Fandom: Originali
Genere: Generale.
Rating: R.
AVVISI: Het, Slash, Threesome, Angst. (In continua evoluzione.)
- "Nonostante gli sforzi congiunti dei più eminenti scienziati e dei governi della Terra riuniti in assemblea, nonostante gli svariati tentativi operati nei più disparati modi, attingendo a piene mani alle più varie risorse dell'intelletto umano, mettendo a punto le più sofisticate tecnologie che consentissero di risparmiare la maggior percentuale di risorse naturali e artificiali fornite dal pianeta, non è stato possibile evitare il collasso dell'ecosistema. [...] Oggi, primo gennaio 2161, il primo contingente militare terrestre, guidato dal generale Robert Carnival, muove i primi passi sul suolo di Minthe.
E qui comincia la nostra storia."

Note: Raccolta delle varie entry che ho scritto per le Chronicles of Minthe. Ogni capitolo è dedicato a un personaggio diverso, ed i capitoli (corrispondenti ognuno ad un'entry) sono ordinati cronologicamente.
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THE CHRONICLES OF MINTHE
GIORNO 33/39: DANIEL PORTMAN

HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #16.
Data: 02/02/2161
Ora: 12.05.45
Condizioni fisiche: CODICE VERDE.
Coordinate geografiche: 49°15'N, 4°01'E.

Un paio di giorni fa siamo passati accanto all’ospedale da campo dove la sorella di Inye – non ho capito come si chiama, nonostante lui me l’abbia ripetuto centinaia di volte; è un suono che ricorda il miagolio di un gatto, e per questo io la chiamo Miao – è stata curata dopo il bombardamento di Miloto, lo stesso luogo nel quale io sono stato tenuto prigioniero in una buca sotto terra finché Inye non mi ha tirato fuori e liberato.
Era completamente vuoto.
Rivederlo mi ha fatto un certo effetto, anche se non saprei dire quale. Un certo senso di inquietudine, non so. Non abbiamo capito se fosse stato attaccato dall’esercito o se fosse stato semplicemente abbandonato. Ho cercato in giro le tracce inconfondibili del nostro passaggio – le bruciature dei proiettili, la terra smossa dalle jeep e dagli stivali chiodati. Il sangue. Non ho trovato niente, però.
Se l’ospedale è stato abbandonato, è stato abbandonato in fretta e furia, senza portare via niente. Bende, medicinali, lenzuola, perfino qualche tunica ed alcuni strumenti chirurgici sono stati lasciati indietro apparentemente senza troppi ripensamenti. Sul volto di Inye e di suo padre, man mano che ci avvicinavamo all’accampamento ormai disabitato e cominciavamo ad esplorarlo, ho letto la delusione di trovarsi ancora soli in mezzo al niente mescolarsi col sollievo di poter portare via qualcosa di utile al viaggio. Miao sta bene, per ora, non sembra accusare per niente il colpo subito ormai quasi un mese fa. Le sue gambe sono sempre immobili, ma non porta ferite da nessuna parte, non ci sono cicatrici visibili sul suo corpo e non sente dolore. È vispa e allegra come immagino fosse prima dell’incidente – se è possibile chiamarlo in questo modo – cavalca serena sulle spalle di Trish che si è ormai abituato a lei come fosse un cucciolo della sua specie.
Credo che da quel momento Inye e suo padre abbiano del tutto perso le speranze di provare ad incontrare qualcun altro sulla via verso le grotte del Falhai. Non so come questo li faccia sentire. Al momento ci troviamo in mezzo ad un deserto di incredibile crudezza. Ci siamo lasciati alle spalle la parte sabbiosa, quella in mezzo alla quale ogni tanto era possibile incontrare qualche oasi. Abbiamo fatto rifornimento d’acqua parecchie volte, prima di abbandonarla, ed ora ci si apre di fronte una landa desolata di terra arida, costantemente battuta da un sole talmente infuocato da far evaporare perfino quelle poche, minuscole gocce d’acqua intrappolate nel terreno. I vapori che si sollevano mi annebbiano la vista, di tanto in tanto. Fa caldissimo.
