Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: CodyxJayJay.
Rating: R.
AVVISI: Boy's Love, OC, What If?.
- Brian Molko e Matthew Bellamy hanno lo stesso problema, ma non lo sanno. Brian Molko e Matthew Bellamy, ed entrambi hanno un figlio che è esattamente il loro problema. Brian Molko e Matthew Bellamy hanno anche la stessa soluzione da adottare: il problema è che potrebbe perfino ritorcersi contro di loro!
Commento dell'autrice: Ho cominciato questa storia alla fine di febbraio XD La sto finendo adesso che siamo alle porte della fine di maggio. Converrete con me che oltre due mesi di tempo siano vagamente eccessivi per una storiella priva del benché minimo senso e di appena (si fa per dire!) ventuno pagine, ma insomma, io avevo davvero bisogno di scriverla XD Tanto per cominciare perché io amo JayJay u.u (e se ve lo state chiedendo, no, per quanto la cosa possa dispiacermi, un figlio di Matt Bellamy ancora non esiste. Soprattutto perché lui preferisce letteralmente fuggire in Australia piuttosto che sistemarsi e moltiplicarsi come il buon Signore comanda!) e secondariamente perché Cody è un puccino e, pure se non si merita di essere già fangirlabile fino a questo punto nonostante abbia appena tre anni, immaginarlo in teneri atteggiamenti col figlio del nemico pubblico numero uno di papone è troppo bello çOç Come si fa a non amarli?! T^T
La canzone che dà il titolo alla storia (e dalla quale ho preso pure i tre versi che la aprono) è l’omonima Rawhide, che è il titolo di una sigla di non mi ricordo che telefilm sui cowboy americano, ma che comunque è stata portata alla ribalta dal film (quello vero, quello originale) dei Blues Brothers. È la canzone che i ragazzi cantano quando sono nel country-bar, per evitare di farsi ammazzare a suon di bottigliate dai gioiosi avventori del luogo XD Come titolo è adattissimo:rawhide, infatti, è la pelle grezza, non ancora conciata. Voglio dire, per una fanfiction che, in fondo, è un racconto di formazione, avrebbe potuto esserci titolo più azzeccato? XD *si vanta di meriti inutili*
Spero che leggere questa storia sia per voi piacevole quanto per me è stato scriverla <3 E lunga vita alla coppia principale *_* Prima o poi la rivedrete, prometto XD!
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RAWHIDE

All the things I'm missin',
Good vittles, love, and kissin',
Are waiting at the end of my ride

- Non ti perdonerò mai.
Stefan si limitò ad ascoltare silenziosamente il rollio della macchina sull’asfalto, prendendosi tutto il tempo necessario per sospirare pesantemente e roteare gli occhi, prima di rispondere.
- Cody, non è colpa mia, se ora stai andando in America.
Il ragazzino, seduto al suo fianco nella vettura, sembrò come arruffare le penne. Dal momento che, però, di penne non ne aveva, tutto ciò che arruffò fu l’enorme massa di boccoli corvini e ribelli, che si agitarono sulla sua testa quando si voltò a guardarlo, sgomento.
- Come fai a dire che non è colpa tua?! Sei stato tu a consigliare allo stronzo-
- Stavo cercando di dire – lo interruppe l’uomo, flemmatico, imboccando la strada che li avrebbe finalmente condotti all’aeroporto, - che non è una colpa.
- Oh, certo! – sbottò Cody, tirando celermente fuori dalla tasca del giubbotto un elastico, per racchiudere le ciocche in una corta coda ricciuta, - Non è colpa di nessuno, se passerò il prossimo mese della mia vita rinchiuso in una fattoria del nordovest statunitense, a pelare patate e raccogliere grano. È per merito tuo, Stefan! Grazie mille!
- Mi pare piuttosto improbabile ti mettano a pelare patate. – suppose Stef, accelerando impercettibilmente, - Si vede che hai le mani da pianista.
- Che vuoi che veda un villico ignorante?!
L’uomo sospirò ancora, più profondamente.
- Smettila di parlare come tuo padre alla tua età. – consigliò, - Tu sei molto più maturo di quanto non fosse lui.
- Quello che non concepisco – continuò Cody, ignorandolo, - è come sia stato possibile che mia madre fosse d’accordo! Non ha senso! E resta comunque colpa tua: se non fossi rimasto ad ascoltare le paranoie dello stronzo adesso non mi ritroverei a dovere andare ad espiare una colpa che non ho commesso!
- Ti ho già detto – lo corresse Stefan, - che nessuno ha colpa di niente.
- Bene! Allora non dovrei andare a risolvere un problema che non ho!
Stef gli lanciò un’occhiata perplessa.
- Quindi, stare chiuso in camera tua da quando torni da scuola fino all’ora di cena per poi non farti più vedere fino all’indomani mattina, secondo te, è “non avere alcun problema”.
- Sono solo asociale! – rimarcò Cody, sbigottito, gesticolando animatamente, - Ho diciott’anni, cazzo! E comunque, mio padre non mi manda in Ohio perché sono asociale, ma perché è convinto che io sia gay! – si lasciò andare ad una smorfia, incrociando ostinatamente le braccia sul petto. – Ed io non lo sono, ma se lo fossi che problema ci sarebbe?! Tu sei gay! Anche lui è gay!
- Oh, è come Vinny ha sempre sospettato, allora. – ridacchiò il bassista, entrando nel parcheggio dell’aeroporto e fermandosi di fronte al casello del bigliettaio per pagare i venti minuti di deposito che gli sarebbero serviti per accompagnare Cody al check-in, - Tua madre è solo una copertura!
Cody si mordicchiò un labbro.
- Sai benissimo cosa intendevo. – sbottò. – E dì al tuo fidanzato di non speculare sul mio stato familiare… è già abbastanza frustrante sapere che in genere mio padre lo accoppiano con te.
Stef si lasciò andare ad una risata di cuore, spegnendo la macchina ed uscendone fuori con la solita andatura sciolta della pertica alta più di due metri ma incredibilmente snodata che era. Cody, invece, faticò un po’ a liberarsi dalla cintura di sicurezza, recuperare lo zainetto rosso incastrato fra le gambe ed uscire dall’abitacolo. Ci mise tanto, probabilmente, anche perché in realtà di uscire non aveva alcuna voglia.
- Almeno poteva degnarsi di accompagnarmi lui. – commentò, avviandosi al fianco di Stefan verso l’entrata dell’aeroporto. Nella sua voce c’era una nota di rammarico che Stef non poté evitare di notare, ed alla quale rispose con un’amichevole pacca sulla spalla, chinandosi a recuperare l’enorme valigia del ragazzino dal portabagagli e sussurrando un blando “Sai che doveva lavorare” che, peraltro, per quanto fosse debole come scusa, rappresentava anche la candida verità.
Heathrow era la solita accozzaglia di volti, lingue e destinazioni. Anche ad essere pronti e ben disposti nei confronti di un viaggio transatlantico, non lo si sarebbe comunque trovato un posto rassicurante.
Cody si strinse all’uomo che lo affiancava, ricominciando a mordersi impietosamente il labbro inferiore e prendendo a torturarsi le dita come per porre l’accento sul proprio travaglio interiore. Stefan sorrise bonario e gli schiaffeggiò debolmente una mano.
- Non ti distruggere, o tuo padre è capacissimo di farti ricoverare in ospedale per un intervento di ricostruzione.
- Certo. – sputò Cody, astioso, - Gli interessano solo le cose importanti per lui. Quelle importanti per me non hanno alcun significato.
- Dio, Cody, perché non puoi essere come tutti i normali adolescenti della tua età? Stai andando in America! Per un mese!
- Sto andando a pelare patate in Ohio per un mese!!! – corresse il ragazzo, sedendosi sulla propria valigia in un evidente attestato di stizza.
- Da come la metti tu sembra una punizione.
- Prova a metterla in un modo in cui non lo sembri. – lo sfidò, senza neanche guardarlo. – Non capisco, sul serio. Quello non è mai stato costretto a fare cose simili. S’è goduto l’infanzia, l’adolescenza e pure la giovinezza. – continuò con una smorfia di disappunto, - Anzi, non mi risulta abbia mai smesso di godersela, in realtà. Ha fatto sempre quel cazzo che voleva, e-
- Rospetto… - lo apostrofò dolcemente Stefan, scompigliandogli i capelli e rendendo del tutto vano l’elastico che li reggeva, al punto che Cody, infastidito, si scostò e prese a pettinarsi velocemente con le dita, per ricomporre il codino, - Guarda che tuo padre, per fare quel cazzo che voleva, per poco ci lasciava la pelle.
- Ma tu guarda che sfiga. – commentò acido lui. Poi abbassò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia. – È un ipocrita.
Stefan ripensò alla discussione che aveva avuto con Brian qualche giorno prima. A quanto l’avesse visto preoccupato da come il suo adorato figlio unico passasse le sue giornate chiuso in casa, privo di un qualsiasi stimolo esterno, rintanato in camera propria nei momenti peggiori, appiccicato al pianoforte e del tutto sordo ad ogni richiamo in quelli migliori, e di come avesse notato negli occhi del proprio migliore amico una traccia di smarrimento talmente evidente che proprio non aveva potuto fare a meno di proporre quella soluzione strampalata.
“C’è un amico di Vin che ha una fattoria nel nord-America… forse, passare un po’ di tempo a contatto con la natura gli farebbe bene”.
L’aveva detto perché era certo di tutta una serie di cose.
Prima di tutto, che Brian al solo sentire una cosa simile, di fronte alla reale possibilità di privarsi della propria ragione di vita per un mese intero, avrebbe immediatamente rinunciato all’idea, finendo per tranquillizzarsi di riflesso.
Secondo poi, che Helena non avrebbe mai accettato quel trasferimento, per motivi identici e probabilmente ancora più potenti di quelli che avrebbero dovuto muovere Brian.
Infine, che entrambi si rendessero conto, con quella soluzione eccessiva e paradossale, che in realtà Cody non aveva niente di sbagliato e sarebbe bastato aspettare un po’ per vederlo andare in giro nottetempo con un mucchio di amici ubriachi – ed allora che sarebbero stati dolori.
Ciò che l’aveva stupito, invece, era stata la facilità disarmante con cui sia Helena che Brian avevano accettato la sua proposta senza battere ciglio.
Questo gli aveva dato da pensare.
In fondo, lui non viveva in quella casa. Non poteva sapere esattamente in che modo si comportasse Cody.
Forse, le sue supposizioni erano troppo ingenue. Probabilmente, sia Helena che Brian sentivano quel problema più profondamente di quanto non potesse lui. Magari, addirittura, una soluzione che per lui era sembrata assurda, per loro invece era del tutto razionale, una specie di manna dal cielo.
Era stato questo sospetto a convincerlo della necessità di chiedere a Vincent di prendere contatto con quel suo amico, per organizzare il tutto.
