Fandom: Originali
Genere: Generale.
Rating: R.
AVVISI: Het, Slash, Threesome, Angst. (In continua evoluzione.)
- "Nonostante gli sforzi congiunti dei più eminenti scienziati e dei governi della Terra riuniti in assemblea, nonostante gli svariati tentativi operati nei più disparati modi, attingendo a piene mani alle più varie risorse dell'intelletto umano, mettendo a punto le più sofisticate tecnologie che consentissero di risparmiare la maggior percentuale di risorse naturali e artificiali fornite dal pianeta, non è stato possibile evitare il collasso dell'ecosistema. [...] Oggi, primo gennaio 2161, il primo contingente militare terrestre, guidato dal generale Robert Carnival, muove i primi passi sul suolo di Minthe.
E qui comincia la nostra storia."

Note: Raccolta delle varie entry che ho scritto per le Chronicles of Minthe. Ogni capitolo è dedicato a un personaggio diverso, ed i capitoli (corrispondenti ognuno ad un'entry) sono ordinati cronologicamente.
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
THE CHRONICLES OF MINTHE
GIORNO 11/12/13: DANIEL PORTMAN

HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #6.
Data: 11/01/2161
Ora: 19.43.56
Condizioni fisiche: CODICE GIALLO, ematimetria irregolare. Diagnosi: perdita di sangue dalla mano destra in seguito ad una ferita di arma da taglio. Conteggio piastrinico nella norma, rimarginazione in atto. Aspettativa di guarigione: ventiquattro ore.
Coordinate geografiche: 48°50'N, 2°10'E.

In sala mensa, di fronte al piatto di spezzatino liofilizzato e alla barretta ai cereali secchi che ci hanno propinato stasera per cena - un lusso, comunque, rispetto a quello che si riusciva a mangiare sulla Terra prima della partenza -, Pete nota la mano che cerco invano di nascondere contro il fianco o in tasca e mi dice "dovresti andare in infermeria, per quella".
La sollevo e la guardo come se notassi la ferita per la prima volta, anche se ovviamente non è così, l'ho sentita pulsare per tutto il giorno. "E' solo un graffio," gli dico, scrollando le spalle. Lui mi chiede come me la sono procurata, ed io mento, dicendo che mi sono appoggiato alla parete spaccata di un edificio in rovina e non ho notato un calcinaccio che mi è franato sotto le dita, ferendomi.
So che da questo non può venire niente di buono. Non dovrei mentire - non dovrei avere alcun motivo di mentire -, ma lo faccio lo stesso, con convinzione, guardando Pete dritto negli occhi ed offrendogli un mezzo sorriso di scuse, non so bene se per le preoccupazioni che gli do o per le menzogne che gli sto vomitando addosso senza soluzione di continuità.
Non so se lui mi creda o se, semplicemente, lasci perdere.
"Se vuoi te la disinfetto e te la bendo," si offre.
Sorrido ancora, scuotendo il capo. "Ci penso io," dico, ma quando dopo cena torno nella mia cuccetta non lo faccio. Alla luce della lampadina biancastra incassata nella parete sopra la testiera del letto, esamino il taglio ancora aperto mentre ripenso al ragazzino che me l'ha procurato. E' un taglio netto, pulitissimo, non fa quasi neanche male. Entro qualche ora avrà cominciato a rimarginarsi, sotto il guanto, per quanto strappato, non lo vedrà nessuno.
Non voglio bendarlo. Non so perché ma non voglio bendarlo, non voglio nasconderlo, non voglio toccarlo, voglio continuare a sentirlo, sapere che c'è.
Ripenso alle bugie che ho detto a Pete, al fatto che non mi è costato nessuna fatica mentire in quel modo al migliore amico che ho su questa nave, e mi chiedo dove diavolo finirà per portarmi questa cosa, sapendo già cos'è che voglio fare domani mattina quando scenderemo nuovamente a terra, quando camminerò fra le rovine di Miloto e tutto quello che i miei occhi cercheranno è il disegno preciso di ombre scure simili a schizzi di carboncino sulla pelle chiarissima di un ragazzino senza nome.



HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #7.
Data: 12/01/2161
Ora: 18.10.12
Condizioni fisiche: CODICE VERDE.
Coordinate geografiche: 48°50'N, 2°10'E.