- Quanto sono lontane le grotte? – chiedo ad Inye in un miscuglio di tutte le lingue di questo pianeta e della mia. Abbiamo passato ormai abbastanza tempo insieme da annullare il problema della mia scarsa conoscenza della sua lingua. Si è abituato al mio tono di voce, ha capito come funzionano le mie associazioni mentali, è un ragazzino intelligente e, quando parlo, mi segue sempre abbastanza disinvoltamente. Ogni tanto, la sera, quando ci accampiamo per la notte, prima di andare a dormire prende un bastoncino dalla punta affilata e disegna nel terreno le parole, trascrivendone a fianco il suono, cercando di insegnarmi qualcosa. Ogni tanto lo ascolto e capisco. Ogni tanto sto a sentirlo e basta perché mi piace il suono infantile della sua voce, mi ricorda quello di David. Anche lui, ogni tanto, mi si sedeva accanto e cominciava a parlarmi di tutte le cose che aveva imparato, tutte le cose che conosceva, ed anche allora era come stare a sentire qualcuno parlare in una lingua diversa dalla mia, riuscivo a stento a seguirlo, e neanche sempre. Ma il suono della sua voce era così rilassante, così divertente.
Mi manca avere un fratello. Non credo che sia qualcosa che qualcuno che non ne ha perso uno possa comprendere. Un fratello non è come un amico, non è come una fidanzata, non è neanche semplicemente come un pezzo della tua famiglia, è una cosa minuscola con cui cresci, che cresce con te, una cosina piccolissima tutta tua in funzione della quale impari a vivere giorno dopo giorno. Qualcuno che c’è così tanto sempre che quando non c’è, le rare volte in cui non c’è, è come se ci fosse comunque.
Fino a quando poi non c’è più per davvero, e ti lascia un buco nel cervello e nel cuore che non puoi colmare, perché smetti perfino di pensarci per aggirare il dolore che ti causa realizzare la sua assenza.
- Mi ascolti? – borbotta Inye, guardandomi con disappunto, - Ascoltami.
- Scusa. – sorrido io, stringendomi nelle spalle, - Pensavo ad altro. Dicevi?
- Ci metteremo almeno un’altra settimana ad arrivare alle grotte. – ripete lui, - Perché?
Sbuffo, sistemandomi le borse sulle spalle. Pesano da morire.
- Sono stanco. – mi lamento.
Inye inarca un sopracciglio, fissandomi senza pietà.
- Sei debole, per essere uno dell’esercito. – commenta, - I nostri guerrieri possono camminare per giorni attraverso i deserti più aspri senza mangiare né bere, in perfetta solitudine, senza mai lamentarsi.
- I vostri guerrieri sono migliori di me, allora. – rido, asciugandomi il sudore dalla fronte con una mano. Poi, improvvisamente, mi fermo. – Ho troppo caldo. – stabilisco. Non sono il migliore dei guerrieri, ma sono comunque stato addestrato, quando mi sono arruolato. So che devo mantenere la temperatura del mio corpo costante, per evitare uno shock. – Datemi un minuto! – dico.
Trish, che trotterellava tranquillo e apparentemente insensibile al caldo a pochi metri da me, si ferma immediatamente, tornando indietro e strofinandomi il grosso muso contro una mano. Lo rassicuro con un paio di carezze, e poi accarezzo anche il volto pallido di Miao, seguendo il disegno elegante dei segni scuri che ha sulla pelle.
Poi comincio a scaricare le borse.
- Che stai facendo? – domanda Inye, fissandomi con la solita severità. Sembra che niente di quello che faccio lo renda mai soddisfatto. Ha sempre da ridire su tutto. Ragazzini.
- Inye, lascialo in pace. – lo rimprovera suo padre.
- Chiedevo soltanto. – borbotta Inye, ma si ritrae immediatamente, scottato dal rimprovero, - Scusa.
- Fa niente. – sorrido io. Dopo essermi liberato delle borse, svolgo il mantello che ho portato fino ad adesso avvolto attorno alle spalle e lo ripongo ben piegato sopra una delle borse, usando gli stessi lacci che la tengono chiusa per assicurarlo di modo che non cada quando riprenderemo a muoverci.
