosse l’uomo più ottuso del mondo, aveva dovuto capire perfettamente. Ovvero era arrivata Gaia.
Gaia l’aveva… l’unico termine che gli veniva in mente e che potesse, anche se molto vagamente, descrivere la sua situazione, era “sconvolto”. Gaia era stata un vero e proprio tumulto.
Era una loro fan. L’aveva letteralmente assalito all’ingresso dell’albergo nel quale alloggiavano, rischiando di farsi ammazzare dalle guardie del corpo e uscendo dalla rissa con una spalla lussata. Ancora dolorante, quando i ragazzi della security l’avevano sollevata e, comprendendo di aver calcato un po’ troppo la mano, l’avevano adagiata su una panchina, chiamando un’ambulanza, la prima cosa che lei aveva mormorato, appena lui le era andato vicino per assicurarsi che fosse ancora viva, era stata “Sono felice di averti potuto vedere così da vicino…”. E quando lui, ridacchiando, le aveva risposto “Hai rischiato grosso… la prossima volta che tenti di avvicinarmi sta’ più attenta…”, lei, sempre sorridendo, nonostante la smorfia di dolore che le sconvolgeva le labbra, aveva detto “Se potessi vederti ogni mattina nel mio letto non dovrei più temere per la mia vita”.
Lui era arrossito, sentendosi nello stesso momento attaccato e già sconfitto.
In quel preciso istante aveva capito che era lei, la donna che cercava. Non sapeva nemmeno il suo nome, conosceva soltanto il suo caschetto biondo, i suoi occhi verdi, la sua pelle chiara e il suo fisico minuto. Non conosceva la sua età, non sapeva nulla della sua vita, ma lei era quella donna, la donna di cui aveva spesso parlato a Dom con aria sognante, la donna per lui.
E lei gliel’aveva confermato riapparendo davanti all’albergo il giorno dopo, col braccio ingessato e un adorabile sorriso sul volto.
“Mi chiamo Gaia”, aveva detto, porgendogli la mano, “Scusa se ti do la mancina”.
“Niente”, aveva detto lui, rispondendo al saluto. “Posso invitarti a bere un te? Sai, per scusarmi del comportamento delle mie guardie del corpo, ieri…”.
Lei aveva sorriso ancora, e lui l’aveva trovata angelica.
“Certo che puoi. E sei già scusato, comunque”.
Era cominciata così.
E nessuno ci avrebbe scommesso su un centesimo.
Nessuno tranne lui, ovviamente.
Un mese dopo, già convivevano. Lei era giovane, molto giovane, aveva appena diciannove anni, ma i suoi genitori erano due persone molto aperte, avevano semplicemente preteso di conoscerlo e sottoporlo a un interrogatorio di un paio d’ore, dopodiché avevano spalancato le braccia e gli avevano affidato la loro bambina con un gioviale sorriso sul volto.
Era stato in quel momento che lui aveva cominciato ad avere paura.
Mancava solo un mese a dicembre. Mancava solo un mese al momento in cui avrebbe rivisto Brian.
E sapeva, perché lo sentiva continuamente, perché parlavano continuamente, sapeva che Brian non era cambiato di una virgola, così come non erano cambiate di una virgola le sue idee su di lui, su di loro.
Ed erano un pericolo.
Perché la sua storia con Gaia era ancora una bambina, era appena nata, era così minuscola e indifesa che lui sentiva il bisogno fisico di proteggerla, avvolgerla fra le sue braccia e impedire al mondo esterno di intromettersi e rovinare tutto.
Ci teneva troppo, per permettere a un altro terremoto di buttare a terra le fondamenta della sua nuova casa.
Perciò, a dicembre aveva semplicemente fatto esplodere un casino. Aveva gridato e strepitato, aveva affermato con convinzione che non gli interessava più nulla di lavorare di nuovo coi Placebo, che la produzione poteva andare a farsi benedire, che non gliele fregava nulla del contratto e poteva anche stracciarlo davanti a tutti, che voleva concentrarsi su sé stesso, che voleva preparare i nuovi pezzi per il nuovo album, che, in definitiva, non se ne faceva più niente.
Avevano protestato un po’ tutti, com’era stato ovvio fin dall’inizio. Dom, soprattutto, s’era infuriato, e avevano litigato come i pazzi per la prima volta dopo tanto tempo. A Dom, come lui stesso gli aveva detto, non fregava niente di quali fossero i suoi problemi personali, non avrebbe dovuto permettersi di impedirgli di passare un altro po’ di tempo con Stefan. E quando lui, protestando, gli aveva detto che comunque di Stefan non gli era mai davvero fregato niente, Dom l’aveva guardato con disgusto e gli aveva semplicemente detto che della vita non capiva un cazzo. Dopodichè l’aveva snobbato per qualcosa come tre settimane e alla fine era crollato e l’aveva “perdonato”.
Lui s’era sentito una bestia insensibile per tutto il tempo.
Soprattutto quando ignorava le chiamate di Brian che tempestavano il suo cellulare.
Ma non era disposto a cedere. C’era troppo in palio. E lui era sempre stato un tipo tenace.
Però, ecco, migliaia di volte, durante quel periodo orribile, avrebbe voluto prendere i suoi amici per le spalle, scuoterli violentemente e urlare “non è che la cosa mi faccia piacere, accidenti a voi, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un contratto, non è che gioisca al pensiero di mandare a puttane un rapporto, non è che mi piaccia pensare che non rivedrò Brian mai più, solo ho una paura fottuta che questo possa distruggermi la vita, com’è che non lo capite?, com’è che non lo vedete?, PERCHE’, CAZZO, NON VE NE ACCORGETE?!”.
E forse era per questo che, quando aveva saputo che i Placebo avrebbero preso parte al mega-concerto organizzato a Hyde Park, aveva colto la palla al balzo e, mentendo a chiunque, ci era andato. Gaia non aveva sospettato niente, ma di lei non aveva effettivamente motivo di preoccuparsi, perché quella ragazza si fidava di lui come fosse stato suo padre. Dom, probabilmente, aveva sospettato qualcosa. Infatti gli aveva sussurrato malignamente “Tanto se vai lì ci vediamo, perché io ci sarò sicuramente”.
Fortunatamente, Dom non s’era fatto sfuggire nulla con Gaia. Quello sarebbe stato un problema non indifferente, da risolvere.
Cavolo, poteva vedersi. Poteva vedersi vagare sperduto fra i gruppetti di persone intenti a chiacchierare in attesa dell’inizio dello show. Si prospettava una manifestazione musicale di proporzioni cosmiche, avrebbero partecipato tanti di quei gruppi, tra vecchie guardie ed esordienti, che non riusciva neanche a ricordare tutti i nomi.
Anche se be’, in realtà non è che ci avesse realmente provato a memorizzarli, tutti quei nomi. I suoi occhi avevano individuato i Placebo fra i tanti e il suo cervello aveva provveduto a isolarli dalla massa e cancellare tutto il resto, così non è che fosse rimasto molto spazio per i nomi degli altri.
…era semplicemente patetico.
Era lì per vedere Brian, questo era chiarissimo perfino per lui, che pure aveva cercato di ignorare quella verità per tutto quel tempo, che pure aveva cercato di convincersi fosse solo curiosità, voler vedere come stesse, come se la passasse…
Non voleva incontrarlo, gli faceva ancora troppa paura, ma vederlo, quello sì, anche solo da lontano, anche solo intravederlo, anche solo-
- Carino.
Oddio.
Si congelò sul posto, stringendo i pugni e sentendo un brivido scendergli lungo la schiena fino a fargli tremare le gambe.
Oddio.
*
Qualche minuto prima.

Non che fosse inquieto.
E non che sperasse in qualcosa, ovviamente.
Però Dominic l’aveva chiamato in gran segreto e gli aveva detto che sospettava che Matt pensasse di andare al concerto, magari senza farsi vedere, e allora gli sembrava ovvio provare un attimino d’agitazione in prospettiva, o no?
Insomma.
Matt era… era rimasto una parentesi, nel suo passato. Una parentesi che non si era mai chiusa.
E faceva male, ecco. La situazione sospesa, il pensiero che potesse essere ancora sospesa anche nella testa di quel dannato stupido, oltre che nella sua…
Il desiderio di lasciare che tutto si esaurisse nel tempo passato e sprecato, e quello contrastante e altrettanto forte di tenere il ricordo fisso nella mente, per non perderlo mai di vista.
Scosse il capo, massaggiandosi le tempie con due dita.
È mai possibile essere così emotivi?, si disse, sconsolato, scuotendo il capo come a volerlo svuotare da tutti i pensieri.
Doveva uscire da quel dannato umore. Doveva uscire da quella dannata ragnatela di ricordi e soprattutto doveva smettere di vagare per il parco sperando di beccare Matt in mezzo alla folla.
Cercarlo lo faceva solo stare male. Lo riempiva solo di pensieri riguardo a come si era sentito durante l’anno, e quello che aveva passato, e…
Insomma, era stata sua la colpa. Tutta di Matt. Lui si era limitato a comportarsi come sempre, era sempre stato il solito Brian.
Per quanto poteva immaginare potesse essere stato questo a convincere Matthew a comportarsi come aveva fatto.
Ma aveva fatto in modo che nessuno si preoccupasse per lui, durante quei lunghissimi dodici mesi. A Stef e Steve non aveva voluto dire niente, aveva continuato a comportarsi con naturalezza senza lasciar sospettare come si sentisse in realtà. Con Helena non aveva voluto neanche accennare alla cosa, e anche con Alex non aveva avuto voglia di parlare, sebbene lei fosse stata l’unica a immaginare che tutta la sua allegria non fosse altro che di facciata.
Dannate donne, sempre così sensibili.
Ma lui era sempre stato così, in fondo, no? Preferiva tenersi tutto dentro e sorridere, di giorno, e dormire coi suoi fantasmi la notte. Magari affondare nel cuscino e respirare con forza, fino a farsi dolere i polmoni, strizzando gli occhi fino a vedere macchie bianche vorticargli dietro le palpebre, e poi riaprirli e guardare il buio, e trattenere le lacrime a stento o non piangere affatto, e stringere i pugni attorno al lenzuolo ripetendosi “passerà, passerà”, sapendo perfettamente che non sarebbe mai passata, perché i fantasmi ti si attaccano alla pelle, sono come il tempo, che passa e ti rimane ancorato alle spalle, e ne senti il peso, giorno dopo giorno, e senti il rimpianto dei giorni perduti e ti fa male anche se sei fortunato e trovi qualcuno che ti consoli.
Lui era stato fortunato, in fondo. Aveva trovato Helena. E lei era stata fantastica, e comprensiva, e permissiva, e lui era convinto, fermamente convinto che fosse la compagna perfetta, l’unica possibile. E poi lei gli aveva dato Cody, e Cody era semplicemente la cosa più… più grandiosa che avesse mai pensato di ricevere in dono dalla vita.
Adesso era un padre, era un uomo quasi sposato, era tutto sommato contento. Era maturato, dall’anno prima.
Eppure non riusciva a lasciarsi quello che aveva vissuto alle spalle.
Non sarà una volta sola, aveva pensato dopo quell’unica notte insieme, e invece era esattamente quello che era rimasto. Un errore. Un episodio isolato nella vita perfetta e razionale di Matthew Bellamy; un episodio isolato, e neanche l’ultimo di una lunga serie, anche nella vita caotica e assurda di Brian Molko.
Un bruscolino di polvere.
Un’invisibile crepa nella parete.
Un niente.
E poi sollevò lo sguardo. Lo fece vagare sconsolato fra le migliaia di facce sconosciute che sembravano troppo impegnate ad aspettarsi di vederlo sul palco per guardare oltre ai suoi occhiali da sole e al berretto che indossava e alla sciarpa che gli copriva per metà il viso, e accorgersi che era lui. Lo fece vagare fra gli alberi di Hyde Park, fra le aiuole ben curate e pulite, così tipicamente inglesi, e gli ampi spazi di terreno mattonato, e poi lo fece vagare su, perdendolo nel cielo plumbeo che sembrava nero attraverso le lenti degli occhiali, e quando lo riportò giù Matt era davanti a lui, voltato di spalle, e camminava spedito guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno, e a lui sembrò per un attimo di impazzire di gioia, e si sentì sudare freddo mentre tra i suoi occhi e tutto il resto germogliavano le parole cerchi me?, cerchi me?, dimmelo, se cerchi me, Dio, ti prego, fa che cerchi me…
Tirò un respiro profondissimo. Rilasciò l’aria dalle labbra, e quella si condensò in vapore e si sparse davanti a lui, rendendo l’immagine di Matt opaca e sfumata – che ironia – proprio come quella di un fantasma.
E poi prese di nuovo fiato, e cercò di sorridere.
- Carino. – disse, e fu abbastanza perché Matt si congelasse sul posto, stringendo i pugni e voltandosi a guardarlo.
*
Non lo individuò subito, quando si girò. Ma era sicuro che fosse lì, doveva essere lì, non poteva esserci soltanto la sua voce, perciò guardò meglio e lo vide. Sì, il nanetto imbacuccato in un lungo cappotto nero, con la sciarpa quasi annodata intorno al viso come un terrorista, e i capelli coperti da uno sciocco berretto bianco e nero, doveva essere Brian.
Non sapeva cosa dire, ma non poteva rimanere zitto, perciò sputò fuori un saluto, faticando enormemente per ricordare il giusto ordine delle lettere nella parola “ciao”.
Brian… sembrava a suo agio. Non poteva vedere l’espressione del suo viso, ma la postura del suo corpo – le gambe leggermente divaricate, le mani mollemente abbandonate nelle tasche del cappotto, le spalle sciolte e distese – e in generale la sua disinvoltura naturale e il tono pacato e quasi divertito con cui l’aveva chiamato, lasciavano intendere proprio quello.
Che per lui fosse tutto a posto.
Che incontrandosi dopo un anno lui potesse chiamarlo ancora in quel modo senza sembrare inopportuno.
Questo lo irritava.
Cercò di mostrare indifferenza, mentre il suo cervello ribolliva.
- Che coincidenza. – disse atono, guadagnandosi in cambio una risata tonante da parte di Brian.
- Coincidenza? – chiese l’uomo, abbassandosi gli occhiali da sole sul naso e guardandolo da sopra le lenti, - Hai uno strano modo di intendere le coincidenze, tu.
- Se credi che ti stessi cercando, sbagli di grosso. – replicò, incrociando le braccia sul petto.
- Sì?
- Sì. Cercavo Dom, so che doveva venire.
Ancora, Brian rise forte.
- Se credi che lui o Stef siano ancora nei paraggi, dato che la prima cosa che hanno fatto rivedendosi è stata saltarsi addosso, allora sei tu quello che sbaglia di grosso. – disse sorridendo candidamente.
Lui si diede dello stupido. Avrebbe dovuto immaginare che una scusa simile non avrebbe funzionato, viste le circostanze.
Rimasto senza parole, totalmente incapace di reggere lo sguardo di Brian – cazzo – fissò la punta delle sue scarpe per una serie infinita di secondi.
Poi l’odore, la consistenza e la temperatura dell’aria attorno a lui cambiarono, e ancora prima di alzare lo sguardo lui seppe che Brian gli si era avvicinato.
- Posso offrirti una birra? – gli chiese l’uomo, gli occhi nuovamente coperti dagli occhiali, scrollando le spalle.
E lui sapeva che era un pericolo avvicinarglisi tanto.
Sapeva che era un pericolo, stare con lui.
E sapeva che era un pericolo anche bere qualcosa con lui.
Ma accettò senza pensarci neanche una volta.
*
Non voleva dargli l’idea che si fosse tenuto informato sul suo conto, durante quell’anno di assenza, perciò non poteva mica cominciare a chiedergli cose del tipo “Allora, ho sentito che finalmente stai mettendo la testa a posto! Com’è essere padre?” sperando che lui pensasse fossero solo informazioni sentite casualmente alla tv o intraviste di sfuggita su un giornale scandalistico.
Brian era scandalosamente portato ad osservare gli avvenimenti come se tutto avesse un perché.
Non ammetteva l’esistenza della casualità.
E Matt sapeva che mentre sorrideva sereno sorseggiando innocente la sua birra, in realtà stava pensando che se si erano incontrati era soltanto perché entrambi lo volevano fortissimamente, e che se lui aveva accettato di farsi offrire la birra era soltanto perché aveva voglia di stare con lui.
Non aveva pensato neanche un momento che avessero potuto incontrarsi per caso e che lui avesse accettato perché non vedeva per quale motivo non avrebbe dovuto.
No, decisamente, se gli avesse chiesto una qualsiasi cosa sulla sua vita privata Brian avrebbe pensato immediatamente che lui si fosse messo a raccogliere informazioni sul suo conto, ritagliare articoli di giornale e fotografie e costruire un altarino alla sua memoria – con candele e tutto – nel seminterrato di casa sua.
Cosa che effettivamente era stato tentato di fare, più di una volta.
Potenza della nostalgia.
Mentre rimuginava su cosa fosse giusto fare e cosa invece dovesse ricordarsi di non fare mai e poi mai, semplicemente Brian terminò la sua birra, sorrise e chiese “Allora, ho sentito che ti sei fidanzato. Sei felice?”.
Lui lo guardò, attonito, la labbra ancora dischiuse e il boccale a mezz’aria davanti al viso.
- Che vuol dire se sono felice?
Lui inarcò le sopracciglia, stringendo le labbra.
- E’ una domanda come un’altra. No?
- Sì, voglio dire… certo che sono felice! Amo la mia ragazza!
Brian sorrise.
- Vedi che non è difficile rispondere?
Che cosa diavolo gli stava succedendo? Non era mai stato così gentile, così ossequioso…
…così distaccato.
Odiava quel sorriso lontano. Odiava quelle domande di circostanza.
E odiava la consapevolezza che se Brian poteva permettersi senza troppi problemi di chiedergli se fosse veramente felice e come stesse con la sua ragazza era perché, evidentemente, lui l’aveva superato, quello che era successo fra loro.
E quindi, forse, in definitiva, quello che pensava troppo, fra loro due, era proprio lui.
Quello ancora spaventato.
Quello ancora attaccato al passato.
Quello ancora in- Dio, era lui, quello.
Abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole nei confronti di tutto il mondo.
- Allora, chi sei venuto a vedere? – chiese Brian tranquillamente, con curiosità, - I Genesis? La reunion sta facendo parlare di sé. Pare che andranno in tour, dopo questo concerto.
- Mh… - disse lui, poco convinto, mentre metabolizzava la sensazione che, con tutto il rispetto per Collins e compagnia, con Brian là davanti dei Genesis gli fregava meno di niente.
- E’ proprio vero che il tempo rinvigorisce i legami, quando sono sinceri, no?
Spalancò gli occhi.
Eccola.
Eccola, eccola, eccola!
La mazzata.
Doveva arrivare, prima o poi.
Stupido, deficiente lui che aveva creduto di averla passata liscia.
Il tempo rinvigorisce i legami sinceri, sì.
E distrugge tutti gli altri.
Capito l’antifona, Brian.

Ora era tutto molto più chiaro, e molto più doloroso.
Brian non era semplicemente passato avanti. Non aveva conservato il ricordo del tempo che avevano passato insieme immergendolo in un barattolino di dolce malinconia. Aveva camminato sui suoi ricordi, pestandoli e riducendoli in brandelli, e poi aveva messo quanto rimasto sott’odio, e lì l’aveva lasciato, a marcire, fino a quel momento.
Ecco cosa c’era dietro ai suoi sorrisi sereni, dietro al suo cortese distacco, alle sue fredde premure.
Quintali, quintali e quintali di schegge di rancore a saltellare impazzite nella sua mente, conficcandosi ovunque.
- Be’, chiunque tu sia venuto a vedere, - concluse Brian alzandosi in piedi, - spero tu rimanga anche fino all’esibizione dei Placebo.
In realtà aveva già visto chi voleva vedere.
Fin troppo.
E se Brian l’avesse saputo gli avrebbe detto tranquillamente che allora poteva andare via.
Ma lui non disse niente, si limitò ad annuire. Brian rispose con un sorriso e poi si voltò per uscire dal locale.
Resistette all’impulso di richiamarlo solo fino a quando non lo vide sulla soglia della porta.
- Brian! – disse a voce alta, attirando gli sguardi degli altri clienti e rimettendoli tutti ai loro posti con una serie di occhiatacce torve.
- Sì? – chiese lui, voltandosi e sorridendo cortesemente.
Matt si sentì avvampare.
- Canterai… canterai la nostra canzone? – chiese infine, imbarazzato, fissando il pavimento.
Brian scoppiò a ridere così forte che lui pensò di aver fatto una battuta.
- Mio Dio, Bellamy: no!

In coppia con Nainai.
Genere: Romantico, Comico, Erotico.
Pairing: BrianxMatthew
Rating: NC17
AVVERTIMENTI: Language, Lemon, RPS.
- Brian non ha la febbre. Brian sta morendo di febbre! Ma quello stupido idiota del suo uomo, Matt Bellamy, sembra non curarsene, e sembra importargli solo dello stupido premio fasullo che gli consegneranno in televisione da lì a pochi minuti! E quindi, cosa potrebbe esserci di meglio da fare che non cercare di tenerlo a casa lamentandosi...?
Commento dell'autrice: L'idea di questa fanfiction è stata di Nai ù_ù E in effetti ha cominciato lei a scriverla, e per molti versi la fanfiction è ancora totalmente sua XD Anche perché, a conti fatti, lei ne ha scritto molto più di me :O Il mio ruolo, all'interno di questa storia, è stato darle un titolo (utilizzando un'adorabile canzone dei Gym Class Hero <3) e un bel pezzetto porno XD che è tipo la cosa più ESPLICITA che io abbia mai scritto fino ad ora ù_ù E per questo la amo XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ATTENZIONE: il seguente scritto non è stato redatto né pubblicato a scopo di lucro, i personaggi ivi utilizzati, pur portando il nome di persone vere, sono solo personaggi e NON fanno alcuna delle cose qui raccontate (non lamentatevi con noi), non intendiamo offendere nessuno con quanto qui scritto e siamo abbastanza sane di mente da renderci conto da sole che sono giochi per bambini e non cose serie.
A parte questo bla bla bla, aggiungete un po’ tutte le rassicurazioni di cui sentite la necessità U_U

L’Easily Forgotten Love e, più precisamente, i suoi membri Lisachan e Nainai, sono lieti di presentarVi:

Cupid's Chokehold


-Trentanove e mezzo. Però!- Matthew buttò il termometro sul comodino e lo guardò.- Direi che hai la febbre, Brian.
Lui arricciò il naso. Aveva le guance rosse e gli occhi lucidi, e questo, insieme con i capelli che sfoggiavano l’ennesimo taglio asimmetrico da donna, ma privo di forma dopo le ore passate sotto le coperte a sudare, e gli ricadevano sul viso in ciocche improponibili, contribuiva a dargli l’aria di un moccioso imbronciato. In generale era…carino, pensò Matt Bellamy sorridendo. Fu un grosso errore.
-So benissimo di avere la febbre!- ruggì Brian Molko, affatto intenerito alla vista di quel sorriso.
Incrociò le braccia sul petto e lo fissò con un tale sguardo omicida che Matt pensò per un momento che sarebbe davvero riuscito a dargli fuoco. Però non si mosse, seduto ancora al suo fianco sul grande letto che occupava la loro camera nell’appartamento che condividevano a Londra. Troppo di rado, si disse vagamente l’inglese, per poi tornare a spostare l’attenzione sul proprio compagno.
-Sei tu – e qui rimarcò quella parola come se stesse sputando fuori un insulto.- che sembri ignorare le mie condizioni e ti prepari ad abbandonarmi qui da solo e bisognoso di cure!
Matthew sospirò pesantemente.
-Vado via solo per qualche ora, Bri, basta che resti buono buono a letto, a riposare, e non te ne accorgerai nemmeno.- tentò di farlo ragionare.
Ma fu inutile, l’unica cosa che ottenne fu che Brian cominciasse ad agitarsi come un pazzo appena lui si alzò per tornare al tavolo da toilette e finire di preparasi.
-Tu non mi ami! Se mi amassi riterresti stare con me mentre muoio più importante di ogni altra cosa!!!- strillò il cantante dei Placebo, irritando la povera gola già messa a dura prova dalle placche della febbre.
Terminò la propria invettiva con un colpo di tosse e, sfinito, si lasciò ricadere sul cuscino, dardeggiando da lì contro il povero Matthew.
-Non stai morendo.- ribatté ragionevole quest’ultimo.- Hai solo l’influenza.
-Ed il mal di gola!- ribadì Brian, con una tale espressione sconvolta da far credere che questo avrebbe davvero potuto segnare la sua fine.- E tu sei un insensibile mostro!- aggiunse poi per sicurezza, mettendo da parte l’aria sconvolta per tornare ad adottare lo sguardo di fuoco assassino.
Matthew si concesse un secondo sospiro pesante, ma non si voltò mentre sistemava la camicia e, allo specchio, si assicurava di essere finalmente pronto per uscire.
-Bri, tesoro, cerca di capire.- tentò comunque di spiegarsi, mantenendo quel tono controllato.- Devo lavorare, non lo faccio per divertimento.
Ovviamente questo suo palese disinteresse non poteva che montare alla testa di Brian, che a quel punto non trovò di meglio che saltare fuori dalle coperte come una biscia e scagliarglisi contro più di quanto non stesse già facendo dal proprio “letto di dolore”.
-COME OSI DIRE CHE DEVI LAVORARE!!!- gli ruggì contro inferocito. Matt lo guardò, sollevò le braccia portandole ai fianchi ed attese.- DEVI SEMPLICEMENTE ANDARE…IN QUEL POSTO A FARTI DARE UN PREMIO CHE TU E QUELLA PATETICA IMITAZIONE DI BAND ROCK NON MERITATE AFFATTO!
-Ma non avevi mal di gola?
Brian s’interruppe, fissandolo come se non riuscisse davvero a capacitarsi. Lui stava morendo, era chiaro…era lampante! Ed il suo uomo sembrava completamente insensibile a questa cosa! Ed aveva mal di gola! E Matt lo abbandonava per…
-E’ una premiazione televisiva, Bri.- ricominciò Matthew, avvicinandoglisi ed approfittando di quel momento di totale smarrimento per prenderlo gentilmente per le spalle, farlo voltare e ricondurlo verso il letto.- Durerà forse un paio di ore,- ribadì con dolcezza, facendolo stendere e sistemandogli le coperte.- tante chiacchiere,- aggiunse scostandogli i capelli dalla fronte e controllando la sua temperatura.- tante idiozie, un premio assolutamente privo di senso dato sulla scorta dei soldi pagati dalla Warner al canale televisivo,- proseguì amabilmente rimboccandogli lenzuola e coperte e sorridendogli.- poi mollo tutto e scappo via per tornare da te.- promise.- Non resto nemmeno per il party dopo lo show.
Brian lo guardava. Matt si illuse per un momento che potesse aver capito o, almeno, essersi arreso all’idea che lui dovesse necessariamente uscire. Ma poi riconobbe il lampo che attraversò gli occhi dell’altro e che diede una luce assolutamente folle agli occhi chiari e si preparò ad un nuovo scoppio d’ira violenta.
-…tu- iniziò Brian con una calma sibilante che fece venire i brividi a Matt, tanto bene ormai la conosceva.- ti sei messo schifosamente in tiro!- terminò in un ruggito il leader dei Placebo.
Bene. Di tutto il suo discorso non aveva sentito una parola, ma del vestito di Matthew aveva registrato anche la piega dei pantaloni ed il colore dei bottoni della giacca rossa. Matt resistette per miracolo all’impulso di infilare le dita tra i capelli in un gesto sconfortato, si ostinò a tenerle serrate contro i fianchi e mantenne un’aria tranquilla, nonostante l’esasperazione che sentiva risalire dallo stomaco.
-Bri, io sono in ritardo.- si decise a far notare.- Dovevo essere in quei dannati Studi circa un’ora fa e sono ancora qui a perdere tempo con te.
Si rese conto da solo del madornale errore appena commesso, per cui non si stupì troppo di vedere Brian saltare su fuori dalle coperte un’altra volta e cominciare, in piedi sul letto, a rovesciargli addosso tutti gli insulti che potevano venirgli in mente.
-PERDERE TEMPO CON ME?! BELLAMY!!! IO STO MALE E TUUU- e qui gli puntò contro il dito in un gesto teatrale.- MI ABBANDONI!!!
Matthew lo guardò. Contò fino a trenta, prese fiato, si rilassò e gli sorrise.
-Brian, tesoro, potresti rimetterti sotto le coperte e stare buono per queste due fottutissime ore?- domandò con calma.
-Non ho alcun bisogno di stare sotto le coperte! Sto benissimo!- ribatté Brian, incrociando le braccia sul petto in un chiaro tentativo di farlo impazzire del tutto.
-Non stai per nulla “benissimo”!- ringhiò Matt, costretto ad arrampicarsi sul letto a sua volta per afferrarlo e rimetterlo giù a forza.- Hai la febbre alta, la gola rovinata e la messa in piega sfatta!- elencò stringendogli le coperte intorno al corpo per assicurarsi che non fuggisse ancora.
-Cosa diamine c’entra la mia messa in piega?!- scattò Brian, divincolandosi inutilmente.- Io sto benissimo! E starei meglio se tu e quei due idioti dei tuoi amici non aveste ricevuto immeritatamente quel premio! E tu non fossi un verme traditore fedifrago che si mette in tiro per andare alle premiazioni! E…
Matt gli tappò la bocca con un bacio. Brian soffocò, protestò ancora qualche istante e poi, semplicemente, smise e ricambiò il bacio. Siglandolo con un’occhiataccia appena Matthew si staccò da lui per tirarsi dritto.
-Io vado, tu stai qui buono e non farmi preoccupare.- redarguì per l’ultima volta il frontman dei Muse, tirando la giacca sul petto e sistemandola prima di lasciare la stanza.
Brian rimase a rosolarsi nella stizza e nel calore confortante delle coperte fino a che non sentì i passi di Matt lasciare l’appartamento e la porta richiudersi, poi tirò via lana e lenzuola con un calcio e si alzò.
A piedi nudi si trascinò fino al divano nel salotto. Si arrotolò tra i cuscini, prese il telecomando, accese la TV mettendo il volume al minimo ed allungò una mano a recuperare il cordless sul tavolino lì accanto. Compose il numero, avvicinò il telefono all’orecchio sollevando il telecomando per fare zapping, ed attese il segnale dall’altro lato della linea.
Una voce pacata e modulata, decisamente piacevole, gli rispose dopo un paio di squilli. Brian la riconobbe ed arricciò il naso con aria disgustata.
-Non voglio parlare con te, piattola!- sbottò dando voce al proprio fastidio. Ed ordinò subito dopo- Passami il mio Stefan!
Uno sbuffo, il telefono passò di mano e Brian sentì la stessa voce pacata e modulata annunciare “E’ Brian, mi ha chiamato “piattola” e vuole parlare con il suo Stefan”, poi Stefan gli rispose.
-Ciao, Brian.- salutò la voce del bassista- Potresti, per favore, evitare di chiamare “piattola” Vin?- s’informò con cortesia.- Questa cosa non aiuta la mia relazione.
-Lui è una piattola.- liquidò in fretta Brian.- Ed io sto morendo.- annunciò lapidario.
Stefan sospirò all’incirca allo stesso modo di Matt per tutta l’ora precedente.
-Sto arrivando.- concesse rassegnato.
Brian lo sentì voltarsi verso Vincent e dirgli “Devo andare a salvare Brian da una delle sue solite crisi di idiozia acuta” e la cosa lo indispettì ancor più di quanto non fosse.
-NON E’ UNA CRISI DI IDIOZIA!- gli gridò attraverso il telefono- HO IL MAL DI GOLA!
Poi buttò giù e, bestemmiando contro il fatto che nessuno lo amava in quel freddo e crudele mondo, si rincantucciò meglio sul divano e riprese a fare zapping.
Quando il campanello suonò, la trasmissione a cui partecipava Matt era già iniziata da circa una decina di minuti. Brian gettò un’occhiata trasversale alla porta e poi allo schermo e si decise ad alzarsi per andare ad aprire, ritrovandosi davanti un pacatissimo Stefan che lo squadrò da capo a piedi e lo spinse nell’appartamento.
-Sei a piedi nudi.- notò immediatamente lo svedese.
Brian arricciò il naso. Trotterellò verso il divano e tornò a rannicchiarsi ritirando le gambe sotto il corpo e fissando malevolo il nuovo arrivato.
-Non dirmi cose che già so! Mi è bastato Matt ed il suo “hai la febbre”! Certo che ho la febbre! Sto morendo!- attaccò subito a lamentarsi.- Ma a lui questo non sembra interessare affatto!- affermò mentre recuperava il telecomando ed adocchiava Matt, appena inquadrato dalla telecamera, tra il pubblico della trasmissione. Alzò il volume e continuò imperterrito- Lui preferisce starsene lì a farsi…adorare senza motivo da folle di ipocriti, che restare qui a prendersi cura di me…
Mentre il suo cantante continuava imperterrito la propria invettiva, Stefan richiuse la porta dietro di sé, si liberò del cappotto e si guardò intorno facendo mente locale su quello che era necessario e più urgente fare. Brian stava ancora elencando in modo circostanziato tutti gli elementi che gli permettevano di affermare con sicurezza che Matthew non lo amava affatto ma si divertiva solo a scopare con lui, che lo svedese entrava nella stanza da letto, recuperava il termometro ed una coperta e tornava nel salotto.
-Metti questo.- ordinò passando il termometro a Brian dopo averlo abbassato.
-Io ho il mal di gola e lui meglio di chiunque dovrebbe sapere che razza di tragedia sia!- proseguì intanto Brian, facendo come Stefan gli aveva chiesto e sistemando il termometro al sicuro sotto il braccio.- Ma invece di restare al mio fianco e piangere con me è lì!- Ed indicò lo schermo puntandolo con il telecomando. Stefan gli buttò un’occhiata distratta e tornò a voltarsi, ripiegando la coperta intorno al corpo di Brian. Lui lo lasciò fare, spostandosi docilmente per permettergli di rimboccargli la lana e lasciando ricadere le braccia sul soffice con un suono ovattato. Ed intanto continuò a parlare senza interruzioni.- Ti rendi conto? È…è la cosa peggiore della mia vita! Non sono mai stato così palesemente poco amato! Lui è lì con quei due…idioti accanto, che ridono tutti e tre come degli ebeti e fanno…”ciaociao”! con la manina alla telecamera!
-Sì, certo, è un’indecenza Brian.- affermò Stefan atono.- La teiera è al solito posto, vero?- s’informò poi procedendo verso la cucina.
-Sì.- rispose Brian e, quando si accorse che lo svedese era sparito oltre la porta, proseguì nella “filippica” alzando il tono di voce per essere certo che lo sentisse.- Che poi! Non so se ti rendi conto? Hanno premiato i Muse per il loro ultimo album! Ma stiamo scherzando?!- gridò.- Tu hai sentito il loro ultimo album?!- pretese quindi di sapere.
Stefan lo assecondò, mentre versava l’acqua nel bollitore e lo metteva a riscaldare sul fuoco.
-No, Brian, non l’ho ancora sentito, perché?- Cercò due tazze nella credenza ed il the nel mobile affianco.
-Perché è una lagna! È ossessivo, ripetitivo, palloso, noioso, stizzente!!! E Matt…urlacchia più del solito! Dio, quell’uomo è insopportabile!
Stefan si disse che quanto ad uomini insopportabili lui cominciava ad avere un’ampia esperienza e poteva affermare con quasi totale certezza che gli “urletti” di Matt in sala di registrazione erano decisamente molto lontani dal farlo classificare come “uomo insopportabile”. Si concesse un nuovo sospiro, ma non obiettò e continuò ad ascoltare mentre Brian asseriva che per lui “quella dannata mania di Matthew di svegliarlo all’alba solo per fargli sentire la roba che aveva composto, era un chiaro ed evidente segno di quanto desiderasse in cuor suo ucciderlo per togliere di mezzo un rivale!” E questo dimostrava - a detta di Brian, incontestabilmente - che non lo amava affatto, ma era tutta una manovra per eliminare lui ed i Placebo dalla scena musicale.
Stefan finì di preparare il the e tornò nel salotto, dove Brian sedeva nell’identica posizione in cui lo aveva lasciato, continuando a fissare la televisione con uno sguardo acceso e vivo che la febbre tendeva a rendere assolutamente folle ed ossessivo. Si sedette accanto a lui, posò una delle due tazze sul tavolino al proprio fianco, passò l’altra a Brian e si fece restituire il termometro.
Bene, quasi quaranta. Stava davvero male alla fin fine.
-Quindi,- riprese Brian dopo il primo sorso di the bollente, mandandolo giù e constatando che non era così spiacevole e leniva almeno in parte il dolore che sentiva alla gola.- concorderai con me che si tratta di una mera operazione commerciale. Quel premio non lo hanno vinto perché sono bravi!- affermò sinteticamente Brian, alzando ancora visto che la tizia alla TV aveva appena annunciato l’esibizione dei Muse- Lo hanno dato a loro perché così doveva essere nel “balletto” delle majors discografiche!
-Certo, Brian.- concordò brevemente Stefan, appropriandosi della propria tazza e disponendosi a seguire anche lui la band alla televisione.
Matt, Chris e Dom raggiunsero il palco approntato per loro e si sistemarono agli strumenti musicali. Stefan si accorse del fatto che Brian, con la scusa del continuare a bere il proprio the, sembrava aver deciso di acquietarsi un momento, si voltò a guardarlo e lo vide concentrato ed attento, gli occhi puntati su Matt che raggiungeva il microfono, dopo aver imbracciato la chitarra, e lo sistemava con pochi gesti esperti. Sorrise, voltandosi di nuovo allo schermo e sentendo le prime note della canzone rombare nello Studio gremito di pubblico. Per essere una mera operazione commerciale, sospirò lo svedese già dopo le poche note iniziali, era davvero ben fatta.
-Dio!- sentì sibilare alla voce di Brian.
Lo guardò di nuovo, sedeva ancora con gli occhi fissi sullo schermo, il busto spostato leggermente in avanti e le dita serrate intorno alla tazza. Aveva un’espressione indecifrabile, una via di mezzo inspiegabile tra cipiglio offeso ed una sorta di adorazione stizzita. Stefan inarcò un sopracciglio perplesso, guardò nuovamente Matt, registrò il fatto che stava facendo un’esibizione ottima – anche migliore del solito – registrò anche che quella sera era decisamente… “splendente” - se poteva permettersi un’espressione simile - e si domandò cosa esattamente stesse dando tanto fastidio a Brian.
-Dio!- ribadì lui intanto, sporgendosi ancora così avanti che Stefan temette di doverlo riafferrare prima che cadesse a terra.- E’ disgustoso! È così disgustosamente in tiro che mi stupisce non lo abbiano arrestato per offesa al pubblico pudore!- inveì alzando progressivamente il tono.
Ah, ecco cos’era che gli stava dando fastidio.
Stefan sospirò, posò la propria tazza di the, allungò una mano e riportò Brian seduto contro lo schienale del divano.
-Sì, Bri.- concesse nel frattempo.
-Guardalo!- indicò lui, agitandosi come impazzito- No, dico! Guardalo! È lì che si struscia sul microfono, che fa l’idiota, che ansima e mugola e…
-Non sta scopando davanti alle telecamere, Brian.- lo interruppe Stefan preoccupato dalla piega che stavano prendendo i pensieri dell’altro.
-Oooh, ma ci manca poco!- ribatté lui con aria saccente. Indicando ancora lo schermo con un gesto ampio e teatrale.- Lo conosco io! E lui lo sa! Si è messo in tiro sapendo che lo avrei guardato! Si è messo in tiro perché è una…puttana!- asserì, ormai urlando.- Si è messo in tiro per uscire senza di me!!!- concluse quindi in modo isterico.- Dio! Lo ammazzo! Lo ammazzo con le mie mani! Lo…
-Brian!- scattò Stefan, seccato, quando lui, agitandosi, finì per sparpagliare ovunque schizzi di the bollente.
L’altro lo ignorò. Ma smise comunque di muoversi a casaccio e ricadde contro lo schienale, riprendendo a bere e a fissare malevolo lo schermo. Stefan si accorse che aveva adottato l’aria imbronciata delle grandi occasioni, quella da cucciolo infuriato che sfoggiava con lui o con Matt quando pretendeva la loro attenzione esclusiva. Beveva dalla tazza e gettava sguardi feroci allo schermo. La voce di Matt riempiva il silenzio tra loro e Stefan ne registrava le variazioni perfette, osservandole riflesse nell’ammirazione che Brian non poteva nascondere neppure dietro la propria stizza.
Si ritrovò a dirsi che Brian era proprio innamorato. Perso. Quanto tempo era che non lo vedeva così preso da qualcuno? Probabilmente l’ultima volta era stata con lui. Sorrise. Gli faceva piacere vederlo così, anche se si riduceva a vagare per casa a piedi nudi, con la febbre a quaranta, in cerca della persona che amava. E poi Matt si sarebbe preso cura di lui, lo sapeva.
-Da non crederci, ti giuro! Io non ci credo!!!- riprese a borbottare Brian appena la voce della chitarra si fu spenta in un riff graffiante. La presentatrice si avvicinò sorridendo sui tacchi alti e Brian strinse gli occhi e la fulminò con uno sguardo semplicemente feroce.- E’ una zoccola! Vedi! Vedivedivedi!!! – ribadì sempre più esaltato. Stefan scattò a togliergli dalle dita la tazza ormai semi vuota e Brian gliela lasciò per poter avere le mani libere e riprendere ad indicare con foga la televisione.- E’ una zoccola!-gridò voltandosi verso lo svedese per poter avere conforto da lui.
-Chi dei due, Brian?- s’informò Stefan gettando un’occhiata allo schermo, su cui la tipa aveva appena terminato di scambiarsi un bacio affettuoso con Matt, dopo che il pubblico lo aveva richiesto a gran voce.
-MATTHEW!- ruggì Brian al colmo dell’isteria.
-Certo, Brian- concordò pazientemente Stefan sistemando con cura la tazza e voltandosi poi a rimboccargli nuovamente la coperta, che l’altro aveva fatto cadere.
Brian si lasciò andare ad uno sbuffo di furia assassina e di totale resa e si lasciò ricadere per l’ennesima volta contro il divano, riprendendo a fissare la televisione e concedendo all’amico altri trenta secondi di pace per le orecchie.
Stefan li impiegò per alzarsi ed andare a cercare la tachipirina nel mobile dei medicinali, tornò con sciroppo e cucchiaio e si sedette in attesa del momento migliore per somministrare il farmaco a Brian, leggendo intanto con pazienza le indicazioni del dosaggio.
La presentatrice stava spiegando le ragioni per cui avevano deciso di assegnare il loro premio ai Muse e Matt la ascoltava sorridendo sicuro di sé, con un’espressione talmente serena e padrona da riuscire a dargli un fascino tutto particolare.
Eh, sì, notò infine lo svedese guardandolo appena, si era proprio messo in tiro.
-Gli piace andarsene in giro senza di me, eh!- esclamò Brian al suo fianco, sorridendo cattivo.- Lo diverte stare lì a fare il bagno di folla, a ricevere premi che non si merita affatto, a sentirsi amato da tutti! Non gli è nemmeno saltato per testa che potevo esserci qui io a morire, che magari tornando a casa non mi avrebbe più trovato…
-Hai l’influenza.- provò ad interromperlo Stefan, alzando il viso dal foglietto illustrativo.
E Brian proseguì senza nemmeno accorgersene.
-…o peggio! Mi avrebbe trovato, ma riverso a terra, ucciso dalla febbre e dal mal di gola! Morto triste, solo e depresso per causa sua!- tratteggiò il cantante mostrando anche una certa cura nel dettaglio.- Ma cosa gliene importa a lui?! Lui avrebbe avuto il suo premio! Avrebbe avuto il suo “bacetto” dalla zoccoletta in tacchi alti! Avrebbe avuto…
Nel frattempo la tipa, che aveva terminato il proprio discorso, lasciò il microfono, sollevò e si avvicinò a Matthew per consegnarglielo. Lui le sorrise di nuovo, lo accettò e ottenne a sua volta un microfono per poter ringraziare.
-…avrebbe avuto la sua folla festante! Poi, io non ci sarei più stato ma, dico, vuoi mettere! Lui avrebbe mosso un altro passo sul gradino della popolarità! – sbottò Brian ignorando bellamente che la scalata ai gradini della popolarità i Muse l’avevano iniziata già molto prima di quella sera.
Mentre Matt sciorinava i propri ringraziamenti, Brian sciorinava le proprie lamentele. Con la stessa aggraziata nochalance.
-Che non è che nemmeno chiedessi tanto, mi sarei accontentato di vederlo almeno interessato a me! Di vederlo esitare e chiedermi “Bri, sei sicuro di poter restare qui da solo? Non preferisci che io rimanga?”. Io gli avrei detto che non c’era bisogno, che doveva lavorare e che sarei senza dubbio riuscito a resistere per quelle due ore, anche se mi sarebbe costato molto.- spiegò con ragionevolezza il leader dei Placebo. E Stefan non dubitò nemmeno un istante che sarebbe gelato all’Inferno prima che Brian mostrasse una tale lucidità ed una simile maturità quali quelle descritte. Ma ovviamente non lo disse.- Anche se, voglio dire, per ricevere un premio che non ti meriti e che non vale niente…potevi anche rinunciare e mandarci i due idioti da soli! Ma la verità incontestabile è che io valgo meno di quell’orrore di metallo lucido che sta reggendo tra le mani tanto tronfio! Che preferisce quell’obbrobrio…che ora pretenderà anche di sistemare qui in casa! a me! Che…- Matt sollevò effettivamente l’obbrobrio, fissò la telecamera conta tanta intensità che i suoi occhi blu parvero lì, davanti a loro, e non a chilometri di distanza e nascosti dietro uno schermo, e dedicò la propria vittoria al “suo cucciolo, che era a casa ammalato invece di essere lì con lui in quel momento, ma che gli mancava in ogni istante in cui non poteva essere al suo fianco”.
E Brian si sciolse.- …che è la cosa più adorabile del mondo…- mormorò fissando la televisione a bocca aperta e con sguardo sognante. Si voltò verso Stefan di scatto, fissandolo con occhi lucidi di febbre e d’amore.- Non è la cosa più adorabile del mondo?!- domandò pressante, indicando Matthew mentre lasciava il palco e tornava a sedere tra il pubblico.- Guardalo! È…è…è…
-Sì, Brian.- concesse Stefan.
Si voltò e gli porse il cucchiaio pieno, di cui Brian ingoiò il contenuto senza fare domande, troppo concentrato su quell’“amore infinito che era il suo uomo”. Che era poi semplicemente bellissimo quella sera. Non lo trovava bellissimo anche Stefan? Lui lo trovava bellissimo. Ed aveva fatto un’esibizione deliziosa! Perfetta! Ah, era proprio bravo, il suo uomo! E lui ci teneva anche a dirglielo! Avrebbe guardato tutta la trasmissione e lo avrebbe aspettato lì, seduto in salotto, per potergli dire che era fiero di lui! Appena Matt fosse entrato sarebbero state le sue prime parole! Sarebbe stato contento di sapere che Brian aveva visto tutta la diretta, ah sì. E gli avrebbe fatto piacere sapere quanto era orgoglioso e…
Mezz’ora dopo Brian, stremato dalla febbre e da tutta quell’agitazione, dormiva beatamente sul divano, appallottolato tra i cuscini, le coperte ben rimboccate fin sotto il mento. Stefan usciva dalla cucina con una tazza di caffè e la porta di casa si apriva con delicatezza, permettendo a Matthew di fare il proprio ingresso di ritorno dalla premiazione. Gli sguardi dei due uomini si intercettarono attraverso la stanza e loro si sorrisero.
-E’ un’idiota.- fu il commento di Stefan. Posò il caffè, recuperò il cappotto dalla sedia su cui lo aveva abbandonato entrando e si avvicinò a Matt.- Cambio.- esordì pacato.- Adesso è tutto tuo.
-Grazie, Stef.- si limitò a dirgli l’inglese.
Una scrollata di spalle, il bassista uscì tirandosi l’uscio di casa e lasciando gli altri due da soli. Matthew posò l’obbrobrio di metallo sul tavolo nel soggiorno, si liberò a sua volta del soprabito e si avvicinò silenziosamente alla figura addormentata sul divano. Brian respirava a bocca aperta, quando si fosse svegliato avrebbe avuto un mal di gola anche peggiore di quello con cui si era addormentato. E comunque non poteva restare lì tutta la notte. Allungò una mano, gli accarezzò il viso scostando le ciocche spettinate e lo chiamò.
-Bri.- Brian mugugnò qualcosa nel sonno, sottraendosi al suo tocco per riprendere a dormire, ma Matt non scostò la mano e non lo lasciò fare.- Brian, tesoro, svegliati che devi venire a letto.- lo chiamò nuovamente.
Lo vide sbattere le palpebre un paio di volte, aprire poi gli occhi per metterlo a fuoco e…
-Matthew!- sbottò Brian appena lo riconobbe.
E meno di mezzo secondo dopo Matt se lo ritrovò addosso, che lo abbracciava e baciava. E le sue labbra, riarse dalla febbre, erano calde come mai e lui sorrise nel ricambiare il bacio.
-Ciao, Bri, sei stanco?- s’informò Matt abbracciandolo e tenendolo stretto.
Brian sorrise maliziosamente, sporgendosi di nuovo a sfiorargli la bocca.
-Non abbastanza.- ridacchiò.
Matthew lo fissò affatto convinto.
-Bri…- lo richiamò piano.
-Beh, cosa?- ritorse lui sempre più malizioso.- Cosa cosa?- incalzò ridendo e spingendolo via per tirarsi in piedi.- Non dovevamo andare a letto?- chiese senza staccare il viso dal suo, ma spingendolo ancora, verso la porta della camera.- Cosi impari a lasciarmi da solo per tutto questo tempo!
-Dio, Brian! Sei impossibile!- sbottò Matthew sconvolto.- Ma non stavi morendo?!
Lui ci pensò su. Arricciò il naso in un cipiglio delizioso, portò un dito alle labbra rosse e morbide e poi si limitò rispondere:
-…resuscitato!- con aria divertita e soddisfatta.
Spinse Matthew oltre la soglia e si chiuse alle spalle la porta.
*
Caddero sul letto con un tonfo sordo, e la prima cosa che Matt pensò fu “però, se reagisce così dovrei abbandonarlo a sé stesso più di frequente”.
Brian sembrava un indemoniato. Da quando erano arrivati in camera da letto non aveva fatto che armeggiare con i suoi pantaloni, cercando disperatamente di sfibbiarli senza neanche riuscirci.
- Che diamine… - lo sentì bisbigliare fra i denti, e la cosa lo fece ridacchiare.
- Aspetta, aspetta… - disse dolcemente, scostandoselo di dosso e adagiandolo sul materasso come avrebbe fatto con un bambino dormiente, - Faccio io.
Si alzò in piedi, scendendo dal letto, per raggiungere più facilmente il doppio bottone dei jeans che indossava, e sfibbiò velocemente il primo, lanciando uno sguardo distratto a Brian che era rimasto immobile sul letto e…
Lo guardava.
- Che succede? – gli chiese, preoccupato, - Stai di nuovo male?
Brian scosse il capo, come in trance.
- Non dobbiamo farlo per forza. Voglio dire, se ci sei hai tutta la mia collaborazione, ma Bri, non vorrei che mi svenissi fra le braccia o qualcosa di simile…
Brian si sollevò stancamente, inginocchiandosi sul materasso e guardandolo dal basso. Gli occhi umidi brillavano come quelli di un cucciolo, ed erano offuscati da un velo che Matt non faticò a riconoscere come desiderio.
- Sei… bellissimo. – disse Brian a fatica, sfiorandogli il petto attraverso il tessuto della camicia, - Spogliati lentamente…
Matt rispose con un sorriso malizioso, sfibbiando con un gesto morbido il secondo bottone dei pantaloni e lasciandoli lì, aperti, perché Brian potesse osservarli e decidere se abbassarglieli di colpo e saltargli addosso oppure semplicemente aspettare.
Notò con piacere che il suo uomo sembrava disposto a giocare un po’, perché si sedette comodo contro i cuscini addossati sulla spalliera del letto e rimase a godersi lo spettacolo.
Scivolò lento con due dita sui bottoni della camicia, sfibbiandoli uno a uno con la stessa attenzione che avrebbe riservato alla pelle di Brian, se sotto i suoi polpastrelli ci fosse stata lei. Brian si inumidì il labbro inferiore, stringendolo poi fra i denti mentre portava una mano all’inguine e si accarezzava lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso.
Matt sfilò la camicia e la lasciò cadere a terra, arrampicandosi nuovamente sul letto e fermando la mano di Brian prima che potesse concludere la seconda carezza.
- No no… - bisbigliò, a un centimetro dal suo orecchio, - Non pensare che ti lascerò fare tutto da solo… non sono fatto per essere guardato…
Brian si lasciò sfuggire un mugolio frustrato, spingendosi contro di lui e strusciandoglisi addosso.
- Piano, piano… dammi tempo… - mormorò Matt, stringendolo a sé con sicurezza e sollevandolo dal materasso quel tanto che bastava per sfilargli i pantaloni e gettarli lontano, da disturbo qual erano.
- Tempo… - si lamentò Brian, ribaltando le posizioni e salendogli addosso, - Ho aspettato anche troppo.
Matt sorrise felino, e non lasciò che Brian stabilizzasse la nuova situazione, ma lo riportò con decisione sul materasso, stupendosi della sua docilità.
- Te ne approfitti perché ho la febbre…
- Sei tu che mi hai dato via libera, tesoro…
Brian sorrise e ricominciò a strusciarsi contro di lui, mormorando soddisfatto quando la propria erezione sfiorava la fibbia dei pantaloni di Matt attraverso il cotone degli slip.
- Santo cielo, sei proprio impaziente! – ridacchiò Matt, allontanandosi da lui con un veloce movimento dei fianchi, - Non puoi aspettare che sia io a soddisfarti? Devi per forza fare tutto da solo?
- Maaatt… - lo richiamò lui, gli occhi chiusi e il respiro affannoso, mentre spingeva in avanti il bacino alla disperata ricerca di un contatto.
- Ok, ok… - rispose l’inglese, tornandogli vicino, - Ho capito.
Gli scivolò addosso, lasciandosi sfuggire un ghigno soddisfatto mentre osservava la schiena di Brian inarcarsi e il suo capo gettarsi indietro all’istante.
- Matt… Matt, ti prego…
Ma sì, ne aveva avuto abbastanza.
Saltò fuori dai propri pantaloni con tanta velocità che si stupì di sé stesso, e riuscì a spogliare definitivamente Brian nello stesso movimento.
Oh, sì.
Doveva avere voglia.
Decisamente.
- Mmmh, e poi sarei io quello bello… ma guardati… - commentò, chinandosi sul suo petto e scivolandogli addosso con la lingua, - Sei così caldo
Brian sospirò pesantemente, giocando con le dita fra i suoi capelli e spingendolo verso il basso con desiderio neanche troppo celato.
- Il mio bimbo impaziente… - sbuffò Matt divertito, soffermandosi a giocare con le labbra su un suo capezzolo e sfiorando appena la sua erezione con le dita, - Come ho potuto lasciarti qui da solo…?
- Sììì… sei… sei stato terribile…
- Mmmh… eri geloso…?
- Da morire… da morire…
- Ma come…? Io ti sono stato così fedele…
- La… ah… Matt…
- Mmmh…?
- La presentatrice… ci provava con te…
Ridacchiò, circondandolo con una stretta sicura e riprendendo a massaggiarlo dall’alto verso il basso, risalendo con la lingua per torturargli il collo.
- Ci provava con te e tu… Dio… Matt, cazzo, scopami…!
- Oooh… non posso mica farlo così, di punto in bianco… devo prima prepararti…
- Il lub-
- So dov’è il lubrificante, Bri… ma non so, oggi… - gli leccò le labbra, e Brian rispose dischiudendole e offrendosi per un bacio, - …oggi sei buono da mangiare…
Brian rabbrividì sotto le sue dita, e lui smise immediatamente di accarezzarlo.
- …e quindi penso che ti assaggerò tutto…
- Cos- - azzardò l’uomo, ma non ebbe modo di concludere la sua domanda, perché due secondi dopo Matt era lì, fra le sue gambe, che si avvicinava pericolosamente alla sua apertura, sfoggiando un sorriso da predatore che avrebbe dato i brividi anche a un dio del sesso.
- Dio…! – esclamò, coprendosi gli occhi con un braccio, - Non vuoi farlo davvero!
- Oh, sì che voglio…
- Matt! – ma non riuscì a dire altro, perché la lingua del suo uomo lo sfiorò, dapprima con tocchi lievi ed esitanti, e poi via via sempre più sicuri, scivolando umida e calda tutta intorno per poi indugiare appena sulla sua apertura e forzarla con decisione, strappandogli un brivido e un singhiozzo di sorpresa e piacere.
- Aaah… - ansimò, mentre la lingua di Matt si faceva strada dentro di lui, - Oddio…
Matt riemerse dalle sue gambe, tornando a guardarlo con un sorriso soddisfatto.
- Proprio buono, sì. – commentò ironico, facendolo rabbrividire per l’ennesima volta, - E comunque smettila di invocare Dio, cielo… - sbottò, avvicinandoglisi e sfiorandogli le labbra col respiro, - Hai qui me… invoca me…
- …Matt! – riuscì a dire Brian, spalancando gli occhi, - Sei un porco!
Matt ghignò, zittendolo con un lieve tocco sulla sua erezione.
- Come se questo non ti piacesse…
- Ngh… vorrei… vorrei vedere come reagirebbero i tuoi amici se sapessero che sei davvero così puttana
- Mmmh… preferisco che a vederlo sia solo tu. E adesso… - concluse, infiltrandosi fra le sue cosce e sollevandogli il bacino per posizionarsi fra le sue natiche, - …vediamo di recuperare il tempo perduto.
Quando gli fu dentro, Brian lanciò un gridolino a metà fra il dolore e la sorpresa e chissà cos’altro, incrociandogli le gambe dietro la schiena e attirandolo a sé.
- Matt… ah, Matt… sì, scopami…
Matthew si chinò sul suo collo, spingendosi con forza dentro di lui.
- Ti scopo, piccolo, ti scopo… non mi senti…?
- Sì… sì che ti sento…
Sorrise sulla sua pelle, uscendo fino al limite ed osservando divertito Brian venirgli incontro con un movimento imperioso.
- Matt… non ti azzardare…
- Uh… non mi va più di condurre il gioco… ti va di… mh… cavalcare…?
Non gli diede neanche il tempo di domandarsi di cosa diavolo stesse parlando: lo afferrò per i fianchi e ribaltò le loro posizioni sul materasso, costringendo Brian a impalarsi con un gemito strozzato sulla sua erezione pulsante.
- Adesso devi muoverti tu, piccolo…
E Brian non se lo fece ripetere due volte. Prese ad agitarsi come un ossesso su di lui, piantando le mani sulle sue ginocchia e spingendosi a fatica verso l’alto, per poi lasciarsi ricadere verso il basso, rompendosi in sospiri eccitati e ansiosi, aumentando il ritmo mentre Matt gli si spingeva contro a sua volta, totalmente rapito dal suo movimento rapido e dalle gote arrossate da febbre ed eccitazione.
- Matt… - ansimò, - Toccami…
Matthew allungò una mano e circondò amorevolmente la sua erezione, scivolando per la lunghezza al ritmo delle loro spinte, aumentando la velocità quando voleva che anche Brian la aumentasse e diminuendola quando gli sembrava che le cose stessero per concludersi troppo in fretta.
Fosse dipeso da lui, gli sarebbe rimasto dentro per sempre.
Ma era impossibile, e lo sapeva, e perciò non fu deluso come avrebbe dovuto, quando lo sentì liberarsi fra le sue dita con un singulto strozzato.
- Matt… Matt, vienimi dentro… ti voglio sentire mentre vieni…
- Dio, sì! – ansimò lui, mettendosi seduto e afferrandogli il collo tra i denti mentre si svuotava dentro di lui.
Ricaddero entrambi sul materasso, esausti; Matt fra le lenzuola e Brian ancora tutto attorno a lui, disteso sul suo petto, alla ricerca dell’aria che non trovava più.
- Cazzo… - riuscì a commentare Matt quando ne ritrovò la possibilità, - è stato…
- …grandioso! – concluse per lui Brian, guardandolo negli occhi con aria sinceramente stupita, - Davvero! Mai… mai provata una cosa simile! E se lo dico io…
Matthew ridacchiò, stringendoselo contro come un pupazzo.
- Non essere troppo crudele con te stesso…
- Haha, Bellamy, haha.
Gli scompigliò i capelli affettuosamente, godendo del tepore della sua pelle contro la propria.
- Sembra che la febbre ti sia passata… non sei più tanto caldo…
- Probabilmente avevo solo bisogno di sfogarmi! – ridacchiò Brian, circondandogli il collo con le braccia, - Spero solo che adesso non venga a te.
Le ultime parole famose.
*
Matthew aveva un tale, terrificante mal di testa che si sarebbe sentito decisamente meglio se qualcuno, in un atto di sincera pietà, gliel’avesse spiccata di netto dal collo con un bel colpo d’ascia. Ma in alternativa era disposto ad accettare anche una pistolettata contro la tempia.
In una simile condizione fisica e mentale non era particolarmente stupito del trovare la presenza di Brian - cinguettante e felice nel bagno - assolutamente inopportuna. Soprattutto perché lui sembrava, invece, tornato in forma smagliante e ci teneva a manifestare questa cosa cantando la sua gioia come la peggiore principessa disneyana nel più becero dei film per bambini!
-Mattytesoro!!!- si annunciò Brian comparendo sulla porta del bagno, perfettamente lavato, vestito, profumato e truccato, tanto da essere tornato la deliziosa signorina di sempre. Il suo sorriso si allargò incrociando lo sguardo sofferente di Matthew, messo k.o. da un febbrone da cavallo salitogli nella notte ed agonizzante sotto strati vari di lana, nel lettone.- Oh, non temere!- esclamò Brian avanzando minacciosamente verso di lui ed incrociando le braccia dietro la schiena in una posa adolescenziale che Matt giudicò spaventosa.- Mi prenderò cura di te con tanto amore e dedizione che sarai fuori da quel letto per ora di cena!- promise riuscendo ad aumentare a dismisura la percezione di pericolo naturalmente promanante dalla sua figura.
Eh, già! L’altra cosa a cui Brian sembrava tenere terribilmente quel mattino, era ringraziarlo per quanto era stato carino la sera prima con lui e manifestargli il proprio amore incondizionato. Questa cosa riusciva talmente orrorifica per Matthew che provò inutilmente a mugugnare un rassicurante “sto bene, non devi per forza sacrificarti per me, magari è meglio se esci”, ma riuscì ad articolare solo un gemito strozzato. E, colmo della sfiga, Brian lo interpretò come un lamento.
-Oooh! Povero cucciolo!!!- esclamò subito, partecipe del suo dolore. Matt se lo ritrovò addosso prim’ancora di poter realizzare che questo, probabilmente, avrebbe comportato la chiusura definitiva e totale delle sue già ostruite vie respiratorie.- Hai mal di gola, vero? Povero tato, sei così piccolo ed indifeso, contro quei batteri cattivi! Vuoi che ti prepari una camomilla?
“No, vorrei che ti spostassi e permettessi all’ossigeno di raggiungere i miei organi vitali”, pensò Matt pacatamente, soffermandosi piacevolmente sulla vaga possibilità che Brian facesse davvero qualcosa di utile per lui quel giorno. Poi si rimise di buon animo ad aspettare che la morte per soffocamento lo cogliesse.
Ma per sua sfortuna, Brian aveva già avuto un’ottima idea e, con uno slancio che valse a Matt un discreto colpo nello stomaco, si sollevò balzando agilmente giù dal letto e da ciò che rimaneva del proprio compagno.
-Bene! Allora ti preparerò una camomilla calda con tanto miele! E poi!!!- aggiunse con un sorriso enorme ed entusiasta- Avviserò Dom e Chris che non stai bene, così potranno venire a trovarti!
Matt sbuffò. Appena Dom e Chris avessero saputo che lui era a letto con la febbre a quaranta, non solo non si sarebbero fatti vedere a casa prima di un mese, ma sarebbero fuggiti in Polinesia per essere certi di evitare il contagio. Abbandonandolo, peraltro, alle amorevoli cure di Brian.
Rabbrividì.
E fu la seconda peggiore idea della giornata. Come per il gemito strozzato, infatti, il suo premuroso compagno immaginò immediatamente quale potesse essere la causa di una tale manifestazione di malessere e, già correndo in direzione dell’enorme cabina armadio che si apriva su un lato della camera, strillò.
-Ma tu hai freddo!- disse, sparendo all’interno della cabina suddetta, per poi riemergerne con sollecitudine, reggendo tra le mani un piumone così alto e spesso che Matt iniziò a sudare già a vederlo.- Non sia mai che prendi un colpo d’aria.- asserì, maneggiando con sicurezza l’ammasso informe di piume e morbido cotone blu.
Lo spiegò e lo lasciò ricadere su Matthew con lo stesso movimento, prendendo subito a rimboccarne le estremità per essere certo che quest’ultimo svanisse fra le innumerevoli pieghe, e non appena il viso di Matt fu ben coperto dal piumone e di lui non rimase che un ciuffo di capelli castani che spuntava sul cuscino, Brian si tirò dritto, gettò uno sguardo alla sagoma ricoperta ed incrociò le braccia sul petto sbuffando.
-Matty!- richiamò arricciando il naso infastidito.- Smetti subito di fare il bambino!
Sotto la sua tomba di lana e piuma d’oca, Matt si domandò pigramente di cosa stesse parlando. Poi avvertì le dita di Brian scavare tra le coltri ed udì la sua voce fornire una spiegazione stizzita.
-Insomma! Non stavi male?! Potresti anche evitare di…giocare a nascondino! Non penserai mica che io possa passare tutta la giornata qui seduto a badare a te, Matt! Devo preparare il pranzo, scendere a prenderti le medicine…
“No, Brian, hai ragione, ci mancherebbe! Vai pure, amore!”, implorarono gli occhi di Matt.
E non appena Brian intercettò quello sguardo angosciato di lacrime riflesse nell’azzurro splendente, capì che non poteva deluderlo.
Sospirò, si arrampicò sul letto pestacchiando le membra scomposte che gli strati innumerevoli rendevano praticamente invisibili, e raggiunse il proprio lato del materasso.
-Va bene.- gli disse piano, stendendosi al suo fianco e poggiando la testa contro la spalliera del letto. Incrociò le mani in grembo e sospirò di nuovo.- Resterò qui con te.
Matt voltò il capo e fissò il muro davanti a sé. In quel bianco immacolato lesse la propria condanna. Capì che Dio esisteva, e lo odiava! E…
Brian si accoccolò contro di lui, arrotolandosi come un bambino e posandogli la testa sul petto. Matt rimase un attimo stupito. Poi il suo corpo si rilassò sotto quel peso, quasi adattandosi alla forma di quella “presenza”. Sorrise, pensò che era la cosa migliore della sua vita e chiuse gli occhi anche lui.
...Quando Brian si svegliò un paio di ore dopo, lo trovò che dormiva a bocca aperta.
-Uff!- sbuffò paziente- Quando si sveglierà avrà un mal di gola peggiore di prima.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia.
Pairing: MatthewxBrian. Be', sì XD
Rating: R
AVVISI: Boy's Love, CrackFic, RPS.
- Una notte, Matthew si sveglia d'improvviso e chiede al suo uomo se pensa che sia gay o bisessuale. E questo è solo l'INIZIO del disastro.
Commento dell'autrice: Avete assistito alle nuove quasi-dieci pagine di follia made by liz ^___^ (come se ne sentiste il bisogno…).
Anyway, è tutto vero >O< Matthew è gay. Non può essere altrimenti!
Nah, si scherza :D
Grazie alla Nai per il betaggio >.<
Dedicata con affetto enorme a Bea, che illuminandomi sulla palese gayezza (o era gaytudine?) di Supermassive Black Hole mi ha aperto un nuovo mondo çoç E all’Ele, perché… siamo in sintonia in questo senso <3
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
ASK FOR ANSWERS
ovvero
Capra E Cavoli