David era fantastico, davvero. Era così intelligente. Quando era in vena di scherzi, mamma diceva che tutto il cervello che avrebbe dovuto dare a me l'aveva messo da parte per darlo a David. Lui ne sapeva, ne sapeva di un sacco di cose, nonostante fosse ancora un ragazzino era evidente che c'era un futuro brillante, davanti a lui. Aveva anche un sacco di opinioni, anche sul regalo di Natale, su quello che stavano facendo i politici e i capi di Stato, su quello che era stato fatto al pianeta... era uno che si poneva un sacco di domande. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa avesse voluto, avrebbe potuto diventare un politico, un direttore di qualcosa, assumersi un incarico di responsabilità, ma lui voleva diventare uno scienziato.
Che mestiere di merda, lo scienziato, di questi tempi. Ma lui si era fissato. "Non ci servono altri politici," mi ha detto una sera, mentre fissavano il cielo buio senza stelle né luna della notte, sdraiati sul portico della vecchia casa in cui vivevamo tutti insieme quando mamma e papà erano ancora vivi, "Ci serve gente competente, Dan. Ci serve gente che sappia creare energia in un mondo che non ne ha più da dare. Non lo capisci?"
Non lo capivo, ovviamente. Non sono mai stato granché portato per capire le cose, è per questo che non ho mai finito il liceo. Insomma, non avevo grandi aspettative, per la mia vita. Volevo sposarmi, magari avere un bambino, se fosse stato possibile. Mandare avanti l'officina di famiglia.
Ed invece mi ritrovo su un pianeta sconosciuto - oh, David sarebbe impazzito per questo posto, sarebbe letteralmente impazzito di gioia - ad inseguire un ragazzino che non so nemmeno dove si sia nascosto, disobbedendo agli ordini di tutti i miei superiori, mentendo al mio migliore amico e rischiando un processo militare per un faccino da bambino che mi ricorda quello di mio fratello.
Neanche si somigliano.
Ma credo che David fosse appena più piccolo di lui, quand'è morto. E io forse non sono troppo buono per fare il militare, ma solo troppo stupido.
Trish, mi sa che alla fine avevi torto comunque.



HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #8.
Data: 12/01/2161
Ora: 23.35.45
Condizioni fisiche: CODICE VERDE.
Coordinate geografiche: 48°50'N, 2°10'E.