Inye mi guarda allarmato, ma la sua preoccupazione si trasforma presto in orrore quando mi vede sfilare la lunga tunica che suo padre mi ha prestato e che ho indossato dopo l’ultimo bagno ad una delle oasi del deserto che abbiamo attraversato prima di arrivare qui.
- Che cosa stai facendo?! – strilla, - Copriti!
Sollevo lo sguardo su di lui.
- Ma ho caldo. – protesto, - E poi non sono nudo.
- Sì che lo sei! – insiste lui, coprendosi il volto con entrambe le mani, - Lo— Lo sei! Copriti.
- No. – aggrotto le sopracciglia, - Ho caldo e se continuo a stare così coperto rischio di svenire. Poi voglio vederti mentre trascini il mio corpo esanime fino al Falhai.
- C’è il tuo kiritai! – ribatte lui, indicando Trish, le cui code ondeggiano pigramente a mezz’aria, - Se svieni, ti trasporterà lui.
- Ma sarebbe molto meglio se non svenissi affatto, ti pare? – obietto io, inarcando un sopracciglio.
- No! – dice Inye, battendo nervosamente un piede per terra e stringendo i pugni lungo i fianchi, - Devi coprirti.
- Ma che problema hai?! – sbotto alla fine, stanco di queste insistenze.
- Daniel. – interviene il padre di Inye, parlando a voce alta ma tranquilla. Avvolto nei suoi abiti tradizionali come se il caldo non lo sfiorasse nemmeno, ritto sulle lunghe gambe e serio come sempre, emana autorità ed incute anche un certo timore. – Perdona la sfacciataggine di mio figlio. Nella nostra tradizione, mostrare il corpo nudo, anche solo per piccole porzioni dello stesso, è considerato una terribile mancanza di pudore. Siamo coperti degli stessi segni che ci vedi sul viso anche in tutto il resto del corpo, ed è considerato buon costume coprirli agli occhi degli altri, specialmente se estranei.
- Oh. – annuisco, - Ma io non ho nessun segno addosso. Non sono un Phade.
Il padre di Inye annuisce serio.
- Sì, è questo quello che a mio figlio sfugge. – si volta a guardarlo, - Lascia in pace Daniel, Inye. – dice, riprendendo quasi subito a camminare.
Inye resta davanti a me, fissando ostinatamente un punto imprecisato sul terreno mentre io piego la tunica e la infilo dentro una delle borse perché non sia d’impaccio.
- Sono stupito. – dico, riprendendo le borse in spalla e sistemandomele addosso, - Tuo padre non mi aveva mai parlato così.
Inye solleva lo sguardo e inarca un sopracciglio.
- Che intendi? – domanda. Poi i suoi occhi indugiano sul mio petto scoperto e lo vedo arrossire, prima di tornare a guardare in basso.
- Intendo, boh. – scrollo le spalle, - Ho capito quello che mi ha detto. Quasi tutto, praticamente. Ma non ha parlato in Phade.
- Era il dialetto delle Burlashite. – risponde lui, continuando ostinatamente a fissare per terra mentre riprendiamo a camminare, - È un’unione delle quattro lingue dei popoli di Minthe, un dialetto comune a tutti noi.
- Una specie di esperanto. – sorrido io, - Una lingua disegnata perché tutti possano comprenderla.
- Una specie, sì. – conferma lui, annuendo. – La tua mente caotica e confusa sembra averla adottata naturalmente, senza neanche bisogno di impararla.
- È perché ho studiato tutte le vostre lingue ma non ne ho imparata nessuna. – ammetto ridendo. – Cosa sono le Burlashite?
- Sono una tribù nomade composta solo da donne! – interviene Miao, cavalcando serena a dorso di kiritai, - Voglio diventare una Burlashite anch’io, quando divento grande!
- Davvero? – domando io, interessato, - E cos’hanno queste donne di tanto speciale?
- Sono maghe, e artiste, e ballerine, e cacciatrici, e incantatrici. – risponde lei con aria sognante, - Sanno fare tutto. Si muovono da un paese a un altro e da una città all’altra e si stabiliscono in ogni posto per qualche settimana, organizzano degli spettacoli per guadagnare qualche soldo e poi ripartono.