La cosa, ovviamente, s’era rivoltata contro di lui, ma di questo non aveva mai dubitato: a Brian non era sembrato vero di poter obbligare il figlio ad una cosa simile, liberandosi allo stesso tempo di una parte delle responsabilità aggiungendo al proprio discorso un semplice “Stef ci ha consigliato”.
Sospirò, porgendo una mano a Cody per aiutarlo a rimettersi in piedi.
In fondo, quello era il mestiere ingrato del padrino.
- Sta solo cercando di evitare tu compia i suoi stessi errori. – disse, indirizzandolo verso la fila del check-in con una pacca sulla schiena.
Cody si lasciò andare ad una risata di scherno.
- È proprio vero che le colpe dei padri ricadono sui figli.
*
Matthew Bellamy avrebbe avuto bisogno di più mani rispetto a quelle che si ritrovava, per fare il conto preciso di tutti i motivi per i quali riteneva giusto e doveroso dare una raddrizzata al proprio omonimo figlio.
Uno di quei motivi era proprio lì, davanti ai suoi occhi, in quel momento.
Dalla porta, Matthew James Junior Bellamy lo fissava con aria profondamente scazzata, le braccia abbandonate lungo i fianchi e uno sbadiglio sfacciato nascente a tremare sulle labbra.
- Cosa hai combinato?! – si decise a sbottare Matthew, allargando le braccia ai lati del corpo, mentre Gaia, sua moglie, accorreva dalla cucina e si pressava una mano sulle labbra per evitare di erompere nell’urletto stridulo che il modo in cui suo figlio era conciato avrebbe sicuramente giustificato.
- Ti riferisci a…? – domandò Matthew Junior, con aria da sbruffone, appendendo una mano ad un fianco.
- Mi riferisco a quest’acconciatura e all’ennesimo piercing nuovo!
Suo figlio rise sonoramente, facendosi strada in casa spintonandolo con malagrazia. Il fatto fosse effettivamente più robusto e più alto di lui gli permetteva questo ed altro, in fondo. Sapeva che non avrebbero dovuto dargli da bere latte e cacao, quand’era piccolo!
- Tu – disse il ragazzo, sottolineando quel pronome con una dose di disgusto tale che Matthew ne ebbe paura, - sei proprio l’ultima persona al mondo a poter sindacare sulle acconciature altrui. – commentò, dirigendosi con nonchalance verso le scale, per salire al piano di sopra.
- Oh, senti, io i colori me li sono passati tutti, ma la cresta biondo platino proprio non sta né in cielo né in terra! – puntualizzò l’uomo, rincorrendolo fino alla base delle scale, - E quel coso al naso? A quanti siamo, quattro? Ti danno un premio se raggiungi i cinque?
- Il premio dei cinque l’ho già ritirato, mi avvio verso quello dei dieci. – ghignò il ragazzo, sfilandosi dalle braccia la giacca sdrucita che indossava e mostrando a coprire la pelle una maglia strappata in più punti che, di coprente, non aveva proprio nulla. – E questo è il sesto, comunque. Dobbiamo rifare l’appello?
- Ragazzino, bada a come parli, o-… Matthew! Torna subito qui!
- Jay, papà, Cristo santo! – sbottò lui, fermandosi a metà della rampa, appositamente per voltarsi a guardarlo con rabbia, - Quante cazzo di volte dovrò ancora dirtelo? Mi chiamo Jay!
- Tu ti chiami Matthew Bellamy, e non sarà certo lo stupido soprannome che ti hanno affibbiato quegli idioti che frequenti a farmi cambiare idea in proposito!
Jay roteò gli occhi, riprendendo a salire le scale senza più voltarsi indietro. Matthew continuò a strillargli addosso ancora per qualche minuto, prima di arrendersi al fatto che non l’avrebbe più ascoltato. Quando lo capì, si passò una mano fra i capelli, abbassando lo sguardo e sospirando pesantemente.
- Dovresti cominciare a chiamarlo Jay, sai? – suggerì Gaia, avvicinandoglisi con cautela ed intrecciando dolcemente le dita con le sue, - Non è un sacrificio enorme.
- Il sacrificio enorme è tollerarlo, Gaia. Dio, ma lo vedi?! Non ha rispetto di niente e di nessuno, fa solo quello che vuole, non studia, sarà sicuramente bocciato, non intende andare all’università-
- …e ti senti in grado di rimproverarlo tu, che non hai neanche concluso il liceo? – ridacchiò sua moglie, dandogli un buffetto su una guancia.
- Be’, tu che potresti non gli dici una parola! – fece notare lui, - Qualcuno dovrà pur rimproverarlo!
- Oh, avanti! – sbottò lei, roteando gli occhi e voltandogli le spalle per tornare in cucina, esattamente come aveva fatto suo figlio poco prima, - Ha appena compiuto sedici anni, è nel bel mezzo del suo periodo di ribellione… come fai a non ricordare il tuo?
- Io avevo qualcosa di serio contro cui ribellarmi! – strillò Matthew, afferrando al volo il coltello che Gaia gli aveva lanciato ed utilizzandolo immediatamente per tagliare a cubetti il pomodoro che aveva trovato sul tagliere, - Mio padre mi aveva mollato a sette anni, avevo un fratello stronzo che mi portava in giro come un fenomeno da baraccone, mia madre era una svampita come poche ed io ero uno sfigato colossale! La mia vita faceva schifo!
- Be’, la mia no. – commentò Gaia, scrollando le spalle e scolando la lattuga nel lavandino, - Ma mi vestivo comunque come Madonna e andavo comunque in giro a combinare casini.
Matthew si mordicchiò l’interno di una guancia, raccogliendo i pezzetti di pomodoro sul palmo della mano e rovesciandoli nell’insalatiera fiorata dove Gaia stava provvedendo a sminuzzare delle carote.
- Non sono tanto i piercing e le tinture che mi preoccupano, tesoro… - rifletté, passando a sciacquarsi le mani sotto il rubinetto, - È che è viziato da morire. Non capisco come abbiamo fatto a lasciarcelo sfuggire così di mano! – si chinò sul frigorifero, recuperando una bottiglia d’acqua ed una di coca cola e posandole sul tavolo, - Sul serio. È pigro e fa solo quello che gli dice la testa. È un totale irresponsabile. Io la scuola l’ho mollata, sì, ma perché avevo già in mano un EP ed un contratto con la Dangerous. Lui che ha, eh? Appena si avvicina ad uno strumento fa danni senza neanche toccarlo, ed è stonato come una campana! – richiuse il frigo con violenza, afferrando le due bottiglie sotto le ascelle e dirigendosi a passo spedito verso la sala da pranzo, - L’unica cosa che gli interessa è andare in giro a farsi figo con quell’altro gruppo di pseudo-punk dei suoi compagni di classe!
Gaia sospirò, ridacchiando a bassa voce dell’agitazione del marito. Terminò di preparare e condire l’insalata e poi lo raggiunse in sala da pranzo, portando con sé l’insalatiera che lui provvide immediatamente a toglierle dalle braccia per liberarla del peso.
- Non faticare troppo! – le disse premuroso, - Finisco io di preparare.
- Non fare il cretino, sono solo al secondo mese. – borbottò lei, spintonandolo fino alla sedia ed obbligandolo a sedersi. – Comunque, ascoltami. Hai ragione, quando dici che Jay sta un po’ esagerando. – si interruppe un attimo, giusto per osservare divertita Matthew annuire con foga, e poi riprese. – Sai, il cognato del cugino del fratello di Sveva, ti ricordi Sveva, vero? Ci frequentavamo un sacco, quando stavamo in Italia! Comunque, questo tipo ha una fattoria. Da qualche parte negli Stati Uniti d’America. Potremmo mandarlo un po’ lì, ti pare? Faticare potrà fargli solo bene, e chissà, magari trova la vocazione della sua vita.
Matthew la guardò, luccicando d’ammirazione.
- In momenti come questo mi ricordo perché ti amo!
- La cosa indecente è che tu possa scordarlo! – commentò lei con una smorfietta falsamente offesa, mentre lui si rimetteva in piedi e la stringeva fra le braccia.
- È fantastico. – concluse infine Matthew, dirigendosi di gran corsa verso le scale, - Chiama questa Svezia-
- Sveva, Matt!
- Quello che è! Chiamala e mettiti d’accordo con lei. Lo spiantato parte al massimo dopodomani. Tanto è in vacanza!
Gaia inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto.
- Matt, si può sapere dove stai andando? – gli chiese, osservandogli salire le scale due a due, - Mi sembra un po’ presto per ordinargli di preparare la valigia.
- Macché valigia e valigia! – sbottò lui, ormai in cima alla rampa, - Vado a sradicarlo dal letto per vedere se ci dà una mano a preparare la tavola!
Gaia ridacchiò, scuotendo rassegnata il capo. Quando cominciò a sentire le urla provenire dal piano di sopra, seppe che la battaglia era persa, e tornò in cucina per scolare la pasta.
*
Quando Cody Molko e Matthew James Junior Bellamy arrivarono al Cleveland Hopkins International Airport, capirono per quale motivo quella città fosse soprannominata “la metropoli della riserva occidentale”. Quella non era una città: era un’indecente accozzaglia di gente appartenente a qualsiasi razza e qualsiasi cultura. C’era una tale differenziazione che, più che un aeroporto, quella roba sembrava la sede del Parlamento Europeo… però all’americana.
In ogni caso, non era un luogo in cui fosse facile notarsi. Se poi neanche ti conoscevi…
Per questo motivo, i due ragazzi presero per la prima volta nota delle rispettive esistenze nel momento in cui si trovarono in un luogo meno affollato, più tranquillo e, soprattutto, più in movimento: il bus che, facendo il giro delle campagne circostanti, fuori dalla zona industriale, li avrebbe condotti al piccolo agglomerato rurale nel quale si trovava la fattoria di Jack Felton, che li avrebbe ospitati per tutto il mese successivo.
Naturalmente, nessuno dei due sapeva che si sarebbero trovati a condividere un solaio per tutta la durata della loro permanenza, né immaginavano minimamente cosa sarebbe successo dopo, ma si notarono.
Jay notò Cody perché sembrava l’unico essere vagamente coetaneo nel raggio di chilometri.
Cody, invece, notò Jay perché non notare quel tizio sembrava un’impresa impossibile. Alto, magro, con due occhi impossibilmente azzurri puntati nel niente di fronte a sé, quello strano ragazzo dall’aria tormentata stava letteralmente spalmato su due sedili, e si faceva aria con una mano, scostandosi di dosso con l’altra la maglia a rete che lo fasciava fino all’ombelico e sotto la quale si intravedeva un piercing al capezzolo sinistro, ascoltando distrattamente musica dal lettore mp3 che gli pendeva ozioso dal collo.