Quando aprì gli occhi, si spaventò.
- Matt! – strillò agitato, scattando a sedere sul letto, - Che diavolo hai?
Matthew Bellamy, il suo uomo, stava fissando la parete di fronte al letto con sguardo vacuo e labbra dischiuse. Come ipnotizzato. O come fosse totalmente pazzo.
Cosa che in effetti era. Dannazione!
- Matthew! – chiamò ancora, sempre più sconvolto, - Matt, ti dai una svegliata e mi dici cosa c’è?
Lui si voltò a guardarlo con un movimento lentissimo, ruotando appena il capo sul collo – e fu una visione talmente inquietante che Brian a un certo punto pensò che l’avrebbe visto fare come la bambina protagonista dell’Esorcista, e che si sarebbe trovato a fissare negli occhi un Matt con la testa avvitata sul collo come una lampadina. Ma la testa di Matt non ruotò così tanto, e quindi Brian si ritrovò a fissare solo un enorme paio d’occhioni cucciolosi celesti che imploravano aiuto dal fondo della confusione mentale in cui erano intrappolati.
“Avrà fatto un brutto sogno”, si disse, sorridendo teneramente e cingendolo con un braccio intorno alle spalle per abbracciarlo.
Ma Matthew Bellamy non poteva certo lasciarsi consolare senza approfondire l’argomento, no.
Lui doveva esprimersi.
- Brian… - disse, col tono infantile e dispiaciuto di chi sa che sta per fare una domanda sciocca, ma non per questo si fermerà, - secondo te io cosa sono?
Brian lo guardò, inarcando le sopracciglia.
- Pensavo un “essere umano”, ma ormai comincio ad avere dei dubbi.
- …
- Sicuramente nella tua linea genealogica ci sono delle capre. Ed evidentemente, per i principi mendeliani, tu presenti i caratteri recessivi di questa tua discendenza.
Matthew lo fissò, attonito e perplesso, per molti secondi.
Poi scosse il capo.
- Sì, ok. – disse condiscendente, annuendo convinto, - Ma io dicevo… secondo te, no?... cioè, visto che hai anche più esperienza di me a riguardo… insomma, io sono gay o bisessuale?
Anche Brian lo fissò, cercando di capire se fosse serio e arrendendosi al fatto che, come sempre, quando si trattava di idiozie colossali, lo era.
- Capra. – concluse tranquillamente, con un lieve sbuffo di disapprovazione.
Quello fu abbastanza perché Matt cominciasse ad agitarsi sul posto, cercando di svoltolarsi dalle lenzuola per protestare con più veemenza contro il suo uomo insensibile.
- Perché mi dai della capra?! – strillò l’inglese quando riuscì nell’impresa, - Io ti ho fatto una domanda seria!
Brian sospirò, tornando a distendersi sul cuscino e sistemandosi le lenzuola sul petto.
- Matt, perché dev’essere un problema? – chiese, per poi passare a spiegare pazientemente la sua teoria, - Quando ti fai domande simili, risponditi che lasci che la tua sessualità fluisca liberamente dove vuole. Questione risolta.
- …perché questa frase non mi è nuova? – domandò Matt, guardandolo di sbieco e gonfiando le guance come uno scoiattolo.
- Perché è quella che si rifila ai giornalisti impiccioni. – rispose Brian con naturalezza, osservando le unghie ancora perfettamente laccate di nero.
Matthew lo guardò per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per realizzare.
- Bri. – lo richiamò poi a bassa voce, - Mi stai liquidando senza darmi retta?
Brian sorrise appena, guardandolo furbescamente di rimando.
- Adesso è la tua parte umana a parlare… - commentò soddisfatto, rivoltandosi sul materasso e prendendo a far dondolare le gambe sotto le lenzuola.
Matthew incrociò con disappunto le braccia sul petto.
- Ok. – borbottò deluso, - Ho capito. Se mi aspetto una soluzione da te, posso aspettare anche in eterno!
- Come sarebbe a dire “una soluzione”?! – si lamentò Brian, lasciandosi andare sul cuscino con un movimento stanco, - Ti aspetti davvero che sia io a definire la tua sessualità?
- Be’! – disse Matt, allargando le braccia, - Scusa se ti ho preso per un uomo sensibile che avrebbe potuto aiutarmi!
Brian si limitò a sospirare pesantemente, chiudendo gli occhi e ripetendosi di star calmo e dormire, ché quella follia prima o poi sarebbe passata come in passato erano volate vie le allucinanti tinture per capelli e le camice a righe bianche e gialle con il panciotto.
- Chiederò a Dom. – mormorò appena Matt, accomodandosi disteso al suo fianco e spegnendo il lume sul comodino per tornare a dormire, - Lui di sicuro saprà darmi una mano.
*
- Tu sei pazzo. – disse semplicemente Dominic, guardandolo con occhi vuoti.
- Non dire così! – si lamentò Matthew, stringendo i pugni come un bambino deluso, - Ti ho solo chiesto se pensi che io sia gay o bisessuale!
- Non è questo!!! – strillò Dominic, allargando le braccia in un gesto esasperato, - Per quanto sia già assurdo essere presi alla sprovvista con una domanda simile alle otto e mezzo del mattino, Matthew, è il discorso che hai fatto prima che mi ha sconvolto!
- Uh? – uggiolò Matt, come cadendo dalle nuvole, - Non capisco. A cosa ti riferisci? Al fatto che ho detto “tu che sei gay…”?
- ESATTO, Bellamy!!! Io non sono gay!
Chris scelse quell’esatto momento per apparire dal corridoio e sgranare gli occhi, avvicinandosi ai due litiganti.
- Che diavolo sta succedendo? – chiese curioso, incrociando le braccia sul petto, - Non mi pare che generalmente tu abbia bisogno di fare dichiarazioni simili così presto al mattino… - commentò, ridacchiando lievemente in direzione di Dom e poi restando in ascolto.
- Matthew è un idiota! – rispose semplicemente Dominic, cercando di fuggire attraverso la porta mentre Matt lo arpionava per un braccio, tenendolo fermo.
- Chris! Dom non mi capisce!
- E cos’è che non capisce?
- Sono venuto qui, disperato, mettendo il mio cuore nelle sue mani e chiedendogli se pensava che fossi gay o bisessuale e lui-
- A-Aspetta un attimo, Matt… - lo interruppe il bassista, aggrottando le sopracciglia, - cos’è che ti fa pensare che Dom possa avere la risposta per una domanda simile?
- Perché lui è gay! – asserì il cantante con estrema decisione, mentre Dom esplodeva in un potentissimo grido esasperato e Chris scuoteva il capo.
- Matt… - cercò di spiegare, liberando Dom dalla stretta, - Dominic non è gay. Non lo è mai stato.
- BALLE! – strillò Matt, riafferrando Dom per la collottola e scuotendolo energicamente, - Lui è stato assieme a Roger Teabing, al liceo! Non è che lo guardava da lontano e ci fantasticava, no! Lui c’è stato! A scuola lo sapevano tutti!
Chris sospirò, mentre Dom urlava ancora.
- Dominic, calmati. – disse il bassista, tappandogli la bocca, per poi tornare a rivolgersi al cantante, - Matthew, anche a te piaceva Roger Teabing. Perdio, a tutti piaceva Roger Teabing! E lui era una puttana, s’è ripassato tipo mezza scuola, e-
- Non ha mai ripassato me!!! – gridò Matthew, mollando all’improvviso Dominic per portare le mani ai capelli in un gesto disperato.
- …okay. Sorvolerò su quest’ultima cosa che hai detto. Il punto è, Matthew, che da quel momento Dom non è mai stato con nessun maschio, e che, per quanto ne so, relega Roger Teabing nella “parte dell’adolescenza di cui preferirebbe non parlare mai più”. È così, Dom?
Dom annuì con decisione, così velocemente che Chris temette per il suo collo.
- Quindi. – continuò il bassista, cercando di risolvere la situazione, - Il problema sarebbe…?
- Il problema è – inizio Matt, infervorandosi, - che ho bisogno di sapere se avete notato qualcosa… qualcosa di strano! Nei miei comportamenti, nei miei modi di fare… qualcosa che possa aiutarmi a stabilire se sono gay o no!
Dom strillò ancora una volta – evidentemente il fatto che Matt avesse riportato a galla una parte oscura e tranquillamente dimenticabile del suo passato aveva bruciato tutti i neuroni che gli erano rimasti.
Chris si limitò a guardare il proprio cantante con aria interrogativa, per poi esplodere in un ennesimo sospiro e scuotere il capo.
- Matthew. – disse dolcemente, con pazienza, - Ti scopi Brian Molko. Cioè… Brian Molko. Mi pare evidente che la tua sessualità è quantomeno… disordinata. Ma al di là di questo, che differenza vuoi che faccia? È… Brian Molko! Non puoi mica angosciarti perché non sai se ti piace scopare con gli uomini o con le donne o con entrambi… Molko è entrambi!
- Tu non capisci! – continuò Matt, intenzionato a non arrendersi, - Per me è importante! Ho bisogno di definirmi come persona! Ho bisogno di saperlo! E per inciso, Brian non è entrambi, Chris!
Il bassista si limitò a scrollare le spalle mormorando “be’, se lo dici tu…” e dirigendosi con aria neutra verso un divano, sul quale si abbandonò, prendendo a sfogliare distrattamente una rivista.
Dominic, frattanto, era tornato in sé.
- Senti, Matt. – disse, più per chiudere definitivamente l’argomento e rimandare Teabing negli abissi della memoria dal quale era stato riesumato, che per desiderio effettivo di aiutare il proprio migliore amico, - L’unico modo per uscire da questa situazione è rapportarti con gli altri. Guarda le persone! Frequentale! Insomma, Dio mio, sei passato da Gaia a Brian senza neanche prenderti un attimo di pausa! Devi volare di fiore in fiore, vedere che effetto ti fanno anche le… le margherite, e le… le violette! Mica solo… chessò, rose e gelsomini!!!
E questo fece accendere qualcosa negli occhi di Matthew.
Un qualcosa talmente inquietante che Dom si pentì subito di aver parlato.
- Matt… - cercò di chiamarlo, ma era già troppo tardi. Matthew si stava dirigendo a passo spedito e deciso verso l’ufficio di Tom
Ufficio nel quale irruppe gioiosamente, strillando “Tom! Credo di essere gay! Indiciamo una conferenza stampa!”, con l’unico risultato che il manager cadde dalla sedia e rischiò seriamente di spaccarsi l’osso del collo.
Presagendo la catastrofe, Dominic si introdusse a sua volta nella stanza, guardandosi intorno con occhi spaventati alla ricerca di Tom, che nel frattempo stava faticando per riemergere dal pavimento sul quale si era abbattuto.
- Cos’è che ha detto…? – furono le prime parole del povero Tom, quando riuscì a risollevarsi e riprendersi almeno un po’.
- Ah! Non chiedermelo! – si lamentò Dominic, agitando le mani, - È da quando è arrivato che dice idiozie e cerca di far decidere agli altri se è gay o no! Scommetto che è stato Molko a ficcargli qualche strana idea in testa…
- Va bene. Okay. – disse Tom, massaggiandosi le tempie e riportando l’attenzione su Matthew, che aspettava trepidante una sua risposta, - Matt, di che diavolo blateri?! Una conferenza stampa? Per dire cosa?!
- Dom mi ha convinto che-
- Dom non ti ha convinto di niente! – lo interruppe il batterista, arrossendo d’improvviso al ricordo delle idiozie che gli aveva detto per tranquillizzarlo.
- Sia come sia! – sbuffò Matthew, contrariato, - Adesso so come posso stabilire se sono gay o no!
- E come? – chiese Tom, per pura formalità, dal momento che già sapeva che risposta avrebbe dato Matt.
E infatti lui non lo deluse.
- Devo chiederlo a più persone possibile! Anzi, devo chiederlo a più giornalisti possibili! Loro sono abituati ad osservare, a prendere appunti, a ricordare le cose! Di sicuro sapranno darmi una risposta!
- Certo, Matt… - lo blandì Tom, condiscendente, - Ma vedi, questa cosa si chiama suicidio mediatico. Vuol dire che vai lì e consapevolmente prendi il tuo povero corpo e lo lanci ai lupi affamati, incitandoli a divorarti. Capisci cosa voglio dire?
- …no. Voglio solo parlare con i giornalisti! Che sarà mai?
- Che sarà mai?! – gridò Tom, evidentemente giunto al limite della propria capacità di sopportazione, - Capisco che tu possa esserti confuso con la metafora dei lupi famelici, ma la parola “suicidio” avrebbe dovuto metterti in guardia, no?!
Matthew si adirò, ed era lì lì per ribattere che non aveva alcuna intenzione di suicidarsi ma solo di parlare, e che se Tom non capiva le diverse sfumature di significato delle due parole era palesemente un cretino, quando Alex Weston apparve sulla soglia della porta, splendido sorriso predatore sul volto e criniera ricciuta come sempre sciolta sulle spalle, avanzando sicura di sé come una pantera in battuta di caccia.
- Allora! – esordì con una mezza risata, - Questa storia di Matthew che indaga sulla propria identità sessuale è vera o è una chiacchiera da assistenti repressi?
- Ossignore! – esclamò Tom, sconvolto, - Matt! Ma a quante persone l’hai detto?!
- Be’… - si giustificò lui a mezza voce, - Quando sono arrivato non riuscivo a trovare Dom… e così ho chiesto un po’ in giro…
- Mi auguro che in giro tu abbia chiesto dov’era Dominic!!!
- No. – rispose innocentemente Matthew, - Ho chiesto a chi incontravo se loro pensavano che fossi gay o no.
- Oh, tesoro! – esclamò Alex, stringendolo fra le braccia ed avvolgendolo in una nuvola di Chanel, - Sei così carino! Per curiosità, - aggiunse poi, con una risatina maligna, - i risultati del sondaggio quali sono stati…?
- Ho scoperto che tante persone credono che io sia stupido! – rispose Matt, agitandosi, - Il che è assurdo!
- Povero caro… - continuò Alex, sghignazzando tanto che non riusciva più neanche a darsi una parvenza di serietà, - Questo non c’entra niente con la tua sessualità!
- È quello che dico anche io! Se io vengo da te e ti chiedo “credi che io sia gay o bisessuale?”, tu non puoi rispondermi “secondo me sei stupido”! Cosa c’entra?!
- Quanto hai ragione, amore! – rise Alex, stringendolo di più perché non notasse la palese ombra di derisione che le oscurava lo sguardo, - Il mondo è cattivo con te!
- Anche Brian lo è stato! – proseguì Matt, contento di aver trovato finalmente qualcuno in grado di capirlo, - Quando l’ho chiesto a lui mi ha dato della capra!
- Non capisco come sia possibile! – sbuffò Alex, lasciandolo finalmente andare e mettendo le mani sui fianchi, - E come intendiamo risolvere questa spiacevole situazione?
- Io vorrei indire una conferenza stampa! – disse Matt con convinzione, - Ma Tom non vuole lasciarmelo fare!
La stessa luce che si era accesa poco prima negli occhi di Matt si accese anche in quelli di Alex. Ma nelle sue iridi verdastre assunse una sfumatura semplicemente demoniaca, una di quelle sfumature che volevano dire “ho trovato un nuovo modo osceno per far soldi”, e che mettevano sempre in agitazione il povero Tom.
- Una conferenza stampa…? – ripeté la donna come stesse recitando un incantesimo, - Be’, io non ci vedo niente di male.
- Ecco! Sapevo che sarebbe successo! – disse Tom, portando le mani ai capelli e cominciando a sudare, - L’idiota e il diavolo! Un dramma!
- Oh, Tom! Non farla così grave! – disse Alex, ragionevole, aiutandolo a sedersi e sistemandosi poi di fronte a lui, senza dimenticare di appoggiarsi sulla scrivania, per guardarlo dall’alto e non perdere il dominio della situazione, - Prova a pensarci: tutti i suoi problemi relazionali sarebbero risolti! Avreste un leader finalmente sereno, rilassato, felice… insomma, normale! E poi è notorio che fare outing aiuta… pensa a Brian!
Brian passò davanti alla porta dell’ufficio – ancora aperta – proprio in quel momento. Aveva gli occhi persi in una quantità infinita di scartoffie – i fogli che teneva fra le mani erano così tanti che davano l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro – e un paio di cuffiette affondate in profondità nelle orecchie, e camminava velocemente, con incedere quasi isterico, borbottando a mezza voce frasi incomprensibili, intervallate con convinti “sì” o delusi “no”.
- …normale, dicevi…? – esalò Tom, sconvolto, mentre Alex ridacchiava imbarazzata.
- Secondo me siete tutti pazzi. – concluse Dominic, imboccando la porta per fuggire da quella situazione, - So già come finirà questa storia, e so già di non volerci avere niente a che fare.
*
Puntualmente, due ore dopo, la sala conferenze era gremita di giornalisti affamati di notizie, e Tom e i Muse – sudati e imbarazzati come mai, ad eccezione di Matt, che sembrava in agitazione solo perché la discussione che stava per avere luogo avrebbe, a sua detta, “cambiato la sua vita” – stavano seduti al tavolo, aggiustando nervosamente giacche e cravatte e sbottonando colletti quando eccessivamente stretti, mentre Alex, Stef e Steve monitoravano la situazione dal fondo della stanza e cercavano di riportare un Brian, ancora impegnato in chissà cosa, alla realtà.
- Io vorrei solo capire… - borbottò Dom, guardandosi intorno con fare isterico, - perché anche noi?! È lui l’omosessuale!
- Sta’ un po’ zitto, Dom! – lo rimproverò Tom, - E poi è sempre meglio essere uniti e compatti di fronte alle disgrazie. Sarà più facile salvare Matt e i Muse dal disastro, se staremo insieme!
Inutile dire che l’arringa non convinse affatto il batterista, che incrociò le braccia sul petto e guardò altrove, concentrandosi fortemente sul pensiero “in realtà non sono qui, sono alle Hawaii e una bella isolana sta ballando per me vestita solo di gusci di cocco”.
In quel momento, Matthew decise che aveva aspettato abbastanza e che era il momento di risolvere la questione. Prese il microfono fra le mani, si schiarì la voce, aspettò imbarazzato che il microfono smettesse di fischiare per protesta e infine parlò.
- Secondo voi… - chiese esitante, guardandosi intorno, - io sono gay?
Il momento di silenzio che seguì fu il più carico di aspettativa della storia di tutti i silenzi.
Ma non ebbe una conclusione soddisfacente.
I giornalisti, infatti, invece di rispondere alla domanda, letteralmente assaltarono i propri taccuini, prendendo a scrivere come forsennati e implorando i colleghi perché facessero riascoltare loro la registrazione, per descrivere ogni sfumatura della voce di Matthew Bellamy che confessava al mondo la propria omosessualità.
- No, no! – disse Matt, comprendendo che la piega che la situazione stava prendendo non era quella che lui si sarebbe aspettato, - Non stavo dicendo di essere gay! Avete capito male!
Tutti i giornalisti si fermarono d’improvviso, le penne a mezz’aria e qualche ghirigoro scarabocchiato sui fogli a quadretti.
- Stavo chiedendo a voi se pensate che io sia gay! – precisò con foga, alzandosi dalla propria seggiola e andando a sedersi in punta sulla pedana, i piedi dondolanti nel vuoto, molto più vicino ai giornalisti di quanto non fosse prima e ben deciso a dare il via a un serio dibattito sull’argomento.
E mentre Tom organizzava le guardie del corpo perché fossero pronte a recuperare il frontman prima che venisse mangiato vivo, successe l’impensabile.
Ovvero, i giornalisti cominciarono effettivamente a discutere.
Ipotizzavano.
Facevano esempi.
Riportavano alla luce fatti e capi di vestiario dei quali neanche lui ricordava più l’esistenza.
In un marasma concitato di voci diverse e contrastanti all’interno del quale non si capiva niente.
E Matt… Matt sembrava perfettamente a suo agio. Ascoltava tutto. Annuiva, ANNUIVA, di tanto in tanto. Spiegava, forniva giustificazioni, commentava, negava e asseriva.
- In effetti, quando siete usciti con la demo lei aveva un maglioncino rosa, signor Bellamy…
- Be’, sì, in effetti è vero…
- E in uno degli ultimi servizi fotografici che avete fatto, signor Bellamy, lei ha nuovamente indossato una maglietta rosa…
- Dite che il rosa può essere un indizio?
- Certo, signor Bellamy!
- E poi c’è il suo famoso falsetto…
- Ma il falsetto c’entra con l’omosessualità?
- Ma è ovvio, signor Bellamy! Per non parlare di certi completini che indossa…
- Ma siamo tornati ai vestiti?
- I vestiti sono spesso la più evidente prova di omosessualità, signor Bellamy!
Questo sembrò convincerlo più di tutto il resto.
Annuì vigorosamente, lasciando dondolare ancora un po’ le gambe giù dalla pedana.
- C’è anche il cappellino coi brillantini… - disse lui stesso, - In effetti sembrava strano anche a me…
- Ma allora, signor Bellamy… - azzardò un giornalista, pronto a scrivere qualora ce ne fosse stato bisogno, - lei è omosessuale?
E lì sarebbe successo il disastro.
Perché Matt avrebbe senza dubbio alcuno risposto “sì”. Se Dominic non avesse creduto opportuno darsi una manata sulla faccia, riscuotersi dallo sconvolgimento in cui quella situazione l’aveva gettato, afferrare due gorilla e correre in soccorso del proprio frontman, prelevandolo da dove si trovava prima che potesse dire qualcosa in grado di far esplodere una bomba dalla potenza tale che avrebbe distrutto tutta la loro vita per sempre.
- Lo spettacolo è finito. – annunciò teatralmente Tom, afferrando anche Chris per la collottola e fuggendo al piano di sopra, - Arrivederci e grazie.
Ben presto, fra lo sghignazzare convulso dei giornalisti che prendevano a chiamare in direzione per dire di avere “il silenzio-assenso del secolo”, la sala rimase praticamente vuota, e davanti alla porta restarono solo un’Alex con le braccia incrociate sul petto, perfettamente sorridente e soddisfatta, uno Stefan e uno Steve palesemente sconvolti che cercavano ancora di capire cosa diavolo stesse succedendo, ed un Brian che non sapeva più dove posare i fogli di carta e continuava a borbottare frasi senza senso mugugnando come un pazzo.
- Bri… - lo chiamò Stef, picchiettandogli con un dito sulla spalla, - che cosa sta combinando il tuo uomo…?
Brian non gli diede retta, scrollando le spalle e continuando a segnare appunti su appunti, cerchiando in rosso alcune parole sul testo che aveva davanti.
Il bassista lanciò uno sguardo a Steve, il quale si limitò a scuotere il capo e allargare le braccia in segno di resa.
- Stef! – chiamò all’improvviso il cantante, alzandosi in piedi e sventolandogli un foglio sotto al naso, - Secondo te l’espressione “spiral static” è equivocabile?
Stefan guardò Alex e vide che ridacchiava gioiosa.
Guardò Steve e capì che non poteva pretendere che riflettesse su una cosa simile.
Guardò Brian e lo vide in fiduciosa attesa di una risposta.
Perciò sospirò. E rispose.
- Brian, non ho idea di cosa tu stia dicendo.
Il cantante, per tutta risposta, arruffò le penne e strillò che nessuno di loro aveva capito niente, che alla fine toccava sempre a lui perdere vite per cercare di risolvere i problemi, e, minacciando di ucciderli tutti se si azzardavano a disturbarlo prima che avesse trovato una soluzione, fuggì di corsa dalla sala riunioni, raccogliendo fogli a destra e a manca se nella fretta ne faceva scivolare qualcuno per terra.
- Frequentare Bellamy gli sta facendo prendere cattive abitudini. – commentò semplicemente Steve, battendo un paio di volte con la mano sulla spalla del bassista e invitandolo ad andare fuori a prendere una boccata d’aria, mentre lui annuiva sconsolato.
*
Brian era un uomo molto innamorato. E perciò poteva percepire esattamente quanto frustrato e deluso e confuso fosse il suo uomo quella sera, quando se lo ritrovò nel letto, braccina incrociate sul petto e adorabile broncio a increspare le labbra sottili.
Ma dal momento che Matt non aveva fatto altro che sbuffare e contorcersi nell’angoscia da quando era tornato a casa, probabilmente il fatto che Brian avesse compreso il suo stato d’animo non dipendeva esattamente dall’enorme amore che provava per lui.
Matthew si rigirò fra le lenzuola per l’ennesima volta, agitandosi al punto da far dondolare il letto, e Brian capì che quello era il momento di rendere pubblici – almeno con lui – i risultati delle ricerche estenuanti che l’avevano tenuto impegnato per tutte le ventiquattro ore di quella giornata.
- Matt. – disse seriamente, aspettando che l’uomo si voltasse e lo fissasse negli occhi, prima di continuare, - Sei gay.
Si sarebbe aspettato molte cose.
Che le sue labbra si aprissero in un sorriso sereno e soddisfatto, che lui gli saltasse addosso ringraziandolo, o che dicesse malizioso “mettiamo in pratica le tue teorie” – anche se Matt non aveva mai fatto una cosa simile, purtroppo.
Ciò che vide non assomigliava a niente di quanto aveva immaginato.
Matthew… rimase lì.
Immobile come un rospo congelato.
Gli occhioni fissi e vuoti su di lui e le labbra strette in una smorfia di puro stupore.
Brian immaginò che volesse una qualche… prova… e quindi si affrettò a fornirgliele.
- Io… - cominciò, prendendo fiato, - non sono come quegli idioti dei giornalisti! Non starò a farti l’elenco dei vestiti che hai indossato o delle volte in cui sei saltato addosso a Dominic o a Christopher mentre eravate sul palco. No! Io ho portato avanti uno studio scientifico! Mi segui, Matty?
“Matty” annuì, incapace di fare altro.
- Ho stampato tutti i vostri testi! – spiegò Brian, riempiendosi d’entusiasmo di parola in parola, - E… sai, Matty, si dice che quando si scrive si è molto più sinceri rispetto a quando si parla…
- …io non scrivo i testi delle mie canzoni…
- Che c’entra? Componi! Crei! Butti giù!
- …no. Più che altro ricordo.
Brian si prese un attimo di pausa.
La nuova consapevolezza che il proprio uomo non mettesse su carta le robe che creava nella testa, cambiava qualcosa nelle sue convinzioni?
…no.
Annuì serenamente e ricominciò a spiegare.
- Vedi, Matt, in effetti tutto è cominciato molto tempo fa. In realtà tu già hai detto al mondo di essere gay nel vostro primo album!
- …nel… nel primo…?
- Sì! – annuì Brian, convinto, tirando fuori un foglio ricoperto di segnetti rossi da sotto il cuscino, - Vedi, in Sober…
- Sober era una canzone sull’alcool!
Brian gli scoccò un’occhiata severa, fissandolo di sbieco.
- L’alcool, Matt? Solido?
…in effetti…
- Insomma, per tutto il ritornello tu non fai che parlare di questa cosa dura che brucia dentro di te… a me sembra ovvio che o parlavi di una supposta o parlavi di un-
- Non dirlo!!!
Il cantante dei Placebo si interruppe di colpo, sgranando gli occhioni. Cosa stava succedendo a Matthew? Durante la conferenza stampa sembrava così impaziente di scoprire la verità sulla propria sessualità! E adesso stava lì a fare i capricci?
- Ma quello non è l’unico indizio, Matty… - continuò Brian, picchiettando con due dita su un altro foglio tirato fuori da chissà dove, - Pensa al testo di Fillip… qualcosa di nuovo, qualcosa di strano…
- Ma-ma-!!!
- Poi è ovvio che in Citizen Erased tu fai un passo indietro e cerchi di negare tutto. – proseguì Brian, sempre più deciso, annuendo, - Quando dici che devi mentire e coprire ciò che non va condiviso con gli altri. È ovvio!
- Ma questa ovvietà…
- Ah, be’, - lo interruppe Brian, continuando a fornire prove su prove, - poi in Time Is Running Out c’è quella famosa cosa del succhiare la vita… - un’occhiata languida, un sorriso appena malizioso, - …succhiare la vita fuori da te, ma non ricordo in questo momento se l’avevo presa come una prova di omosessualità o come un riferimento sessuale e basta…
- E io che pensavo che non fosse nessuna delle due cose… - sospirò Matt, esausto, abbandonandosi contro lo schienale del letto e fissando sconvolto i decori delle lenzuola.
- Ma la prova più schiacciante, Matt, - concluse Brian, tirando fuori un ultimo foglio da… da sotto la maglia del pigiama che indossava, - è il vostro ultimo album.
- Black Holes…?
- Esatto Matt.
- And…
- Sì, Matt.
- …And Revelations…
- Proprio così, Matt. Buchi neri e rivelazioni. E Supermassive Black Hole, Matt… Matt, è una canzone palesemente gay.
- …palesemente gay…
- Be’, sì, prova a pensarci… il falsetto… e… voglio dire, le superstar che finiscono risucchiate nel…
- …
- …ecco…
- …nell’enorme buco nero. Sì, Brian.
Brian guardò il proprio uomo.
Sembrava… disorientato forse non rendeva appieno, ma era di sicuro un modo per descriverlo.
Fissava angosciato un punto vuoto nell’aria davanti a sé, e non trovava neanche la forza per sospirare un assenso o un dissenso.
- Oh, be’. – disse a mezza voce Brian, sporgendosi verso di lui per baciarlo teneramente su una guancia, - Devi metabolizzare. È normale. Buonanotte! – e così dicendo si affrettò a spegnere il lume sul comodino, arrotolarsi fra le lenzuola e addormentarsi di botto.
Matthew rimase lì, seduto a fissare il niente.
- Brian… - mormorò appena, ancora incapace di muoversi, - Brian, tesoro.
L’altro mugugnò un “ti ascolto” trasognato, e Matthew sospirò.
- La prossima volta… - sbuffò, abbandonando il capo indietro, contro il legno, - quando ti faccio una domanda, ignorami.
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: MattxBrian, hint semi-nascosta ma IMMENSA di BrianxStef.
Rating: R
AVVISI: CrackFic, Language, RPS, Slash.
- Matthew Bellamy incappa nelle foto del bacio che quello che dovrebbe essere il suo uomo - Brian Molko - e il bassista del di lui gruppo - Stefan Olsdal - si sono scambiati durante un concerto in Lituania e... semplicemente dà di matto.
Commento dell'autrice: Il mondo è perduto! Due fic idiote in due giorni! Questa, poi, è nata in reazione al tragico fatto ç_____ç Che è successo davvero ç____ç E una donnina fedele al proprio fandom quale io sono non poteva lasciar correre >_< La rivoluzione di Matt doveva avere luogo! Anche se alla fine fa la figura becera dell’idiota comunque XD Ma che posso farci, lui È un idiota. *si nasconde*
Per l’ultimo dialogo fra Matt e Bri ringrazio la mia amata <3 Mika, che l’ha concepito e realizzato live chattando con me su MSN *_* Grazie anche alla Nai per il beta-reading ç_ç Non avete idea di quanti stupidissimi errori di battitura ci sarebbero, qui, senza il suo prezioso aiuto <3
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A MATTER OF A BRIEF KISS
Song #38. Headstrong