- Wow. – rido io, - Un circo ambulante di ispirazione femminista. Fantastico.
- Cos’è un’ispirazione femminista? – domanda Inye, aggrottando le sopracciglia come fa sempre quando sente qualcosa che non capisce.
- Il femminismo, - rido io, - È un movimento nato sul mio pianeta d’origine un paio di centinaia d’anni fa. A quei tempi le donne non avevano gli stessi diritti che avevano gli uomini, non venivano pagate allo stesso modo, non avevano le stesse possibilità nella vita, ci si aspettava da loro determinate cose per il solo fatto di essere donne e via così.
- È una cosa ridicola. – risponde Inye, quasi personalmente offeso dal fatto che una specie capace di tale idiozia sia stata in grado di conquistare il suo pianeta, o quantomeno ridurlo a brandelli nel tentativo.
- Sì, a un certo punto ce ne siamo accorti. – rido io, - Comunque, il movimento femminista era appunto un movimento il cui obiettivo era promuovere e raggiungere la parità fra i sessi.
- Ed è successo, alla fine? – domanda Miao, gli occhi che brillano, - Alla fine il movimento ha vinto la sua battaglia?
- È una battaglia che va avanti ancora oggi, per certi versi. – rido io, imbarazzato, stringendomi nelle spalle.
Inye si volta a guardare altrove, irritato.
- Siete un branco di animali. – commenta aspro. Non riesco a dargli torto.



HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #17.
Data: 02/02/2161
Ora: 18.34.35
Condizioni fisiche: CODICE VERDE.
Coordinate geografiche: 49°15'N, 4°01'E.

È ancora arrabbiato quando, qualche ora dopo, ci fermiamo per mangiare qualcosa ed accamparci per la notte. Nel tentativo di intavolare una qualche conversazione, lo aiuto a preparare il falò sul quale cuoceremo un paio di cosciotti delle capre che Trish ha diligentemente cacciato prima che smettessimo di vedere animali in un raggio di decine e decine di chilometri.
- Perché proprio le grotte Falhai? – domando accatastando la legna mentre lui dispone qualche pietra in cerchio tutto attorno. Lo guardo, e lui mi ricambia l’occhiata, aggrottando le sopracciglia.
- Non ti parlo finché non ti rivesti. – stabilisce cupo. Parla a bassa voce, così che suo padre, impegnato a dar da bere a Trish e Miao qualche passo più in là, non possa sentirlo.
- D’accordo. – sospiro io, sollevandomi in piedi e recuperando il mantello da una delle borse, - Tanto aveva comunque cominciato a far freddo.
Il sole è sparito da un pezzo, nascosto dal promontorio frastagliato all’orizzonte che, a guardarlo da qui, sembra lontano milioni e milioni di chilometri. Le due lune di Minthe hanno da poco cominciato il loro viaggio attraverso il cielo azzurrognolo della sera, una appena più grande dell’altra, una appena più vicina dell’altra. Le guardo per qualche secondo, ripensando alle basi, ai ragazzi. A Pete. Spero stia bene, almeno lui.
- Mi dai una mano o no? – mi rimbrotta Inye. Adesso finalmente sembra in grado di guardarmi senza sentire il bisogno di sacrificare infanti all’altare votivo della dea della pruriginosità e dell’eccessivo pudore al quale sembra essere stato consacrato alla nascita.
Io gli sorrido, avvicinandomi a lui e poi accucciandomi per terra, riprendendo a sistemare la legna per il fuoco.
- Allora? – domando, - Perché il Falhai?
- Nessuno le conosce bene, quelle grotte. – risponde scrollando le spalle, - Se dovessi scegliere così su due piedi un posto in cui andare a nascondermi, sarebbe quello. So per certo che nessuno riuscirebbe mai a trovarmi. Probabilmente finirei per perdermi anch’io.
- Che vuol dire? – rido io, - Non sembra un posto molto sicuro.
- Non lo è. – risponde lui, secco, - Ma batte comunque le città bombardate, ti pare?
Scottato dal commento, abbasso lo sguardo. Il sorriso mi si plastifica sul volto, diventando innaturale, stupidamente triste.