Siamo stati richiamati alla base più di mezz'ora fa, ed io non sono ancora rientrato. Non ho trovato il ragazzino e non posso tornare indietro prima di averlo ritrovato. Non so perché, non so cosa voglio fare quando l'avrò trovato, non ho idea di quali siano effettivamente le possibilità che ho di trovarlo, ma non posso tornare indietro prima di averlo fatto - penso stupidamente che, se per ritrovarlo dovessi metterci il resto della mia vita, probabilmente mi stabilirei qui e buonanotte anche alla possibile accusa di diserzione che penderà già sul mio capo domattina se non sarò ancora tornato sulla Freema per allora.
Non penso che sarei davvero così idiota. Credo.
Fortunatamente non devo cercare per tutta la notte, comunque. Perlustrando la stessa zona all'interno della quale ho incontrato il ragazzino l'altra notte, vengo attirato all'improvviso da un pianto disperato e da una voce sommessa che sussurra parole che non riesco a comprendere, ma nelle quali riconosco il desiderio sincero e carico di preoccupazione di chi sta cercando di calmare una persona in difficoltà.
Mi avvicino di soppiatto, cercando di non fare rumore. L'edificio sembra una specie di tempio, o almeno ciò che ne resta. Nascosto dietro ad una parete, osservo il ragazzino chino su qualcuno che non riesco a vedere, coperto com'è dal suo corpo e da un cumulo di macerie. Non riesco a cogliere una singola parola, immagino stia parlando nella sua lingua, ma anche dopo le lezioni rudimentali che ci sono state impartite durante l'addestramento non ho mai imparato a distinguere una lingua dall'altra, fra quelle degli abitanti di questo pianeta, per cui, dopo un po', smetto perfino di provarci. Mi sporgo in avanti, invece, cercando di capire con chi è che stia parlando, ma faccio rumore, mi spingo con troppa forza contro la parete e quella si crepa e frana appena sotto le mie dita, ed il ragazzino si volta istantaneamente verso di me, una mano che saetta a coprire la bocca della persona con cui stava parlando. Il pianto continua, sembra quello di una bambina, anche se faccio ancora più fatica a cercare di capirlo ora che è ovattato dal palmo del ragazzino.
Trish prendeva sempre tutte le decisioni importanti. Non che non si fidasse di me, o dubitasse della mia intelligenza in generale, solo che, conoscendomi, sapeva, come so anch'io, che non sono bravo a prendere decisioni sagge quando mi trovo sotto pressione. Adesso, per esempio. Dovrei uscire dal mio nascondiglio a mitra spianato. Sparare a vista, come da ordini. O voltarmi indietro e tornare di corsa alla Freema, e fingere che tutto questo non sia mai accaduto, scusarmi per il ritardo e correre nella mia cuccetta per la notte, dimenticare il ragazzino, la bambina sotto le macerie o chiunque altro sia, andare avanti, dare una mano a conquistare il pianeta, ricominciare da capo.
Invece muovo un passo al di là della parete, sollevo la visiera dell'elmetto per scoprire il viso ed entro nel santuario con le mani in alto, bene in vista. Lo ascolto dirmi qualcosa mentre recupera lo stesso coltello col quale mi ha ferito l'altra notte, ma non capisco cosa dice. "Non voglio farti del male," ripeto, sperando che questa volta mi capisca. "Ecco, guarda," aggiungo, sfilandomi lentamente il mitra di dosso e poggiandolo delicatamente per terra, prima di sollevare di nuovo le mani. "Visto? Non ti farò del male."
Il ragazzino fissa lo sguardo sulla mia mano, nota la ferita attraverso il guanto strappato e sembra riconoscermi. Lancia uno sguardo preoccupato dietro di sé, ed è allora che finalmente riesco a notare la bambina sepolta sotto le macerie. Respira a fatica e piange debolmente, sotto di lei si allarga una pozza di sangue scuro. "E' ferita?" domando stupidamente. Lo vedo da me, che è ferita, e comunque lui non mi capisce. Le allontana la mano dalla bocca e si alza in piedi, frapponendosi fra me e lei, il coltello dritto davanti al corpo, nella mia direzione. Non è molto minaccioso, non sembra che sappia come usarlo davvero, ma so che, se si sentirà in pericolo, non esiterà a provarci, perciò cerco di muovermi con circospezione.
Muovo un altro passo verso di lui, cercando di riportare alla memoria quello che ricordo delle lezioni durante l'addestramento. "Come faccio a farti capire..." biascico, "Namen... neit... h? Forse era con l'h. Namen neith?" dico, cercando di spiegargli che non sono un suo nemico. Spero di aver quantomeno azzeccato la lingua giusta.
Il ragazzino fa una smorfia, mi guarda strano, domanda qualcosa che io non capisco, e parla anche troppo veloce per me. Colgo un "nah", fra le varie parole, ma potrebbe voler dire qualsiasi cosa, non ricordo. "Non... non ho capito," ammetto, "Quella ragazza..." dico, indicando la bambina, che nel mentre sembra aver perso conoscenza, "E' ferita. Bisogna tirarla fuori da lì. Il... quel masso," dico, indicandolo e facendogli segno di volerlo tirare su, "Posso sollevarlo. Lasciami dare una mano."
Il ragazzino sembra afferrare le mie intenzioni, questa volta. Mi fissa con aria dubbiosa, sembra considerare le opzioni che ha, alla fine annuisce frettolosamente, lasciandomi passare, mentre continua a tenermi puntato contro il coltello. Mi avvicino alla ragazzina, afferro il masso che le pesa sulle gambe e lo faccio rotolare via da lì più in fretta che posso. Lei si sveglia non appena sente il peso sollevarsi, strilla disperatamente, sembra guardarmi per un secondo e poi sviene di nuovo.
La situazione è disperata, le sue gambe sono in condizioni a dir poco preoccupanti, il masso sembra averle spezzate di netto. Sembrano ancora in grado di tenersi insieme, almeno, ma deve essere curata immediatamente, e il ragazzino non è d'aiuto quando si china su di lei e la scuote, per cercare di svegliarla. Gli appoggio le mani sulle spalle per fermarlo, lui si allontana da me di scatto, sibilandomi qualcosa che, naturalmente, non capisco.
Mi affretto a chiedere scusa, sollevando le mani in un gesto di resa, e poi cerco di spiegargli che questa ragazzina ha bisogno di essere portata in un ospedale immediatamente.
Ci mettiamo un po', a farci capire l'uno dall'altro. Comunichiamo meglio a gesti, dal momento che sforzarsi di parlare lingue che nessuno dei due conosce è evidentemente inutile. Quando lui cerca di sollevare la bambina e non ci riesce, mi offro di portarla io in braccio. Sono più forte, più veloce, lui è solo un ragazzino. Gli chiedo di mostrarmi la strada, aspetto il suo consenso per sollevare la ragazzina tra le braccia e me la stringo contro come fosse mia figlia, cercando di tenerle le gambe ferme perché non dondolino mentre cammino.
Sulla porta del santuario, lui mi fa capire che ha paura di avventurarsi di fuori. "Nomen," mi dice indicandomi. Era questa la parola per nemico. Indica fuori, e capisco che crede che ce ne siano altri, ma io scuoto il capo, spiego che conosco una via sicura fuori da Miloto, uso parole che non so neanche bene da quale lingua sto recuperando, e che probabilmente sono per metà inventate, ma lui mi capisce. Mi fa cenno di andare avanti, di fare strada. Riesce perfino a spiegarmi che, da un certo punto in poi, ho cominciato a parlare crest senza nemmeno accorgermene. Dico "mi dispiace", chinando il capo, sperando che associ correttamente il gesto alle mie parole di scusa. Ho come l'impressione che mi capiterà spesso di chiedergli perdono per qualche cosa.
Dopodiché mi avventuro al di fuori del tempio. E' passata la mezzanotte, e realizzo che difficilmente riuscirò a tornare alla nave prima di domani mattina. Sento che dovrei provare preoccupazione, forse rimorso, il richiamo di un senso del dovere che non mi appartiene per niente, ma non provo niente di tutto questo mentre comincio a correre per le strade, fuori dalla città.
I passi leggeri del ragazzino che corre dietro di me mi accompagnano nel silenzio irreale della notte per tutto il tempo.

back to poly

Vuoi commentare? »





ALLOWED TAGS
^bold text^bold text
_italic text_italic text
%struck text%struck text



Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare. Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).