telefilm: don eppes

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Introspettivo.
Pairing: Charlie/Don (accennato).
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash (accennato), Incest (accennato), Angst.
- Charlie cerca di risolvere un problema. Don non lo capisce.
Note: Okay, prima di tutto questa storia è il mio regalo di compleanno per mio fratello Fae senza il quale la mia vita sarebbe una roba molto più triste <3 E invece la sua esistenza rallegra le mie giornate, tutte, dal lunedì alla domenica, e aw <3 FRAMOTZ, TI AMO ;O; E non volevo regalarti dell'angst, volevo regalarti dell'Eppescest, ma cosa ci posso fare io se questi due sono nati per portare angst e dolore nel mondo? Ecco.
Accessoriamente, la fic partecipa alla challenge indetta da 500themes_ita, ispirandosi al prompt #82 (Nel silenzio della notte).
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P VS NP

Charlie sta sempre chiuso in garage. Don ha difficoltà perfino ad incontrarlo per casa, sembra che suo fratello sia in grado di gestire i ritmi della propria esistenza alla perfezione con l’unico scopo di non andare mai in giro quando sa che potrebbe incontrare qualcun altro. Don sa che è possibile, l’ha visto farlo spesso quando ancora viveva qui, ha visto Charlie chiudersi in camera propria – allora non aveva ancora colonizzato l’intera casa, ogni spazio disponibile, con la sua ingombrante vocazione per la matematica – e non uscirne né per mangiare, né per bere, né per andare in bagno. I bisogni del suo corpo si annullano, come assopiti, vanno praticamente in letargo, e quando Charlie si concentra su un problema non c’è modo di allontanarlo dai suoi quaderni e dalle sue lavagne fino a quando non l’ha risolto.
Don lo odia. Odia il pensiero di lui chiuso in quella stanza ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, mentre la mamma muore stesa su un letto trascinato giù in salotto, collegata a un trilione di macchine i cui suoni intermittenti in certi momenti sono l’unico segno dal quale è possibile capire che c’è ancora, che non è ancora andata via.
Don lo odia, lo odia e non lo capisce. Quando si è trasferito per dare una mano a papà, ha trovato Charlie già chiuso in sé stesso e in quel suo stupido problema già da tre settimane abbondanti. Ha provato a ragionare con lui, ma è dura ragionare con chiunque attraverso la barriera inespugnabile di una porta chiusa a chiave, e poi Don non è bravo con le parole, non è bravo a utilizzarle per spiegarsi, sa litigare usandole, è vero, ed ha sfruttato questa capacità spesso e volentieri, con Charlie, il quale a maneggiare le parole riesce ancora meno di lui, ma in un momento come questo, in un momento in cui ogni singolo litigio incide un graffio profondo nel cuore di mamma, che immobilizzata sul suo lettino sembra estraniata dal mondo e in realtà sente tutto, in un momento come questo i litigi non servono. Non servono le urla, non servono le recriminazioni e gli insulti, servirebbe sedersi attorno ad un tavolo e parlare, parlare, cazzo, cosa c’è, Charlie?, cosa c’è di così importante in quel dannato problema da impedirti di uscire da quella stanza perfino per guardare il volto di tua madre quando sai che fra un paio di mesi potresti non vederlo più?, ma Don non riesce, non ne è capace.
Suo padre non è stupito dal comportamento di Charlie. Perfino sua madre, nei momenti di lucidità, quando non passa ore intere a chiamare il nome del suo figlio più piccolo e tendere la mano verso uno spazio vuoto – uno spazio che non si riempie mai, nel quale Don si adatta, fingendo di essere Charlie e biascicando “sì, mamma, sono qui” quando lei lo chiama e lo cerca e non lo trova e piange –, sembra prendere con una certa serenità l’autoreclusione forzata di Charlie in quel garage.
- Lo conosci, - dice Alan a Don mentre cenano divorando velocemente un paio di sandwich in piedi accanto al tavolo in cucina, prima di tornare di là a tenere d’occhio la mamma, - Lui reagisce così.
Don lo odia. Don odia entrambi, lui e la mamma. Don odia tutti e tre, i suoi genitori e Charlie. Seduto al capezzale di una donna che quando è in sé non fa che cercare di convincerlo a non essere arrabbiato con suo fratello, e quando non è in sé non fa che piangere cercando un ragazzino che non vuole starle intorno, Don fissa la televisione senza vederla, stringe la mano di sua madre senza sentirla, ascolta la voce di suo padre che commenta distrattamente una partita senza capire ciò che dice, e tutto ciò che riesce a fare è concentrarsi sul proprio odio. Su ciò che ha lasciato indietro ad Albuquerque per tornare a Los Angeles e trovare una famiglia in pezzi che credeva di poter rimettere insieme, solo per scoprire che non era possibile farlo. Solo per trovare un fratello chiuso in un garage, un padre che lo giustifica, una madre che non riesce neanche a considerarlo per l’egoista che è.
- In fondo è buono, - gli dice sorridendo Margaret mentre lo osserva, sciogliendo la stretta delle loro dita e sollevando una mano per accarezzargli il viso, - Non essere arrabbiato con lui, Don. Sei l’unica cosa che ha, oltre la matematica.
Don vorrebbe risponderle che, allora, gli resta solo la matematica, ma non lo fa. Forza un sorriso carico di dolore represso e stringe nuovamente la mano di sua madre fra le proprie. Lei continua a sorridergli per un po’, poi volta il capo, chiude gli occhi e qualche secondo dopo sta già dormendo, il respiro regolare, sereno, il battito elettrico del macchinario che monitora le sue funzioni vitali in sottofondo. Sono così abituati a sentirlo che ormai non se ne accorgono quasi più. Don pensa spesso al momento in cui smetterà di suonare, il momento in cui quell’incessante, continuo, rassicurante bip smetterà di riempire ogni spazio silenzioso e vuoto della loro vita. Il solo pensiero gli stringe lo stomaco in modo quasi doloroso.
Don sa già che, da solo, non riuscirà mai a trovare una soluzione a questa situazione del cazzo. Non ne è proprio capace, è consapevole di riuscire spesso a trovare soluzioni a problemi ben più complessi quando lavora, ma per qualche motivo questo è diverso, in questo momento, seduto su questa poltrona e con le dita magre di sua madre strette fra le proprie, non riesce ad utilizzare la stessa logica stringente, per cui non fa che sperare che qualcuno arrivi, all’improvviso, senza motivo, e gli proponga una soluzione da adottare.
Spera spesso che quel qualcuno sia Charlie. Che suo fratello un giorno esca da quel garage sorridendo stanco ma soddisfatto, gli si avvicini e gli dica “ce l’ho fatta, Don, ho trovato la soluzione”, e quella soluzione guarirà la mamma dalla sua malattia, guarirà papà dal suo lutto, guarirà Don dal suo odio e Charlie dalla sua solitudine.
Ma Charlie non esce mai da quel garage. E Don non può fare altro che continuare ad odiarlo.
*
È praticamente impossibile capire se esistano problemi per i quali è più complesso calcolare una certa soluzione che verificarla. È per questo che la complessità P contro NP fatica a trovare una soluzione, è per questo che è considerata uno dei problemi del millennio.
Charlie non si rassegna, però. Il solo pensiero che possa esistere un problema per cui sia impossibile trovare una soluzione, ma del quale sarebbe facilissimo verificare tale stessa soluzione se venisse fornita da qualcun altro su un bel piatto d’argento lo irrita oltremisura. Lui ha sempre trovato le proprie soluzioni da solo, non ha mai dovuto arrendersi ad un numero imposto da un professore, da una mente che fosse più brillante della sua, se davvero al mondo ne fosse esistita una che non lo precedesse di decine d’anni, non ha mai sbirciato le soluzioni alla fine degli eserciziari e, quando ha visto qualcuno farlo, è sempre stato pronto a guardarlo con diffidenza, perfino con severità, indipendentemente da quanto fosse più grande di lui, per fargli capire come stesse mancando il punto in maniera colossale.
Sono tutti convinti – ed è una cosa che lo irrita da morire, davvero – che l’importante, in matematica, anche nel più basilare dei calcoli, sia raggiungere il risultato corretto. Non importa come, non importa sacrificando cosa, ogni operazione ha uno ed un solo risultato, e tutto ciò che conta, alla fine della giornata, è averlo raggiunto.
Non è vero. È un modo banale, volgare, perfino errato di intendere le operazioni. Non è per uno stupido numero che, preso a se stante, non dice niente dell’operazione che ha condotto il matematico a scoprirlo, che gli uomini combattono battaglie lunghe mesi, perfino anni, contro i limiti della loro mente.
L’operazione è importante nel suo complesso. Lo è nel risultato, sì, ma lo è ancora di più nel metodo, nel procedimento.
Charlie odia le vie brevi. Odia le facilitazioni. Odia le formule semplificate che spesso gli altri professori rifilano agli studenti in previsione di un test importante per il voto alla fine dell’anno accademico, odia saltare i passaggi. È per questo che tutti i suoi quaderni, tutte le sue lavagne, ogni pagina che scrive è ricamata allo stesso modo. Le operazioni complesse hanno un metodo, per essere risolte. Scritte per esteso, hanno dei passaggi da seguire per accompagnarti verso la soluzione. Si risolvono prima le parentesi più interne, poi ci si allarga verso l’esterno. Tonde, quadre, graffe, le moltiplicazioni hanno la precedenza su addizioni e sottrazioni.