- Mi dispiace. – dico piano, - Non dev’essere facile per te avere a che fare con me, considerato quello che il mio popolo ha fatto al tuo.
- Infatti. – ribatte lui. Poi sospira, posando l’ultima pietra e poi venendosi ad accucciare accanto a me. – Non mi va di parlarne. – dice.
- Okay. – rido io, - Allora parliamo di qualcos’altro. Per esempio, ce l’hai la fidanzata?
- Cosa?! – arrossisce vigorosamente lui, allontanandosi di qualche centimetro, - Che domanda è?!
- Be’, - rido io, - Ricordo che durante le feste, quando i miei erano ancora vivi, ogni tanto raccoglievamo i parenti a casa nostra, quasi tutti, o almeno quelli che potevano muoversi. E per la maggior parte era gente che vedevamo una volta l’anno, o perfino più di rado. Ed era la domanda che facevano più spesso sia a me che a mio fratello.
Lui si accende improvvisamente di interesse, scrutandomi curioso.
- Hai un fratello?
- Ce l’avevo. – rispondo con un mezzo sorriso.
- Oh. – dice lui. Non chiede altro.
- Allora? – riprendo io, - Non ho dimenticato la domanda.
- Non— Non ce l’ho la fidanzata. – risponde lui, arrossendo vistosamente.
- Davvero? – domando io, genuinamente stupito, - Non c’è nemmeno qualcuno che ti piace? O a cui piaci tu?
Lui mi lancia un’occhiata confusa e nervosa, e poi torna a fissare la legna accatastata al centro del cerchio di pietre.
- Tu ce l’hai la fidanzata? – biascica, cercando di spostare l’attenzione su di me.
- Avevo una moglie. – rispondo sorridendo, - Si chiamava Trish.
- Come il tuo kiritai? – domanda lui, inarcando le sopracciglia.
- Sì. – rido io, - So che è maschio, ma si è preso cura di me quando ne avevo più bisogno. Trish spesso faceva la stessa cosa per me, sulla Terra.
Lui annuisce lentamente, disegnando cerchi che non lasciano traccia sul terreno con la punta del dito.
- Parli un sacco al passato. – mi dice quindi, - Delle persone a cui vuoi bene.
- È vero. – annuisco io, inginocchiandomi più vicino alla legna e sfregando due bastoncini fra loro nel tentativo di accendere il fuoco.
Inye mi lancia un’occhiata poco impressionata.
- Che stai facendo? – domanda.
- Accendo il fuoco, no? – rispondo con una mezza risata.
- Ci metterai delle ore… - mi fa notare lui. Poi sospira e si avvicina, spingendomi con una mezza spallata, - Fa’ spazio.
- Che stai facendo? – domando allora anch’io.
- Lo accendo io il fuoco. – risponde lui con un mezzo sorriso. Io mi faccio da parte e lo osservo estrarre il coltello da una delle numerose pieghe dell’ampia veste che lo copre dalla testa ai piedi. Solleva una mano e apre una piccola ferita trasversale lungo il palmo. Il sangue comincia a sgorgare sulla legna istantaneamente.
- Inye! – lo rimprovero, afferrandogli il polso, - Che stai facendo?
- Lasciami fare! – sbotta lui, divincolandosi dalla mia stretta e lanciandomi un’occhiataccia per intimarmi di non provarci mai più. Tiene la mano sospesa a mezz’aria sulla legna macchiata del suo sangue e pronuncia qualche parola nella sua lingua. Non ne colgo nemmeno una, ma pochi istanti dopo dalla legna si solleva una vaga luminescenza rossastra, e in men che non si dica il fuoco sta scoppiettando, ben protetto all’interno del suo cerchio di pietre, ed Inye mi sta guardando con la soddisfazione del ragazzino che si aspetta un complimento.
Io scoppio a ridere, scompigliandogli i capelli.
- E bravo ragazzino, - dico, continuando a ridere, mentre lui mi guarda, lanciandomi un’occhiata stizzita a metà fra offesa e disappunto, - Sei magico!