Rimase a fissarlo un po’ troppo a lungo, forse: perché alla fine lui se ne accorse, gli sollevò addosso quegli occhi incredibili, inarcando le sopracciglia con aria inquisitoria, e lo indicò con un cenno del capo. Cody sussultò e spostò lo sguardo sulla campagna sempre uguale – verde, gialla, verde, gialla – fuori dal finestrino. Sentiva il cuore battere ad un ritmo semplicemente indecente. Quella cosa non era normale.
Si riscosse soltanto quando sentì un lievissimo sbuffo d’aria al proprio fianco annunciargli orgogliosamente che qualcuno s’era seduto accanto a lui. Temeva anche di sapere chi.
Si voltò a guardare, ed i suoi timori trovarono immediatamente riscontro.
- Una ragazza carina come te non dovrebbe viaggiare da sola.
Ok. L’aveva preso per una ragazza. Ed il modo in cui stava insinuando potesse essere lui il “fortunato” che avrebbe potuto proteggerla era semplicemente disgustoso.
Ma quello era comunque un accento inglese. Non poteva ignorarlo!
- Da dove vieni? – chiese perciò, senza che la cosa avesse il benché minimo legame con quanto gli aveva detto lui.
Il ragazzo inarcò nuovamente le sopracciglia.
- Maschio? – chiese a propria volta, senza degnarsi di rispondere.
Cody annuì.
- Mi dispiace. – aggiunse senza nessun motivo valido. Non era neanche vero gli dispiacesse – cosa diavolo c’era da dispiacersi?!
L’altro ragazzo si lasciò andare ad una smorfia delusa, incrociando le braccia sul petto.
- Peccato. – borbottò, - Sembravi femmina.
Cody scrollò le spalle.
- Ognuno ha i suoi difetti. – buttò lì senza pensarci, e il tipo rise di gusto.
- Comunque, Inghilterra. – rispose finalmente, - Anche tu, no?
Cody annuì ancora, sorridendo brevemente.
- Londra. – precisò atono.
- Dai! – rise il biondo, battendosi una mano sulle ginocchia, - Anche io! Come ti chiami?
- Cody. – rispose lui, tendendo una mano che il tizio strinse con fin troppo calore. – Tu?
- Jay. – annunciò quello, una nota di orgoglio purissimo nella voce.
- …che razza di nome sarebbe? – ridacchiò lui, poco convinto.
Jay lo fissò, colmo di disappunto.
- Viene da JayJay. – spiegò.
- …che dovrebbe essere un nome più dignitoso?
Il biondo sbuffò, roteando gli occhi.
- Ho un nome da maggiordomo. – borbottò, - Anzi, da figlio di maggiordomo. Matthew James Junior. Perciò i miei amici hanno cominciato a chiamarmi JayJay, e poi semplicemente Jay.
Cody annuì comprensivo, invidiandolo pure un po’: se anche avesse avuto degli amici, nessuno gli avrebbe mai affibbiato un soprannome del genere. Lui non aveva un nome soprannominabile.
Cody era semplicemente un nome molto stupido. Non che fosse particolarmente brutto; era solo terribilmente inadatto ad accompagnare una persona per tutto l’intero corso della sua vita. Era carino per un bambino, grazioso per un adolescente, ridicolo per un ragazzo, imbarazzante per un adulto ed incredibile per un anziano. Praticamente, smetteva di essere utile a quindici anni. Lui ne aveva già diciotto, e suo padre non gli aveva mai permesso di cambiare nome – accidenti a lui e a quel suo stupido amico che aveva pensato bene di crepare in gioventù per poi condannare un povero innocente a portare quello stupidissimo nome.
L’unica sua fortuna era non avere neanche una persona che fosse così intima da sfotterlo per quella sua disgraziata condizione. Nessuno degli amici di suo padre si sarebbe mai permesso, ed i compagni di scuola potevano sfotterlo per così tanti altri motivi – il suo aspetto vagamente effeminato perché gracile e dai lineamenti dolci, il conservatorio, i concerti per vecchi bacucchi nel salotto di casa ogni sabato sera, i quaderni di Yugi-Oh che sua madre si ostinava a comprargli senza neanche guardare la copertina – che il suo nome passava decisamente in secondo piano.
- Tu hai un bel nome, comunque. – sentenziò a quel punto Jay, come avesse seguito il filo interiore dei suoi pensieri e si fosse preparato a smentirlo in quei pochi minuti, - È musicale.
- Oh. – ridacchiò lui, divertito, - E tu lavori per NME? Sei un esperto?
Anche Jay rise, o almeno sghignazzò, facendo ripartire l’i-pod da dove s’era interrotto, lasciando però un orecchio libero dalla cuffia, per poter continuare ad ascoltare lui.
- Io no, mio padre sì. – annuì, - Io sono un frana in campo musicale, però ho buongusto. E lì mi fermo.
- Ma dai, e tuo padre chi è? Magari lo conosco, sai, pure-
- Guarda, non mi va di parlarne. – lo interruppe lui, con una smorfia irritata, - Lo odio quello stronzo, è colpa sua se sono qui adesso.
- Ah, a chi lo dici. – annuì Cody, sbuffando pesantemente, - Vale lo stesso per me.
Jay rise ancora, offrendogli la cuffia libera.
- Pare che abbiamo un sacco di cose in comune. – commentò divertito, - Un po’ di Mozart?
Cody tese l’orecchio e, dall’auricolare che la mano di Jay – unghia mangiucchiate e smaltate di nero annesse – gli tendeva, sentì provenire la familiare Aria della Regina della Notte dal Flauto Magico. Lasciò scorrere incredulo lo sguardo sull’individuo che ancora gli sorrideva.
- E tu ascolteresti Mozart? – gli chiese, sbigottito.
- Te l’ho detto che ho buon gusto. – commentò supponente Jay, scrollando le spalle.
- Giurami che non stai cercando di fare colpo. – aggiunse malizioso, chinandosi impercettibilmente verso di lui.
Oddio, cosa diamine sto facendo?!
Jay sorrise con la sua stessa sfumatura di malizia divertita.
- Nah. Se avessi voluto fare colpo su un pianista, gli avrei dato da ascoltare Rachmaninov.
Cody sorrise apertamente e sinceramente – anche troppo – guardandolo con limpida ammirazione.
- Come hai fatto?
Jay sghignazzò.
- Le conosco bene le mani dei pianisti. – disse soltanto, ficcandogli l’auricolare nell’orecchio senza aspettare il suo permesso, - E adesso silenzio. – concluse.
E silenzio fu. Se non altro per omaggiare la melodia stupenda che passava dall’auricolare alle sue orecchie, rilassandolo e cullandolo in un abbraccio quasi paterno. Per la verità, non avrebbe saputo trovare un aggettivo si adattasse meglio al suo rapporto con Mozart, che non fosse proprio paterno.
Nonostante la sua entrata nel mondo della musica – nonché la sua iscrizione al conservatorio, ormai quasi decennale – fosse stata sostanzialmente una scelta obbligata impostagli da suo padre, lui non se n’era mai lamentato. A suo parere, suo padre faceva il mestiere più bello del mondo. Girava il mondo, ascoltava musica di ogni genere, la assimilava, la rielaborava, la faceva propria e poi ne produceva altra che riusciva ad essere allo stesso tempo nostalgica dei suoi ascolti e del tutto nuova rispetto ad essi.
Sì: suo padre aveva talento. Ed era per questo che, dopo aver smesso di comporre e cantare, era diventato un produttore.
Invece, in lui, il talento difettava del tutto. Sì, sapeva suonare il pianoforte, e sapeva suonarlo bene. Ma dipendeva più dall’eterno esercizio al quale si era sottoposto, che non da un vero e proprio talento di base. La sua, per certi versi, era la condizione più sfortunata di tutte: adorava la musica, adorava suonare ed avrebbe voluto riuscirci a livelli eccelsi. Purtroppo, per quel difetto di base, non ci sarebbe mai riuscito.
E non che suo padre non avesse cercato di stimolarlo in tal senso, peraltro: era stato tutto meno che un padre assente, nonostante i tour. Ed ogni volta che era a casa lo teneva con sé. Lo nutriva di musica. All’inizio di ogni genere e provenienza, ma quando aveva colto la sua spiccata preferenza per la musica classica aveva cominciato ad ingozzarlo letteralmente di opere e composizioni varie. Rachmaninov, ovviamente, su tutto.
Ma la vera passione di Cody era proprio Mozart. I compositori europei in generale, sì, quelli austriaci – Haydn, Strauss, Schubert! – in particolare, ma se avesse dovuto citare un nome, uno solo, che avesse per lui più significato di tutti gli altri, quel nome sarebbe stato Mozart.
Suo padre cercava di dargli tanto a livello culturale. E ci riusciva.
Riusciva a dargli molto poco, però, a livello affettivo.
Non che fosse esattamente una sua colpa, peraltro: Cody era sempre stato un bambino piuttosto timido, e suo padre non era noto per essere particolarmente esplicito con le proprie dimostrazioni d’affetto. A meno che stendersi in ginocchio di fronte al proprio bassista o baciarlo di fronte a mezzo mondo una cinquantina di volte nell’arco di vent’anni non fosse anch’essa considerabile una dimostrazione di vero affetto. Cody non ne era tanto sicuro. Tutt’altro: era fermamente convinto che le dichiarazioni d’amore di suo padre nei confronti di Stefan potessero essere trovate in tutt’altri tempi e modi – come ad esempio nei momenti in cui gli concedeva di decidere per la propria vita e per quella dei suoi cari, come aveva fatto in quell’occasione.
In compenso, Mozart lo faceva sentire amato. Amato davvero. Le Nozze di Figaro avevano scandito le sue giornate per mesi. S’addormentava fra le rassicuranti e dolcissime note dell’ultimo atto, quello che da sempre gli aveva messo in testa l’idea – sicuramente un po’ ingenua, ma tanto piacevole – che non ci fossero disastri o fraintendimenti ai quali non potesse essere posto rimedio.
Con quell’opera aveva un rapporto speciale, ma in realtà era un po’ con tutta la produzione del compositore che non poteva proprio fare a meno di sentirsi felice. Aveva sempre pensato Mozart componesse musica come volesse far sentire ad ogni singola persona in ascolto quanto quell’aria fosse stata appositamente pensata per lui. Per farlo sentire felice o triste o confuso o sollevato o divertito. Comunque per lui.
- Io ci sono cresciuto, con questa musica. – soffiò Jay quando l’aria si fu conclusa, spegnendo l’ipod e raccogliendone gli auricolari, prima di riporlo nel proprio tascapane.
- Sai che non si direbbe affatto? – ridacchiò lui, dondolando un po’ le gambe davanti a sé, nel tentativo di sgranchirle. Viaggiavano seduti ormai da quasi un’ora. – Sembri più il tipo che ascolta solo punk. O qualcosa di simile.
- Se dovessi andare in giro per come dettano i miei gusti musicali, sarei un improponibile miscuglio di moda settecentesca ed abbigliamento emo, credo. – rise apertamente lui, incrociando a propria volta le gambe sul sedile, incurante dell’enormità di spazio che occupavano, lunghe com’erano. – Trovare il broccato però non è così facile. – aggiunse poi, stringendosi nelle spalle, - Perciò dell’intenzione originale rimane solo la parte che riguarda l’emo, mi sa. – e rise ancora, tanto contagioso che Cody non poté proprio resistere all’idea di seguirlo.