C’è un iter da seguire, e va seguito passaggio dopo passaggio, non importa se questo ti porta a ricopiare la stessa equazione in gran parte identica per ore e ore. Ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare.
Charlie fissa la lavagna, fermandosi all’improvviso, il gessetto fra le mani. Gli fa male la punta delle dita.
Ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare. Per un attimo i suoi occhi non vedono altro che il volto di Don, le sue orecchie non sentono altro che la sua voce. Poi tutto torna a frammentarsi in numeri, l’operazione che sta seguendo da ore – giorni – sulla lavagna torna a far sentire prepotentemente tutto il suo peso su di lui, e Don scompare, Don non esiste più, e così è molto, molto più semplice.
Sua madre, invece, no, lei non scompare mai. Lei è una parte di tutto questo. È stata il suo primo pensiero quando ha capito come sarebbe finita e ha deciso di chiudersi in garage con le sue formule e le sue lavagne. La maggior parte delle persone non capisce le sue associazioni mentali, Don, per esempio, non avrebbe idea neanche da che punto cominciare per provarci, a comprendere come funziona il suo cervello – di nuovo Don, di nuovo Don, no, Don deve sparire, Don non esiste – ma per lui è sempre stato tutto molto semplice. Mamma— no, il cancro. Il cancro era P contro NP. Sono la stessa cosa, sono due cose diverse ma sono la stessa cosa, e risolto uno si risolve l’altro, Charlie lo sa, perché è solo una questione di logica. È tutta una questione di logica, ma Charlie non è un medico, Charlie è un matematico, e dovendo scegliere quale dei due problemi affrontare non ha avuto altre opzioni che concentrarsi su P contro NP.
È davvero così semplice, è di una semplicità imbarazzante, ed a volte, pensandoci, Charlie prova una rabbia incontenibile, perché davvero, se Don appena appena decidesse di sforzarsi, se solo lui volesse — ma Don non esiste, esiste solo mamma, esiste solo il cancro, esiste solo P contro NP, esiste solo Charlie che le soluzioni non vuole riceverle, vuole trovarle, e per trovarle non deve fare altro che seguire i passaggi uno dopo l’altro, una volta, poi due, e ancora, e ancora, e ancora, finché il risultato non lo convincerà, dovesse volerglici una vita intera.
*
Sono le quattro del mattino quando si azzarda a mettere il naso fuori dal garage. È l’unico orario in cui sa di non poter trovare nessuno ancora in piedi, l’orario in cui suo padre ormai dorme da un pezzo, l’orario in cui mamma, sedata, non apre più gli occhi e respira tranquilla, l’orario in cui anche Don, stremato dalla giornata, è crollato da qualche parte – spesso ha avuto appena la forza di ritirarsi in camera propria e lasciarsi ricadere di faccia contro il cuscino, ancora vestito –, l’unico orario in cui per Charlie è sicuro andare in giro per casa.
Ha fame da morire, per cui la prima cosa che fa, dopo essere passato per il salotto ed aver sfiorato il dorso della mano di mamma con le dita ancora sporche di gesso, è andare in cucina e prepararsi un panino. Sia papà che Don sono convinti che Charlie non riuscirebbe neanche a sopravvivere, lasciato a se stesso. Che non avrebbe idea di come nutrirsi, di come tenere a posto la casa o di come riparare la caldaia. E forse hanno una punta di ragione per quanto riguarda l’ultimo caso, ma Charlie non è così sprovveduto come credono. Charlie può farcela. È sempre tutto lì che ritorna, è una questione di logica, e nessuno è in grado di far funzionare la logica come lui.
Dovrebbe farsi una doccia, pensa in un sospiro mesto mentre posa il panino su un piatto e torna in salotto, prendendo possesso della sedia accanto al lettino di mamma ed appoggiandosi il piattino sulle ginocchia mentre mangia, gli occhi fissi sull’espressione serena di sua madre.
La seduta è tiepida, ma lui, perso com’è nell’osservazione attenta dei lineamenti della donna, nemmeno se ne accorge. Non fosse per i minuscoli tubicini che la collegano alla flebo e alle macchine, sua madre sembrerebbe essersi addormentata naturalmente. Il suo volto è sereno, c’è l’ombra di un sorriso tranquillo a piegare le labbra un po’ secche, le ciglia che tremano appena mentre i suoi occhi inseguono le immagini illusorie di qualche sogno.
Charlie la guarda, mangia il suo panino, e tristemente pensa che non c’è niente, in tutto il mondo, che ami più di lei. Neanche la matematica. E il pensiero di poter restare con nient’altro che la matematica, nel giro di pochi mesi, lo terrorizza così profondamente che deve metterlo da parte per forza, se non vuole che il suo cervello ne resti paralizzato. Non può accadere, perché Charlie ne ha bisogno. Ha bisogno di restare lucido e concentrato sul problema, perché se non si concentra non lo risolverà mai, e se non lo risolve sua madre morirà, e se sua madre muore lui non potrà farcela. Non potrà mai farcela, solo con papà e Don— solo con papà, perché Don, Don non—
- Sei sveglio. – la voce di Don lo sorprende alle spalle. Charlie stringe le dita attorno al proprio panino con tanta forza da schiacciarlo, e si irrigidisce sulla sedia. Improvvisamente, il dettaglio della seduta tiepida assume un valore nella sua testa, diventa una variabile di cui avrebbe dovuto tener conto. Si dà dello stupido, perché è esattamente questo il motivo per cui i passaggi vanno seguiti tutti, nel loro ordine, uno dopo l’altro. Per non trascurare niente.
Vorrebbe trovare qualcosa di intelligente da dire, ma Don non esiste ed è difficile parlare con lui in queste condizioni. È difficile parlare con lui in qualunque condizione. Vorrebbe anche riuscire a trovare la forza di scendere da quella sedia e scappare in garage, perché lì almeno si sentirebbe al sicuro, anche se c’è poco che può fare per fuggire da se stesso più di quanto non stia già facendo da anni, ma non riesce a fare neanche quello. Paralizzato, immobile, fissa davanti a sé mordendosi l’interno di una guancia tanto forte da sentire la familiare puntura amara delle lacrime cominciare a infastidirgli gli occhi.
- Ti cercava, prima. – continua Don, restando in piedi a pochi passi da lui, - Ti cerca continuamente. Non fa altro. – Charlie continua a non rispondere, la gola secca, le labbra strette in una linea nervosa. – Sei uno stronzo.
Charlie si alza in piedi di scatto. Stringe la mano libera attorno al piatto appena in tempo per impedirgli di cadere a terra e rompersi. Può sentire l’occhiata disgustata che Don gli sta lanciando, può sentire il suo odio sulla pelle. È difficile fingere che non esista se si fa sentire con così tanta forza. Charlie fa fatica ad ignorarla, tutta questa forza. Fa fatica perfino a fuggirne.
- Charlie, ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare. – dice, sospirando ed allontanandosi da lui in passi lenti e stanchi. Charlie lo sente cominciare a salire le scale. – Cerca di pensarci.
E Charlie vorrebbe voltarsi e dirgli che non fa altro. Il suo cervello non riposa mai. Non smette mai di pensare, ed è questo che rende tutto così difficile, così insopportabile.
Per un attimo, tutto il suo corpo si tende in uno spasmo rabbioso incontrollabile, ma poi torna calmo, perché è l’unica cosa che sa fare. Razionalizzare, pensare logicamente. In questo è bravo, questo può gestirlo, questo può farlo. È tutto chiaro, è tutto evidente. Il punto è sempre quello. P contro NP. Deve solo risolvere il problema, e poi tutto tornerà normale. Mamma starà bene, papà sarà felice, e Don— è ancora troppo presto per pensare a lui, ma ci sarà tempo anche per questo. Solo, non adesso. Non in questo momento, non stanotte. Stanotte non ha bisogno di nient’altro a parte le sue lavagne, le sue operazioni, la sua tranquillità, e un problema insolubile da risolvere.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Don/Charlie.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Underage, Self, Lime, Incest.
- "C’è quella domenica mattina, poi. Ma quella cerchi di non ricordarla quasi mai."
Note: Dunque, è successo che ultimamente ho rewatchato tipo tutte le prime tre stagioni di Numb3rs in, boh, due settimane? *ride* E mi sono fatta prendere benissimo da Don e Charlie, come sempre, perché sono meravigliosi e ogni tanto mi dimentico quanto mi piace la conflittualità del loro rapporto X3 Per cui, ho colto l'occasione offertami sia dal numero 5 di Squee (prompt: in passato), sia dal P0rn Fest #5 @ fanfic_italia (prompt: Charlie Eppes/Don Eppes, maglietta troppo larga) e ho scritto ♥
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I SERVED TIME FOR MY ADDICTION, I PAY THE PRICE FOR MY AFFLICTION

Hai pochi ricordi di quando tuo fratello aveva tredici anni. La maggior parte sei riuscito ad estirparli dalla tua memoria durante gli anni a Quantico, a cancellare la quasi totalità del resto sono serviti gli anni solitari nella Squadra Speciale per il recupero dei ricercati, e ormai quasi tutte le immagini che ti restano in memoria, e che ogni tanto ti abbagliano, annebbiandoti la vista come certi flashback che uno non riesce a frenare in tempo, sono ricordi del tutto negativi, o comunque nient’affatto piacevoli da rievocare.