- E quindi è una puttana!
Fine di un ragionamento perfettamente logico.
Durato la bellezza di due ore e mezza.
Dom si lasciò andare sul divano ed esplose in un sospiro sollevato.
- Grazie a Dio hai concluso! – sbottò esasperato.
Decisamente non era quello che Matt si sarebbe aspettato che il suo migliore amico sbottasse in una situazione simile. Si sarebbe aspettato che Dom sbottasse qualcosa tipo “eccome se hai ragione! Ti aiuterò ad organizzare una vendetta coi controfiocchi, facciamo sparire il suo beauty-case dal tuo bagno e facciamogli trovare le mutande di un altro uomo sotto al letto!”. E invece no. E invece sbottava “grazie a Dio hai concluso”. Corsivettando il concluso, peraltro!
Fissandolo incredulo, Matt si azzardò a chiedere il perché di quella lamentela.
- Matthew, con chi sto io?
- Uhm. – disse Matt, un po’ stupito dalla domanda inaspettata, - Sei con me, in questo momento.
- Cretino. Chi è il mio ragazzo?
- Ah! In quel senso! Ma Stefan, chiaramente. Ed è per questo che non capisco-
- Non capisci? – esalò Dom, dandosi uno schiaffo sulla fronte, - Come potevo sperare il contrario? Bells, se ci fosse qualcosa di cui preoccuparmi, non pensi che sarei già preoccupato?
- …non capisco!!!
Dominic mugolò di dolore e desiderò avere la calmante presenza di Chris al suo fianco. Ma Chris era da qualche parte in vacanza alle Bahamas, e Dom voleva troppo bene al suo bassista per costringerlo a prendere un aereo d’urgenza per recarsi a reggergli la mano nella piovosa Londra mentre cercava di fare capire a Matthew quanto intensamente fosse idiota.
- Matthew… ti prego… se quel bacio fosse una cosa seria, non sarei così tranquillo!
- …l’hai detto!!! – strillò Matt, inorridendo.
- …cosa? – chiese lui, sconvolto dall’urlo.
- L’hai nominato!!!
- Ma cosa?
- Il bacio!!!
Ecco.
Ecco di cosa stavano parlando da due ore e mezza.
Il dannatissimo bacio che Brian e Stefan si erano scambiati sul palco del concerto che avevano tenuto a Vilnius.
- Matt… è ovvio che io l’abbia nominato, ne parliamo da ore… - puntualizzò, massaggiandosi le tempie.
- Sì, - protestò animatamente Matt, - ma io non l’ho nominato!
In effetti tutto il discorso di Matt era stato infarcito di quella cosa, l’indecenza e l’oscenità. Non aveva mai pronunciato la parola bacio.
Doveva dargliene atto, il suo cervello funzionava bene – per le cose totalmente inutili.
E grazie al cielo lui non aveva avuto la sbadataggine di menzionare che di quel bacio sapeva da giorni, che era stato tutto perfettamente organizzato – come tra l’altro era palese, osservando foto e riprese – e che Brian l’aveva implorato di non dire niente a Matt perché, conoscendolo, come minimo avrebbe preso il primo aereo per la Lituania e, nel tentativo di fermarlo, sarebbe stato rapito da uomini senza scrupoli che gli avrebbero tagliato le orecchie e la lingua per farsi pagare un riscatto milionario.
(Sì, Dom era assolutamente convinto del fatto che Matthew e Brian fossero fatti l’uno per l’altro.)
- Matthew. – disse il batterista, ormai al limite della sopportazione, - Se può farti star meglio, chiama Brian. Parlagli. Vedrai che ti risponderà che è stato solo un modo per protestare contro i maltrattamenti nei confronti dei gay in quel paesucolo di merda.
- Ha! – esplose Matt, battendosi teatralmente una mano sulle ginocchia, - E tu pensi che mi beva questa cazzata dei diritti dei gay?! Ma per favore!!! Se uno vuole rivendicare diritti fa una manifestazione, un sit-in, si incatena da qualche parte o fa uno sciopero della fame e della sete! Al massimo va in televisione! Mica si mette a baciare bassisti in giro per il mondo!
- Ossignore, baciare bassisti… Matt, ha solo dato un bacio a Stefan!
- Sì, ma tu l’hai visto che bacio?!
- Matt, mi hai fatto vedere le foto e i video a rotazione per qualcosa come millecinquecento volte…
- Non sono state abbastanza, evidentemente!!! Quello non è un “bacio”!
- No?
- No!!! Quello è un preliminare!!!
- Addirittura!
- Ma sì! Non si limita a mezzo metro di lingua giù per la gola, no, lo lecca sulle labbra poi!
- Non è la prima volta… è già successo in passato, quella leccata sulla labbra è un po’ il loro segno di distinzione…
- …!!!
- Matt, ti senti bene?
Matt era sbiancato, chiaramente.
- Segno di distinzione!!! Quante altre volte è successo?! – chiese il cantante, strillando come un ossesso, le mani ai capelli.
Dom scrollò le spalle con aria disinteressata.
- Almeno un’altra volta. C’è il filmato su YouTube. Brian poi si volta verso le telecamere e dice “fuck you”.
- SANTISSIMO IDDIO! Devo vederlo!
- Ah, ma ti vuoi male, allora!
- Ma è così lampante che si amano ancora!!! Dom, non capisco come fai a non vederlo!!!
Dominic lanciò un lamento esasperato.
- Senti, Matt, sono stufo. Ho mal di testa. Mi butto dieci minuti sul divano e dormo. Tu chiama Brian, fatti rassicurare, fa’ qualcosa, ma lasciami in pace.
Matthew si afflosciò su sé stesso, giungendo le mani in grembo e fissando con aria sconsolata il telefono.
Nel momento in cui Dom chiuse gli occhi, stava già afferrando la cornetta.
*