- Comunque sia… - disse, voltandosi a guardare fuori ed adocchiando un’enorme distesa di campi coltivati e una figuretta abbronzata in salopette scamosciata che si agitava per farsi vedere dal limitare di un sentiero sterrato giallo di polvere, - mi ha fatto piacere di conoscerti, ma credo di essere arrivato. – lo informò, indicando la scena. – Mi hanno detto che avrei capito dove avrei dovuto scendere perché ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarmi. Dev’essere lui.
Jay lo guardò con un misto di curiosità, stupore ed incredulo divertimento negli occhi.
- …comincio a pensare che il nostro incontro non sia stato casuale, sai? – insinuò malizioso, - A me hanno praticamente detto le stesse cose. Condite da un “Se ti azzardi a ignorarlo e non scendere, giuro che ti faccio fuori con le mie mani”, anche, ma il significato era più o meno lo stesso.
Il bus si fermò proprio davanti all’uomo in salopette, che continuava ad agitarsi concitato. Cody e Jay scesero dal veicolo con aria un po’ confusa, avvicinandoglisi timorosi.
- Siete voi due? – chiese loro l’uomo, un po’ rude, squadrandoli poco convinto dall’alto in basso. – Sembrate piuttosto gracilini. – commentò. Poi lasciò scorrere lo sguardo attentamente, prima su Jay e poi su Cody, e su di lui esitò parecchio. – Tu sei sicuro di essere maschio? – aggiunse, inarcando le sopracciglia.
- L’ultima volta che ho controllato lo ero ancora. – rispose cupamente Cody, con una smorfia infastidita, tra le risate divertite di Jay.
Il tipo scrollò le spalle, evidentemente insoddisfatto.
- Be’, tu sarai di sicuro frocio, ma quantomeno non pari del tutto inutile. – borbottò, riferendosi a Jay. – Io mi chiamo Thomas Felton. Sono il fratello minore del proprietario e mi occupo delle stalle. Seguitemi, vi porto in fattoria.
Stavano già cominciando a muoversi dietro al tipo, trascinandosi appresso i bagagli, quando videro un’altra figuretta concitata correre verso di loro. A prima vista, somigliava perfino all’uomo che li aveva accolti: abbronzantissimo, seminudo e biondo da far paura. Non come Jay, il cui biondo platinato faceva sì paura, ma per altri motivi. I capelli del ragazzo ondeggiavano nel vento ed erano dorati come il grano.
Così perfettamente americani da dare il voltastomaco.
- Li accompagno io! – disse il ragazzo, fermandosi ansante davanti a loro e poggiando le mani sulle ginocchia, piegandosi lievemente per riprendere fiato, sorridendo comunque come se fino a quel momento avesse solo passeggiato.
Il signor Felton lo guardò con severità.
- Dovresti essere con le vacche! – lo rimproverò aspramente, dandogli una manata sulla nuca.
Il ragazzo rise divertito, massaggiando il punto che aveva ricevuto lo schiaffo, senza però dare particolare segno di essersi fatto veramente male.
- Le ho già riportate in stalla! – si giustificò il ragazzo, continuando a ridere allegramente, - Posso pure accompagnarli io dallo zio.
L’uomo scrollò le spalle e, senza dire altro, li lasciò lì, avviandosi velocemente verso la fattoria – che, in lontananza, si scorgeva appena all’orizzonte.
Quando Cody si voltò a guardare il ragazzo, vide che Jay l’aveva adocchiato già da un po’, e lo scrutava curiosamente, come avesse dovuto studiarlo. Inarcò le sopracciglia e, abbandonando la propria enorme valigia lì dove stava, si avvicinò a loro.
- Io sono Sebastian! – proruppe il ragazzo in salopette, salutandoli entrambi con un sorriso ed un ampio gesto del braccio, - Ho quindici anni!
“Quindici anni”, pensò Cody, rabbrividendo vistosamente, “E fisicamente ne dimostra venti. Mentalmente, magari, anche dodici”. Ciononostante, non poteva fare a meno di sentirsi considerevolmente in difetto nei confronti di quel ragazzotto incredibilmente semplice ed anche così a proprio agio, sempre sorridente malgrado le corse e i rimproveri e disposto ad aiutarli senza pensieri dopo aver portato le vacche dalla stalla al pascolo e viceversa.
Lui, probabilmente, sarebbe morto di stanchezza al primo passo fuori dal letto.
- Seguitemi. Mio zio può essere piuttosto severo, quando vuole.
Il ragazzo si voltò e prese alla svelta il sentiero che già suo padre aveva percorso, senza voltarsi indietro neanche una volta.
Jay non aveva ancora detto una parola.
Non disse niente neanche allora. Si limitò a recuperare da terra il proprio striminzitissimo e sbrindellatissimo zaino ed inseguire alla svelta il ragazzino in allontanamento, mentre Cody rimaneva immobile a boccheggiare, a qualche passo dalla propria valigia.
- Ehi! – si forzò infine a dire il ragazzo, richiamandolo e gesticolando animatamente, - Jay! Aspetta!
Il biondo si fermò di scatto, voltandosi a guardarlo ed inarcando un sopracciglio inquisitore.
- Cosa? – chiese con disinteresse, cercando di non perdere di vista il Sebastian in allontanamento senza però privare dell’attenzione che necessitava il Cody in statuaria disapprovazione della sua condotta. – Che hai?
Cody abbracciò idealmente il mondo che lo circondava, con un gesto stanco ed esasperato.
- Potresti anche aiutarmi, no? – borbottò, indicando espressamente la valigia con un cenno del capo.
Jay sollevò anche l’altro sopracciglio, guardandolo adesso con palese incredulità.
- Scusa l’impertinenza, - inquisì, avvicinandosi comunque alla valigia e caricandosela in spalla senza una lamentela di più, - ma se sapevi che non saresti riuscito a portarla, perché l’hai riempita tanto?
Cody si strinse nelle spalle e guardò altrove, imbarazzato.
- Confidavo nella bontà del genere umano. – buttò lì, mentre Jay ridacchiava divertito. – Comunque sia… - borbottò, con una sorta di infastidita curiosità, cercando di mostrarsi disinteressato, - com’è che fissavi a quel modo quel tipo? Hai preso per femmina pure lui?
Jay scoppiò a ridere, fronteggiandolo con spavalda sicurezza.
- Non che la cosa sia importante. – rispose tranquillo. – Per te lo è?
Preso alla sprovvista, Cody si strinse nelle spalle.
- …non credo… - biascicò, - Aspetta, cosa? Che a te piaccia lui o che ti piaccia un maschio in generale?
Il biondo lo fissò malizioso, strizzando le palpebre fino a rendere gli occhi due minuscole striscioline azzurre.
- Entrambe le cose. – disse infine, prima di voltarsi ed avviarsi nella direzione verso la quale Sebastian era già sparito, senza neanche attendere una risposta.
Meglio così: perché Cody una risposta proprio non ce l’aveva. E, sinceramente, non sperava nemmeno di trovarla tanto presto.
*
Jack Felton fu duro e rude e totalmente disinteressato, esattamente come si erano aspettati entrambi. Non appena li vide apparire sulla soglia di casa, per prima cosa mandò Sebastian e dar da mangiare alle mucche quasi prendendolo a calci e strillandogli di “togliersi quel sorriso cretino dalla faccia, se non voleva farsi spaccare tutti i denti”, e per seconda cosa li fissò con estrema disapprovazione, le braccia serrate sul petto, rigide come quelle di un cadavere, e sul volto un cipiglio disgustato.
- Mai che fare un favore a qualcuno si riveli conveniente per chi il favore lo fa. – lo ascoltarono commentare, con tanto disprezzo da farli sentire perfino in colpa, - Sia ben chiaro che non accetterò nessun capriccio o niente del genere. – li redarguì seriamente, agitando un dito davanti alle loro facce basite, - Questa fattoria è enorme, ma guadagnare un sacco di soldi implica per forza dei sacrifici. I lavoratori, qui, sono pochi ma buoni. Spero lo siate anche voi.
Cody aveva deglutito, terrorizzato, mentre perfino Jay, dall’alto della sua spregiudicata spavalderia, sembrava vagamente inquietato da quelle che erano, a tutti gli effetti, minacce pure piuttosto consistenti.
- Sono già le sette e mezza di sera. – continuò il fattore, impietoso, - Ciò significa che siete in ritardo per la cena ed in perfetto orario per andare a letto. Sebastian vi mostrerà la vostra stanza.
Sebastian era tornato dalla stanza, trotterellando allegro, proprio in quel momento, come se l’avesse effettivamente sentito, e li aveva scortati celermente fuori dalla casa, lungo un vialetto sterrato ed infine ad una specie di enorme capannone diroccato dall’aria drammaticamente fatiscente.
- Le nostre stanze sono qui…? – aveva esalato terrorizzato Cody, mentre Jay si guardava curiosamente intorno, sistemandosi meglio i bagagli sulle spalle.
- Qui ci sono gli alloggi della manodopera. – aveva risposto tranquillo il ragazzo, aprendo senza alcuna difficoltà l’enorme portone in legno massiccio che chiudeva l’edificio, - Sono già tutti occupati, ma sotto il tetto c’è un solaio vuoto. L’abbiamo organizzato per farci stare voi due.
Non ci volle molto per scoprire che ciò che Sebastian intendeva per “organizzato” era ciò che un qualsiasi altro essere umano pensante avrebbe inteso come “arrangiato in fretta e furia e senza neanche particolare sentimento”: il solaio era un ambiente rettangolare di media grandezza, che soffriva però delle privazioni spaziali imposte da un tetto spiovente che lo rendeva sempre più ristretto e meno vivibile man mano che ci si avvicinava all’unica finestra – che in realtà era un’apertura circolare nel legno che mostrava ancora segni di avere avuto, un tempo, del vetro a chiuderla. Vuoto in maniera quasi desolante, era “arredato” solo da un paio di sottilissimi materassini sdruciti, privi di lenzuola, e da una lurida catasta di qualcosa che sembrava proprio paglia, ammonticchiata in un angolo talmente in fondo alla stanza che sembrava perfino irraggiungibile.
- Be’, buonanotte! – augurò giovialmente Sebastian, prima di sparire, chiudendosi la porta alle spalle.
- …Dio. – borbottò Cody, guardandosi intorno con aria sconsolata, - Passerò la notte a contare le pulci!
- Attività noiosa e poco utile. – fece notare JayJay con una smorfia, appendendo una mano al passacintura dei jeans.
- Tanto sicuramente non riuscirò a dormire! – si giustificò lui, indicando lo stanzone con un vago gesto di entrambe le braccia, - Dio, che schifo! Non ci sono nemmeno lenzuola!