- Non è magia, stupido alieno. – sbotta, alzandosi in piedi ed allontanandosi da me a grandi passi, - Ma che ne vuoi sapere…
Io resto seduto vicino al fuoco, sorridendo intenerito. Trish mi si avvicina facendo le fusa – il che, essendo lui un gatto gigantesco, si traduce praticamente in una prova generale di terremoto – e schiaccia l’enorme muso contro la mia guancia. Io sollevo una mano per grattargli il collo, e Miao, ancora seduta in groppa al kiritai, ridacchia divertita.
- L’hai fatto arrabbiare. – mi dice.
- Mi succede sempre! – commento con aria tragica, sospirando affranto. Poi le sorrido, - O forse tuo fratello è particolarmente irritabile.
Lei mi posa addosso un paio di occhioni che, alla luce del fuoco, sembrano ancora più rossi e brillanti, come fiamma viva, e sbatte le lunghe ciglia bionde.
- Ti sbagli, - dice, - Sei l’unico che lo fa arrabbiare così tanto.
Improvvisamente, senza che riesca a porre un freno alle libere associazioni della mia memoria, fra i ricordi riemerge il volto arrossato di Trish, i suoi lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino, gli occhi lucidi e le labbra gonfie di baci.
“Non avevo mai litigato tanto con nessuno,” dice la sua voce squillante e impertinente, da maschiaccio, resa appena rauca dai gemiti e dalle urla.
“Allora sono fortunato,” dico io, prima di scivolarle addosso, pelle contro pelle.
Torno al presente e alla realtà con un mezzo singhiozzo strozzato.
- Che succede? – domanda Miao, preoccupata, mentre Trish mi miagola rumorosamente addosso.
Io guardo entrambi, e poi lancio un’occhiata ad Inye, intento a discutere qualcosa con suo padre qualche metro più in là.
Succede che è un bel casino, adesso, ecco cosa succede. Ma lo tengo per me.



HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #18.
Data: 08/02/2161
Ora: 17.46.25
Condizioni fisiche: CODICE GIALLO, stato di affaticamento muscolare.
Coordinate geografiche: 50°09'N, 5°13'E.

Non ci fermiamo da due giorni. Le scorte d’acqua sono finite da un pezzo – erano scarse, abbiamo razionato, ma siamo comunque quattro persone e un enorme felino – ed abbiamo deciso che sarebbe stato più opportuno continuare a camminare senza perdere altro tempo. Siamo stati tutti d’accordo, quando il padre di Inye ci ha detto che le grotte si trovavano ad un paio di giorni di cammino, che in tutta onestà non sapeva se ce l’avremmo fatta ma che era necessario almeno tentare.
Abbiamo stretto i denti e attraversato ciò che restava del deserto che avevamo di fronte. Credo di non essermi mai sentito più stanco di come mi sento adesso. Ci siamo appena fermati, dopo aver attraversato un paio di valli in mezzo a montagne progressivamente sempre più alte e impervie, di fronte all’ingresso di una grotta seminascosto da due giganteschi massi che sembrano essere caduti al suolo durante una frana. E mi tremano le gambe dalla fatica.
Sorprendentemente, non dalla paura, però. Il padre di Inye mi ha assicurato che farà quanto in suo potere per perorare la mia causa di fronte agli anziani e ai rappresentanti dei vari popoli. È abbastanza sicuro che nessuno mi farà del male. Non può assicurarmi che non verrò trattenuto come prigioniero, però, e mi chiede se sono davvero sicuro di voler proseguire. Io lancio un’occhiata ad Inye, che distoglie subito lo sguardo, e poi guardo Miao in groppa al mio kiritai, e lei mi guarda con quei suoi occhi accesi e vispi, il sorriso sempre presente a incurvare le labbra di pesca, anche se adesso sono un po’ screpolate e pallide a causa della sete, ed annuisco velocemente.
Il padre di Inye mi sorride. Mi dice che sono coraggioso. Quello che intende è che sono coraggioso, per essere uno dei vigliacchi che ha attaccato il suo pianeta a tradimento dopo aver consumato fino all’osso il proprio, ma lui non è come Inye, non è tutto spigoli e certezze assolute. È un uomo adulto che comprende la necessità di compiere certe azioni anche quando sono sbagliate. Ed è un uomo adulto che crede nella redenzione quando si fa ammenda per i propri peccati.