C’è il giorno del diploma, naturalmente, quello, be’, è marchiato a fuoco nella tua memoria come un tatuaggio, non potresti mai dimenticarlo. Lì sei arrivato proprio a tanto così dal combinare una qualche improponibile stronzata tipo prenderlo a calci, o tirargli un pugno sul naso. Ti senti un idiota a ripensarci adesso, perché Dio, non era niente più di un ragazzino, ma lo odiavi, davvero. Non riuscivi a sopportarne la vista, figurarsi la presenza, o il fatto che si stesse diplomando con te, che di anni ne avevi cinque in più ed avevi smesso di riuscire a sentirti intelligente quando lui ti aveva corretto delle operazioni su un quaderno alla tenera età di sei anni.
C’è anche il giorno della tua festa di compleanno, sì. Non ricordi neanche che cosa ti ha regalato Charlie in quell’occasione, hai uno scatolone pieno di cianfrusaglie, nel ripostiglio del tuo appartamento, in cui sei andato stipando tutti i suoi regali un anno dopo l’altro. Roba del tutto inutile, per di più anche abbastanza impersonale, Charlie non è mai stato bravo a fare regali, ogni anno preferiva infilarsi a caso in un negozio ed uscirne con, boh, una stupida sciarpa, una cravatta o una penna stilografica, piuttosto che perdere qualche pomeriggio in più e trovare qualcosa che fosse adatto a te, perfetto per te.
Sarebbe stata comunque un’impresa ardua, questo puoi ammetterlo, perché Charlie non ti ha mai conosciuto davvero – perché tu non ti sei mai lasciato conoscere davvero – ma alle volte l’incuria con la quale il regalo era stato scelto era talmente palese nel regalo stesso, che tu quasi hai sentito fortissimo il bisogno di buttarlo via, invece di conservarlo.
E invece hai conservato tutto, perché sei uno stupido. E hai conservato anche il regalo di quella festa di compleanno, di quando Charlie aveva tredici anni e tu diciotto e non ricordi nemmeno cosa ti ha regalato, e ti chiedi se abbia importanza, dopotutto.
Forse no.
C’è quella domenica mattina, poi. Ma quella cerchi di non ricordarla quasi mai. Cerchi anzi di convincerti di essere riuscito a rimuoverla del tutto, e ogni tanto ci riesci. Poi capitano giornate come questa, che è domenica di nuovo e anche se sono passati più di dieci anni e non vivi più lì (per la maggior parte del tempo) riesci ancora ad immaginarti mentre esci da camera tua, scendi al piano di sotto e ti accorgi che è prestissimo, ma va be’, hai fame, rovisterai un po’ in frigo e poi aspetterai la colazione, e poi attraversi il corridoio, ti affacci alla porta della cucina e Charlie è lì, appollaiato su una delle sedie attorno al tavolo, un quaderno aperto sulle ginocchia strette al petto e la matita che rimbalza sulle sue labbra piegate in una specie di broncio infastidito e corrucciato.
Indossa solo una maglietta, e tu ci metti un po’ a capire perché ti sembri così strana addosso a lui. Ma sì, ti dici a un certo punto, è che è troppo larga, gli cade giù come una camicia da notte, è ridicola. E stai quasi per metterti a ridere quando capisci che è tua.
È tua.
È una di quelle vecchie magliette bianche, semplici, senza decorazioni, che tua madre ti ha comprato in stock. Un giorno è tornata a casa e ti ha rovesciato sul letto il contenuto di un sacchetto di plastica, e dentro c’erano tipo sei o sette di queste magliette tutte uguali. “Le metti sotto i maglioni!” ti ha spiegato, “Così non prendi freddo.”
Charlie deve averne rubata una. Non te ne saresti mai accorto, visto che sono tutte uguali e naturalmente non pensi mai a contarle per vedere se ci sono tutte. Ti confonde vedergliela addosso, però, perché è enorme, lui quasi ci nuota dentro, il colletto è troppo largo e gli si apre quasi su una spalla, e poi le sue gambe, davvero, non può pensare di mettersi addosso una cosa simile senza un paio di pantaloni sotto, e stai quasi per entrare in cucina e fargli una partaccia di quelle indimenticabili, però quando ci provi ti si blocca il fiato in gola, deglutisci a fatica, lo osservi dondolare le gambe come il ragazzino che è e non ci riesci più.
Indietreggi. Sentendoti irrazionalmente spaventato, torni in camera tua. Ti infili sotto le coperte, provi a riaddormentarti, ma tutto ciò che ottieni è di rimanere lì a fissare il soffitto, confuso e angosciato, davanti agli occhi l’immagine delle gambe nude di tuo fratello lasciate scoperte dalla maglietta troppo lunga ma evidentemente non lunga abbastanza.
Nelle domeniche come questa, in cui sei a letto e ti godi il tepore delle coperte e la luce del sole che gioca a nascondino sul soffitto fra le assi delle imposte socchiuse, quell’immagine torna sempre a galla. Ci riesce senza che tu abbia il tempo di impedirlo, approfitta del tuo stato di debolezza, dell’incoscienza causata dal sonno, e le gambe nude di Charlie tornano a dondolare innocentemente davanti ai tuoi occhi. E tu li chiudi, ma le immagini non si fermano, e tu puoi solo assecondarle. Le assecondi scivolando con una mano lungo la linea piatta del tuo ventre, insinuando le dita oltre l’orlo elasticizzato dei boxer e prendendo a toccarti distrattamente, perfino un po’ goffamente, come – immagini – anche Charlie avrebbe fatto se gliel’avessi chiesto, anni fa, lui che era così piccolo, lui che non aveva mai avuto nessuna esperienza, lui che ogni tanto si sedeva sul divano accanto a te e, arrossendo come una ragazzina, ti riempiva di domande imbarazzanti perché aveva visto qualche video o qualche foto che non aveva capito, e tu gli rispondevi, gli spiegavi tutto con un sorriso bonario, sentendoti scorrere brividi sotto la pelle per ogni gradazione di rosso che gli vedevi affiorare sulle guance.
Ti accarezzi pigramente, seguendo col bacino il ritmo imposto dalla tua mano, ondeggiando lentamente, stringendo appena la tua erezione fra le dita. Le gambe nude di Charlie continuano a dondolarti davanti agli occhi, tu cerchi di guardare qualcos’altro e appare la curva dolcissima delle sue spalle nude, e riesci quasi a vederti mentre entri in cucina, sfiori la pelle bianca delle sue cosce ed insinui la mano oltre l’orlo inferiore della maglietta, cercando punti più nascosti e sensibili da accarezzare.
Riesci quasi a vederlo mentre piega le labbra in una smorfia incerta e preoccupata, si guarda intorno allarmato, ti sussurra che no, Don, non potete, e poi si scioglie sulle tue dita quando solo provi a sfiorarlo oltre il tessuto leggero degli slip.
Quando i ricordi e le fantasie si fondono in un sogno all’interno del quale non riesci più a distinguere cosa sia reale e cosa no, ti stringi fra le dita con più forza, ti spingi con più decisione all’interno del tuo stesso pugno chiuso, e grugnisci confusamente quando vieni in un brivido caldo che ti lascia senza fiato, costretto a tornare a distenderti e fissare il soffitto come quella mattina di tanti anni fa, confuso e perso ancora alla stessa maniera.
E pensi che se sei andato via forse non è stato solo perché volevi la tua indipendenza. O perché non sopportavi più l’aria di casa. O perché volevi provare a crescere facendo affidamento solo sulle tue forze.
Forse stavi scappando da qualcosa. Qualcosa che gli anni non sono riusciti a cancellare, ma che hanno nascosto abbastanza a lungo perché tu potessi illuderti che fosse scomparsa.
Prima era più facile. Potevi scappare fingendo di non sapere da cosa.
Ora lo sai, e non puoi neanche più fuggire via.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Charlie/Don.
Rating: R
AVVISI: Angst, Lime, Incest, Spoiler per la quinta stagione.
- Charlie non ha più il suo nullaosta, e non può più aiutare l'FBI nella risoluzione dei casi. Questo turba sia lui che Don molto più di quanto non dovrebbe.
Commento dell'autrice: In queste ultime settimane la Rai ha ripreso finalmente la programmazione di Numb3rs, cominciando a mandare in onda la quinta serie <3 E io, visto ciò che succede nelle prime due puntate della serie, non potevo proprio risparmiarmela, questa storia XD Titolo rubato all'omonima canzone dei Placebo.
