Fandom: Originali
Genere: Generale.
Rating: R.
AVVISI: Het, Slash, Threesome, Angst. (In continua evoluzione.)
- "Nonostante gli sforzi congiunti dei più eminenti scienziati e dei governi della Terra riuniti in assemblea, nonostante gli svariati tentativi operati nei più disparati modi, attingendo a piene mani alle più varie risorse dell'intelletto umano, mettendo a punto le più sofisticate tecnologie che consentissero di risparmiare la maggior percentuale di risorse naturali e artificiali fornite dal pianeta, non è stato possibile evitare il collasso dell'ecosistema. [...] Oggi, primo gennaio 2161, il primo contingente militare terrestre, guidato dal generale Robert Carnival, muove i primi passi sul suolo di Minthe.
E qui comincia la nostra storia."

Note: Raccolta delle varie entry che ho scritto per le Chronicles of Minthe. Ogni capitolo è dedicato a un personaggio diverso, ed i capitoli (corrispondenti ognuno ad un'entry) sono ordinati cronologicamente.
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THE CHRONICLES OF MINTHE
GIORNO 11: DANIEL PORTMAN

HDR #535AS35B, in dotazione al soldato semplice Portman, D. N° matricola: 594726.
Registrazione #5.
Data: 11/01/2161
Ora: 00.00.03
Condizioni fisiche: CODICE GIALLO, livelli di acetilcolinesterasi nel sangue superiori alla norma. Diagnosi: stato d'ansia.
Coordinate geografiche: 48°50'N, 2°10'E.

E' piuttosto alto, almeno per gli anni che dimostra. Ha un viso giovane, da ragazzino appena uscito dall'infanzia. Lineamenti dolci, naso quasi a punta, perfino la linea delle labbra, così piena e morbida, tutto in lui parla di un bambino finito in qualcosa di troppo grande prima che fosse davvero pronto ad affrontarla. La sua pelle è coperta di segni grigio scuro, sembrano proprio tatuaggi, dev'essere un phade. Ce ne hanno parlato, durante l'addestramento.
Ha gli occhi grandi, rossi e spaventati, e i capelli di un biondo chiarissimo tutti scompigliati sulla testa. E' tutto sporco, ha i vestiti strappati. Non ho idea di quanto tempo abbia passato sotto le macerie, ma so che è terrorizzato. E' evidente.
Fa bene ad esserlo.
"Mani in alto!" urlo, tenendogli il mitra puntato contro. E' a pochi passi da me, se mi muovessi ancora un po' verso di lui potrei toccarlo. Non lo faccio. Lo osservo tremare e fissarmi senza muoversi di un centimetro. Le sue braccia restano immobili, abbandonate lungo i fianchi. "Mani in alto!", ripeto ancora. Lui non sembra aver capito.
Dovrei sparargli, so che dovrei, so che devo, ma il mio dito indice si limita a sfiorare il grilletto in una carezza distratta, senza nessuna convinzione, ed anche se lui non può vedere i miei occhi io so che sono fissi nei suoi, in quelle voragini di terrore in cui si sono trasformati quando mi ha visto.
Mi avvicino. Non so con che intenzione lo faccio. Forse voglio provare a prenderlo prigioniero -- non ne ho idea, probabilmente voglio solo avvicinarmi e lo faccio, ma il mio movimento sembra costringerlo a risvegliarsi dal suo torpore, ed in un attimo lo osservo voltarmi le spalle e poi sparire lungo la strada. Corre veloce come il vento, i piedi nudi che producono un suono sordo e un po' schioccante ogni volta che battono contro la pietra dissestata.
"Aspetta!", grido, imbraccio il mitra e gli corro dietro. E' troppo veloce per me, è più leggero, più agile, conosce meglio la città, sembra che abbia le ali ai piedi. Cerco di stare al suo passo, ma ho il fiatone e perdo terreno velocemente. Non posso lasciarmelo sfuggire, sono stato tanto idiota da non sparargli immediatamente ma non sarò altrettanto stupido da lasciarmelo sfuggire così, adesso, perciò, pur non smettendo di correre, sollevo nuovamente il mitra e sparo, alla cieca.
Ovviamente non lo colpisco. Credo che non lo volessi neanche. Colpisco abbastanza vicino da spaventarlo, però, il rumore e le scintille che scoppiano come un tuono e un fulmine a pochi centimetri da lui, che lancia un grido, si volta a guardarmi e si schiaccia terrorizzato contro la parete tremolante di un edificio mezzo crollato.
Respirando affannosamente, mi avvicino. Smetto di correre, cammino lentamente nella sua direzione. Lui cerca di farsi minuscolo contro la parete, volta il capo, chiude gli occhi, trema così tanto.
"Non voglio farti del male," dico. Non so perché lo dico. C'è decisamente qualcosa che non funziona, nella mia testa, ma forse, dopotutto, Trish aveva ragione. Non potrò mai essere un bravo militare.
Sollevo il mitra in spalla ed alzo una mano, per mostrargli che adesso sono disarmato. "Non voglio farti del male," ripeto, la mano tesa verso di lui, sperando che capisca. Lui si volta a guardarmi, una luce di cui non capisco il significato danza nei suoi occhi rossi come il sangue, e poi lo vedo muoversi, o meglio, lo percepisco muoversi, perché è troppo veloce perché io possa vederlo.
Aveva un coltello. Attraversa senza difficoltà il rivestimento doppio del guanto protettivo - non avrebbe dovuto essere in grado di farlo, ma lo fa - ed io mi tiro indietro, ritirando la mano, soffiando di dolore mentre il tessuto scuro comincia già a macchiarsi del sangue che sgorga dal taglio netto che la lama mi ha aperto sul palmo.
Quando sollevo nuovamente lo sguardo, il ragazzino è sparito.

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