Inye non è un uomo adulto, non comprende, non perdona. Ma so che ogni tanto mi guarda e mi odia per quello che sono, perché vorrebbe che fossi qualcosa di diverso, per rendere tutto più semplice.
Attraversiamo le grotte lentamente, con circospezione. Non sappiamo dove stiamo andando e ci lasciamo alle spalle incisioni nelle rocce che il padre di Inye rende luminescenti come candele con una preghiera e una goccia del proprio sangue, e posso vedere negli occhi dei miei compagni di viaggio la paura di imboccare la strada sbagliata, perdere l’orientamento e smarrirsi nelle viscere di queste montagne per sempre. Solo Trish, che trotterella sereno al mio fianco portando il lieve peso di Miao come non lo sentisse nemmeno, sembra perfettamente a proprio agio, come non dubitasse di essere in grado di ritrovare la strada anche dopo averla perduta.
Dopo quasi un’ora di cammino, scorgiamo altri simboli illuminati che decorano le pareti rocciose. Sento il cuore arrampicarmisi su per la gola mentre realizzo che probabilmente stiamo girando in tondo da quando siamo entrati, e siamo finiti per ritornare al punto di partenza, ma il padre di Inye sorride accarezzando i simboli con due dita, e poi si volta verso di noi, che proseguiamo compatti dietro di lui.
- Qualcuno è passato da questo punto, prima di noi. – dice, - E ha indicato la strada. Dobbiamo solo seguire questi simboli ed arriveremo a destinazione.
Arriviamo, in effetti, una ventina di minuti più tardi. Il tunnel che stiamo attraversando sbocca in una caverna piuttosto ampia, scavata dall’acqua nella pancia di una montagna di roccia granitica. Ha l’aspetto di una specie di anticamera, e infatti sulle pareti intorno a noi si aprono una quantità enorme di altre fessure dalle forme bizzarre e irregolari, che conducono verso altrettanti tunnel.
Di fronte ad una delle fessure più grandi si trovano due uomini altissimi, dalle spalle così larghe e dai petti così ampi da sembrare giganti. Avvolti in un’armatura che lascia scoperto ben poco dei loro corpi, nel momento in cui ci vedono arrivare sguainano le spade ed urlano qualcosa nella loro lingua. Inye e suo padre sollevano immediatamente le braccia, ed anche io faccio lo stesso. Ci avviciniamo lentamente, e i guerrieri ci vengono incontro con altrettanta circospezione, all’inizio. Poi mi notano, capiscono cosa sono e la circospezione lascia spazio alla rabbia, alla paura, probabilmente anche al desiderio di vendetta. Si lanciano contro di me con un urlo, puntandomi contro le spade, ma Trish, dimentico di portare una bambina sulle spalle, si mette in mezzo, si solleva sulle zampe posteriori e ruggisce, minacciandoli con gli artigli sguainati.
Miao, sbilanciata ed incapace di stringere la presa attorno alla schiena dell’animale con le gambe, scivola indietro con un urlo sorpreso. Inye si affretta a prenderla fra le braccia prima che possa cadere per terra, mentre io mi lancio in direzione di Trish, avvolgendogli le braccia attorno al collo e sussurrandogli all’orecchio di stare calmo, che è tutto a posto, di fare il bravo.
Trish ringhia sommessamente, assicurandosi che io capisca che non è d’accordo con la decisione che ho preso, e mentre i due Crest osservano con sgomento la situazione io sollevo entrambe le braccia in segno di resa e mi avvicino.
Il padre di Inye mi è subito accanto. Parla con i Crest in lingua Phade per qualche secondo. Riesco a cogliere solo una parola ogni dieci e non è facile dare un senso al loro discorso, ma da quello che capisco è chiaro che sta spiegando loro chi sono, perché viaggio con loro e quali sono le mie intenzioni. I due Crest non sembrano propensi a darmi fiducia, pur credendo alle sue parole, e continuano a guardarmi con diffidenza. Scambiano ancora qualche parola col padre di Inye, il quale sospira, annuisce e poi si volta verso di me.