- Sei una puttana!
- …Matt, tesoro. Anche io sono felice di sentirti.
- Non ho detto che sono felice di sentirti! Ti ho dato della puttana!
- Sì, me n’ero vagamente accorto…
- Reagisci! Giustificati!
- Di cosa dovrei giustificarmi, esattamente?
Matt lo immaginò spalancare gli occhioni con innocenza, ed ebbe voglia di strozzarlo via cavo. Ma solo via cavo. Perché se l’avesse visto probabilmente gli avrebbe perdonato ogni crimine e l’avrebbe sposato.
- Hai baciato Stef!
- Mi sono vagamente accorto anche di questo, sai?
- E ci credo che te ne sei vagamente accorto! Una lingua nella bocca di un altro non è esattamente una cosa che passi inosservata!
Brian sogghignò e si lasciò andare a un risolino malizioso.
- Te ne sei accorto anche tu, dunque.
- Come potevo non accorgermi della tua lingua nella sua bocca?!
- Uhm, credevo di essere stato più discreto. E dire che mi sono impegnato per tenere le labbra appiccicate alle sue, sperando che la lingua si vedesse solo nella leccatina finale…
- …mi sento male…
- Matt, tesoro, è stato solo un bacio! Per ragioni umanitarie, poi! – sbottò Brian, incredulo.
- Ragioni umanitarie il cazzo, Brian! Il tuo bassista va dicendo in giro che è stata una cosa spontanea! Quindi non venire a farmi la lezioncina delle ragioni umanitarie, perché altrimenti quando torni ti impicco!
Brian sospirò, e Matt poté vederlo chiudere gli occhi e grattarsi il collo. Lo faceva sempre quando s’innervosiva.
- E va bene, Matt. Non ti farò la lezioncina delle ragioni umanitarie. Vuoi il vero motivo per il quale ci siamo baciati?
- …
- Lo vuoi?
- …
- Matt!
- Non farmelo dire! Cretino! Parla!
Brian sospirò ancora, ma stavolta sorrise anche, lievemente.
- Si chiamano soldi, tesoro. Ebbene sì.
- Soldi…?
- Avanti, non è una novità, Matt. Siamo una rockband. Abbiamo una certa immagine. Ed è quella che vendiamo.
- Anche io sono in una rockband! Ma io non bacio il mio bassista per fare soldi!
- …tesoro, senza offesa e con tutto l’affetto del mondo, tu e Chris non siete esattamente me e Stef…
- …l’hai ammesso!!!
- …cosa? Che io e Stef abbiamo una certa storia e quindi certi nostri gesti creano certe reazioni nelle fangirl alle quali vendiamo la nostra musica?
- No!
- …guarda che è questo, quello che stavo ammettendo.
- No! Hai ammesso che vi amate ancora!
- Quando esattamente?
- Quando hai detto che io e Chris non siamo esattamente come te e Stef!
- …e stavo dicendo, appunto, che non siete come noi…
- Perché voi vi amate e noi no!
- Accidenti a te, Bellamy, non sono innamorato del mio bassista! Dio! Datti una calmata e dormi, quando torno faremo una bella scopata e dimenticherai tutto, promesso! – concluse Brian esasperato, buttando giù la cornetta.
Per molti secondi, Matt rimase interdetto. Il telefono ancora pressato contro l’orecchio, restò ad ascoltare il metallico tuu come ipnotizzato.
Dall’altro lato del mondo, a Vilnius, Brian si lasciò andare sul divano, grattandosi effettivamente il collo e sospirando così pesantemente che Stefan sentì il suono del suo respiro nonostante le cuffie nelle orecchie, e spense la musica, sollevando lo sguardo.
- Che è successo?
- Matthew è insicuro e rompe le palle.
Stefan si lasciò andare ad una risata divertita.
- Sapevi che sarebbe successo! Ma tu ed Alex, no, a voi non interessa se il cuore del piccolo Matty finisce spezzato in due, figurarsi! Voi pensate solo “quante migliaia di persone in più verrebbero al prossimo concerto, se dessimo loro l’illusione di poter assistere a qualcos’altro di simile?”!
- Ehi, adesso! – replicò Brian, infastidito, - Primo: c’eri anche tu con me su quel palco! E non credere che abbia ignorato la mano che hai posato sul mio braccio!
- …non addentrarti in discorsi pericolosi, adesso…
- Sarà meglio! Ma secondo poi, comunque, non insinuare che io non tenga al mio uomo!
- Insinuare, adesso… io non è che lo insinuo
- …tu lo affermi?!
- No! – rise ancora Stef, - Ma sono fortemente convinto che tu abbia la coda di paglia, in compenso!
- …
- In ogni caso adesso richiamerà lui e piagnucolerà un po’, e alla fine farete pace.
- Mah… mi è sembrato alquanto fuori di sé, per dire la verità… straparlava…
- Scommettiamo?
Brian gli lanciò un lungo sguardo colmo di disapprovazione.
- Stef, tu non conosci il mio uomo meglio di me.
Il bassista sospirò, scrollando le spalle.
- Se lo dici tu.
- Non richiamerà!
- …
- Non richiamerà, santo cielo!
- Scommettiamo, allora! Magari riesco a tirare fuori almeno dei soldi da questa totale cavolata in cui mi avete coinvolto tu e quell’altro degno diavolo della nostra manager!
Brian incrociò le braccia sul petto.
- Senti… - cominciò, ma non fu in grado di finire. Il telefono squillò quasi subito.
Stef tornò ad ascoltare la sua musica con un risolino appagato, e Brian si affrettò a rispondere, rabbrividendo perché non ricordava di aver stipulato i termini della scommessa e aveva sinceramente timore di quanto Stef avrebbe potuto chiedergli poi.
- Bri…
Ovviamente Matt piagnucolava.
Brian lanciò un sospiro stremato e tirò il portafogli a Stef, che lo aprì e lo svuotò con aria soddisfatta.
- Dimmi, Matt.
- Bri, anche qui in Inghilterra le masse hanno problemi con gli omosessuali!
…ecco, questa era una cosa che non si sarebbe mai aspettato.
- Che intendi?
- C’è tanto razzismo in giro! La gente non capisce!
- …
- Capisci?
- Sinceramente no.
- …non è complicato!
- Quando mai qualcosa che è nato nella tua mente non lo è stato?
- …il succo della questione è: visto che anche qui ci sono problemi coi gay, se proprio devi protestare, saliamo su un palco qualsiasi e bacia me!
- …
- Ci sono davvero tanti problemi!
- …
- Possiamo anche approfondire, se vuoi!
- …sul palco…?
A quel punto si sarebbe aspettato un passo indietro.
Come minimo.
- Dove vuoi! – rispose invece Matt, provando di avere la testa più vuota dell’universo e di non essere in grado di formulare un pensiero sensato neanche sotto sforzo.
Brian si lasciò andare a un ghigno malefico.
Aveva perso tutti i soldi che aveva nel portafogli, d’accordo, ma forse da quell’assurdità sarebbe uscito qualcosa di buono, dopotutto.
Lui e Matt Bellamy che si baciavano – e altro! – su un palco? Magari a Wembley? Poteva già vedere la scena! Orde di fan impazziti! Foto e video in tre prospettive diverse fare il giro del mondo in un’ora! Le community di fangirl! Le fanfiction! La quantità immane di soldi che tutto questo avrebbe portato…!!!
- Okay. – disse deciso, attorcigliandosi il filo del telefono attorno all’indice.
Dall’altro lato ci fu un silenzio pesante e carico di significato.
Matt stava lentamente tornando alla realtà.
Sì, a volte capitava anche a lui.
- …io dicevo così per dire.
- Ah-ha.
- Era la foga del momento!
- Cazzi tuoi. Così impari a parlare senza pensare.
- Ma…
- …
- …Brian, io non dicevo sul serio!!!
- Quel che è detto è detto!
- Ma-
- Oh, insomma, Bellamy! Vuoi dare il tuo contributo alla causa dei diritti dei gay o no?!
- …sì, ma…
- E allora! Niente ci fermerà!
- …
Poté sentire nel suo silenzio che tutte le sue difese erano rovinosamente crollate al suolo.
Aveva vinto!
- Avanti, Bells. In fondo è solo questione di un veloce bacetto.
Stefan trovò opportuno riemergere dal suo ascolto proprio in quel momento.
- Non credergli, Matt! – urlò maligno, - Aveva detto la stessa cosa anche a me e poi quasi mi soffocava con la lingua!
Brian si voltò a guardarlo con sommo disappunto.
- Stefan! Ma un momento più appropriato, no?!
Matt ricominciò a piagnucolare disperato dall’altro lato della cornetta.
Brian si portò una mano alla fronte, esasperato.
Adesso avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo!
E vallo a convincere di nuovo, quel tipo allucinante!
Genere: Comico, Introspettivo.
Pairing: In pratica nessuno, ma Brian è chiaramente pazzo di Matt XD
Rating: R
AVVISI: CrackFic, RPS, Slash.
- Se c'è una cosa di cui Brian Molko è sicuro, è che Matthew Bellamy NON PUO' essere considerato oggetto di attrazione sessuale. Ne è assolutamente certo, convinto al cento per cento, il solo pensiero lo disgusta! Eppure... che diamine, perché non riesce a staccargli gli occhi di dosso?!
Commento dell'autrice: Oddio quanto amo scrivere cose dementi *-*!!! Questa, poi, è così totalmente idiota *___*!!! Aaawh. È nata da ispirazione fulminea mentre leggevo XL. Il giornalista di turno stava intervistando la cantante dei Noisettes, questo gruppo che ha fatto da supporto a Muse e Babyshambles nell’ultimo anno, e a un certo punto le ha chiesto proprio come fosse stato trovarsi a confronto con due tipi opposti di sexy al maschile XD E nello stesso momento in cui l’ho letto ho pensato “Oddio, Brian divorerebbe la pagina” XDDDDD È stato un momento meraviglioso nella mia giornata *-* Il fangirling non ha limiti ù_ù (il mio ancora meno). Inoltre >_< avevo voglia di farla pagare a Brian per “certi avvenimenti recenti” di cui parlerò più approfonditamente nella prossima fic idiota che scriverò (probabilmente adesso XD), e già che c’ero desideravo fare in modo che Matty uscisse vittorioso dal confronto dei cervelli, una volta tanto, così, tanto per cambiare. E questo è ciò che è venuto fuori “XD Sìììì, tremate X’DDDD
Ah, comunque nella fic ci sono un po’ di cose veramente provate ù_ù A parte l’articolo (che, se vi interessa, trovato nel numero di maggio di quest’anno :O), abbiamo il denim kilt di Brian (vi prego, non commentate troppo), la mise allucinante di Matt (ma come si fa a vestirsi così? ç_ç) e il suo adorabile gel brillantinato. Questi ragazzi saranno la mia rovina XD
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
CONTROL
Flavour #15. Bathing in artificial light
Song #77. Look through my eyes

Non ricordo chi l’ha detto e non ho la minima idea di dove possa aver letto una cosa simile, ma so perfettamente di averlo fatto. Il suono delle risate che non avevo potuto trattenere mi riecheggia ancora nelle orecchie, e so che se chiedessi a Stef o a Steve entrambi farebbero roteare gli occhi e sospirerebbero pesantemente, dicendo “Brian, perché non puoi lasciare perdere mai niente?”.
Be’, scusatemi. Ma quando uno legge che qualcun altro in un’intervista ha dichiarato senza vergognarsene “Matt Bellamy può attrarre per il controllo che esercita intorno a sé”, non può lasciare perdere. Ed io magari sono un attimino fissato con questa cosa – solo da un paio di giorni e solo perché so che fra due ore saremo costretti a condividere lo stesso palco per quel festival del vattelappesca del cavolo cui Alex ci ha ordinato di presenziare – ma davvero, siamo seri.
Matthew Bellamy? CONTROLLO?
Ma, cosa ancora più assurda, Matthew Bellamy e la parola “attrarre” nella stessa frase?
No, davvero.
Ma davvero.
Scherziamo?
Quale essere umano sano di mente e di corpo potrebbe seriamente essere attratto da quel topo?
È un topo! Non ci sono dubbi su questo! Guardatelo, vi prego! Attentamente!
Lasciate stare le mani dalle dita lunghe e affusolate.
Lasciate stare l’adorabile fossetta sul mento.
Lasciate stare anche i lineamenti eleganti da lord inglese e la barbetta che si sta abituando a portare di recente!
Insomma, tutto il resto è indecente! È magro come un chiodo! E poi è basso! E guardate come si veste! Santo cielo, sembra che sia entrato nel primo negozio che ha visto mettendo piede in città e abbia afferrato le prime tre cose che gli sono capitate sottomano decidendo all’istante che quello doveva essere l’abbinamento perfetto quando era chiaro come la luce del sole che non lo era!
Ma si può?
Attratti!
Da Matthew Bellamy!!!
La donna che ne ha parlato doveva essere completamente priva di buon gusto. E il giornalista che ha posto la domanda – peraltro mi sembra di ricordare fosse pure maschio, pessimo, pessimo davvero – doveva essere un vero idiota.
Se mi sforzo riesco anche a ricordare com’era la domanda esatta. Devo riuscirci, perché era talmente ridicola che sarebbe drammatico osservarla perdersi nelle sabbie del tempo senza- ECCOLA. Stava parlando con questa tipa e a un certo punto le fa “durante i tour sei stata messa a confronto con due esempi opposti di sexy al maschile”.
ESEMPIO!!!
DI SEXY AL MASCHILE!!!
MATTHEW BELLAMY!!!
L’altro mi pare fosse Pete Doherty, ma la cosa è completamente irrilevante.
Voglio dire, è disgustoso. Non ha senso.
Io sono un esempio di sexy al maschile!
*

- Brian, per carità, vuoi calmarti?
Ho ritrovato la rivista!
Ho ritrovato la dannatissima rivista!
Ero certo di averla conservata, era troppo idiota per buttarla via! E finalmente è di nuovo fra le mie mani!
- Non posso, Stef! Tu non capisci! Questo tipo-
- Ha affermato che Matthew Bellamy è un esempio di sexy al maschile, sì. E con ciò?
- Come con ciò?! Che vuol dire con ciò?!
Stefan, farai meglio a smetterla di sospirare!
- Con ciò vuol dire che non capisco perché la cosa ti sconvolga tanto.
- Perché è evidentemente un paradosso!
Per un secondo, Stef mi guarda stupito.
Poi scuole il capo.
- Brian, Matthew Bellamy è un bell’uomo.



OSSIGNORE!
- Anche tu?!
- Come sarebbe a dire “anche” io?
- Anche Steve, poco fa…
- Brian, finiscila… - dice appunto Steve, riemergendo dal bagno, - Ti ho già detto di lasciare perdere questo discorso! Non ci porterà da nessuna parte!
- Ve lo dico io dove ci porterà! Ci porterà a capire che tutto il mondo è impazzito!
- Perché al mondo piace Matt Bellamy? – chiede Stef, sconvolto, - Davvero pensi sia così strano?
- ASSOLUTAMENTE!!!
- E perché ti sembra così strano?
- …ma l’hai guardato?!
Getta un’occhiata al manifesto del festival del vattelappesca, e cattura l’immagine di un Bellamy sorridente con le braccia incrociate sul petto e le bretelle bianche – Dio – sulla camicia nera.
- Sì, l’ho guardato, Bri.
- È magro! Scheletrico!
- È snello, Brian.
- Ha un pessimo gusto nel vestire!
- Almeno non ha mai indossato una gonna da liceale plissettata in denim durante i concerti…
- Era un kilt! Era un denim kilt!
- Sì, tesoro, sì…
- E senti come gracchia quando canta!
- Questo non c’entra niente col suo aspetto fisico…
- …
Ucciderò qualcuno entro stasera!
Dovrò usare l’ultima carta a mia disposizione!
- È basso! – dico, gonfiandomi d’orgoglio.
Steve spalanca gli occhi.
S’è limitato al silenzio fino ad ora, ma non sembra più in grado di resistere.
- Basso, Brian? Basso?! – chiede incredulo, - Tu sei decisamente più basso di lui!
- …
Io non sono più basso di lui!
Non lo sono affatto!
- Adesso silenzio. – afferma Stef categorico, - Stanno cominciando.
Percepisco la rabbia farsi strada dentro di me!
Esploderò!
Controvoglia, mi volto a guardare il palco.
I Muse si sistemano alle loro postazioni. Bellamy lievemente decentrato verso sinistra, il bassista a destra, il batterista dietro, assiso su una specie di altare viola luminoso.
So già che sarà disgustoso.
Bellamy è disgustoso! Indossa un paio di terrificanti pantaloni grigi che penso andassero di moda qualcosa come cinquant’anni fa fra gli uomini di mezz’età e un maglioncino rosa semplicemente pessimo.
Sospiro e mi accomodo sul sofà accanto a Stef, incrociando le braccia sul petto e preparandomi a tre quarti d’ora di sofferenza.
*

Supermassive Black Hole
Continuo a non capire come le masse possano apprezzare un individuo simile.
Va bene, la sua voce è sexy, ok, lo ammetto. Sì, anche quando sfalsetta. Sì, anche quando gracchia. Accidenti a lui. Non so come sia possibile, non chiedetemelo, credo sia qualcosa nel modo in cui mette le parole una dietro l’altra. E poi prende fiato in maniera oscena. È l’unico uomo al mondo a prendere fiato in maniera sessualmente esplicita! Ho detto non chiedete!
Santo cielo.
Esploderò, so che esploderò.

Map Of The Problematique
Io so esattamente qual è il mio problema, Bellamy!
E non è “quando finirà questa solitudine?”!
È “quando finirà questo STRAZIO?”!!!
Dio, tutto questo è veramente osceno. Sentite come trascina le note, sentite, sentite!!! È un incapace! Scommetto che quando canta sotto la doccia i vicini battono con la scopa sul soffitto per farlo tacere.
…e questo falsetto mi ucciderà! Distruggerà i miei poveri timpani! Santo cielo!
L’ho già detto? Lo ripeto. È uno strazio.
Non so se sia più straziante la sua voce o…
O.
O le piccole cose che comincio controvoglia a notare.
Detesto tutto di lui, ma mi piace come tiene la chitarra in mano. È… ossignore, non voglio davvero usare questo termine, ma lo userò: è tenero. È come un tenero amante. Prima di cominciare a suonare ha avvicinato la mano al manico con inusuale lentezza, con una dolcezza esasperante, e quando le sue dita scorrono lungo le corde, alla ricerca di qualche effetto strambo da dare al suono, sono… amorevoli. È come se si prendesse cura di lei. Come se la stesse coinvolgendo in una dichiarazione d’amore universale.
Quando suona, Bellamy cerca palesemente di procurare un orgasmo alla sua benedetta chitarra.
…scommetto che se avesse le labbra lei ringrazierebbe.