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Di fronte al suo rifiuto di rispondere ad una domanda vagamente curiosa sul caso che sta seguendo, Charlie sorride appena, un po’ imbarazzato. Don cerca di ripetersi che il suo no non è stato né troppo netto né troppo sgarbato, e che comunque, anche quando lo fosse stato, non può permettersi di essere troppo morbido. Charlie, normalmente, ha già abbastanza potere di fargli fare qualsiasi cosa anche contro la sua volontà, non è un privilegio che può estendergli anche al suo lavoro. O meglio, era un privilegio che era molto felice di potergli concedere fino a qualche settimana fa. Ora, semplicemente, non può più. È una cosa con la quale entrambi devono venire a patti, e se Charlie, coi suoi sorrisini colpevoli e minuscoli e con quel modo spaccacuore che ha di evitare il suo sguardo, è convinto di essere l’unico a soffrire di questa situazione, be’, si sbaglia di grosso. Hanno solo un modo diverso di soffrirne, ma ne soffrono entrambi.
- Non fare quella faccia. – borbotta burbero, - Lo sai che—
- Sì, lo so. – sorride più apertamente Charlie, anche se la nota triste nella sua voce è forte, e piega gli angoli delle sue labbra in modo da rendere tristissimo anche il più dolce dei sorrisi, - Scusami, non avrei dovuto chiedere.
In realtà Don vuole che suo fratello gli faccia delle domande. Lo vuole presente, vuole che gli chieda tutto, vuole che ficchi il naso in affari che non gli competono per appropriarsene, come fa sempre. Lo vuole disperatamente, come vorrebbe potergli rispondere,  ma dal momento che non può vuole solo che Charlie chieda, in modo da potergli dire di no, e farlo sentire in colpa, e punirlo, e punirsi.
Tutta questa situazione, si dice, è ridicola. Charlie è stato un idiota, ed anche lui. Che avrebbe dovuto immaginarlo, avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto almeno provare a fermarlo. Molto probabilmente non ci sarebbe riuscito, e questa è una cosa di cui è ben cosciente, ma è devastato dalla consapevolezza di essere stato tanto stupido da non fare nulla per cercare di prevenire questa situazione disastrosa.
- Mi dispiace. – mugugna. Non è neanche davvero sicuro di aver detto proprio quello, s’è limitato a biascicare delle lettere a caso sperando che poi l’aria le plasmasse per renderle qualcosa di vagamente comprensibile, e la mente di Charlie portasse a termine il compito, lavorando di fantasia, per tirarne fuori qualcosa di sensato. Comunque non ha importanza, perché subito dopo aver parlato si dirige speditamente verso la camera degli ospiti, visto che è tardi, ha sonno, domani vuole fare una buona colazione e sostanzialmente non ha alcuna intenzione di mettersi in macchina e guidare fino a casa, neanche se dovesse valergli la vita.
- Ricordi – lo ferma Charlie, e parla così piano che Don lo sente per miracolo. Hanno entrambi questo brutto vizio di non dire le cose. O di dirle male. Finiranno a mettersi nei casini sul serio, prima o poi, Don lo sa. – Ricordi quando stavi ad Albuquerque? Ogni tanto ti scrivevo delle lettere.
- Che cosa? – chiede confusamente, voltandosi a guardarlo. Charlie sta guardando fisso il pavimento, e sorride ancora, anche se il suo è un sorriso lontano. – Non ricordo di aver letto nessuna lettera da parte tua, in quel periodo. – riflette, - O in qualsiasi altro periodo.
- Sì, - ridacchia Charlie, grattandosi la nuca, palesemente in imbarazzo. Don guarda le sue dita sfilare fra i riccioli neri alla base del collo, e deglutisce. – Sì, perché non te le spedivo. Non l’ho mai fatto. Le scrivevo, le conservavo per qualche giorno… non le rileggevo mai, comunque. E poi le buttavo via.
Don torna indietro, lasciandosi andare sulla poltrona e guardando suo fratello, che invece resta in piedi, proprio accanto a lui. Vorrebbe invitarlo a sedersi e parlare un po’, ma per qualche motivo le parole suonano inappropriate perfino mentre prova a chiedersi come sarebbe pronunciarle davvero, perciò rinuncia.
- E cosa mi scrivevi? – chiede invece, sorridendo appena. Charlie ridacchia, ancora imbarazzato.
- Cose di cui non ti sarebbe interessato minimamente. – ammette, stringendosi nelle spalle, - Scoperte che facevo, calcoli particolarmente affascinanti che mi riuscivano, magari dopo qualche giorno di tentativi. E ti facevo il riassunto delle partite di baseball che papà guardava mentre io studiavo, perché immaginavo che non avessi il tempo di vederle. – sbuffa una mezza risata, sospirando. – Non è che capissi un accidenti di baseball, naturalmente, perciò, insomma, erano riassunti un po’ campati per aria. E poi… - si prende qualche istante, prima di proseguire, come fosse incerto sulla possibilità di pronunciare davvero quelle parole, - e poi ti chiedevo qualcosa di te. Cose che non ricordavo, o che non avevo mai saputo. Tipo quale fosse il tuo colore preferito, o cos’avessi mangiato per pranzo. E, ecco, sì, anche se stessi seguendo qualche caso interessante.
Don sorride, cominciando ad intuire dove Charlie voglia andare a parare. Lo intenerisce rendersi conto una volta di più di quanto Charlie senta il bisogno quasi fisico di far precedere ciò che vuole dire da un’introduzione, perché è ogni volta come se sentisse la necessità di spiegare se stesso per motivare ciò che vuole dire davvero. Don vorrebbe dirgli che lui non è come i suoi allievi all’università, lui non ha bisogno di preamboli per capirlo. Solo che poi si rende conto che non è vero, e questa cosa un po’ lo rattrista. Anche lui ha bisogno dei preamboli, quando si tratta di Charlie. Ed ha bisogno di una legenda, di coordinate, per capirlo, perché quando gli si presenta e fa le cose senza spiegarsi, il più delle volte, suo fratello gli è incomprensibile. E gli ultimi avvenimenti ne sono una prova.
- Non avrei potuto parlartene, sai? – dice, sempre sorridendo. Charlie sorride a propria volta.
- Lo so, - annuisce, - e proprio per questo, quando ho ricevuto il mio nullaosta… è stato un po’ come chiudere un cerchio, no? Avevo finalmente la possibilità di ricevere una risposta a delle domande che avrei sempre voluto farti, e che mi era mancato il coraggio di porti. E per la prima volta non solo non contava niente il fatto che io non avessi avuto quel coraggio, ma non contava niente nemmeno che il tuo lavoro dovesse restare segreto, perché tutti gli ingranaggi s’erano incastrati nel modo esatto. Capisci? Io non dovevo chiedere. A te bastava rispondere. Ed entrambi potevamo farlo.
È doloroso sentirlo parlare al passato di una condizione simile. Don vuole assolutamente che suo fratello possa tornare a smetterla di porgli domande. Vuole tornare a rispondergli senza doversi far chiedere niente, e si chiede come sia stato possibile, da parte propria, ignorare quanto potesse farlo sentire bene ciò che s’era creato fra loro negli ultimi anni. Hanno dovuto toglierglielo, per obbligarlo a realizzare.
Charlie si guarda intorno con aria un po’ incerta, come volesse verificare di trovarsi davvero solo con lui in quel momento, come volesse avere la certezza di poter parlare liberamente.
- C’era un’altra cosa. – aggiunge quindi, deglutendo a fatica ed evitando a tutti i costi i suoi occhi, - C’era un’altra cosa che ti dicevo, nelle lettere.
Don lo guarda e manda giù un blocco d’aria tanto duro e pesante da sembrare di cemento. Cerca i suoi occhi e loro continuano a sfuggirgli, e l’unico pensiero lucido che si permette è che si sta enormemente pentendo di essersi seduto, perché ora si sente in trappola – non può alzarsi e scappare – ed anche in soggezione – Charlie è lì, in piedi, col suo segreto sulla lingua, e lui, malgrado sia il fratello maggiore, non può che sentirsi minuscolo a guardarlo dal basso, in quella posizione.
- Cosa? – chiede con un filo di voce. Non è sicuro di volerlo sapere, dopotutto.
Charlie lo guarda fugacemente, appena per un attimo, e poi si inumidisce le labbra. Don segue il movimento della sua lingua cercando di fare in modo che lui non se ne accorga.
Quando Charlie riprende a parlare, quasi balbetta.
- Io e te – dice, la voce che trema, - siamo sempre stati lontani. Anche quando vivevamo insieme, anche quando eravamo piccoli, noi eravamo così diversi, Don, e io ho sempre pensato che non saremmo mai riusciti ad avvicinarci. Ed era una cosa che mi faceva stare così male che--  - si interrompe, rompendosi in una risatina nervosa, - così male che non saprei nemmeno spiegartelo, non facevo che pensarci. E ti ho odiato quando sei andato via, perché anche se capivo che non era per allontanarti da me che lo stavi facendo, il mio— non lo so. Il mio corpo, forse, pensava automaticamente che fosse quello, il motivo.
- …Charlie, non ho mai pensato di andarmene per allontanarti da te. – dice Don, inarcando le sopracciglia verso il basso, sinceramente rattristato. Sulle labbra di Charlie si disegna un sorriso imbarazzato.