- Su, su… - sorrise conciliante Jay, lasciandosi ricadere con un tonfo sul proprio materassino e producendosi subito dopo in un vagito di dolore che stava a significare il materasso non fosse abbastanza gonfio da sostenere neanche il suo pur non eccessivo peso, - In fondo, è estate pure qua. – annuì, come a darsi ragione da solo, - Non sentiremo freddo.
Dopodiché, si sfilò la giacca di pelle, rimanendo con indosso solo quell’improponibile maglia a rete che considerava un indumento.
Rimise su la giacca neanche un minuto dopo.
- Oppure sì. – biascicò sconsolato, stringendosi nelle spalle e frizionandosi le braccia, cercando di riscaldarsi, - Dannazione, perché fa tanto freddo anche se siamo in agosto?!
Cody sospirò profondamente, sedendosi cauto sul proprio materasso ed allungandosi ad arpionare la valigia, per poi trascinarla fino a sé.
- Siamo piuttosto a nord e in aperta campagna… - illustrò, - Ovviamente la temperatura è più bassa. E stanotte sarà anche peggio. Meno male che ho portato una coperta… - esalò sollevato, aprendo il valigione e prendendo a rovistare all’interno.
- …perché ti sei portato dietro una coperta? – chiese giustamente Jay, sporgendosi nella sua direzione con aria curiosa.
Cody si strinse nelle spalle.
- Non si può mai sapere. – concluse, spiegando un enorme plaid multicolore e rispedendo la valigia nell’angolo da cui proveniva con un calcio.
A quel punto, sfilò la giacca e la appallottolò con cura, sistemandola sul materasso a mo’ di cuscino, e solo allora si sistemò la coperta addosso, lanciando di tanto in tanto occhiate incuriosite a JayJay, che per propria parte sembrava intenzionato a fare tutto meno che abbassarsi a chiedergli di dividerla. D’altro canto, però, lo stava pure fissando come se nella sua persona si fosse trovata la risposta a tutte le domande dell’universo, perciò Cody poteva ragionevolmente supporre in realtà la voglia di chiedergli quel dannato favore fosse piuttosto forte, dentro di lui.
Sospirò ancora, sollevando un lembo della coperta con aria allusiva.
- Se avvicini il tuo materasso, possiamo usarla in due.
Jay s’illuminò tutto come un’allegra lampadina, e scattò in ginocchio, strisciando energico verso di lui prima di lasciarsi ricadere disteso sul materasso, rintanarsi a propria volta sotto il plaid e gettare lontano la propria giacca.
- …dovresti tenerla, per-
- Nah, non sarebbe comoda, come cuscino. È dura. – considerò il biondo, senza neanche lasciargli finire la frase, - E poi la tua è abbastanza grande e morbida per entrambi.
Cody gli lanciò un’occhiata incerta. Aveva detto che avrebbero potuto dividere la coperta, mica che da quel momento in poi avrebbero condiviso l’intera esistenza. JayJay, però, non sembrava il tipo da stare lì a sottilizzare su queste questioni, perciò il moro si rassegnò a sospirare per l’ennesima volta e poggiare il capo sul cuscino improvvisato, per provare a dormire.
- Non vorrei esserti sembrato cretino, poco fa. – precisò Jay, bene intenzionato a non lasciare che quella giornata orrenda finalmente si concludesse, - Non è che non ti ho chiesto di dormire insieme per timidezza. Non sono granché timido.
- L’avevo sospettato.
Jay ridacchiò, affondando il gomito spigoloso nel piumino ed abbandonando il capo sul palmo della mano, per guardarlo dall’alto. A disagio, Cody tirò su la coperta fino al collo, come a volercisi nascondere sotto.
- È che pensavo tu non fossi molto abituato a cose simili.
- Diavolo, no che non sono abituato a cose simili! – sbottò il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, - Sono sperso da qualche parte in Nord-America, pelerò patate per tutto il prossimo mese rovinandomi per sempre le mani e sarò circondato solo da estranei fino a quando non potrò tornare a casa!
- Santo cielo, questa cosa delle patate da dove esce fuori?! – rise Jay, franando letteralmente al suo fianco, - Se ti turba così tanto, ti prometto che pelerò io la tua parte! Tanto, io ho ben poco da rovinare. – concluse, tirando fuori le braccia da sotto la coperta ed esponendo le mani alla luce della luna che filtrava attraverso i cocci di vetro ancora attaccati a ciò che restava della finestra.
Cody gli si avvicinò, scrutando silenziosamente la sagoma nettissima di quelle lunghe dita contro i pallidissimi raggi lunari.
- Guarda che le tue mani sono proprio belle. – commentò, - Hai delle belle dita. Affusolate ed aggraziate.
- Ed anche totalmente inutili! – aggiunse Jay, con l’ennesima risata, - Sono un disastro con qualsiasi strumento. Credo di essere stonato fin dentro al cervello! Ma comunque, - sbottò, fissandolo curioso, - non cambiare discorso. Non stavamo parlando delle mie mani. E quando ti ho chiesto se non fossi abituato a cose simili, non mi riferivo ai lavori di fatica!
- …ed a cosa?
Il sorriso di JayJay si fece più piccolo, ed anche vagamente più inquietante.
- Al dormire con qualcuno.
Cody distolse lo sguardo, mortalmente in imbarazzo. Cominciava a sospettare non dovesse esserci proprio modo di sottrarsi al fuoco incrociato delle sue domande.
- In… in che senso? – abbozzò, incapace di trovare sufficiente coraggio per fronteggiare i suoi occhi.
- Oh, in qualunque senso tu voglia. – spiegò Jay, scrollando lievemente le spalle, - Ce ne sono talmente tanti! – dopodichè ridacchiò, chinandosi più insistentemente verso di lui. – Però, se vuoi, sarò più esplicito: sei mai stato con qualcuno? Insieme, dico.
Se anche avesse ancora avuto dei dubbi, il modo sottile e insinuante in cui aveva calcato la voce su quella parola glieli avrebbe tolti tutti.
- No, credo… - borbottò quindi, giusto per rispondere qualcosa, - Almeno, non in senso stretto, ecco.
- Non esiste un senso stretto. – rise Jay, - Tutti i sensi sono stretti. Ed amplissimi. Per dire, io mi sono innamorato una volta sola, ma sono stato con un mucchio di persone. Ora, c’è chi mi direbbe “allora sei stato solo con chi hai amato” e chi, invece, mi direbbe “sei stato proprio con tutti quanti”. Io posso vederla come preferisco. E lo stesso vale per gli altri. – si sporse ancora un po’ verso di lui. Ormai erano talmente vicini che Cody poteva intuire la luce di quegli occhi assurdamente azzurri pure nel buio con il quale il loro cantuccio riparato dagli spifferi li proteggeva. – Tu come la vedi?
La vedo bellissima.
Dio, se la vedo bellissima.

- …no, credo di non essere stato mai con nessuno.
Jay rise ancora – il suono della sua risata era splendido. No, non c’era proprio neanche una possibilità che quel ragazzo potesse essere davvero stonato dentro – e gli si accucciò accanto, sistemando la coperta per entrambi.
- È un vero spreco. – commentò, - Dovresti decisamente trovarti una donna.
Cody inarcò le sopracciglia, cercando di riscuotersi dall’irreale torpore ammaliato in cui l’aveva gettato la vicinanza di Jay.
- Perché mi consigli una donna? – chiese, - Mi era sembrato di capire tu non facessi differenza fra i sessi.
- Non fare differenza, ora, andiamo. – borbottò lui in risposta, - È ovvio che delle differenze ci sono. Due uomini non sono geneticamente fatti per coesistere in una relazione romantica. – asserì, annuendo nuovamente in quel buffo modo che lo faceva sembrare in cerca d’approvazione continua prima di tutto da se stesso, - Due uomini possono pure scopare e trovarlo fantastico, ma l’amore…
Cody sbuffò. Stanco – e del tutto assurdamente offeso – si voltò su un fianco, dandogli la spalle.
- M’è venuto sonno. – si giustificò blandamente, - Buonanotte.
Jay si sollevò appena, scrutandolo curioso. Dio, si sentiva quegli occhi addosso, sulla schiena, oltre la felpa, fin sulla pelle. Era tremendo. Gli dava i brividi.
- Per quanto, se fossi tu… - sussurrò il biondo lentamente, chinandoglisi appena addosso, sfiorandogli un orecchio con le labbra. E poi si ritrasse, tornando a distendersi comodamente sul materassino. – Be’, buonanotte.
Dannazione.
Ed era andato lì per convincere suo padre di non essere gay, una volta per tutte!
Sarebbe stato dannatamente più difficile del previsto.
*
La prima settimana di lavoro passò sfiancante e noiosa come aveva previsto. Il tizio li mise davvero a pelare patate, altro che rispetto per le mani dei pianisti. JayJay fece il possibile per rendere il tutto meno pesante – nel senso che fisicamente dimezzò i suoi carichi di lavoro, prendendoli sulle proprie spalle – e la cosa lo fece sentire dannatamente in colpa, al punto che si sentì perfino in dovere di provare a riportare le cose alla normalità – una normalità in cui lui potesse lavorare esattamente quanto tutti gli altri esseri umani di sesso maschile e della sua età, senza per questo dover rantolare in un angolo come stesse per morire da un momento all’altro. Ogni volta che provava a riprendere parte di ciò che Jay gli aveva tolto di mano, però, si sentiva rispondere che “non era proprio il caso di fare complimenti”, e comunque lui era davvero abbastanza robusto e forte da lavorare per due. Il tutto, condito da un sorriso talmente splendente e sincero da mettere fuori uso perfino le più banali capacità di organizzazione mentale.
Inutile: quel ragazzo aveva su di lui effetti decisamente deleteri.
Molto più di quanto non fosse tollerabile, peraltro.
La riprova arrivò un pomeriggio a metà della seconda settimana. Avevano concluso il giro di mungitura delle vacche prima del previsto e si erano perciò buttati su una montagnola di pagliericcio abbandonata all’ingresso del fienile. Riparati dal sole all’ombra dell’enorme casolare, s’erano messi ad osservare il mondo circostante con aria annoiata, chiacchierando del più e del meno senza particolare interesse e cercando, in sostanza, di riprendere fiato dalle fatiche della giornata lavorativa.
Erano quasi le sette. Fra poco sarebbe toccato loro rimettersi in piedi e caracollare stancamente verso la casa padronale, per la distribuzione del rancio.
…il solo riuscire a pensare in quei termini metteva Cody in uno stato d’ansia difficilmente mitigabile: era sempre stato abituato a mangiare alle otto in punto, non ancora prima del tramonto. Ed in un salottino lindo ed ordinato, non alla mensa del padrone. Con una vera cena, non con una dannata minestra di rape.
Sospettava che, a quel punto, l’unico reale effetto di quella vacanza su di lui sarebbe stato un dimagrimento di proporzioni patologiche, in seguito al quale sua madre sarebbe probabilmente morta di crepacuore, visto che già di per sé lui non è che fosse granché robusto.