…io se fossi una chitarra ringrazierei.

Take A Bow
Non ci posso credere.
Questa è una canzone dance.
Cioè.
È una canzone dance!
Perché devo subire una tortura simile?! Perché non posso addormentarmi di botto adesso?!
Ve lo dico io perché! Perché la voce di questo dannato moccioso è talmente acuta che se provassi ad abbassare le mie difese anche solo per un secondo mi esploderebbe il cervello!!!
Santo cielo.
So di averlo già detto!
Lasciatemi in pace!
Che poi, con chi sto parlando?!
Con le vocine nel mio cervello!
Che assomigliano spaventosamente alla sua!
La mia testa è piena di piccoli Bellamy pigolanti che continuano a canticchiare “bow bow bow” in un’eco infinita come fosse il loro verso naturale! Bow bow bow! Così! Di continuo!
Santo cielo, morirò.
Mi lascio andare contro lo schienale del sofà e sospiro pesantemente. Sono sicuro che Stef ha capito che c’è qualcosa che non va, anche se in questo momento non mi va di pensarci, sinceramente.
Riesco…
…riesco solo a tenere gli occhi incollati su quel tipo là fuori.
Quel tipo assurdo là fuori.
Che fa il bagno nelle luci artificiali del palco, e sembra splendere – e giuro che non voglio sapere se è a causa del gel brillantinato che ha sulla testa.
Che si dimena, con quell’allucinante maglioncino rosa che si piega e si agita ad ogni movimento che fa, seguendo la traccia dei muscoli guizzanti sul corpo magro, seguendolo nei salti, nelle giravolte, perfino nei movimenti più allucinanti, quando si appoggia all’amplificatore con aria lasciva, come stesse provando a portarselo a letto, scivolando con il fianco sulla superficie mentre ascolta estasiato i suoni distorti che la chitarra lancia in un disperato tentativo di esprimere la propria sofferenza. Seguendolo nei gesti teatrali, quando solleva le braccia verso il pubblico, e sembra che il mondo intero stia urlando il suo nome, affascinato, no, totalmente rapito dalla sua presenza, seguendolo perfino quando si aggrappa al microfono e lo sfiora con le labbra in un bacio morbido e sensuale – ora capisco da dove viene la carica erotica che sprigionano le sue parole, è il contatto col microfono, metallo contro labbra, il freddo del ferro e il calore assurdo della sua pelle, l’eco che rende la sua voce mille volte più intensa, e-
Oh.
Mio.
Dio.
Abbasso lo sguardo.
Il piccolo Bri è inequivocabilmente sveglio.
E quando dico inequivocabilmente intendo che sta per esplodere nelle mutande, e che tutto ciò è dannatamente doloroso.
Ritorno in me giusto in tempo per capire che Stef, al mio fianco, mi sta guardando come se fossi mostruoso.
- Non ci posso credere… - dice, gli occhi spalancati e la bocca contratta in una smorfia di puro disgusto, - Sei… sei in calore…
Spalanco gli occhi a mia volta, tirandomi indietro come mi stessi scottando.
- N-Non sono in calore!!!
Quasi contemporaneamente, porto entrambe le mani all’inguine, nel disperato tentativo di coprire le mie vergogne – e che vergogne.
- Sei in calore! Sei completamente in calore! Un coniglio in calore!
Non afferro l’associazione mentale, mi limito ad arrossire come mai – credo – in vita mia, e a saltare in piedi, vagando per la stanza in preda alla sofferenza atroce che mi obbligano a patire questi dannatissimi jeans aderenti, cercando con gli occhi un bagno per placare questo desiderio francamente assurdo.
- Steve, guarda! – insiste Stef, e sembra divertirsi parecchio, al contrario di me, - Guarda, Bri è in calore!
- Comeche? – chiede lui, cadendo dalle nuvole, mentre solleva lo sguardo dalla rivista che leggiucchiava per ingannare il tempo.
- In calore! Eccitato come una ragazzina di fronte al suo idolo di sempre!
- Ma come mai?
- Possiamo, per favore, omettere questa parte della fanfiction?!
- Secondo te come mai? – il mio appello sembra passare inosservato! – È rimasto per tutta la mezz’ora dell’esibizione dei Muse a fissare Matt come una studentessa innamorata, e adesso logicamente se lo vuole fare!
Steve spalanca gli occhi, e così siamo in tre ad avere gli occhi spalancati.
Evviva lo stupore!
- Non ci posso credere! – strilla il mio batterista, agitando le mani come a dire “io ci rinuncio”, - Fino a qualche minuto fa Bellamy ti disgustava! Non sei possibile!
- Avevo detto omettiamo!!! Omettiamo, tagliamo, passiamo avanti, diocristo, dov’è il bagno?!
Nello stesso momento in cui mi pare di individuare qualcosa di simile a un cartellino verde con omini bianchi che mi invitano a chiudermi in un cesso e liberarmi da ogni problema, appare Alex.
La donna più priva di tempismo dell’intero universo.
(Anche se mi sa che stavolta sono io a mancare, quanto a tempismo.)
- Cosa ci fate ancora qui? – chiede pacata, sinceramente stupita, - Dovreste già essere pronti per entrare! Vi esibite adesso, non lo sapete?
Io continuo a dirigermi imperterrito verso il bagno.
E chiaramente a lei la cosa non va giù, perciò mi afferra per la collottola e mi riporta indietro, sollevandomi di peso come un giocattolo.
- Brian, dove stai andando esattamente?
- In bagno!
- Dovevi pensarci prima! Fila sul palco!
- Non posso!
- Oh, se puoi…!
- Non così! Lo capiranno tutti!!!
- COS’È CHE DOVREBBERO CAPIRE?!
- Vuole scoparsi Matt Bellamy. – si intromette Stefan con uno sbadiglio annoiato.
Perfetto! La fiera delle persone fuori luogo! Sono perduto!
…e lo sono davvero.
Quando sollevo lo sguardo.
E mi accorgo che Matthew Bellamy è proprio qui davanti a me, appena rientrato dal palco, e mi fissa con occhi semichiusi da gatto furbo e malevolo e un ghigno demoniaco sul volto.
Mette la mani sui fianchi, sporgendo lievemente il sedere e stringendosi nelle spalle, mentre solleva il mento con adorabile fossetta annessa, come volesse mostrarsi al meglio delle sue potenzialità.
Poi lancia uno sbuffo terribilmente carino.
E…
- Quando vuoi, Molko.
…e io non ho neanche il tempo di capire che mi sta palesemente prendendo per il culo, che il mio cervello implode e poi esplode, mentre lo sento allontanarsi vittorioso in preda alle folli risate che gli procura la sua furbissima battuta – o almeno, quella che nel suo cervello deve essere una furbissima battuta.
- Suvvia, suvvia. – dice Stefan, aiutandomi a risollevarmi dal pavimento sul quale mi sono abbattuto dopo le parole di quella zoccola di Bellamy, - Forza. Dobbiamo andare sul palco.
Non so ancora come, riesco a muovere quei quattro passi che mi separano dalle luci della ribalta, e nel momento in cui raggiungo la mia postazione e guardo il pubblico d’improvviso la mia mente torna chiara. Lucida. Efficiente.
Odio ancora Matthew Bellamy! Dannazione, lo odio adesso come non l’ho mai odiato prima d’ora! È un essere abominevole! Non ha decenza! Non ha rispetto per i problemi altrui! Ed è davvero una zoccola di proporzioni stratosferiche – non dimenticherò mai più quella mossettina coi fianchi, dannazione!
Mi propongo un giuramento: dal momento che quell’uomo non merita neanche considerazione, prometto a me stesso che mai più un singolo pensiero sarà rivolto a lui. Mai più!
Adesso va meglio! Adesso mi sento carico!
Mi volto per farmi passare la chitarra, e mentre la imbraccio…
…mentre la imbraccio catturo di nuovo lo sguardo di Bellamy. Mi spia dal backstage, nascondendosi con falso pudore dietro gli scuri tendoni che occultano al pubblico la visuale del retro del palco; crede di avere il controllo, lui, crede di essere unico padrone dell’intera situazione, e ghigna felino e famelico esattamente come prima, e io…

Accidenti a lui.
Accidenti, accidenti, accidenti a lui.
Cambio di programma.
Cambiamo giuramento.
Io giuro che quella zoccola prima o poi me la faccio!
Genere: Erotico, Comico.
Pairing: MatthewxBrian. Totally <3
Rating: NC-17
AVVISI: CrackFic, Lemon, RPS, Slash.
- Un giorno, Matt Bellamy torna a casa e trova il suo uomo impegnato in quella che sembra una serissima telefonata di lavoro. In realtà, si tratta di ben altro.
Commento dell'autrice: Dio, voglio scrivere questa cosa da quando ho letto la storia di “Evil Dildo” XD Per chi non lo sapesse, è la traccia nascosta di Without You I’m Nothing, ed è praticamente una musicaccia (X’D) alla quale è stato applicato un messaggio che il povero Bri ha trovato nella sua segreteria telefonica (quando ancora aveva il numero sull’elenco) che, in sostanza, dice “so dove vivi, verrò a casa tua, ti taglierò il cazzo e me lo mangerò dopo averti scopato a sangue” è____é””” Povero tato ._. Chiaramente NON POTEVO scrivere una fic su Brian che ha a che fare con questa gentaccia <_< Per cui ho preferito scriverne una in cui avesse a che fare con ALTRA gentaccia X’D Ovverosia il suo uomo e quei traditori dei suoi migliori amici.
Perché Matt è un cretino, ecco >_<
A parte questo, volevo pure un’occasione per fare apparire tutti i miei tati ç___ç Non ricordavo più neanche da quanto non facevo agire il povero Chris! Continuo a riempire d’amore Matt e Bri senza che nemmeno se lo meritino (>_<) e non faccio fare nulla a quegli altri poveri tati che invece meritano tutta la comprensione e l’affetto del mondo. Oh. Se ve lo state chiedendo, sì, è questo il motivo per il quale sono tutti così totalmente fighi e intelligenti. Perché volevo dimostrare loro la mia profondissima devozione. Oh.
Fin dall’inizio ero indecisa se farla diventare lol o porno :O Alla fine mi sono adattata e ho fatto un porno-lolololol-porno che tra l’altro ha una struttura linearissima e quindi spero non sia noiosa XD
Dedicata con tanto amore alla Nai, alla Nacchan e alla Mika che l’hanno letta passo dopo passo assieme a me, di dieci minuti in dieci minuti, e alla Juccha e alla nee-chan che hanno letto in anteprima assoluta la prima scena di sesso XD Amo essere circondata da donnine perverse. Perché lo sapete, che siete perverse, vero? X3 *ama il mondo*
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TRY AND RUN


You make me sick
Because I adore you so
I love all the dirty tricks
And twisted games you play
On me
“Space Dementia” – Muse


Quando entrò in casa, Brian era in piedi davanti alla finestra, e guardava Londra ai suoi piedi con grande interesse, annuendo di tanto in tanto.
- Mh. Sì. Capisco. – disse, mettendo una mano sul fianco.
Matthew capì che stava parlando al telefono, e in effetti il cordless non si trovava dove avrebbe dovuto essere, sul comodino.
Lo salutò con la mano, posando cautamente le chiavi sulla consolle all’ingresso, senza fare rumore, per non disturbarlo. Brian rispose al saluto e alla gentilezza con un semplice cenno del capo.
- Bene. Grazie e arrivederci. – disse infine, terminando la chiamata e gettando distrattamente il telefono sul divano.
- Era Alex? – s’informò Matt, che dal suo tono aveva ipotizzato potesse trattarsi di una telefonata di lavoro.
- Oh, no. – rispose Brian con un naturale mezzo sorriso, - Solo una telefonata oscena.
Matthew spalancò gli occhi.
- Prego?
- Una telefonata oscena. – ripeté Brian, come stesse parlando del tempo, - Di quelle con gli ansiti e i vocioni che ti dicono “entrerò in casa tua e ti sfonderò il-
- Ho capito!!! Ma che storia è?!
Brian ridacchiò.
- Non ti è mai capitato di assistere perché stai qui da poco, ma succede abbastanza spesso. Quando non sono oscenità sono minacce, e comunque preferisco le prime alle seconde.
- …ma scusa, - chiese incredulo Matt, - perché non gli chiudi il telefono in faccia? Perché ascolti?
- Be’, perché se non lo facessi richiamerebbe. Devo lasciarlo sfogare…
- Perciò aspetti che si faccia una sega e nel frattempo intrattieni un’amabile conversazione?! Perché parli? E cosa significa “grazie e arrivederci”?!
- Dovrò pur dire qualcosa, se non mi sente partecipe non si soddisfa mica…
- Grazie e arrivederci?!
- Mi ci vedi ad ansimare “sì, continua, così”?
- PER CARITA’ DI DIO!!!
- Ecco, appunto.
Esterrefatto, Matthew lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e si limitò a guardarlo come fosse pazzo.
- Oh, non c’è bisogno di angosciarti così! – sbuffò Brian, - È solo una telefonata, non mi hanno mica violentato!
- A parte il fatto che a quanto pare è un’abitudine, - replicò Matt adirato, - scusa se mi preoccupo per te!
- Ma non hai niente di cui preoccuparti… anche perché… insomma, diciamocelo, le telefonate oscene… - continuò Brian, il sorriso che diventava mano a mano lascivo, sulle belle labbra, - …possono essere parecchio interessanti
Matthew, per un momento, davvero non seppe cosa dire.
- Se per interessanti intendi eccitanti, - dichiarò infine, il volto senza espressione, - sappi che ti ucciderò.
Per tutta risposta, Brian rise come una scolaretta, e a Matt venne quasi davvero voglia di ammazzarlo.
- No, senti. – disse invece, massaggiandosi le tempie, cercando di riacquistare padronanza delle sue facoltà mentali, - Non capisco. Come faccia tu a trovare eccitante il pensiero di un gigante nerboruto che si fa una sega ansimando oscenità al telefono, per me, è fuori da ogni logica.
Brian rise ancora, avvicinandoglisi con fare civettuolo.
- Non pensare al gigante nerboruto, adesso. – disse dolcemente, scivolando sulla sua spalla con un movimento falsamente casuale, - Prova a pensare alla mia voce.
Matthew inspirò profondamente, cercando di non pensare al bacino di Brian pressato contro la sua mano inerte lungo il fianco.
- Brian, senti- - cercò di controbattere, ma l’uomo glielo impedì, poggiandogli due dita sulle labbra.
- Ssssh. Chiudi gli occhi.
- Brian!
- Chiudi gli occhi. – insistette guardandolo, l’espressione del volto completamente indecifrabile.
Si ritrovò ad ubbidire, costretto neanche lui sapeva bene da cosa.
Brian sorrise – Matt poté percepire il movimento delle sue labbra – e lo guidò delicatamente a sedersi sul divano, accomodandosi poi al suo fianco.
- Immagina che io sia lontano da te. In un’altra casa. Un’altra città. Un altro universo. – sussurrò a un millimetro dalla pelle del suo collo.
Matthew rabbrividì e strinse le mani attorno al tessuto leggero del pantaloni di lino.
- Non puoi vedermi. Non puoi… - esitazione, sfregamento lievissimo, labbra contro pelle, un millisecondo, quasi impercettibile, sconvolgente, - non puoi toccarmi. Hai solo un telefono.
Matt deglutì.
Dio solo sapeva se non aveva voglia di saltargli addosso in quell’esatto momento.
- Mi chiami… io ti rispondo…
- Brian…
- Sssh… mi chiedi come sto, parli del più e del meno, sei gentile…
Lo sentì spostarsi. Adesso si trovava davanti a lui. Non poteva vederlo, ma sarebbe riuscito a indovinare la strada per la sua bocca al primo tentativo.
- A me manchi… mi manca il tuo corpo e non posso averlo… mi mancano le tue carezze e non posso sentirle… te lo dico… e tu rispondi che anche per te è così… che vorresti toccarmi, che vorresti baciarmi, che vorresti scoparmi…
- Brian… - lo chiamò, quasi implorante, l’erezione ormai fastidiosamente dolorante sotto i vestiti, - Brian, ti prego…
Provò ad allungare la mani nella sua direzione, ma Brian lo fermò, inchiodandogliele al divano con le proprie.
- Non puoi toccarmi… - gli ricordò, in un sussurro roco, - Puoi solo ascoltare la mia voce…
Matthew si leccò le labbra.
E dal momento che non c’era molto altro che potesse fare, in un impeto di frustrazione se le morse pure.
La cosa divertì molto Brian, che si lasciò andare ad un altro risolino da ragazzina maliziosa – facendolo morire.
- Sì, ti immagino fare una cosa simile… al telefono mi dici che mi stai immaginando nudo… sul letto… stai immaginando di sfiorarmi con le dita… di baciarmi sul petto, sulla pancia, di giocare con la lingua nel mio ombelico, come fai sempre…
- Cristo… - mormorò a mezza voce, provando a liberarsi dalla stretta di Brian, - lasciami andare… non ti tocco, giuro, lasciami le mani…
Lui lo lasciò andare con uno sbuffo divertito.
- E mentre tu continui a parlare al telefono, Matt, tesoro… io mi spoglio sul serio… e chiedo anche a te di farlo… e ti dico “toccati”, e tu rispondi che lo stai già facendo… allora lo faccio anch’io… mi senti ansimare…?
Come avrebbe potuto non sentirlo? Lì, a un millimetro da lui! Avrebbe potuto semplicemente sporgersi, gettarlo a terra e scoparselo, e invece stava lì, immobile, sul divano, ascoltandolo gemere mentre si masturbava.
- Puoi toccarti anche tu, Matt… - concesse Brian a mezza voce, e Matt non se lo fece ripetere due volte. Si rilassò contro lo schienale del divano e assalì bottone e lampo dei pantaloni, alla ricerca spasmodica di un po’ di soddisfazione per la sua eccitazione pulsante fra le gambe.
Brian si agitava sulle sue gambe, era così vicino… sentiva il tessuto ruvido dei loro pantaloni sfregare, rapido e insensibile, ah, quanto avrebbe desiderato che ci fosse pelle nuda e palpitante al suo posto…
- Matt- - gemette Brian un’ultima volta, e quando lo sentì inarcarsi e respirare più velocemente seppe che era venuto, - Matt, ti sto aspettando, vieni anche tu… - e immaginò che al posto della propria mano ci fosse quella di Brian, che lo stesse stringendo, deciso e delicato come l’aveva abituato, e il solo pensiero, il solo pensiero del suo tocco, del suo calore, del suo profumo lo costrinse a venire a sua volta.
Rovesciò il capo all’indietro, ansimando esausto, ancora incapace di aprire gli occhi.
Brian era pazzo.
Gli avrebbe fatto pagare quello scherzetto.
Solo… non in quel momento.
Lo sentì scendere dalle sue gambe e accucciarsi al suo fianco sul divano.
- Matt… - lo chiamò, - Matt, ti è piaciuto…?
- Mpf. – grugnì, irritato, - Non fare queste domande.
Brian rise.
- Lo possiamo rifare…?
- Adesso?
- No, adesso no… - ridacchiò l’uomo, - Un’altra volta.
- Senti, per me sarebbe molto più soddisfacente-
- Però… la prossima volta… lo facciamo davvero al telefono.
Si sentì come mozzare il respiro. Come se i suoi polmoni fossero stati compressi dalla sorpresa, e si fossero ritrovati incapaci di pompare sufficiente ossigeno per tenerlo in vita.
Dischiuse gli occhi e cercò Brian.
Lo trovò accanto a sé, una guancia graziosamente poggiata contro una mano, il gomito sulla spalliera del divano, le gambe accavallate.
Sorrideva.
Era serio.
Costringerlo a non poterlo toccare senza neanche poter sentire il suo dolce peso sulle gambe? Senza poter sentire la sua presenza, senza poter sentire il suo odore, costringerlo a masturbarsi al ritmo metallico di una voce lontana chissà quante miglia e deformata dalla cornetta del telefono?
Era serio.
Era pazzo!
Si alzò in piedi di scatto, e Brian lo osservò stupito, stringendo le labbra con disappunto.
- Tu stai scherzando, forse.
L’uomo spalancò un paio di enormi occhi grigi ed arricciò le labbra, scuotendo il capo.
- Non se ne parla. – disse Matt categorico.
- Avanti-
- Non se ne parla. – ripeté.
Stava già indietreggiando verso la porta, mentre risistemava i pantaloni senza neanche ripulirsi.
Brian incrociò le braccia sul petto.
- Non vorrai andartene? – chiese, incredulo e lievemente offeso.
Matt neanche rispose.
*

Sollevò stancamente la cornetta, il panino ancora pendente dalle labbra, e biascicò un incomprensibile quanto nervoso “pronto”.
- Dominic? – chiese la voce all’altro capo del filo.
Ciò che restava del panino cadde a terra, disfacendosi lungo il cammino.
- Brian? – chiese il batterista, - È successo qualcosa?
Era abituato a sentirsi chiedere cose simili, quando chiamava, perciò ridacchiò lievemente.
- Niente di particolare. Avevo solo voglia di sentirti.
- Sì. Ed io sono una pecora ed in questo momento sto belando. – rispose Dom con uno sbuffo divertito, mentre Brian si lasciava andare ad un’altra risatina delle sue, - Comunque, sul serio. Qualche problema?
Brian sospirò, prendendosi un attimo di tempo per riflettere.
- Senti, Dom. – disse infine, - So che non approverai quello che sto per dirti-
- Hai fatto del male a Matt?
- …be’, no. Non in senso stretto, almeno.
- Spesso il senso lato è molto più simile al senso stretto di quanto non si pensi.
Brian rise ancora.
Adorava il lato protettivo di Dom. Il lato protettivo di Dom metteva al sicuro Matt. E metteva lui in condizione di poter osare un po’ di più, quando era il caso.
- Non gli ho fatto del male. L’ho solo frustrato un po’.
- …in senso sessuale, chiaramente.
- Sì, chiaramente.
- E allora non vedo per quale motivo dovrei disapprovarti. – commentò Dom ridacchiando. Non la risatina derisoria che Brian si sarebbe aspettato – nei propri confronti per essere così ostinatamente infantile quando giocava? O nei confronti di Matt, per essere così succube dei suoi tentativi di renderlo pazzo?! – bensì una risatina comprensiva, quasi complice. - Cosa gli hai combinato?
- Uhm… - spiegò titubante Brian, - Qualcosa sulle telefonate erotiche.
- Dio! Sarà scappato!
- …complimenti. Hai vinto un pacco di biscotti.
- Lo conosco da tre vite e mezzo, figurati. Se voglio dei biscotti me li compro. Comunque povero Brian, spero che almeno ti abbia lasciato concludere!
- Sì. Be’, in effetti l’ha fatto perché per prima cosa doveva concludere anche lui, e per seconda cosa perché… non sapeva ancora cos’è che avevo in mente per l’esattezza, secondo me.
- Uuuh, l’hai proprio preso in giro, allora. Si sarà sentito usato e abbandonato come un moccioso trovato in discoteca!
Poteva sentire dei cuoricini malefici nella voce di Dom.
Era quasi inquietante.
- Dominic, sei sicuro sia tutto a posto?
- A parte il fatto che dovrei chiederlo io a te. Se lui si sente come un moccioso da una notte e via tu come minimo ti senti abbandonato all’altare.
- …mi sembri ubriaco.
- No, tranquillo, non lo sono. – disse gentilmente, - Sono solo estremamente divertito. Sapevo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di simile.
- …di simile a cosa?
- Di simile a te che chiami me per chiedermi di rimandarti Matt a casa appena lo vedo.
Sapeva che Dom era una persona intelligente.
Conosceva l’assoluta assenza di limiti della sua perspicacia. Era stato lui il primo a capire della relazione che era cominciata fra lui e Matt, ed aveva vero un talento per le risposte di “Chi vuol esser milionario?”.
Non avrebbe dovuto stupirsi.
Perciò sogghignò, rigirandosi il filo fra le dita.
- Grazie mille. – cinguettò allegro, - E se avverti anche Chris mi fai un favore.
Poté immaginarlo sollevare un pollice di approvazione verso di lui.
- Sarà fatto, mio capitano! – concluse Dominic prima di riappendere e chinarsi a raccogliere ciò che restava del suo pranzo.
*