- Lo so, ma non ho mai potuto controllarla, questa cosa. Io— io non sono come te, tu sei bravo a controllare le emozioni, io esplodo come un esperimento di chimica fallito, ogni volta. E faccio un sacco di danni, e— quando sei tornato, io ti ho odiato ancora di più. Perché il mio corpo continuava a sentire che te n’eri andato per colpa mia, e che poi, quando eri tornato, non era stato grazie a me, e se fosse dipeso da te avresti tranquillamente continuato a restare dov’eri. Non so se capisci cosa intendo. – biascica in una risatina confusa, - È una cosa così ridicola. Lo era anche allora, e provavo a spiegartelo nelle lettere, ogni tanto. Ti chiedevo cosa fosse, cosa pensavi potesse essere, ma poi le lettere facevano la fine che ti ho detto, e quindi tu non mi hai mai risposto. Non mi hai mai detto cosa ne pensavi. E alla fine ho dovuto capirlo da solo, capisci?, perché-- - il suo monologo si fa più concitato, accompagnato da un gesticolare nervoso e insensato che agita Don fin dentro le viscere, costringendolo a conficcare le unghie nei braccioli della poltrona, - perché sennò sarei esploso, Don. Io avevo bisogno di una risposta, e non potevo chiedertela, perciò ho dovuto darmela, capisci? Dimmi che lo capisci.
- Lo— lo capisco. – annuisce Don, e vorrebbe alzarsi in piedi ed abbracciarlo, giusto per farlo sentire un po’ più tranquillo, ma non ci riesce, perciò resta seduto. – Cos’è che ti sei risposto? – chiede alla fine, deglutendo pesantemente. Ha paura di ciò che suo fratello potrebbe dirgli, ma d’altronde, si dice, questa situazione deve finire. C’è qualcosa di poco chiaro, fra loro, ed è poco chiaro proprio perché nessuno di loro due ha mai avuto il coraggio di porre all’altro la domanda giusta. Ora quel coraggio c’è, forse perché sono più vicini di quanto non fossero un tempo, forse solo perché è notte e sono soli e questo rende tutto molto più ovattato, apparentemente meno pericoloso, e Don ha l’impressione che, qualsiasi cosa Charlie possa dirgli in questo momento, lui riuscirebbe a farsela passare addosso senza troppi drammi, per cui vuole che, se una risposta dev’esserci, sia adesso. Perché ora è giusto, ora va bene. Ora può gestirla, o almeno così crede.
Charlie si morde un labbro, si gratta la nuca, si accarezza il collo come volesse scioglierne i muscoli o dissipare l’imbarazzo che lo tiene teso quasi fino allo spasmo, e poi lo guarda. Schiude le labbra, fa per dire, qualcosa, guarda di nuovo altrove, e Don è così nervoso che potrebbe anche saltare in piedi e prenderlo a pugni, o prendersi a pugni, e quando Charlie torna a guardarlo e mormora un “io credo che tu mi piaccia” stentato e imbarazzato e balbettato e soffocato e tenero da morire, il suo braccio scatta automaticamente, senza che lui possa fare niente per controllarne il movimento.
Lo afferra per il colletto della camicia, lo strattona verso il basso con violenza, tant’è che il primo bottone vola via e si perde da qualche parte sul pavimento, invisibile nell’oscurità che avvolge la stanza. E Don, stupidamente, per un secondo – per quel secondo in cui è ancora in grado di sentirsi in colpa perché le proprie labbra stanno sfiorando quelle di Charlie – spera che sia lui che suo fratello possano fare la stessa fine di quel bottone, diventare invisibili, perdersi per sempre, e non tornare più.
L’unica cosa che si perde, invece, è l’equilibrio di Charlie, che gli frana addosso mentre le sue ginocchia cedono un po’ per la sua spinta ed un po’ per il bacio, appena si fa più umido e affamato e incomprensibilmente arrabbiato – o forse solo affannoso e spaventato. Don sente le mani di suo fratello piantarsi con forza sulle proprie spalle, mentre cerca di aiutarsi a trovare un equilibrio nuovo ed una nuova posizione, standogli praticamente inginocchiato in grembo, in bilico nel tentativo di non fargli male.
Continua a baciarlo sempre con la stessa foga mentre lo sente sistemarglisi meglio addosso, schiudendo le gambe e scivolando seduto sulle sue ginocchia con una naturalezza che già da sola lo fa impazzire, e rallenta un po’ il ritmo solo quando sente il suo respiro cominciare a farsi faticoso e pesante. Si allontana, ma non troppo, e il suo respiro caldissimo s’infrange in brividi altrettanto caldi sulle sue labbra gonfie, umide e sensibili. Lo guarda nel buio, Charlie ha gli occhi chiusi, la fronte poggiata contro la sua, cerca di tornare a respirare ad un ritmo normale e i suoi lineamenti sono finalmente rilassati, tranquilli, quasi riposati. Sembra più piccolo  di quanto non sia – e più bello di quanto lui non l’abbia mai visto.
- Immagino che la tua risposta sia questa. – sorride appena Charlie, parlando a voce bassissima, senza muoversi di un millimetro.
- Immagino di sì. – risponde lui, sollevando una mano ad accarezzargli una guancia. Il sorriso di Charlie si allarga un po’.
- Non sento il bisogno di chiederti altro. – dice in un soffio, e Don ride.
- Anche perché io non saprei cos’altro risponderti. – ribatte. Charlie apre gli occhi, lo scruta in silenzio, sorride ancora. Poi lo bacia lievemente sulle labbra, e poco dopo si rimette in piedi.
- Dormiamoci su. – suggerisce. Don si chiede se intenda da soli o insieme, ma prima ancora che abbia il tempo di porre la domanda Charlie risponde, tendendogli una mano. È una domanda anche quella, dopotutto. E Don risponde stringendola.
Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: G
AVVISI: Angst (lievissimo), Spoiler per l'episodio 3x24.
- Durante il compleanno di Don, in campeggio, Charlie - sentendo la propria presenza come non gradita al fratello - scappa.
Commento dell'autrice: Tre pezzettini piccoli piccoli dell’infanzia di Charlie e Don, ispirati dal finale della puntata 3x24, che ho trovato oltremodo delizioso ed oltremodo rivelatore sul rapporto che lega i fratelli Eppes. Scritta per la Challenge #27: Triade #1 di It100, titolo rubato pari pari da una meravigliosa canzone dell’ultimo album dei Muse, che è anche una delle robe più Eppescest io abbia mai sentito in vita mia o_o
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Guiding Light


.Buio.
Non è che Charlie creda che Don abbia torto, non è questo, anzi, semmai è proprio convinto del contrario; Don ha ragione, insomma, quale tredicenne sarebbe felice di dover fare da balia a suo fratello il giorno del suo compleanno, quando ha intorno tutti i suoi amici e sta vivendo l’avventura del campeggio, fra il montaggio delle tende e l’accensione del falò e il lago poco distante e provare a pescare le carpe e i rumori dalla boscaglia attorno e tutto il resto? Chi ci si divertirebbe, chi vorrebbe farlo, chi lo farebbe?
Don sta ridendo con un ragazzino della sua età di cui Charlie non ricorda nemmeno il nome, quando papà finisce di accendere il fuoco e si volta trionfante verso i ragazzi, dicendo loro di tirar fuori i marshmallow. La radura è illuminata solo dalle fiamme alte e crepitanti, non c’è altro a rischiararla – il sentiero verso la strada è oscuro, ma Charlie lo ricorda abbastanza bene. Deve solo mettersi a camminare. E lo fa.

.Grigio.
Un passo, un passo, un passo. Charlie procede di addizione in addizione, di unità in unità. Casa non dev’essere troppo lontana, in fondo. A casa c’è mamma che probabilmente avrà una serie di infarti, quando se lo vedrà spuntare all’improvviso sulla soglia della porta, ma poi capirà, e lui non avrà nemmeno bisogno di spiegare – perché con mamma è così, si capiscono al volo, pensano allo stesso modo. Con Don e papà non è mai la stessa cosa, solo che almeno ogni tanto papà ci prova ad entrare, ci prova a capirlo. È discreto, bussa appena e, se non ce la fa, dopo un po’ si stanca e rinuncia. Ma prova. Suo fratello, invece, nemmeno quello. È come se la cosa non lo riguardasse minimamente. È come se lui non lo riguardasse minimamente.
Don è lontano chissà quanti chilometri, quando Charlie alza per la prima volta lo sguardo dalla linea bianca che si allunga dritta e fine sull’asfalto grigio scuro della statale. La notte è sempre più scura e la torcia che porta con sé riesce a malapena ad illuminare i suoi passi, ma tutto ciò che importa a Charlie adesso è continuare a camminare. E lo fa.

.Mattino.
Il sole sta sorgendo pigramente oltre il promontorio, colorando l’aria delle sfumature tenui dell’alba, quando Don trova Charlie e Charlie spalanca gli occhi da sotto la vaporosa frangia di riccioli che gli copre la fronte. Tutto si sarebbe aspettato – tutto, davvero – tranne vedersi spuntare suo fratello di fronte dopo averlo osservato scendere al volo da un camioncino mezzo scassato in chiara overdose da pecore. Chiama piano il suo nome, e Don gli si para davanti, le sopracciglia aggrottate, i capelli scompigliati e maglietta e pantaloni sporchi di terra e di chissà che altro. Lo rimprovera aspramente – Charlie la sente appena, la sua voce, un po’ perché c’è ancora il rombo del furgoncino che riempie tutto anche mentre si allontana, un po’ perché non ha voglia di sentirsi rimproverato, non da lui, non ora, e non vuole sentirsi ripetere che ha fatto preoccupare tutti, che c’è la forestale che lo cerca, che mamma piange, che i loro genitori hanno litigato, che lui era responsabile, che che che, ha sonno, è stanco, ha camminato per chilometri, non ne può più.