- La fattoria è molto tranquilla a quest’ora, vero? – disse JayJay, interrompendo il flusso del suoi pensieri e lanciando attorno a sé uno sguardo stranito, - È la prima volta che me ne rendo conto.
- Perché è la prima volta che riusciamo ad avere un momento di pausa. – commentò Cody, sospirando pesantemente, - Uuuh, guarda. – disse infine, ironico, - C’è la tua ragazza che viene da questa parte.
Jay inarcò le sopracciglia e poi gettò lo sguardo nella direzione che il cenno del capo di Cody gli indicava, ed i suoi occhi incontrarono Sebastian che, come al solito, trotterellava felice lungo il vialone.
- Che starà venendo a fare…?
La risposta arrivò da sola, pochi minuti dopo, quando il ragazzo si fermò a qualche metro da loro, su uno spiazzo di ciottoli rotondi e lucidi, e si chinò a cercare qualcosa fra i fili d’erba. Il qualcosa, venne poi scoperto, era un tubo. Uno di quelli che usavano per bagnare i germogli alla sera, prima di concludere la giornata lavorativa. Sebastian lo posò nuovamente per terra, in un punto in cui fosse visibile, poi si rimise dritto e sfibbiò i passanti della salopette, che ricadde a terra scivolando sul suo corpo nudo e bagnato di sudore.
Cody e Jay spalancarono gli occhi in un movimento simultaneo.
- Oddio… - bisbigliò il moro, portando una mano al viso, - Non dovremmo essere qui… - aggiunse, voltandosi a guardare timidamente il ragazzo che gli stava seduto accanto.
Lui si limitò a scrollare le spalle ed accomodarsi meglio sulla paglia, puntellandosi coi gomiti per evitare di scivolare verso le pendici della montagnola.
Frattanto, Sebastian aveva scalciato lontano la salopette e s’era nuovamente chinato a raccogliere il tubo, che poi aveva messo immediatamente in funzione e col quale aveva preso a lavarsi.
Dio santo…
Decisamente non avrebbero dovuto assistere a quella scena. Quel ragazzino aveva quindici anni! Quindici dannatissimi anni! Ed il movimento delle sue braccia mentre reggevano alto il tubo, la morbidezza dei suoi ricci che andavano stendendosi lungo il collo e le spalle sotto il peso dell’acqua, le gocce che scivolavano velocissime lungo le guance, il mento, il collo, giù verso i pettorali e gli addominali, che poi andavano a raccogliersi brevemente nel suo ombelico prima di diventare troppe per poter essere rette ancora, e che quindi scendevano verso punti che era più facile non guardare non nominare nemmeno pensare, che rimanevano imprigionate nella peluria biondissima del pube, che scivolavano lungo le anche ed i glutei, per poi scorrere ancora, divorando centimetri su centimetri di pelle delle cosce robuste e compatte, lungo i polpacci contratti e muscolosi, fino alle caviglie forti sporchissime di terra, per concludere la loro folle corsa sui piedi, enormi e sproporzionati rispetto alla sua altezza piuttosto modesta, che però denunciavano già la possibilità di farsi altissimo e fortissimo e grandissimo e bellissimo, Dio, Dio, Dio
Si obbligò prepotentemente a distogliere lo sguardo da quello spettacolo, piantandolo ansiosamente su JayJay, che per proprio conto invece sembrava del tutto intenzionato a goderselo fino alla fine. Non seppe nemmeno che fare, si limitò ad ansimare, sconvolto, quando vide il biondo leccarsi le labbra e morderle con forza, ed allora diventò quasi impossibile evitare di far scivolare lo sguardo più in basso, per assicurarsi che quella reazione nervosa non fosse dovuta proprio a quello, ed invece era esattamente a quello che si doveva, perché i jeans attillatissimi di Jay tiravano sull’inguine, e mostravano orgogliosamente qualcosa che Cody avrebbe preferito di sicuro non vedere.
- Jay… - annaspò, sconvolto, - È solo un ragazzino…!
Lui neanche lo guardò. Sollevò una mano e la poggiò neanche troppo gentilmente sulla sua faccia, in uno schiaffetto frontale che gli fece prudere fastidiosamente il naso e che poi si spostò lentissimo sulle sue labbra.
Il dorso della mano di Jay era morbido e lievemente umido di sudore.
Cody dovette perfino trattenere il respiro, per resistere alla tentazione di saggiarne il sapore.
La sua mano scese verso il mento e poi si lasciò ricadere sul petto, mentre Cody riprendeva a respirare e passava velocemente la lingua sulle labbra riarse dal caldo e dalla confusione e da Dio, tutto il resto.
La sua pelle era salata. Un po’ aspra. Il sapore di Jay era buonissimo.

- Cosa stai… - abbozzò, ma lui non lo degnò di nessuna risposta. L’unica cosa che fece fu scendere ancora, fino a sfiorarlo con la mano fra le gambe.
Malgrado i pantaloni dal tessuto pesante, Cody sentì quella pressione direttamente dov’era più pericolosa. Sulla propria eccitazione.
Non se n’era neanche accorto.
Scoppiò in un singhiozzo stupito ed impaurito quando Jay voltò la mano, toccandolo stavolta col palmo bene aperto, cominciando a muoversi lentamente verso l’alto e poi verso il basso.
Dio mio, cosa stiamo facendo?
Cosa mi sta facendo?
…cosa gli sto facendo?

Perché anche la sua mano s’era mossa. Indipendentemente dalla volontà che stava tentando senza successo di imporle.
Stai ferma. Torna a posto. Non farti coinvolgere.
Troppo tardi.

Quando Jay lasciò andare il primo di una lunga serie di sospiri soddisfatti, Cody chiuse gli occhi e si distese. La sensazione della mano di Jay fra le cosce era bellissima. Indescrivibile. Sporca e perversa e impossibile, e non avrebbe voluto lasciarla andare per nessuna ragione al mondo.
Sperò che Jay stesse provando le stesse cose. Sperò di essere abbastanza bravo, sperò di farlo godere nello stesso modo assurdo in cui stava godendo lui. Si rendeva anche conto di quanto assurda e pericolosa fosse la china che i suoi pensieri stavano discendendo, ma non riusciva veramente a dare importanza al dettaglio.
Le immagini di Sebastian continuavano a danzare perfino sotto le palpebre chiuse. Così come lo scrosciare dell’acqua ed i sospiri di JayJay che riempivano l’aria e si fondevano coi propri, in una melodia eccitante e perfetta. La migliore che avesse mai sentito.
*
Tutto ciò che aveva detto JayJay quando avevano finito, era stato “Sarà meglio saltare la cena in favore di una doccia”.
Cody aveva deglutito ed annuito confusamente, ancora tremante a causa dell’orgasmo. Non riusciva neanche a concepire come Jay fosse in grado di parlare, figurarsi ragionare, in un momento come quello. Si sentiva talmente scombussolato che aveva come l’impressione che, se avesse provato ad alzarsi e muovere qualche passo, sarebbe rovinato a terra dopo neanche due secondi.
Jay, invece, s’era alzato in piedi con un saltello soddisfatto ed aveva preso a camminare speditamente verso il casolare degli alloggi dei dipendenti. La doccia di quell’edificio doveva essere vuota, a quell’ora.
Cody aveva aspettato, disteso sulla montagnola di paglia, per una quantità di tempo imprecisata. Quando il sole era quasi scomparso all’orizzonte, finalmente, s’era sentito in grado di provare a rialzarsi e camminare. Aveva raggiunto il casolare – fortunatamente privo di JayJay – aveva fatto una doccia sbrigativa – inorridendo, ed anche giustificatamente, per lo stato dei pantaloni che avrebbe dovuto buttare, perché col cavolo che si sarebbe messo a lavarli – e poi s’era rintanato direttamente in solaio, arrotolandosi sotto la coperta e nascondendo il viso nel piumino, sperando di addormentarsi prima che JayJay tornasse.
L’unica cosa che voleva era evitare il dialogo con lui.
Con lui, come con tutto il resto del mondo.
Dio, partire era stato l’errore più grande che potesse fare. In assoluto.
Ovviamente, i suoi desideri non trovarono risposta alcuna, ed anzi, il destino si divertì a prenderlo in giro facendo entrare in solaio Jay proprio nel momento in cui lui si rivoltava sul materassino, in cerca di una posizione più comoda, rivelando così di essere perfettamente sveglio, ed anzi, ben lontano dall’addormentarsi. Ormai, il sonno sembrava solo una crudele utopia.
- Oh! – lo salutò il biondo, agitando un sandwich, - Me l’ha dato la signora Felton per te. Ha paura che tu stia male, visto che non ti sei fatto vedere per la cena.
Cody scosse il capo ed abbassò lo sguardo, imbarazzato.
- Non lo vuoi? – s’informò Jay, stupito, e lui rispose negando più decisamente e stringendo il piumino fra le mani. – Ok… - biascicò il biondo, - Lo mangio io, allora. Sono arrivato tardi ed il signor Felton mi ha mandato a letto senza cena.
Cody scrollò le spalle, socchiudendo gli occhi e rinunciando alla vana speranza di evitare il dialogo.
- Come mai sei arrivato tardi…? – chiese esitante, - Avevi abbastanza tempo…
- Sì, ma dopo la doccia sono andato a cercare Sebastian…
Cody si morse le labbra ed affondò le unghie con forza nel piumino, fino a sentir dolere le giunture delle dita.
Dio. Quella che gli pungeva fastidiosamente gli occhi in quel momento era gelosia. Inequivocabilmente.
…si conoscevano da una settimana! E per quanto avessero già fatto la maggior parte delle cose che in genere possono giustificare la gelosia nelle coppie – avevano dormito insieme, avevano condiviso i pasti, s’erano masturbati a vicenda, oddio! – loro non erano una coppia, perciò quell’insostenibile irritazione era del tutto ingiustificata.
Eppure c’era. E non poteva neanche ignorarla.
- Per fare che? – chiese, in uno slancio masochistico, cercando di fissare con interesse le crepe nelle assi del legno del pavimento.
Jay si lasciò ricadere sul materasso, fissandolo a lungo con aria curiosa. Le sopracciglia aggrottate e il piccolo broncio che gli increspava le labbra gli davano un’aria infantile e molto tenera. Dovette obbligarsi a non sorridere.
- Parlare. – disse infine il biondo, scrutandolo con attenzione, - Solo parlare. – precisò, - Gli ho chiesto di non rifarsi più la doccia all’aperto.
- Mh. – sbuffò, con un ghigno a metà fra l’ironico e l’irritato, - Non mi era parso che ti avesse dato tanto fastidio. – lo prese in giro.
Jay aggrottò ancora di più le sopracciglia, deluso.
- L’ho fatto per te. – gli rinfacciò, - Perché a te, invece, ha dato palesemente fastidio.