- Come supponevo, non ti faranno del male, ma intendono trattenerti come prigioniero e portarti in una zona della montagna distante dai rifugi. Dopodiché, esporranno il tuo caso alle autorità riunite in consiglio, e saranno loro a decidere la tua sorte. – mi spiega con voce quasi colpevole.
Io gli sorrido incoraggiante, annuendo.
- Capisco. – dico, - È giusto così.
È solo allora che sento piangere Miao. Mi volto nella sua direzione e la trovo stretta tra le braccia di suo fratello, che mi guarda come se non dovesse vedermi mai più, gli occhi pieni di lacrime e le guance arrossate.
- Daniel… - mormora mentre mi avvicino sorridendole, mostrando una spavalderia che in realtà non sento.
- Non fare così, Miao. – rido, accarezzandole i capelli biondi, - È solo una cosa temporanea. Torno presto, promesso.
Lei gonfia le guance, singhiozzando rumorosamente.
- È Miow. – biascica fra un singhiozzo e l’altro.
- Giusto. – rido io, - Vedi? Devo tornare per forza. Devo ancora imparare il tuo nome.
Lei scoppia a piangere ancora più forte, voltandosi e nascondendo il viso rigato di lacrime contro il collo di Inye. Inye che mi guarda, e non dice niente. Faccio per dire qualcosa io, ma lui mi precede.
- Credi in qualcosa? – mi domanda a bruciapelo. Sorpreso, io ci metto un po’ a rispondere.
- No. – dico quindi, scuotendo il capo.
- Peccato. – commenta lui. La sua voce è fredda, ma gli occhi che abbassa nel tentativo di nascondermi le sue emozioni lo tradiscono.
Mi mordo l’interno di una guancia, irrigidendo le braccia lungo i fianchi.
- Credo nei segni che ogni tanto la vita ti dà. – dico quindi.
Lui mi solleva addosso un’occhiata indecifrabile, e poi annuisce.
- Allora aspetta un segno. – dice.
Annuisco anch’io.
I due guerrieri Crest cercano di portarmi via senza coinvolgere Trish, ma il kiritai non ne vuole sapere: si sistema al mio fianco, così vicino che, quando ringhia, sento il verso rimbombare come provenisse dall’interno del mio corpo, e ruggisce minaccioso contro chiunque provi a convincerlo ad allontanarsi. I due sono stupiti dal fatto che sia riuscito ad addestrarlo. Vorrei essere in grado di spiegare loro che in realtà è stato lui ad addestrare me.
Mi conducono attraverso un’intricata rete di tunnel e cunicoli di varie dimensioni in un viaggio di cui provo a ricordare l’itinerario, ma del quale perdo traccia quasi subito. È troppo buio, non riesco a trovare segni visibili a cui appigliarmi e apparentemente, in questa porzione delle grotte, non sono stati utilizzati i simboli Phade per tacciare la strada.
Lascio perdere senza preoccuparmi troppo, in ogni caso. A questo punto, la mia vita non è più nelle mie mani. Sono disarmato e la mia unica difesa è questo gatto gigantesco che mi adora e palesemente morirebbe per me proteggendomi da un esercito indemoniato. La cosa non mi fa felice, e quando ci lasciano all’interno di una piccola grotta illuminata solo da un paio di candele mi seggo per terra, chiamo Trish e lo stringo fra le braccia.
- Se decidono di uccidermi, non devi fare niente. – gli dico. Lui gorgoglia pieno di disappunto come avesse capito quello che ho detto. – Dico sul serio, - insisto, - Se decidono di uccidermi, tu torni con Inye, suo padre e Miao, e ti prendi cura di loro. D’accordo? – domando, guardandolo dritto negli occhi dorati.
Lui spinge l’enorme muso quadrato contro il mio viso e fa le fusa. Non so se prenderlo come un assenso o meno, ma temo dovrò farmelo bastare.
Resto seduto in un angolo, in attesa di un segno.
È carino che la prima cosa che vedo apparire nel cono d’ombra che si allunga oltre l’ingresso della caverna sia Inye.
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