Don sfila la giacca e gliela appoggia sulle spalle, delicatamente, con un sospiro rassegnato. Poi gli dice “avanti, torniamo indietro”. E Charlie annuisce, e tutto ciò che deve fare è mettere un piede dietro l’altro e poi ancora e ancora una volta, in fila, e riprendere a camminare, ma stavolta sulla strada inversa. E lo fa.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Charlie/Don.
Rating: R
AVVISI: Incest, Slash, Lime, Self, Underage (lieve, non esplicito e non grafico).
- La prima volta ad otto anni. Poi a dodici, tredici, un continuo fino ai quindici. Poi il vuoto. E poi ancora. Cronistoria inusuale della vita di Charlie Eppes.
Commento dell'autrice: Dunque, c’è questa puntata di non-mi-ricordo-che-serie (la quarta, possibly?) di Numb3rs (abbiate pazienza, non è semplice guardare in contemporanea la seconda e la quarta senza perdersi mentre si scrivono le note finali di una fic alle due e un quarto del mattino, soprattutto se la suddetta fic la si è scritta in preda ad ispirazione improvvisa dopo la visione della suddetta puntata circa, uh, un millennio prima?), in cui Don, a un certo punto, dal niente, blatera cose riguardo al fatto che lui e Charlie non sono mai andati ad un appuntamento a quattro. Ora, non vogliamo soffermarci su quanto sia WTF e pertanto palese prova di sentimenti incestuosi che un fratello pensi/dica una cosa simile ad un altro fratello, ma Charlie coglie l’occasione per dire al mondo che in effetti lui e suo fratello una volta hanno fatto qualcosa di simile – Charlie aveva otto anni ed aveva appunto invitato a casa la sua amichetta Michelle, mentre Don, invece, già si limonava la babysitter, amiamolo tutte. Insomma, da lì è partita questa storia che in teoria doveva essere molto più underage e disturbante di com’è venuta fuori, ma è comunque abbastanza underage e disturbante, soprattutto quando il tipo venuto fuori dal nulla ci prova con Tredicenne!Charlie, OMG. Dio mi perdoni.
(Titolo rubato ai Muse, ovviamente. Si prospetta un lungo periodo di furti, con quest’album.)
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UNDISCLOSED DESIRES
50 Kinks / 036 Wanking (Masturbazione)


Della prima volta non ricordi moltissimo, probabilmente perché avevi otto anni. Quando hai otto anni e ti ritrovi a toccarti piano nascosto dietro uno scatolone mentre tuo fratello di cinque anni più grande bacia la babysitter e, dalla cucina, la tua amichetta Michelle grida a gran voce che le fette biscottate con la marmellata sono pronte, il tuo primo desiderio è dimenticarle al più presto possibile, certe cose.
Poi l’imbarazzo è perdurato per molto tempo, perciò sei stato tranquillo per un po’, e quando è successo di nuovo hai fatto in modo che fosse per qualcosa che con Don non aveva niente a che fare. Dodici, tredici anni, forse, e un giornaletto che qualcuno ti aveva rifilato – qualcuno di decisamente più grande di te, ma non ti stupisce pensarlo, visto che a quell’età eri circondato solo ed esclusivamente da persone più grandi di te. Non ricordi il suo volto – ricordi le parole con cui ti passò la rivista, ricordi la sua risata e quel “il piccolo Eppes deve farsi una cultura anche lui, no?”, e ricordi la sua mano insinuarsi insistente fra i tuoi riccioli, e il tuo scostarti immediatamente, con il fiato corto, il cuore che ti martellava nel petto tanto forte da darti l’impressione di voler sfondare la cassa toracica e fuggire via il più lontano possibile. Poi ricordi di essere tornato a casa, esserti sdraiato sul letto ed aver tirato fuori la rivista dallo zaino. Ricordi ancora la sensazione tattile delle pagine patinate sotto i polpastrelli, i volti dei ragazzi, alcuni sorridenti, altri misteriosi, altri ancora coi lineamenti sconvolti dal piacere, occhieggiare disinvoltamente verso di te, e ricordi di esserti morso un labbro ed aver lasciato la tua mano scivolare lenta dentro i pantaloni, chiudendo gli occhi. Ricordi di aver pensato ai ragazzi della rivista, per un po’, e poi ricordi Don, come sempre, infiltrarsi silenzioso e svelto nelle tue fantasie e prenderne il posto – il suo viso i suoi occhi le sue labbra il suo petto le sue gambe i suoi fianchi la sua schiena le sue mani la sua lingua – e ricordi la sensazione devastante dell’orgasmo, il primo completo della tua intera vita. Ricordi la spossatezza, subito dopo, esserti addormentato all’improvviso ed esserti risvegliato dopo un paio d’ore, di malumore e col mal di testa. Ricordi Don chiederti “che hai?”, ricordi distintamente di averlo ignorato e di esserti rifugiato in cucina, per poi arrampicarti su una sedia e mangiare gelato fino a stare male, senza un perché.
Da quella volta è stato un continuo – ricordi di esserti spaventato, ad un certo punto, perché insomma, era normale farlo tante volte al giorno? Sì, lo era, ma non era tanto semplice parlarne, e non era tanto semplice neanche reperire informazioni, non quanto lo sarebbe diventato grazie ad internet nel giro di una decina d’anni, e perciò stavi in silenzio perché parlare avrebbe significato mettere a rischio tutta l’impalcatura di veli che avevi costruito attorno a te perché nessuno nessuno nessuno al mondo potesse capire che, appena calava la sera e ti rifugiavi nel tuo letto, fra le coperte, cominciavi a toccarti pensando a tuo fratello.
Poi ricordi il college e gli studi per la tesi e la stanchezza che certe notti ti pesava sulle spalle come una pietra, e ricordi le mani che scivolano sul petto e sulla pancia, oltre la cinta, dentro i jeans, ricordi che ti dicevi “solo un po’, scarico la tensione e mi rimetto al lavoro”, ricordi di esserti perso fra le tue stesse dita socchiudendo gli occhi per un minuto e la voce di Don, “che fai?” in una risatina divertita, l’imbarazzo, il ripeterti incessantemente maipiùmaipiùmaipiù giuro non lo farò mai più mentre Don cercava di calmarti, “guarda che è tutto a posto, ehi, tranquillo, non vado mica a dirlo in giro”.
Ricordi di non esserti toccato più per un bel po’, dopo. E ricordi la partenza di Don e come niente sembrasse più la stessa cosa, senza di lui. E poi ricordi mamma, e be’, allora c’era poco da scherzare e poco altro cui pensare, perciò hai lasciato che la matematica diventasse tutto il tuo mondo – non ti faceva sentire meno colpevole, ma ti stordiva e ti assorbiva abbastanza da non lasciarti pensare a nient’altro che non fosse lei. Tutto il dolore rimaneva fuori dalla bolla che avevi gonfiato tutta attorno a te, ed era semplice muoversi all’interno di quell’ambiente protetto in cui controllavi tutto e riconoscevi tutto perché tu eri tutto.
Poi la vita è tornata a fare il suo corso, come sempre, e Don è tornato per restare e tutto ha ricominciato a farsi più eccitante, più nuovo, diverso, ogni tanto guardavi tuo fratello e ti ritrovavi a metà in un universo parallelo in cui un po’ non lo riconoscevi ed un po’ invece era la cosa più incredibilmente familiare della tua esistenza, e una sera – senza apparente motivo, senza apparente bisogno, Amita era appena andata via e tu non eri insoddisfatto di come avevate passato la serata – hai ricominciato a toccarti. E malgrado il profumo di Amita – dei suoi capelli, della sua pelle, del suo lucidalabbra – fosse ancora lì attaccato ad ogni centimetro del tuo corpo, è a tuo fratello che hai pensato. Al suo sorriso, alle sue labbra, al suo torace, alla curva della sua schiena, l’hai rivisto tredicenne mentre schiacciava la babysitter di tre anni più grande contro la porta del garage, l’hai rivisto ventenne mentre maneggiava la mazza da baseball aggiustandosi il cappellino sulla testa e poi l’hai rivisto trentacinquenne con una pistola in mano ed il giubbotto antiproiettile sopra la maglietta aderente nera e sei venuto senza un suono, stringendo con forza la tua erezione fra le dita e mordendoti un labbro quasi a sangue.
Don ride a bassa voce, e tu sollevi lo sguardo, terrorizzato.
- Oddio. – mugoli, cercando di rassettarti il più velocemente possibile, - Oddio.
- Charlie… - sorride lui, posando in tasca le chiavi di casa e voltandosi per appendere il giubbotto all’appendiabiti, - Tranquillo, dai. Sei sfortunato, finisco sempre a beccarti io. Okay, forse non è del tutto una sfortuna, considerate le alternative. – conclude con un’altra risata. E tu non sai più quante volte ti ha visto, probabilmente molte le hai rimosse e la sola idea ti terrorizza perché così non puoi contarle, ma deglutisci con forza e mandi giù solo aria, mentre Don ti batte una pacca sulla spalla. – Vatti a dare una ripulita, dai, - consiglia bonario, - papà fra poco torna dal suo appuntamento galante, non vorrai mica farti trovare così anche da lui?