Cody sospirò, rilassando le spalle.
Quel ragazzo era veramente un caotico marasma di ovvietà. Sul serio, sembrava uscito fuori da un telefilm per adolescenti infoiate. Sensuale e sensibile e premuroso e intelligente e tutto il resto.
Sarebbe stato perfino disgustoso, se non fosse stato anche così… dannatamente…
- Quindi la prossima mossa che devo aspettarmi è che tu arrivi su un cavallo bianco a salvarmi da qualsiasi cosa mi metta a disagio? – soggiunse critico, fissandolo con scetticismo, - No, perché in quel caso faresti meglio ad assicurarti che il cavallo abbia le ali. Altrimenti come fai a riportarmi in Inghilterra?
JayJay si ritrasse neanche l’avesse punto con uno spillo.
- …perché cavolo ti stai comportando così?! – sbottò confuso, - Cos’è, ti fingi dolce e gentile fino a quando le persone non si fidano di te e poi le ripaghi prendendole a calci nelle palle?!
Sospirò, rilasciando lievemente la presa sul piumino e sistemandosi meglio sotto la coperta.
- Non è questo… - mormorò incerto, - È che… - deglutì, - quello che è successo oggi mi ha… un po’ confuso. – ammise, - Insomma, Sebastian ha quindici anni, e noi-
- Be’, io ne ho sedici. – commentò Jay, scrollando le spalle, - Non vedo cosa ci sia di male, siamo coetanei.
Cody aprì la bocca, la richiuse, cercò di respirare e non ci riuscì.
- …quanti anni hai? – boccheggiò, sporgendosi verso di lui con terrore.
- Sedici… - ripeté Jay, indietreggiando, vagamente spaventato dal suo sguardo invasato.
- …cazzo! – sbottò a quel punto Cody, saltando in piedi ed allontanandosi fino a che il soffitto glielo permise, - Cazzo!
- Ma che diavolo hai?! – strillò Jay, visibilmente infastidito, seguendolo nel movimento e rimanendo dritto sul materasso.
- Che diavolo ho?! Dio! – annaspò lui, prendendo a girare in tondo e ficcandosi nervosamente le mani fra i capelli, - Hai la minima idea di quanti anni abbia io?!
Jay scrollò le spalle, tirando a indovinare.
- Non saprei… quattordici? È per questo che sei sconvolto?
- …quattordici!!! – gridò lui a propria volta, sempre più stridulo, - Magari! Ne ho diciotto, cazzo, diciotto!
Il biondo spalancò gli occhi, fissandolo incredulo.
- Dici davvero? – chiese, a metà fra lo stupore e lo scetticismo.
- No, figurati! – ritorse lui, ormai ad un passo dall’isteria, - È solo che trovo molto divertente l’idea di poter essere accusato di pedofilia dalla maggior parte delle magistrature mondiali!
Jay inarcò le sopracciglia, tornando a sedersi in uno sbuffo di polvere.
- Adesso calmati. – consigliò pianamente, - Forza, torna qui. Nessuno ti accuserà di pedofilia.
- Oh, certo. – borbottò lui, tornando comunque a sedersi al suo fianco, - Questo migliora molto le cose. – piegò le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e stringendosi con disperazione la testa fra le mani, - Diosanto, non posso crederci…
- Avanti! – lo incoraggiò Jay con una breve pacca sulla spalla, - Abbiamo solo passato il pomeriggio in maniera piacevole…
- Questo è un modo di metterla. – mugugnò Cody, tornando a guardarlo, - Un altro modo, invece, è che abbiamo passato il pomeriggio spiando un minorenne nudo. Ed io, in particolare, poi mi sono pure fatto masturbare da un altro minorenne!
- Vestito.
- …questo sicuramente convincerà qualsiasi giuria della mia innocenza!
- Ma piantala! – rise Jay, dandogli uno spintone, - Anche io mi sono fatto masturbare da un maggiorenne!
- Sì, ma questo non è un reato! No, aspetta. Io sono il maggiorenne che ti ha masturbato, quindi per me è comunque un reato!
- Ma uffa! – sbottò lui, roteando gli occhi, - Come sei pignolo! Guarda che non è dispiaciuto a nessuno. Io, almeno, di sicuro non ho alcuna intenzione di denunciarti. E per quanto riguarda Sebastian, credo che lui non se ne sia nemmeno accorto…
- Il che vuol dire semplicemente che dovrò convivere per sempre con il fantasma della mia silenziosa colpa. – biascicò ancora lui, tornando a nascondere il viso fra le braccia.
Al suo fianco, Jay ridacchiò ancora e gli si arrotolò addosso, cercando di consolarlo con qualche sbrigativa carezza sulle spalle.
- Avrei dovuto capirlo prima che avevi diciott’anni. – sussurrò, direttamente al suo orecchio, - In effetti parli proprio da diciottenne.
- Non mi è utile che continui a rinfacciarmelo… - si lamentò lui, con un mugolio di puro dolore. Jay rise ancora, stringendolo più teneramente.
…avrebbe dovuto provare a trovare un altro modo, per consolarlo! Perché quello decisamente non serviva!
- Dai, dai. – sussurrò il biondo, oscillando avanti e indietro come volesse cullarlo, - Se le cose si mettono male, scappiamo in North Dakota e ci mettiamo a coltivare cereali. Tutti coltivano cereali in North Dakota!
Cody non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una risatina nervosa e contratta, per quanto intimamente divertita, poggiando il capo nell’incavo della spalla di JayJay. Era così forte e muscolosa che non sembrava davvero potesse essere più piccolo di lui. Per certi versi lo inquietava, e per altri lo faceva sentire così al sicuro e tranquillo che quasi non gl’interessavano più, quei due anni di differenza.
- Una fattoria non voglio più vederla neanche da lontano… - mugugnò cupamente, lasciandosi cullare dal morbido dondolio del suo abbraccio, - In questo momento, voglio solo tornare il prima possibile alla civiltà.
- Mancano solo altre tre settimane… - lo redarguì il biondo, - Possiamo sopravvivere!
- Se saranno come quella che è appena finita, ho i miei dubbi! – sbuffò lui.
Ma stava respirando di nuovo. Si sentiva meglio.
Cercò di muoversi delicatamente all’interno della stretta di JayJay, per trovare una posizione più comoda senza dargli l’idea che volesse separarsi da lui – perché proprio non voleva.
Lui capì l’antifona, e lo lasciò andare quel tanto che bastava perché riuscisse a distendersi. Dopodichè, torno a chiudersi attorno a lui, stendendosi al suo fianco e respirando lentamente fra i suoi capelli.
E quello era decisamente il momento migliore di tutto il viaggio, fino ad allora.
- Seriamente. – continuò a parlare Jay, lentamente, a bassa voce, come se gli stesse cantando una ninna nanna, - Pensa a come sarebbe bello. Addormentarsi ogni sera così, col canto dei grilli ed il fruscio delle canne nelle orecchie. – lo strinse ancora un po’. Cody sollevò le braccia e lo strinse a propria volta, nascondendo il viso sul suo petto. – Te la compro davvero, una fattoria. Tu ci vieni a gestirla con me?
Chiuse gli occhi ed annuì impercettibilmente. Jay rise piano e gli sfiorò la fronte con le labbra.
- Alla faccia dell’incongruenza genetica di due maschi in una relazione romantica! – aggiunse il biondo con un’altra risata divertita, stringendolo ancora un po’ a sé.
Cody catturò il trillo bassissimo della sua voce ed il tocco delicato della sua pelle e li trattenne fra i pensieri come tesori preziosi. Fino a quando non si addormentò.
*
Una settimana dopo, qualsiasi metodo miracoloso avesse usato JayJay per consolarlo sembrava lontano anni. E tutti gli effetti di quegli abbracci erano svaniti, disgregandosi come mattoni d’argilla, martellata dopo martellata, fino a lasciare solo il vuoto e un senso di smarrimento impossibile da spiegare come da cacciare via.
Era stanco. Disgustato.
Decisamente la vita di campagna non faceva per lui.
Jay aveva smesso di guardare Sebastian come fosse l’ottava meraviglia del mondo, ma ciò non aveva impedito a lui di continuare ad esserne irrazionalmente geloso, cosa che lo turbava molto più del necessario e molto più del sopportabile.
Comunque sia, le loro fatiche avevano dato i loro frutti: quella mattina, Jack Felton li aveva convocati nel suo “ufficio” – uno studiolo dall’aria decisamente agreste, spoglio e puzzolente d’aia – per informarli che s’erano comportati bene durante il periodo di prova, ed erano riusciti a guadagnarsi la sua fiducia.
Il premio? Occuparsi del porcile. Dopo aver portato a termine tutti gli altri compiti della giornata, ovviamente.
- …è un disastro.
Cody si guardò intorno con aria smarrita. I maiali, nelle loro cuccette, grufolavano felici, zampettando oziosamente dalla parete alla mangiatoia e viceversa. Sotto di loro, attraverso le griglie che li separavano dagli scarichi, gli avanzi del cibo si mescolavano agli escrementi e scolavano sul metallo, raccogliendosi in piccole pozze sul pavimento.
La puzza era insostenibile.
Jay scrollò le spalle.
- È un porcile. – disse, come se questo potesse servire a giustificare il tutto. Ed era in effetti così, ma…
- Quel tizio non può davvero obbligarci a pulire tutto questo! Che razza di gratifica sarebbe?!
Il biondo fece una smorfia e gettò uno sguardo al panorama, ridacchiando brevemente di fronte a due maiali che caracollavano fino ad un angolo per abbandonarsi lì e dormire.
- Mi sembra di aver visto un tubo, giusto qua fuori. – considerò, - Probabilmente Felton lo usa per pulire tutto più in fretta. Lo prendo e vedo se è così.
Cody annuì senza pensarci. Non stava veramente seguendo il discorso. Si chinò platealmente, cercando un centimetro pulito sulla ringhiera al quale appoggiarsi per non scivolare troppo verso il basso, e cercò di capire in che condizioni versassero quelle specie di depositi di letame che stazionavano sotto ogni maiale.
…be’, “pessime” poteva riassumere bene il concetto.
- Nel frattempo… - riprese Jay, - Tu prendi ‘sta pala e comincia a raccoglierne più che puoi in un punto solo. Sarà più facile. – e così dicendo si allungò su di lui, si appoggiò tranquillamente alla base della sua schiena e si sporse verso dei ganci appesi in alto sulla parete, dai quali tirò giù due vanghe, una delle quali finì fra le braccia di Cody senza che lui nemmeno potesse effettivamente accorgersene.
- Mi… mi hai… - boccheggiò, sfiorandosi la schiena – il sedere, sarebbe stato più corretto dire – nello stesso punto in cui l’aveva toccato Jay.
- Non ricominciare con le paranoie, avanti, ormai abbiamo pure dormito insieme! Datti una mossa! – rispose il biondo senza ascoltarlo, dirigendosi celermente verso l’esterno del porcile, - Non possiamo mica restare qui tutta la notte! Io sono già esausto!