Quando Matt apparve sulla sua soglia, disfatto, sudato, coi capelli scompigliati e con un’oscena macchia scura all’altezza del cavallo dei pantaloni, non poté fare a meno di impietrirsi e guardarlo da capo a piedi con una smorfia disgustata.
- Oh. – disse, incapace di dire altro.
- Sì, be’, - sbuffò Matt, contrariato, - “oh” è riduttivo. Mi fai entrare?
Ancora incapace di trovare voce per commentare, annuì e si scansò dall’uscio.
Quando Matt fu in casa, Dom si richiuse la porta alle spalle con uno scatto isterico e tornò a puntare gli occhi su di lui.
- Che… schifo, Matt! – fu la prima cosa che riuscì a trovare il fiato di dire.
Matt si guardò per benino e poi sospirò pesantemente.
- Non dire niente. Lo so.
Poi fece per sedersi sul primo divano che gli capitò a tiro, ma Dom lanciò un urlo disumano e lo tirò per entrambe le braccia, impedendoglielo.
- Tu sei completamente idiota se pensi che ti lascerò sedere sul mio divano con quei pantaloni! Adesso fila in bagno e datti una lavata, ed escine solo quando potrò guardarti senza vomitare. Ci siamo intesi?
Matt annuì, lievemente confuso, e si diresse a passo incerto verso il bagnetto, mentre Dom volava in camera propria per cercargli qualcosa di pulito da indossare. Quando il biondo ritornò in corridoio, la porta del bagno era già chiusa, e il tintinnare gioioso delle gocce d’acqua contro le pareti di plastica del box doccia lo rassicurò decisamente sullo stato dell’igiene intima di Matthew, cosa che gli fece tirare un enorme sospiro di sollievo.
Si sedette sul pavimento, la schiena contro il legno, e chiamò a gran voce il suo cantante, il quale rispose con un mugugno abbattuto.
- Cosa diamine ti è successo? – chiese, simulando stupore, preparandosi a sentire il racconto dal punto di vista di Matt.
- Brian è impazzito! – borbottò l’uomo al di là della porta, agitandosi al punto da provocare un considerevole smottamento del box.
- Sì, - ridacchiò Dom, abbandonando il capo contro la superficie liscia dietro di lui, - diciamo che vedendoti apparire con un orgasmo ancora fresco… o dovrei dire caldo…? …insomma, un orgasmo fra le cosce l’avevo immaginato.
- Non prendere per il culo adesso, eh?
- No, no, sia mai. Allora, mi racconti cos’ha fatto di così pazzo per farti fuggire da casa senza nemmeno darti il tempo di ripulirti?
- Be’! – disse Matt, e Dom si mise comodo: nei lunghi anni di conoscenza aveva imparato a capire che quando Matthew Bellamy iniziava un discorso con un “be’” ne avrebbe avuto almeno per una mezz’ora. – Oggi sono tornato a casa a pranzo, no?
- Sì.
- E lui era lì al telefono. Mi segui?
- Sì, Matt.
- Ed era tutto un buongiorno e buonasera, arrivederci e grazie! Cioè, capisci, come stesse parlando, chessò, con una sarta! O un qualsiasi altro onesto lavoratore!
- Non era così?
- No che non era così! Stava al telefono con chissà che gigante nerboruto e baffuto che si menava l’uccello ascoltandolo parlare! Cioè, ma ti pare normale?
- Una telefonata oscena? – chiese, fingendosi scioccato, - Ma dai!
- Ma sì!
- Be’, - sospirò, ingannando il tempo piegando i pantaloni e la maglietta che avrebbe dato a Matt quando fosse uscito dalla doccia, - in fondo si tratta di Brian. Non mi stupisce poi molto che riceva telefonate simili.
Matt si agitò al punto che Dom credette che la sua doccia fosse crollata in pezzi.
- Ti vuoi calmare? Fino a prova contraria, la doccia è mia! – si lamentò, disgustato dalla mancanza assoluta di buona educazione da parte del suo migliore amico.
- Mi vuoi spiegare come faccio a calmarmi?! – strillò Matt, isterico, - A parte il fatto che il mio uomo mi tradisce con tipi che gli dicono porcate al telefono!
- Il tuo uomo non ti tradisce, Matt…
- A parte questo! Dopo questa telefonata Brian s’è messo in testa che doveva farmi provare questo fatto allucinante delle telefonate erotiche…
- …e ti lamenti? – rise Dom, battendo una mano sul pavimento, - Un po’ di kinky sex non ha mai fatto male a nessuno. Tanto meno a te e tanto meno in questa occasione, come testimoniano i tuoi poveri pantaloni.
- Tu vuoi scherzare!!! – gridò Matt, chiudendo finalmente il rubinetto dell’acqua e uscendo dal box con uno scatto isterico, - È stato una tortura!!!
Dom lo osservò uscire dal bagno scavalcandolo, avvolto appena in un asciugamano, e guardarsi intorno alla ricerca di vestiti da indossare. Gli porse gli indumenti che ancora teneva in mano, sollevandosi da terra.
- Una tortura, Matt? – chiese con sufficienza, osservandolo rivestirsi davanti a lui senza un briciolo di pudore – benedetto ragazzo.
- Una tortura! – ripeté l’uomo, abbottonando i jeans e sistemando alla bell’e meglio i capelli perché non sporgessero da troppi lati, - Mi si è seduto addosso e ha cominciato a dire porcate e masturbarsi, e pretendeva che io non lo toccassi! Non so se ti rendi conto!
- …comunque siete venuti entrambi, mi pare.
- Sì! Ma il problema non è stato tanto questa pratica sessuale allucinante, - Matt ha un’idea un po’ limitata delle pratiche sessuali allucinanti, pensò Dom con rassegnazione, - quanto il fatto che dopo, come se niente fosse, prende e mi cinguetta “la prossima volta lo facciamo sul serio al telefono, ci stai?”!!! Ma ti rendi conto?!
Dominic sospirò, incrociando le braccia sul petto.
- Quindi il tuo problema in sostanza sarebbe… che non vuoi scopartelo a distanza ma vuoi farlo solo dal vivo.
- Esatto!
- …e per risolvere questo problema tu vai via di casa?
Matt sembrò realizzare all’improvviso cosa aveva fatto, e si congelò sul posto.
- Matt…?
Dom lo osservò accartocciarsi su sé stesso e nascondere il volto fra le braccia, mentre dalla sua gola fuoriusciva un lamento disperato da cane ferito.
- Cosa ho fatto…? – chiese piagnucolando, - Cosa diamine ho risolto…?
Dominic si chinò al suo fianco, dandogli qualche colpetto sulla spalla nel tentativo di confortarlo.
- Avanti, - disse dolcemente, - hai fatto una stupidaggine, ma non l’hai mica mollato. Puoi sempre tornare a casa e chiedergli scusa e magari provare a fare ciò che ti chiede, sia mai scopri che ti piace.
- Mai! – strillò Matt, risollevando improvvisamente il capo, - Tu non puoi capire! Non puoi capire cosa significa avere Brian a un centimetro, essere eccitati e non poterlo toccare! È già successo in passato e oggi ho riprovato la spiacevole sensazione, e non ci tengo a riprovarla in futuro!
- Ma se tu accettassi il fatto della telefonata – spiegò Dom atono, battendo nervosamente un piede per terra, - non sareste a un centimetro di distanza. Sareste lontani.
- No, no e no! Non capisco! Se posso scoparlo io, per quale motivo dovrebbe volere farsi una sega mentre ascolta la mia voce?! Non ha senso! È malato!
- Però, vedi, Matt, - continuò il batterista, ormai sull’orlo dell’esasperazione, - Brian in passato ha fatto tante cose per te.
- Dimmene una sola!
- E poi comunque non è giusto deluderlo così. Lui ti soddisfa sempre.
- Ma che c’entra?! Non mi sta soddisfacendo adesso!
- E inoltre non devi dimenticare che ti lascia sempre fare l’attivo ogni volta che vuoi.
- Ma a lui il ruolo del passivo piace!!! Non stiamo a prenderci per il culo!
- Sì, però lui è sempre gentile con te.
- Ma-
- E non ti fa pesare quando scrivi qualche cazzata per i testi…
- Ma vorrei ben vedere! Proprio lui!
- E anche quando stoni, non ti rimprovera mica, mentre tu non sei mai carino con lui.
- Ma…! Ma non è vero, e poi-
- E quindi io trovo veramente poco sensibile che tu l’abbia lasciato in quel modo per venire qui da me senza neanche lavarti.
- Ma renditi conto delle condizioni in cui ero, brutto coso insensibile che non sei altro!
Dominic sospirò ancora, spintonando Matt sul divano e guardandolo dall’alto in basso.
- Adesso segui il ragionamento logico, ok Bells?
Stupefatto, Matt rimase immobile, fissandolo con occhi enormi.
- Brian è gentile con te. Ti ama. Ti ha fatto godere. Poi ti ha chiesto un giochino innocuo, così, per soddisfazione, e tu invece di dire sì con tutto lo slancio e l’amore di cui sei capace, nemmeno ti fermi a discuterne due secondi, no, scappi come se ti avesse appena chiesto di infilarti degli aghi nelle palle. Dico, ma sei normale?
- …
- Ti rendi conto che qua si parla di giochini? E di giochini piacevoli, per di più?
- …ecco… io…
Matt stava cominciando a cedere, registrò il batterista con un ghigno vittorioso sulle labbra.
In quel preciso istante, il telefono decise di squillare. Ma lui non poteva lasciare che il momento di debolezza di Matt passasse. Non poteva mettere a repentaglio il lavoro di costrizione di un’ora, e rischiare di dover ricominciare tutto da capo dopo aver richiuso la cornetta.
Perciò aspettò che scattasse la segreteria telefonica, e che fosse lei a rispondere per lui.
E quello si rivelò l’errore più grande che potesse fare.
La voce di Brian si sollevò gioiosa dall’apparecchio, ignara dello sconvolgimento emotivo che avrebbe provocato di lì a poco.
- Dom? Sono io. Spero che sia andato tutto bene e che Matty si stia già dirigendo verso casa sano e salvo. Be’, fammi sapere. Bye! – gorgheggiò allegramente, prima di spegnersi in un anonimo puh.
Dom e Matt si guardarono in silenzio per un lunghissimo istante.
Poi, d’improvviso, gli occhi del cantante si fecero minuscoli e brillanti di rabbia, mentre sul volto del batterista si dipingeva un imbarazzato sorrisino di circostanza.
- Ecco… posso spiegare… - balbettò il biondo, mettendo le mani avanti.
Matt letteralmente saltò in aria, afferrandolo per il colletto della polo e strattonandolo verso il muro.
- Puoi spiegare cosa, esattamente, Dominic?! Il fatto che ogni tua singola parola non fosse che un tentativo di traviare la mia povera mente per rimandarmi fra le braccia di quel maniaco sessuale?!
- …adesso… non ti sembra di stare un po’ esagerando coi termini…?
- No! – sbottò l’uomo, lasciandolo andare di colpo, al punto che lui quasi perse l’equilibrio, - E non solo! Da oggi in poi, considerati pure un ex migliore amico! Arrivederci e grazie! – dichiarò furente, dirigendosi ad ampie falcate verso la porta d’ingresso.
- Matt…? Dove stai andando…? – azzardò Dom, mentre già lo vedeva sparire oltre l’uscio.
- Da chi potrà capirmi! – annunciò teatralmente Matt, - Dal mio ultimo vero amico!
Chris, registrò Dom.
Quando la porta si richiuse di fronte a lui, e di Matt non fu rimasto che il profumo del bagnoschiuma e i vestiti sporchi – e da bruciare al più presto – gettati per terra, Dominic riprese a ragionare lucidamente.
Chiamare Brian, calcolò, freddo come un cecchino, e poi Chris.
*

- Tu sei un maledettissimo idiota! – sbraitò istericamente Brian, perforandogli il timpano con migliaia di acutissimi decibel da principessina offesa, - Cos’hai al posto del cervello?! Pelo?!
- Brian, - cercò di spiegare Dom, sospirando pesantemente, - devo ricordarti che è stata la tua voce a sputtanare il nostro accordo?
- E io devo ricordarti che è stata la tua stupidissima segreteria telefonica a invitarmi a parlare?!
- E quindi nel giorno in cui la mia stupidissima segreteria telefonica deciderà di suggerirti di buttarti a testa in giù da un palazzo di venti piani, tu lo farai?
- Sei un cretino e questo non c’entra niente! Si suppone che le segreterie telefoniche stiano lì per prendere i messaggi, non per istigare al suicidio!
Dominic roteò gli occhi esasperato.
- Hai ragione, Brian. Per istigare al suicidio basti tu.
- Cosa?! Come osi?!
- Per quale motivo non puoi scopare come le persone normali? Sai che Matt è limitato in quel senso!
- Appunto! Voglio allargare i suoi orizzonti! Ma lui è un ingrato! E tu sei un idiota! Eri d’accordo con me, com’è che adesso te ne esci con tutte queste proteste?!
- Stavo solo cercando di ragionare. Tutto qua.
- Ah-ha, Dominic James Howard! Non credere che non abbia sentito nella tua voce quella sottile nota di “dal momento che io sto ragionando e tu non mi capisci, è chiaro che tu non ragioni”! Davvero, mi stupisco di te, sei un traditore e un cretino! Non ti si può affidare niente! Se mai un giorno dovessi trovarmi sull’orlo di un burrone, e ci fossi solo tu cui aggrapparmi, ricordami di questo episodio, così potrò prepararmi a morire in pace in ogni caso!
- …Brian?
- COSA?!
Prese un enorme sospiro.
Strinse pazientemente la cornetta fra le mani.
Dischiuse le labbra.
Parlò.
- Matt mi ha praticamente confessato che sta andando da Chris per stringere un’alleanza. Ora. Vuoi che salvi il tuo depravatissimo culo chiamando il mio bassista e avvertendolo del pericolo oppure preferisci stare qui a ricordarmi quanto faccio schifo e lasciare che Matt ti molli?
- …
Godette del silenzio che era riuscito a imporre alla dannata lingua lunga dell’uomo del suo migliore amico, e si concedette un sorriso soddisfatto.
- Ti chiamo per farti sapere com’è andata. – concluse serafico mentre, irritato come una faina, Brian metteva giù il telefono con inaudita violenza.
Un secondo di pausa per riordinare i pensieri e stava già chiamando Chris per scongiurare il disastro.
- Pronto…? – rispose l’uomo dall’altra parte del filo.
Chris aveva questo modo totalmente indisponente di rispondere al telefono… come se si aspettasse che le tue prime parole dovessero essere sempre e comunque “domani morirai”! Era insostenibile, insopportabile, odiava parlare con Chris al telefono!
Ma odiava ancora di più la prospettiva di dover passare i prossimi dieci anni della sua vita ad ascoltare i piagnistei di Brian Molko che non sembrava avere niente di meglio da fare che non fosse incolparlo dei suoi fallimenti nel tenere in piedi una normale relazione di coppia.
Perciò si fece forza, soppresse l’irritazione e si forzò ad un sorriso e a un tono di voce il più amichevole possibile.
- Chris? Dom.
- Oh… ciao Dom.
- Ti prendo in un brutto momento?
- Temo di sì. – sospirò il bassista, e Dom poté quasi vederlo afflosciarsi stancamente su sé stesso, - Hanno appena bussato alla porta e ho la vaga impressione che sia Matthew.
- La vaga impressione…?
- …lo sento strillare.
- Ah.
- È successo qualcosa, vero?
- Così pare.
- Qualcosa fra lui e Brian?
- Già.
Chris si lasciò andare ad un mugolio di dolore puro.
- Perché ci devo andare di mezzo io? – chiese sconsolato, - Perché non è venuto da te?
- È venuto da me. – precisò Dom, comprensivo, - Ma ho fatto un disastro. Mi dispiace veramente tantissimo!
- Se ti dispiacesse sul serio – la voce dell’uomo sembrava sul punto di esplodere in un singhiozzo, - verresti qui e lo porteresti via prima che possa entrare!
- Non posso farlo, Chris, mi dispiace. Al momento Matt mi odia.
Il singhiozzo tanto atteso non tardò ad arrivare.
- Cosa devo fare?
- Sii gentile. – suggerì premuroso, - Fagli fare quello che vuole. Vizialo un po’. Ascoltalo, coccolalo, portalo a fare una passeggiata, vedi tu, ma lascia che smontino i nervi. Dopodiché… - si massaggiò le tempie con due dita, - rimandalo da Brian.
- …ma non hanno litigato?
- Sì.
- E devo rimandarlo da lui?
- Sì.
- …Dom, mi sbranerà!
- Ti prego, - latrò esasperato, - corri il rischio. C’è in gioco molto più della tua vita, qui.
Chris si abbandonò a un momento di atterrito silenzio.
- Va bene. – disse poi, cercando di ritrovare forza e convinzione quantomeno nella voce, - Farò del mio meglio.
Dominic sorrise, per nulla rassicurato.
- Conto su di te. – disse, e nel momento in cui interruppe la chiamata e riattaccò la cornetta seppe chiaramente che non aveva alcuna speranza di salvarsi.
*

Chris era un uomo facile alla pietà. Lo sapeva da tanto tempo. In fondo, era per pietà che aveva accettato di entrare nei Gothic Plague – e quale essere umano sano di mente avrebbe accettato di entrare in un gruppo con un nome simile se non per pietà?
Ricordava Matthew Bellamy al liceo.
Questo ragazzino minuscolo, magrissimo, con questa espressione inquietante da pazzo scatenato perennemente sul volto. Lo stesso ragazzino che l’aveva avvicinato con titubante arroganza – ma si può essere titubanti e arroganti insieme? Matt lo era! Ma Matt era anche uno strano animale, dopotutto… - e sfoggiando la migliore delle sue espressioni strappalacrime gli aveva praticamente detto che la sua via non era quella della batteria bensì quella del basso, e che gli sarebbe “proprio convenuto” entrare nei Gothic Plague, che sarebbero sicuramente diventati famosissimi.
Fortunatamente i Gothic non lo divennero mai.
Quando cominciarono a godere di un po’ di notorietà avevano già cambiato nome qualcosa come milleduecento volte.
Comunque, lo stesso ragazzino folle di allora gli si parava davanti in tutta la sua allucinata disperazione, ansimando, le lacrime agli occhi e degli abiti evidentemente troppo larghi per lui gettati addosso come stracci e che riconobbe come proprietà di Dom – ma Dom era magro! Diosanto, quanto era sottile Matthew?!
Nel vederlo in quel modo, perfino un uomo dal cuore di pietra si sarebbe sciolto in singhiozzi e gli avrebbe offerto ospitalità per la notte per difenderlo dalle insidie del mondo esterno. E Chris era tutt’altro che un uomo dal cuore di pietra. Perciò, la vista del suo povero cantante, bistrattato dalla perversione del suo uomo e dalla cattiveria del suo migliore amico, semplicemente lo commosse.
- Matt! – disse accorato, aprendo le braccia.
Non si aspettava certo che Matt gli crollasse addosso e scoppiasse in lacrime, ma fu esattamente ciò che successe.
Il che gli diede molto da pensare.
Non tanto sulla sanità mentale del suo frontman, quanto sulla crudeltà infinita che doveva credere di stare soffrendo in quel momento. Matt era decisamente una strana creatura, sì.
- Matt, povero caro… - disse, pensando già con terrore al momento in cui avrebbe dovuto mandarlo via senza pietà, - Cosa cavolo ti è successo?
- Mi odiano tutti! – esplose Matt, separandosi da lui e gettandosi a peso morto sul primo divano che trovò, nascondendo il volto fra i cuscini.
- Nessuno ti odia… - lo rassicurò il bassista, sedendosi al suo fianco e accarezzandogli la testa con fare amorevole, - Ti vogliamo tutti bene…
- Be’, Brian mi vuole uccidere! E Dom non vede l’ora che questo avvenga! Quindi sì, mi odiano!
Chris sospirò, accomodandosi sul divano e aiutando Matt a sedersi in maniera più consona alla sua età, al suo sesso, alla sua dignità, insomma, un po’ a tutto.
- Se vuoi puoi restare qui per un po’. – suggerì pacato.
Matt spalancò gli occhioni. Dovette credere che gli artigli ricurvi e malefici di Brian e Dom non fossero ancora arrivati a lui, perché si lasciò andare ad un sorrisone confortato e annuì decisamente.
- Possiamo fare qualcosa, magari guardare un film… Dio, mi sembri sconvolto! – continuò Chris, premuroso, - Vuoi uscire? Andiamo a mangiare cinese da qualche parte, dai!
- Non mi va tanto di uscire… - confessò Matt, rabbrividendo di paura – cosa si aspettava, che Brian lo attendesse con un cellulare e un biglietto per il Canada appena svoltato l’angolo?
- Allora vuoi semplicemente… rimanere qui e lagnarti un po’?
Matt annuì di nuovo, con rinnovata decisione, mentre si accucciava sul cuscino, incrociando le gambe, pronto a partire con quella che sarebbe sicuramente stata una filippica di un’ora e mezzo sulla crudeltà del mondo, la vacuità dell’animo umano e la perversione delle menti nel ventunesimo secolo – insomma, qualcosa dalla quale avrebbe potuto tranquillamente tirare fuori una canzone per un nuovo album – se…
- Comunque dopo torni da Brian, eh.
…se Chris non avesse distrutto i suoi sogni di gloria e consolazione uccidendolo con quella frase.
- Cosa?! – strillò agitato, saltando in piedi e indietreggiando terrorizzato fino a schiacciarsi contro la porta d’ingresso.
Chris sospirò addolorato.
- Senti Bells, lo so che è difficile – perché diamine i suoi amici si sentivano in diritto di chiamarlo Bells mentre cercavano di convincerlo a rigettarsi tra le braccia del porco?! – ma devi farti forza e tornare dal tuo uomo. Non so cosa sia successo con esattezza, ma-
- Ma niente!!! – ululò esasperato, - Quel tipo orribile esercita violenza di tipo sessuale su di me e voi continuate a dire “povero Brian”?! Ma siete tutti pazzi!!!
Chris spalancò gli occhi.
Non credeva si fosse a un punto simile!
- Come violenza sessuale?! – chiese incredulo, sentendo un altro improvviso moto di protezione nei confronti del suo frontman, - Che diamine ti ha fatto?!
Matt sembrò riconsiderare un attimino ciò che aveva detto.
- Be’, ecco… - spiegò titubante, - non è che proprio mi abbia violentato o che… - esitò lievemente, - …ma ho ragione io, comunque!
Eccola lì.
La titubante arroganza.
- …Matt. Anche io penso che la definizione di violenza sessuale sia molto ampia e definita. Ma ci sono dei canoni dai quali non si può trascendere, renditi conto.
- …sarebbero?
- Uhm. – si prese un secondo di tempo per formulare esattamente il concetto che vagava per la sua mente ormai confusa, - Fondamentalmente, Matt, si è trattato di una violenza costrittiva e dolorosa o di una… “violenza” un attimino frustrante ma alla fine piacevole?
Matthew deglutì.
- È stato orribile! – disse poi, come se questo dovesse bastare a spiegare ogni cosa.
Chris sospirò ancora.
- Matt, rispondi alla domanda.
- …se mi stai chiedendo se sono venuto, ecco, sono venuto! Penso che me ne pentirò per sempre, a questo punto!
Il bassista scosse il capo, sconsolato.
- Non è che voleva solo farti fare qualche giochetto un po’ particolare e tu hai dato di matto?
Matthew rabbrividì, e Chris capì di aver centrato il bersaglio.
- Santo cielo, Matt… - cominciò in tono lamentoso, ma Matt non lo lasciò finire.
- Oh, senti! Se fosse stato un normale giochetto non avrei avuto problemi! Non ho la mente così chiusa, io!
- …Matt, al liceo quando si giocava al gioco della bottiglia pretendevi che tutti si rinunciasse ad usare la lingua perché lo trovavi osceno…
- Avevo sedici anni!
- …e la causa della verginità fino al matrimonio che hai continuato a perorare fino a ventisette anni…?
- Ma ho cambiato idea, poi!
- Sì, perché grazie al cielo hai conosciuto Brian e hai capito che andare avanti a bacetti e ti voglio bene con lui non era nemmeno pensabile!
- Oh! Io sono un uomo dalle amplissime vedute! Ma se Brian mi propone cose oscene io non posso che rifiutare, ecco!
Chris incrociò le braccia sul petto, gonfiando le guance con aria infastidita.
- Bene, allora. Sentiamo quest’oscenità.
Matt aggrottò le sopracciglia.
- Credo che il termine tecnico sia phonesex o qualcosa di simile.
Il silenzio cadde sulla stanza come un enorme pianoforte, schiantando quel minimo di pazienza che ancora Chris possedeva.
- Tu sei un idiota. – constatò il bassista con la massima calma apparente, - Completamente, irreversibilmente idiota.
- Come?!
- Avevo immaginato che ti avesse chiesto come minimo una threesome. Come minimo, Matt.
- Ma-
- Ma niente. – gli fece il verso, le mani sui fianchi, - Tu adesso raccogli questi straccetti che ti porti addosso e fili dal tuo uomo. Ci siamo intesi?
Se possibile, Matthew si schiacciò ancora di più contro la porta.
- È una congiura… - mormorò sconvolto, - una congiura…!
Cercò a tentoni la maniglia della porta, e quando la trovò non perse tempo a rigirarla per fuggire.
- Matt, non fare idiozie. – consigliò un’ultima volta Chris, prima che Matthew sparisse definitivamente, ma lui probabilmente neanche lo sentì – doveva essere terribilmente impegnato ad autocompatirsi.
Con un ultimo sospiro esasperato, si diresse stancamente verso il telefono, e chiamò Dom.
- Dimmi che non è stato un completo disastro. – esordì il batterista, poco convinto, senza neanche salutarlo.
- Okay. Come vuoi. Non lo è stato. – confermò lui atono.
- …lo è stato, vero?
- Totalmente. Comunque il nostro frontman è un idiota.
- Non dirmelo! – si lamentò Dom, come se gli stessero ficcando un palo appuntito nel fianco, - Lo so già. È fuggito?
- Giusto adesso. Di sicuro non sta tornando a casa…
- …Dio. Non lo riprenderemo più. Dove può andare…?
- Be’, penso che continuerà ad andare cercando protezione contro la presunta perversione di Brian. A proposito, se lo senti, fagli sapere che se proprio vuole giocare ci sono io disponibile. Non sarò Matt ma almeno non sono pazzo.
- …lasciamo perdere, eh, Chris? Certe volte dici cose che mi sconvolgono.
- Ma…
- Ho detto lasciamo perdere! – sbottò irritato Dominic, - Comunque, se cerca comprensione andrà da qualcuno che lui è certo possa offrirgliela… una persona che è abituata a vedere con la testa sulle spalle… razionale, paziente, protettiva, dolce a suo modo…
- …
- …
- Stefan. – conclusero all’unisono.
Chris si lasciò andare all’ennesimo sospiro tragico.
- Vado a chiamare Brian. – disse Dom.
- Farà in tempo ad avvertire Stef?
- Oh, sì. – ghignò il batterista, - Mai sottovalutare la velocità di una donna col telefono.
*