Tu annuisci sbrigativamente e scompari in corridoio, e l’ultima cosa che pensi, prima di annullarti sotto il getto d’acqua ghiacciata del lavandino, è che la prossima volta ti chiudi in camera a doppia mandata, cazzo.
Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Charlie/Don.
Rating: NC-17
AVVISI: Incest, Slash, Lemon.
- Immediato seguito della puntata 1x02, all'interno della quale Don viene ferito, ponendo per la prima volta Charlie di fronte agli innegabili pericoli che comporta lavorare per l'FBI.
Commento dell'autrice: Secondo timido tentativo Eppescest – per quanto mi renda conto che alla gente nomale potrebbe sembrare non ci sia nulla di timido nel prendere due fratelli e metterli a strusciarsi l’uno contro l’altro su un divano. Uuuh. Credetemi, rispetto a ciò che scrivo in genere, è timido *annuisce*
Il titolo non mi piace, ma non sono riuscita a pensare a niente di meglio e If You Had My Love che ho su winamp adesso non sta aiutando X’D Perciò ve lo tenete =P
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CICATRICE
20 Rooms / 003 Salotto @ PWP Fest (Kinks&Pervs)
Telefilm @ Fanworld.it Pigiama Party


La serata è stata del tutto identica ad altre centinaia di serate in famiglia – cena tutti assieme, trasferimento in massa con dislocazione omogenea fra divano e poltrone, davanti alla tv, distribuzione di birra e patatine e, se proprio si ha ancora fame, schifezze varie ed eventuali tirate fuori dallo stipetto apposito, che Charlie sembra conoscere con la stessa precisione e devozione che riserva ai suoi calcoli – e perciò Don non si sente disorientato, quando apre gli occhi sullo schermo spento del televisore, la stanza immersa nel silenzio, e l’unico suono che scuote l’aria è quello della penna di Charlie che scivola veloce sulla carta di uno dei suoi taccuini.
- Ti sei svegliato. – constata suo fratello con un mezzo sorriso imbarazzato nella voce, - Non ti ho svegliato io, vero?
- No. – risponde Don, mettendosi seduto e sbadigliando sonoramente, - Come diavolo avresti potuto? Sei più silenzioso di un gatto.
- E tu hai il sonno più pesante di quello di un orso in letargo. – ridacchia Charlie, stiracchiandosi sulla poltrona, - Te l’ha mai detto nessuno?
- Sì. – ride Don, - Sì, qualcuno. Che ore sono? – chiede, notando l’assenza di papà in salotto.
- Uh. – borbotta Charlie, allungando il collo alla ricerca dell’orologio a muro, - Le- oh. Le tre. – sussurra un po’ incerto, tornando a cercare gli occhi di suo fratello, come a volersi scusare, - Mi dispiace, non mi sono reso conto… intendo, e poi dormivi, credevo che-
- Ehi, ehi, ehi… - lo ferma lui, mettendo una mano avanti mentre con la mano libera massaggia la nuca e il collo indolenziti dalla posizione scomoda che aveva assunto durante il sonno sul divano. – Non è colpa tua, okay? Niente scuse. E comunque non è un problema, su, ormai è tardi per tornare a casa, prendo una coperta e un cuscino e-
- Oh! – annuisce Charlie, scattando in piedi e mettendosi immediatamente in movimento senza il minimo problema, come se il suo fisico non risentisse minimamente della lunga immobilità, - Certo, certo! Coperta, cuscino. – elenca sbrigativamente, - Già mezz’ora fa, circa, ci avevo pensato. – spiega, allungandosi a recuperare, appunto, una coperta e un cuscino dalla poltrona lasciata libera da suo padre, - Solo che poi ho avuto paura di disturbarti, intendo, dormivi così serenamente, e visto tutto quello che è successo oggi io ho pensato che-
- Sì, ma Charlie. – sospira pesantemente Don, stendendo il braccio sano per farsi porgere il cuscino, - Piantala di fare così. Davvero, questa cosa ti ha agitato troppo.
Charlie abbassa lo sguardo, sorpassando Don per sistemare il lenzuolo sul divano.
- Io non… - cerca di spiegarsi, muovendosi nervosamente per appuntare il lenzuolo sotto i cuscini, - Io non avevo mai pensato a quanto potesse essere pericoloso. – deglutisce faticosamente, - Tu, capisci, tu sei sempre stato molto sereno, e-
- E lo sono ancora.
- Ma io no! – si ferma all’improvviso Charlie, sollevando lo sguardo su di lui e lasciando ricadere il lenzuolo a metà fra divano e pavimento, respirando un po’ a fatica. – Io no. – ribadisce, tornando ad abbassare lo sguardo. – Quando sono arrivato alla banca c’era quell’agente morto a terra e tutto quel sangue, e tu non c’eri, ed io ho pensato… ho pensato…
- Charlie. – lo interrompe Don, poggiandogli una mano sulla spalle ed abbassandosi appena, per catturare i suoi occhi e riportarli nei propri, - Charlie, ascoltami. È il mio lavoro, questo. La mia vita è a rischio ogni giorno, è per questo che cerco di essere un agente responsabile, per evitare che capitino cose spiacevoli.
- E lo sei! – insiste Charlie, agitato, - Lo sei, sei molto responsabile, incredibilmente responsabile, ma io- - e nel muoversi, nel gesticolare animatamente per cercare di spiegare a suo fratello qual è il punto della situazione, e cioè che è preoccupato a morte, che il vederlo ferito l’ha turbato molto più di quanto non riesca ad ammettere nemmeno con se stesso, che il solo pensiero di trovare lui chiuso in un sacchetto di plastica e pronto per l’obitorio lo manda al manicomio, nel cercare di spiegare ad alta voce tutto questo, di esprimerlo con un senso, così che Don possa capirlo senza fraintendimenti, si agita troppo e colpisce il suo braccio sinistro.
- Ah- Attento, ehi, la ferita si sta ancora rimarginando. – gli fa notare Don, e il suo tono è pacato e tranquillo, ma questo a Charlie non basta.
- Oddio. – mormora dispiaciuto, - Oddio, scusa, non volevo. – balbetta, sfiorando appena la ferita da sopra la camicia, - Ti ho fatto molto male?
- No, non- Charlie, seriamente. – lo ferma ancora, fissandolo negli occhi con decisione, - Devi calmarti. Saperti così agitato non mi aiuta e certamente agitarti non fa per niente bene neanche a te, d’accordo? Perciò ora prendi un bel respiro… - e si ferma finché non lo osserva respirare profondamente, - e dimmi cosa posso fare per tranquillizzarti un po’.
Charlie si inumidisce le labbra, gli occhi scuri resi un po’ opachi dalla preoccupazione, ed inspira ancora.
- La ferita… in che condizioni è esattamente? – chiede infine, tornando a guardarlo con un’aria un po’ persa che gli ricorda com’era quando era un bambino.
- Sta guarendo rapidamente. – sorride Don, soddisfatto, - Vuoi vederla? Questo ti aiuterebbe?
- Non lo so. – risponde sinceramente Charlie, gli occhi che vagano svelti su qualsiasi punto della stanza che non coinvolga la presenza di Don, - Non ne ho idea, però… forse sì.
Don annuisce pratico, e comincia a spogliarsi. Le dita non esitano neanche un attimo, mentre scivolano veloci lungo i bottoni della camicia, aprendoli uno dopo l’altro. Charlie osserva il tessuto bianco scivolare lungo le spalle di suo fratello, e poi guarda l’enorme fasciatura che copre la ferita fin sotto il gomito, e deglutisce.
- Coraggio. – lo esorta Don, calmissimo, - Scioglila.
Charlie solleva lo sguardo, incerto.
- Io? – chiede, indicandosi esitante.
- Sì, tu. – sorride Don, vagamente divertito, - Andiamo. Poi la rimetti anche a posto.
- Non so se sarò-
- Lo sarai. – lo interrompe suo fratello, guardandolo dritto negli occhi. – Forza.
Charlie annuisce mestamente, individuando il punto in cui la fasciatura è stata fissata e cominciando a svolgerla con la stessa meticolosa cura che riserverebbe ad un’equazione. Senza affrettare i passaggi, muovendosi piano da uno strato all’altro, cercando di mantenere il bendaggio già sciolto il più ordinato possibile, senza creare caos. Sbagliare potrebbe portarlo a tirare troppo forte, a muoversi in maniera goffa, a far male a Don. Don non ha bisogno che anche suo fratello gli faccia male, e perciò Charlie sta bene attento a non combinare disastri.
Quando la ferita viene alla luce, Don soffia un po’ per il fastidio che prova nel sentirla esposta all’aria aperta nonostante non sia ancora del tutto rimarginata, e Charlie mormora un “mi dispiace” che si perde in un balbettio confuso quando solleva una mano e la lascia scorrere per tutta la lunghezza del suo braccio in una carezza impalpabile, che non lo sfiora mai, nemmeno una volta.