Quando lo vide uscire, stringendo la propria vanga fra le mani, Cody pensò che i vertici dell’economia mondiale avrebbero dovuto riunirsi e cominciare a pensare di utilizzare l’imbarazzo come fonte energetica: per conto proprio, si sentiva talmente agitato che se avesse avuto anche tre porcili da pulire, ciascuno contenente una o due tonnellate di letame in più di quello, non avrebbe avuto alcun problema a farlo.
Nel momento in cui Jay rientrò, tutta la sporcizia della stanza era stata accumulata in una montagnola di sterco proprio vicino alla porta sul retro. Cody la indicava con un ditino tremolante, ancora completamente rosso in viso.
- Ho finito! – disse, con fin troppa ansia, distogliendo lo sguardo.
Jay si avvicinò, guardando il tutto con aria soddisfatta.
- Bel lavoro! – si complimentò infine. E stavolta non si appoggiò. Il suo non fu un gesto accidentale, né una manovra obbligata. Gli schioccò una pacca sul sedere talmente forte e talmente convinta che il suono rimbombò echeggiando per tutto l’ambiente circostante.
- Ehi! – provò a protestare il ragazzo. Ma già Jay non lo ascoltava più: aveva azionato la pompa. E della montagnola, in pochi minuti, non rimase più niente. – Jay! – lo richiamò, ormai rosso fino alla punta delle orecchie, - Senti, dobbiamo parlare!
Lui fermò il getto d’acqua e si asciugò il sudore dalla fronte con un rapido gesto del braccio, sospirando stancamente.
- Di cosa, scusa? – chiese innocentemente, voltandosi a guardarlo.
Niente da fare. Restava comunque un ragazzino.
- Non lo so, dimmi tu! – borbottò inviperito, - Mi pare evidente che fra noi… - s’interruppe, cercando le parole. Ma che parole avrebbe dovuto usare?! Cosa poteva trovare, di adatto alla situazione che stavano vivendo? Siamo innamorati? Siamo attratti? Siamo due pazzi? - …c’è qualcosa! – concluse infine.
Ecco. Qualcosa si adattava bene.
Qualcosa non voleva dire niente.
A giudicare dal sorrisetto malizioso sulle labbra di Jay, però, qualcosa poteva anche dire tutto.
- …la tua espressione mi fa paura! – biascicò confusamente, indietreggiando di qualche passo.
Jay scoppiò a ridere.
- Certo che tu dai importanza a certe sciocchezze veramente assurde! – lo prese in giro, poggiandosi ad una ringhiera, mentre un maiale fraintendeva il suo gesto e si sporgeva verso di lui con un grufolo incuriosito.
- …che intendi? – borbottò lui, stringendosi nelle spalle come sulla difensiva.
- Le parole. L’età. Il sesso. – rispose Jay, fissandolo seriamente, - Le intenzioni. Le motivazioni. Le giustificazioni.
Pietrificato, Cody rimase immobile, mentre Jay si allontanava dalla ringhiera – con grande disappunto da parte del maiale deluso – e gli si avvicinava. Lento, ipnotico come una pantera.
Ricordava di aver visto quelle movenze sinuose e sensuali altrove.
Le ricordava benissimo.
Erano le stesse di suo padre durante i concerti. Le stesse che costringevano masse di migliaia di persone a seguire il suo movimento come stregate, senza riuscire a distogliere lo sguardo neanche per sbaglio. Gli stessi movimenti che costringevano tutti a cercarlo freneticamente oltre la folla, quando per caso accadeva che lo si perdesse di vista.
La stessa inconcepibile carica erotica. La stessa ineluttabile attrazione.
Si sollevava dalla pelle di Jay e si attaccava alla sua. Rendeva l’aria umida e irrespirabile, rendeva il pavimento molle ed instabile, rendeva il mondo confuso e sbiadito.
La realtà non è niente.
Non è vera la metà dei tuoi occhi.

- I fatti contano molto di più. – sussurrò Jay a voce bassissima, ormai giunto a pochi centimetri da lui. Il suo respiro gli s’infrangeva caldissimo contro le labbra, stordendolo. Non avrebbe potuto muovere un muscolo neanche volendo. E non era tanto sicuro di volerlo, dopotutto. – Se ti tocco, se ti accarezzo… - aggiunse, sollevando una mano a modellare il contorno del suo zigomo, scendendo poi lungo il collo ed appendendosi alla nuca, - …vale molto di più. – concluse, chinandosi a baciarlo.
Cody chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Cercò di convincersi di avergli dato un permesso, da qualche parte fra il momento in cui s’era presentato e quello in cui avevano capito che avrebbero passato insieme tutto il mese successivo.
Un permesso non c’era stato affatto. Jay s’era infilato nella sua vita con una disinvoltura perfino irritante, e senza chiedere il permesso a nessuno.
…ma non c’era davvero nulla di irritante. Non nelle sue labbra morbidissime contro le proprie. Non nella sua lingua calda e bagnata e lenta, che accarezzava sensuale la propria con impudenza, affondando fino a spaventarlo e poi ritraendosi per lasciarsi rincorrere. Non nelle sue mani, pesanti e bollenti eppure così lievi contro la pelle, quasi impalpabili, al punto che sentiva perfino il bisogno di coprirle con le proprie per assicurarsi che fossero proprio lì dove le sentiva, e che non si allontanassero troppo presto.
Anche se sospettava che non sarebbe stato mai abbastanza.
Quando Jay si separò da lui, infatti, Cody accompagnò l’indesiderata assenza di contatto con un mugolio insoddisfatto, al quale Jay rispose con una risatina intenerita, appoggiandosi a lui fronte contro fronte, senza allontanare le mani dal suo corpo.
- …Dio. – borbottò alla fine Cody, quando riuscì a sentirsi abbastanza sicuro di sé da poter sollevare gli occhi nei suoi, - Un porcile! Ti rendi conto?! Il mio primo bacio, in un porcile!
I maiali, come si sentissero chiamati in causa, grugnirono tutti insieme il loro democratico sdegno, e poi trovarono di meglio da fare.
Jay rise e lo allacciò al collo con un braccio, trascinandolo fuori da lì. Non chiese il permesso neanche allora.
Sarebbe proprio stato il caso di abituarsi.
*
- Sei sicuro che non vuoi che chiami mio padre? – chiese Cody con un mezzo singhiozzo, intrecciando le dita con le sue e cercando già confusamente il cellulare all’interno della tasca dei jeans.
- Nooo, dai! – rise JayJay, fermando la sua mano con la propria e lasciandogli un bacetto sulla fronte, - È giusto che torni a casa. Sei stanco, ed odi questo posto.
- Sì, ma non sono del tutto sicuro di potermi fidare. – borbottò lui, mettendo su un broncio irrimediabilmente tenero e scivolando con la fronte sul suo collo, fino alla spalla, - E se poi ricomincia a piacerti Sebastian?
- …non potrei mai separarlo dai suoi veri grandi amori.
- …sarebbero?
- Le mucche!
- …che schifo, Jay! – inorridì, dandogli un pizzicotto sul fianco, - È solo un ragazzino, evita di dire cose tanto disgustose!
Per tutta risposta, il biondo si limitò a ghignare divertito, massaggiandosi il fianco dolorante.
- E va bene. – sospirò alla fine Cody, - Vuol dire che cercherò di fidarmi di te. Tanto, comunque, la base per un buon rapporto è questa, no? La fiducia.
- Ecco. – annuì decisamente Jay, - Bravissimo. Rimani così per sempre, ti prego. – implorò, chinandosi a baciarlo.
- Sì, certo, ti piacerebbe! – rise lui, evitando le sue labbra, - Appena torni a Londra mi appiccico a te come una patella sullo scoglio, altrochè!
- Mmmh. – mugolò lui, cercando e trovando finalmente la sua bocca, - Quando comincerai a sentirmi lamentare della possibilità, potremo riparlarne.
- Sei un irrimediabile cretino. – rispose lui, mordendogli il labbro inferiore, - Ti ho già dato il mio numero di cellulare, comunque dammi anche la tua mail, okay? Così appena arrivo a casa comincio ad intasarti la posta di roba assolutamente inutile sulla quale pretenderò il suo illuminato parere.
Jay rise ancora, abbandonandosi contro di lui. Il piercing al naso gli solleticava la pelle del collo. Cody sorrise. Era una sensazione piacevolissima.
- D’accordo. – concesse il biondo, - Imparala a memoria, tanto è facile. Emme punto Bellamy… ed ora che hai?
La definizione medica sarebbe stata “crisi respiratoria”. In realtà, stava semplicemente ridendo al punto che non riusciva nemmeno ad immagazzinare l’aria sufficiente per mantenersi in vita.
- Oh, Cody? Mi devi morire qui? Non è il caso. – borbottò Jay, afferrandolo per le spalle, lievemente preoccupato.
- No… - ansimò lui, reggendoglisi addosso, aggrappandosi con forza al tessuto già rovinato della sua canottiera strappata ad arte, - È solo che è molto divertente, pensavo che a mio padre prenderà un infarto quando vi presenterò… per svariati motivi, primo fra tutti che spera ancora io sia eterosessuale… – spiegò, trattenendo a stento le risate, - ma anche perché vedi, lui conosceva un tipo con lo stesso cognome, e lo odiava furiosamente! Penso che morirà nel sapere che il suo unico pargolo sarà associato ad un Bellamy per un lungo periodo di tempo a venire!
- …oh. – prese nota Jay, inarcando incuriosito le sopracciglia, - Che strano, pensavo che il mio cognome non fosse poi tanto diffuso, in Inghilterra. Non è che poi – ridacchiò, - scopriamo che era proprio mio padre quello che tuo padre odiava?
- Be’, non lo so! – rise a propria volta Cody, stando allo scherzo, - Quello di cui parlo io era Matthew Bellamy, il cantante dei Muse… e adesso sei tu quello che ha qualcosa che non va. – concluse, fissando perplesso il volto di Jay diventare pallidissimo.
- …Matthew Bellamy… - annaspò lui, spalancando gli occhi, - il cantante dei Muse… è mio padre…
Anche Cody spalancò gli occhi, boccheggiando per qualche secondo ed annegando nella propria confusione mentale per un’enorme quantità di tempo, prima di decidersi a parlare.
- Io mi chiamo Cody Molko. – rivelò infine, incredulo al punto che non avrebbe saputo se mettersi a ridere o a piangere, - Sono il figlio di Brian Molko.
I due rimasero immobili a fronteggiarsi per un po’, incerti sul da farsi.
Poi, Jay scrollò le spalle e si lasciò andare ad un piccolo sorriso divertito.
- Sarà eccitante. – asserì infine, strizzando malizioso gli occhi, - Come Romeo e Giulietta.
Cody scoppiò a ridere, gettandogli le braccia al collo.
- Speriamo almeno in un altro tipo di finale!
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