Stefan stava sorseggiando un caffè.
Nell’arco della sua giornata, il Momento Del Caffè era un momento mistico. Il momento in cui non importava quanto lui potesse essere stanco, o angosciato, o frustrato, o irritato: la Gioia s’impossessava di lui; l’Energia guidava i suoi arti; l’Entusiasmo pervadeva la sua mente e lo rendeva velocissimo, efficace, determinato, brillante.
E poi il caffè era buono.
Ma quel giorno, il suo Momento Del Caffè sembrava destinato a una tragica conclusione.
Brian stava sbraitando qualcosa nel suo orecchio da almeno mezzora, e il suo tono di voce era talmente elevato e acuto che la cornetta era diventata bollente.
Brian era capace di far surriscaldare gli oggetti con la sola voce, era inquietante.
- Bri, tesoro… - cercò di calmarlo, poggiando la tazzina ancora mezza piena sul tavolo con enorme sofferenza, - non capisco una parola di quello che dici. Ti ricordo che non sono in grado di sentire gli ultrasuoni.
Brian si schiarì la voce e cominciò a parlare normalmente.
- Sai quel giochino che volevo fare con Matt, e di cui ti ho tanto parlato?
Stefan lanciò un mugolio di sofferta esasperazione, roteando gli occhi.
- Brian, sono mesi che cerco di convincerti che il bondage non fa per Matt.
- No, non quello! L’altro!
- …quello del soffocamento…?
- No!!!
- Ehm…
- La telefonata erotica, idiota!
- Ebbe’, Bri, cerca di capirmi, è difficoltoso stare dietro a tutte le tue fantasie…!
- …
- …comunque. Il giochino. Sì. Ci sono.
- Ecco. Gliel’ho finalmente proposto… - disse in tono lugubre.
- …e non è andata bene, mh? – intuì Stef, allungandosi per recuperare la tazzina ma venendo interrotto sul più bello dallo squillo del citofono all’ingresso.
- È andata malissimo. Non usare eufemismi sciocchi.
- Aspetta, qualcuno sta suonando alla porta, devo vedere chi è…
- È lui! È lui!!! Ne sono certo!!!
- …Matt?
- Sì!
- Perché dovrebbe essere venuto qui?
- Perché sia Dom che Chris non hanno soddisfatto la sua fame di amore!
- …io non soddisferò la sua fame di amore!!!
- …non in quel senso! Stef! Non azzardarti ad alzare un dito su di lui!
- Ma se ti ho appena detto che non ho intenzione!!!
Il citofono trillò ancora, e Stefan cominciò a percepire il mal di testa farsi strada fra le pieghe del suo cervello.
- Bri. Devo aprire.
- No, prima devi ascoltare! Matt vorrà comprensione e consolazione! Tu dagli pure tutto quello che vuole o che vuoi, a parte il sesso!, e dopodiché rimandalo da me!
- Non tornerà mai.
- A questo non pensarci! Tu rimandamelo!
- Brian… - sospirò Stef, adocchiando il suo ormai lontano caffè con innamorata nostalgia, - da quand’è che hai di nuovo sei anni? Mi preoccupi.
Brian ridacchiò malizioso.
- Un seienne con gli appetiti sessuali di un vecchio maniaco. – precisò Stef.
- Ehi! – si lamentò Brian, ma già il bassista non lo ascoltava più, e rivolgeva tutta la sua attenzione al citofono che ancora trillava isterico all’ingresso.
- Sì, chi è? – chiese annoiato, allontanando la sbraitante cornetta del telefono dall’orecchio.
- Io… - rispose Matt in un pigolio demoralizzato.
Stefan sospirò, al colmo della disperazione.
- Matt. Che sorpresa. – disse atono.
- …non è una sorpresa? – chiese Matt, incuriosito.
- Per la verità no. Stavo giusto parlando con Brian.
Matt si lasciò andare a un suono strozzato molto simile a un singhiozzo, mentre dalla cornetta Brian strillava qualcosa di fin troppo simile a uno “Stefan, brutto traditore, me la pagherai!”.
- Stef! Non puoi abbandonarmi anche tu! – disse il frontman dei Muse, a un passo dalle lacrime, - Tu sei una persona intelligente e affidabile! Non farmi questo!
Stefan avrebbe tanto desiderato potersi massaggiare gli occhi. Ma aveva entrambe le mani occupate.
Questo lo portò a detestare definitivamente la situazione in cui si era involontariamente cacciato, e a decidere che era il momento di prenderne le redini per ribaltarla.
- Matt. Tesoro. Io ti voglio bene, sei un caro ragazzo e tutto, ma posso badare solo a un pazzo per volta. Va’ da tua madre e lasciami in pace. – e così dicendo ripose il citofono, e la comunicazione si spense con la voce di Matthew che, in dissolvenza, implorava pietà, - E quanto a te, Brian. – continuò impaziente, riavvicinando la cornetta all’orecchio, - Sei uno scemo. Non hai pietà. E non meriti comprensione. Quando capirai i tuoi errori, va’ da Matt e implora il suo perdono e speriamo che vada tutto bene. Per il momento, non ho altro da dire.
Chiuse così anche la conversazione telefonica, senza lasciare a Brian neanche il tempo di dire “bah”.
Dopodiché ci pensò su e decise che era opportuno staccare il telefono, cosa che fece prontamente.
Ritornò in cucina, dove la tazzina di caffè ormai gelato lo aspettava impaziente. Poteva percepire la sua tristezza di ceramica, e il suo cuore ne era straziato. La prese delicatamente fra le mani e provò appena ad assaggiare il liquido che conteneva, ma per quanto il suo amore per il caffè potesse essere grande dovette arrendersi al fatto che quello non era più caffè e non meritava alcun affetto.
Gettò tutto nel lavandino e mise su un’altra caffettiera.
*

- Ti ucciderò!
Generalmente, Steve era una persona pacata e tranquilla. Si sarebbe potuto dire perfino inamovibile. Quasi un panda, nella sua enorme, serafica calma.
Ma le minacce di morte di Brian erano terribili! Lo erano dal vivo, quando ti guardava con quegli occhi enormi iniettati di sangue, e lo erano anche il doppio via telefono, quando la sua voce era resa metallica e acuta in maniera quasi perforante dalla connessione via cavo.
Perciò, nonostante la pacatezza, la tranquillità, l’inamovibilità, la panditudine e la serafica calma, Steve fece un saltello sul divano e lanciò un “gh” di puro terrore.
- Perché?! – chiese giustamente, stringendo la cornetta fra le mani.
- Perché – si affrettò a spiegare Brian, - se mi tradisci anche tu giuro che vengo a casa tua, ti sventro e ti divoro!
- …non capisco perché dovresti volere divorarmi, Brian!
Il cantante prese un enorme sospiro e si apprestò ad illustrare la situazione.
- Matt è stato terrorizzato da una mia proposta sessuale.
- Non stento a crederlo.
- Non era così drammatica!
- Non stento a credere neanche questo. Conosco te e conosco Matt. Ma io cosa c’entro?
- Be’, Matt è andato in giro per il mondo cercando comprensione per questa sua fuga francamente immotivata…
- …e tu hai creato terra bruciata attorno a lui?
- Una specie.
Steve gemette drammaticamente, passandosi una mano sulla fronte.
- Brian, perché devi fare questo?
- Non ho fatto niente!
Steve gemette ancora, socchiudendo gli occhi.
- Va bene. – disse, - Immagino stia venendo qui.
- Credo di sì. Sei l’ultimo che gli è rimasto.
- …fa sempre piacere sentirselo dire. – borbottò irritato, - Comunque tranquillo, non lo strapperò dalle tue grinfie malefiche.
- …perché mi sembri totalmente disinteressato alle sorti del mio uomo?
- Perché lo sono?
- …guarda che devi trattarlo bene! Ne ho solo uno!
- A parte il fatto che ti basterebbe fare una passeggiata per strada per averne almeno un centinaio, queste bagattelle sessuali tra te e Matthew si risolvono sempre allo stesso modo: lui cede e alla fine siete soddisfatti entrambi. Quindi per quale motivo dovrei preoccuparmi adesso?
- Perché adesso è diverso!
- E perché, se è lecito chiedere?
- …
- Ecco, bravo. Comunque sta’ tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene. Saluti. – e interruppe la chiamata prima che Brian potesse aggiungere una qualche altra idiozia.
Sul momento, pensò di tornare all’attività che lo stava tenendo gioiosamente occupato prima che il telefono squillasse – ossia dormire, da bravo panda – ma un minuscolo quanto fastidioso pensiero lo turbò al punto che non poté ignorarlo.
Matthew Bellamy era uno degli individui più lagnosi dell’universo.
E uno dei più cocciuti.
E uno dei più stupidi, anche.
…sarebbe bastato dirgli “vai via” perché si rassegnasse a farlo…?
Nel momento in cui il no che il suo cervello gli diede in risposta lo colpì dritto in fronte come una tegola, scattò in piedi e si attrezzò per barricare la porta d’ingresso del suo appartamento. Sfoggiando un’invidiabile presenza di spirito e di fisico, spostò un divano davanti all’uscio e bloccò la maniglia con una sedia posizionata per traverso.
Non c’era modo che una simile barricata potesse essere divelta da quell’esserino gracile e smunto che era il frontman dei Muse.
Il quale, puntualmente, bussò alla porta nel giro di dieci minuti, chiamandolo a gran voce come se dalla sua bontà dipendesse la sua stessa vita – cosa che in effetti, vagamente, rispecchiava la realtà.
- Vattene via! – disse, con un tono più allarmato di quello che avrebbe voluto.
Matthew lanciò un miagolio sofferente.
Poteva immaginare quanto il pover’uomo fosse provato dalla faticosissima giornata che aveva dovuto sopportare, ma non intendeva cedere, né tantomeno mettersi in pericolo.
- Non posso farti entrare! – confessò, ribadendo implicitamente l’invito a sparire.
- Steve! – piagnucolò Matt, attaccandosi alla porta e cominciando a tempestarla di pugni, - Sei la mia ultima speranza! L’ultima che mi resta!
- Allora, - concluse seccamente, sinceramente straziato dalla crudeltà che gli toccava mostrare e che di sicuro non lo riempiva di orgoglio, - non ti è rimasto nessuno. Mi dispiace Matthew. Va’ a casa.
Percepì Matt congelarsi oltre la porta. Lo sentì indietreggiare, lanciare un ultimo lamento disperato e poi correre giù per le scale, come se non gli importasse di cadere e spezzarsi il collo.
Sospirò, abbandonandosi stancamente contro il divano.
Non che fosse preoccupato di aprire il giornale l’indomani mattina e trovare in prima pagina un titolo tipo “Giovane frontman di una celebre rockband inglese trovato annegato nelle sue stesse lacrime in un bidone della spazzatura!”, ma…
…Matthew era pazzo!
Dio solo sapeva cosa avrebbe potuto fare in una situazione del genere!
Improvvisamente preda dei sensi di colpa, corse al telefono e chiamò Brian, ma l’apparecchio dell’appartamento squillò a vuoto.
“Sarà sceso a cercarlo?”, si chiese, non senza una buona dose di incredulità.
Alla fine, concluse che sarebbe stato meglio per la propria sanità mentale credere intensamente che sì, Brian fosse andato alla ricerca di Matthew, l’avesse trovato, avesse fatto pace con lui e risolto il dramma prima che riuscisse a consumarsi.
E, credendo fermamente in tutto questo, si appisolò beato.
*

Si rassegnò semplicemente a tornarsene a casa, come gli aveva detto di fare Steve. Evidentemente nessuno capiva cosa stava provando. Evidentemente nessuno capiva il suo dramma.
Probabilmente avevano ragione loro.
Probabilmente lui era solo uno stupido che non aveva capito niente della vita, del sesso, di Brian e di nient’altro in generale.
Probabilmente avrebbe dovuto semplicemente sottomettersi una volta di più e accettare anche quella sfida, d’altronde Brian non faceva altro che lanciargli sfide, continuamente, e da un anno a questa parte lui aveva ormai imparato ad accettare la sottomissione come il metodo più facile per ottenere ciò che anche lui voleva senza deludere Brian e senza perdere troppo tempo in chiacchiere o in litigi.
Ma…
…ma dannazione.
Il corpo di Brian era una fottutissima droga.
Il problema non era la distanza o l’obbligo di usare il telefono. Il problema era che ormai, dovunque fosse stato non avrebbe fatto la minima differenza, perché avrebbe inseguito il suo profumo e il calore della sua pelle, l’avrebbe trovato e se lo sarebbe preso.
Non poteva pensare di sottoporsi volontariamente a una pratica che lo privasse di quel contatto. Il contatto con Brian era a tratti l’unico motivo per il quale respirava! Quando qualcosa andava storto, quando una dannata canzone non veniva bene, quando cannava un live, stonava, mandava a monte una giornata di registrazione per una vaccata qualsiasi, era il pensiero che sarebbe tornato a casa e avrebbe toccato Brian a tirarlo su di morale, a impedirgli di abbandonarsi sconfortato in qualche angolo umido e buio e lasciarsi disciogliere nella disperazione così.
E avrebbe dovuto accettare il phonesex? Per carità!
Brian doveva solo ringraziare se non pretendeva di scoparlo ogni minuto del giorno e della notte!
Aprì la porta con un sospiro rassegnato, guardandosi intorno e notando immediatamente che qualcosa non andava.
Non c’era la minima traccia del profumo di Brian, in casa.
E, assieme a questo, le tapparelle completamente chiuse delle finestre e il silenzio innaturale che regnava nell’appartamento, contribuirono a fargli realizzare in un istante che… se n’era andato.
Via.
Sparito.
Volatilizzato.
Come non fosse mai esistito.
Pa-ni-co.
Si gettò in una disperata ricerca per tutte le stanze, salotto bagno studio cucina stanza da pranzo, e quando approdò in camera da letto, e vide il cordless graziosamente appoggiato sul piumone, e intuì la sagoma di un biglietto poggiato appena accanto alla cornetta, capì.
Era. Fottutamente. In. Trappola.
Si gettò a peso morto sul letto, affondando col viso nel cuscino e lamentandosi istericamente – perché, perché devo essere così sfigato? Perché non posso trovarmi un uomo normale? Perché DIAMINE Brian dev’essere così perfetto e così dannatamente odioso?
Si rigirò sul materasso, afferrando il biglietto con un gesto stanco e vagamente irritato. “Call me”, recitava in rotondeggianti letterine rosse.
- Bastardo… - mugugnò.
Chissà dov’era finito.
Quello era un tipo capace di nascondersi in un bunker sotto terra, in una situazione come quella!
Non sarebbe mai riuscito a trovarlo.
Cazzo, cazzo e ancora cazzo.
Lo odiava.
Prese il cordless e fece per rimetterlo a posto sul comodino, ma se ne pentì un attimo prima di farlo. Rimase come inebetito a fissare il display appena illuminato, e i tasti grigi e gommosi che sembravano suggerirgli “spingici, è facile!”, tutti sorrisetti malvagi e vocine melliflue.
Socchiuse gli occhi. Poggiò un braccio sul viso, giusto per assicurarsi di non riuscire a vedere niente neanche riaprendoli. E compose il numero del cellulare di Brian.
Lui rispose subito.
- Pronto?
Vocina melodiosa e risata argentina.
Dannato, dannatissimo bastardo.
- Dove cazzo sei? – chiese, e mai la sua voce gli era sembrata tanto simile a un’invocazione disperata.
- Parigi. – rispose naturalmente Brian, con un’altra allegra risatina.
- Parigi! – ripeté lui, sconvolto. Sapeva che sarebbe successo! Lo sapeva!
E malgrado tutti i vaneggiamenti sull’andare inseguendo il suo profumo in giro per il mondo… la sua giornata era stata davvero troppo massacrante perché si pretendesse da lui che saltasse in piedi, corresse a comprare un biglietto aereo e volasse dovunque Brian si trovasse solo per scoparlo.
Aveva dei limiti umani, in fondo.
- Brian, questa cosa non può andare avanti.
- Infatti, Matt. Sono qui proprio per chiuderla.
- …
- Indovina che sto facendo…?
- …ma cosa vuoi che ne sappia…
- Eh, ma se non giochi…
- Brian, senti-
- Indovina cosa sto facendo, dai.
C’era qualcosa, nel suo modo di mantenere un tono di voce tranquillo, pacato… una sicurezza tutta sua, un atteggiamento che gli aveva sempre invidiato, una delle cose che più amava di lui.
Brian sapeva davvero giocare bene.
Aveva un vero talento per i giochi.
Dettava legge.
Le sue non erano mai richieste, solo ordini. Espliciti, il più delle volte. Ma anche quando un sorriso o uno sguardo riuscivano ad essere talmente impliciti da farti domandare se per caso non volesse solo una carezza e un bacino, bastava che passasse un attimo, che la curva delle sue labbra si ricoprisse di malizia, che le sue ciglia lunghissime si abbassassero un po’, dando un’aria languida ai suoi occhi, per farti capire esattamente ciò che voleva. E gettarti in faccia la consapevolezza che lo volevi anche tu. Infiammando i tuoi lombi.
Non c’era niente di Brian che non richiamasse il sesso.
Lui lo sapeva.
E amava sfruttarlo.
- …sei sul letto…? – chiese arrendendosi, e notò un brivido nella propria voce che lo sconvolse.
Brian ridacchiò, e Matt ebbe l’impressione che si stesse coprendo la bocca con una mano.
La semplice immagine lo mandò in estasi.
- Nono. – rispose giocoso, - Indovina… - e così dicendo allontanò la cornetta da sé.
Pochi secondo dopo, Matt sentì scorrere dell’acqua.
Dio. Cristo.
Era in bagno.
- Cosa stai facendo…?
Lo sentì accomodarsi meglio nella vasca.
- Sto facendo un bel bagno caldo… schiuma, oli essenziali… e dopo crema profumata…
- Dio… sei una femmina… - disse, con poca convinzione, sperando di salvarsi in corner spezzando la tensione che s’era creata.
Brian si limitò a ridere e riportare tutto in carreggiata.
- Se fossi qui… e mi vedessi… non la penseresti così.
Ed era finita.
Lo sapeva.
Tanto valeva lasciarsi andare, una buona volta.
- …sei eccitato?
- Mmmh… - rispose lui, - Sì…
- Mi vorresti lì, vero…? – e la mano non era più sugli occhi. E gli occhi erano perfettamente aperti. E coscienti. E Dio, poteva sentirsi grondare eccitazione.
- Sì, Matt… mi manchi un casino… ho una voglia pazzesca…
- Anche io… - bisbigliò, e in un certo senso era piacevole rendersi conto di stare guidando lui il gioco, - Dio, ti vorrei avere qui davanti agli occhi… tutto bagnato…
- …cosa mi faresti…?
La mano scese pericolosamente sul cavallo dei pantaloni, dove si fermò esitante.
- Ti bacerei… le labbra, il collo… mi spingerei contro di te…
- Mmmh, sì, Matt… fallo…
La mano si nascose sotto i pantaloni, sfiorando quasi con timore l’erezione pulsante nei boxer.
- Lo sto facendo… - basta esitazioni, basta paure, una stretta decisa, come quella di Brian, morbida e sicura intorno a lui, - Mi senti…? – ansimava, ansimava al punto che non sapeva se sarebbe mai più riuscito a respirare normalmente.
- Ti sento… - i sospiri di Brian lo raggiungevano attraverso la cornetta, spezzati, profondi, ed era come averlo lì, era quasi come se lo stesse toccando, - Continua Matt…
E lui continuò. Risalendo la lunghezza e riscendendo fino alla base, lento, quasi esasperante, non voleva venire prima di lui, voleva ascoltarlo gemere, gridare, voleva sentirlo come se fosse sotto di lui.
- Ti piace Bri…? Ti piace…?
- Sì… sì, amore… mmmh… a te piace…?
- Dio, sì… continua Bri, toccati… così… - si morse le labbra, strizzando forte le palpebre, e quasi lo vide, il riflesso dell’acqua sulla sua pelle bianca, gli occhi semichiusi, così, abbandonato nella vasca, la mano in movimento veloce sotto la superficie dell’acqua, ed era bellissimo già nei suoi sogni, figurarsi quanto avrebbe potuto esserlo in realtà…
- Matt… Matt sto venendo…
- Sì amore, sì… anche io sto venendo…
Lo sentì chiamare il suo nome un’ultima volta, in un singhiozzo spezzato, e poi sentì il suo respiro rilasciarsi tutto in un’unica volta, e immaginò il suo volto arrossato, le labbra dischiuse, Dio che voglia di baciarlo, che voglia assurda di toccarlo, stringerlo, accarezzarlo, e-
Lanciò un suono profondo e gutturale, inarcando la schiena e stendendo le gambe.
- Dimmi che non ti ho perso. – disse Brian, la voce bassa e sensuale, ancora un po’ affaticata, - Dimmi che sono tuo e che tu sei mio.
Quando aprì gli occhi, l’orgasmo gli era già esploso fra le mani.
Si rilassò contro il materasso, gettando indietro il capo, cercando di ritrovare il fiato che aveva perduto fra le parole di Brian.
- Ti amo. – rispose poi, incapace di esprimere in altro modo quello che pensava.
Dall’altro capo del filo, un silenzio un po’ stupito.
E poi una risatina allegra.
- Ti amo anche io. – disse la voce di Brian, nuovamente giocosa, - Tanto tanto.
Il tono da bimbo lo divertì, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
- Sei uno scemo… - disse con un sospiro, - Dimmi che sei soddisfatto e ora puoi tornare a casa.
Brian rise e lo rassicurò sul fatto che sì, sarebbe saltato fuori dalla vasca e poi sul primo aereo disponibile per Londra, e quando fosse arrivato avrebbero fatto sesso per tutta la notte.
- La prima bella notizia della giornata. – commentò Matt, guardandosi intorno alla ricerca di un qualche fazzolettino con cui ripulirsi.
- Però, amore… - lo richiamò Brian cinguettando, - la prossima volta possiamo provare un altro giochino…?
La sua ricerca s’interruppe d’improvviso, così come la sua mano, che si fermò a mezz’aria lungo il tragitto per il cassetto del comodino.
- …a quanti chilometri dovrai stare…?
- Ma no, al massimo un paio di metri…
- …e cos’è che avevi in mente…?
- Uhm. – mormorò Brian, come avesse davvero bisogno di pensarci su, quel dannato maniaco sessuale, - Hai mai sentito parlare di voyeurismo?
- …cioè vorresti guardarmi mentre mi scopo un altro?!
- Be’, per me non fa alcuna differenza se guardi tu e scopo io. – rispose Brian con estrema innocenza.
Era esausto.
Spossato.
E al momento aveva solo voglia di dormire – altro che sesso per tutta la notte.
La mano raggiunse il cassetto del comodino, lo aprì, né tirò fuori un kleenex e si ripulì nel tempo in cui lui lanciò il sospiro più enorme e rassegnato della sua vita.
- Senti. – disse, esasperato, - Ora torna a casa. Poi ci pensiamo.
Brian ridacchio, lo salutò e interruppe la conversazione.
Matt sapeva già di essere stato sconfitto in partenza.
Ma preferì non pensarci, voltandosi a pancia in giù sul materasso e cercando sul piumone tracce del profumo di Brian con le quali ingannare il tempo fino al suo ritorno.