- Forse è meglio se non la tocchi. – suggerisce Don, guardandolo con una certa curiosità. La mano di Charlie resta lì a mezz’aria, non si avvicina ma nemmeno si allontana, sembra davvero che abbia l’intenzione di accarezzarlo così, sulla breve distanza, ad un paio di centimetri da lui. Qualcosa di molto simile a una scossa elettrica sembra partire dalle dita un po’ tremolanti di Charlie e condensarsi lungo tutta la superficie del corpo di Don, infastidendolo un po’. Ma non chiede a suo fratello di allontanarsi, e resta a guardarlo anche quando si china sul suo braccio e lascia un bacio asciuttissimo e appena percettibile un paio di centimetri sopra la sua ferita.
- …okay. – ridacchia Don, imbarazzato, incerto fra la possibilità di spostarsi qualche centimetro e quella di rimanere lì immobile dov’è (e quella di chiedere a Charlie di farlo di nuovo, perché nel momento esatto in cui le sue labbra l’hanno sfiorato tutta l’elettricità statica che s’era accumulata sulla sua pelle s’è condensata ed è esplosa in una scossa che gli ha fatto male almeno quanto l’ha fatto stare bene), – Questo è stato strano.
- Mi dispiace. – sussurra ancora Charlie, rimettendosi dritto e perdendosi nuovamente nei suoi occhi, - Mi… - ma non conclude la frase, perché si sporge in avanti e lo stesso identico bacio che ha riservato al suo braccio, pochi secondi prima, finisce adesso sulle sue labbra. Ugualmente asciutto, ugualmente tenero, e la scossa esplode di nuovo, e Don credeva di non averne altra, di elettricità accumulata, ma invece evidentemente non era così.
Charlie si allontana da lui e lo guarda implorante, come fosse in cerca di una risposta. Don vorrebbe ricordargli che lui ne ha sempre avute poche, lui è quello delle domande, le risposte non sono la sua materia, non dovrebbe cercarle nei suoi occhi, ma dentro di sé. E invece non riesce a fare altro che schiudere le labbra e boccheggiare senza un senso, e quando Charlie abbassa gli occhi, si morde un labbro e mormora “suppongo che questo sia ancora più strano”, Don scatta in avanti e lo afferra per le spalle, e stringe, stringe, stringe, anche se la ferita fa male, sperando non si apra, sperando di non macchiare niente, stringe e stringe e se lo tira contro, e nel momento in cui lo bacia, il suo bacio è molto diverso da quello che Charlie gli ha dato poco prima, è umido e aperto e caotico e violento, è molto più da lui, e Charlie lo lascia fare, aggrappandosi alle sue spalle per paura di cadere, chinando il capo per agevolarlo nei movimenti, stringendosi a lui e mugolando appena quando le sue mani scendono all’altezza dei suoi fianchi e li stringono fra le dita con la forza di una tenaglia, in una richiesta muta che più che chiedere ordina.
Il divano li accoglie entrambi con un mugolio sinistro, Don si separa da Charlie il tempo necessario per mordersi un labbro e soffocare con un dolore più recente e controllato il dolore che gli ha investito tutto il braccio in seguito allo strattone deciso che Charlie gli ha rifilato inciampando, cadendo fra i cuscini e trascinandolo con sé.
- Mi di- - prova ad accennare Charlie, e Don lo bacia ancora, con forza.
- Basta dispiacerti. – ansima sulle sue labbra, intrufolandosi fra le sue gambe ed accogliendo in punta di lingua il suo mugolio spaventato e confuso, - Basta sentirti in colpa. Basta scuse. – e lo guarda attentamente, prima di baciarlo ancora.
Charlie si perde del tutto, chiude gli occhi ed allaccia le gambe attorno ai suoi fianchi, intrecciandole dietro la sua schiena e strusciandosi lentamente contro di lui, la forma chiara e turgida dell’erezione di Don che si preme contro la sua attraverso i jeans, e i vestiti non sono abbastanza per impedire ad entrambi di sentire quanto si vogliono, ma l’imbarazzo li frena dallo spingersi più avanti di così – l’imbarazzo ed il fatto che sì, questo è ancora più strano di un bacio sul braccio, ma è più strano anche di un bacio sulla bocca – perciò tutto ciò che riescono a fare è continuare a strofinarsi l’uno contro l’altro, al punto che sembra si stiano solo accarezzando, ma non è così, perché Charlie mugola e Don ringhia e tutti questi piccoli suoni finiscono catturati dalle loro labbra, Don intrappola la voce di Charlie nella sua gola seguendo in una scia umida la linea del suo collo, Charlie interrompe i ringhi di Don a metà stringendosi convulsamente contro di lui e muovendosi più veloce, più veloce, più veloce, finché i confini delle cose si sfumano e diventano impalpabili, e perfino i confini fra i loro corpi si annullano del tutto, e non esistono più.
Il lenzuolo s’è staccato dagli angoli dei cuscini ai quali Charlie l’aveva sommariamente appuntato, e a causa del loro movimenti frenetici è scivolato quasi tutto per terra, così che adesso quel po’ dei loro corpi che è riuscito a sfuggire dai vestiti – le braccia di Don, libere dalla camicia, la schiena di Charlie, scoperta dalla maglietta che s’è arrotolata tutta fin quasi alle scapole – si appiccica fastidiosamente al tessuto del divano, lasciando aloni d’umido che scompaiono subito ma dei quali Charlie non è certo che non rimarrà traccia l’indomani. Forse ci sarà da lavare la tappezzeria – e di sicuro ci sarà da avviare la lavatrice, visto il disastro che c’è nei suoi pantaloni e che dovrebbe rispecchiare in pieno il disastro che c’è nei pantaloni di Don.
Don che si rifiuta di guardarlo e tiene gli occhi chiusi, la fronte appoggiata alla sua e il respiro pesante.
- Posso scusarmi, adesso? – chiede Charlie, timoroso, - Per… questo, e per tutto il resto.
Don apre gli occhi, finalmente, e lo scruta a lungo, senza una parola. Poi lo bacia ancora, lievissimo, all’angolo della bocca.
- No. – risponde semplicemente. E, quando si rialza in piedi, la prima cosa che fa è tendere a Charlie la mano del braccio sano, per aiutarlo ad alzarsi a propria volta.
Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Charlie/Don.
Rating: PG-13
AVVISI: Incest, Boy's Love.
- Di cinque anni in cinque anni, storia dell'evoluzione del rapporto dei fratelli Eppes.
Commento dell'autrice: Prima fic su Numb3rs \o/ Naturalmente Eppescest. Se esistono due fratelli in una serie, è quasi scontato che io li shipperò, e gli Eppes sono così palesemente canon/pucciosi/shippabili che io non potevo in alcun modo resistere al richiamo dell’incest. A parte questo, originariamente doveva essere un p0rn, tant’è che i prompt sono presi da una tabella di Kinks&Pervs. Poi, per una cosa o per l’altra, è uscita una roba castissima XD E ciò ha portato Fae a compiere il grande passo ed aprire Casti&Puri appositamente per me. Son cose.
(No, il movimento di cinque anni in cinque anni della fic non ve lo siete sognato, è proprio così.)
(Il titolo è rubato a Taste It degli INXS.)
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
NEVER TASTE IT
Taste Of Lust @ Casti&Puri
Raccolta di Drabble @ Fanworld.it Pigiama Party


.Sweet Sugar.
Charlie ha cinque anni e Don non lo capisce già più. Ne ha dieci, lui, Charlie a volte lo guarda e gli dice qualcosa e si aspetta che suo fratello maggiore sia in grado di seguirlo, ma Don a volte non ci riesce e basta, e per la verità non si può nemmeno dire che ci provi davvero, dopotutto. A volte succede – Charlie si volta, lo guarda, gli parla. Don lo fissa di rimando, ma non sta davvero a sentirlo, si perde nella sua voce, o dentro il proprio cervello – che è una cosa che Charlie può capire, anche lui spesso si perde dentro il proprio, ma non crede che dentro il cervello di Don ci siano esattamente le stesse cose che ci sono dentro il suo. Non è che non creda suo fratello una persona intelligente, non è assolutamente così, è solo che non si trovano, quelle cose non ci sono. È come quando prende le formine e le mette ai loro posti sul pannello, sempre più veloce, prendendo a calci in faccia il tempo. Ogni tanto i professori a scuola gli mettono nel mucchio forme che sul pannello non hanno un incastro, lo fanno apposta per vedere se ci casca – Charlie non ci casca.
Si volta verso Don e gli parla di nuovo, “la formina con la stella, sai, non c’era”, e Don lo fissa, mettendo da parte il videogioco e mandando giù un biscotto che ha fatto la mamma meno di due ore fa, un biscotto ricoperto di zucchero a velo, gli resta la traccia sulla punta delle dita e la formina con la stella non c’è nemmeno nella testa di Don. “Non c’era”, ripete, e Don gli posa l’indice sulle labbra. “Shh”, sussurra, e poi toglie il dito e torna al suo videogioco. Charlie lecca via lo zucchero dal labbro superiore, e pensa che sia quello il sapore di suo fratello. Ne resterà convinto per anni.

.French Fries.
Oggi è stata una buona giornata – è stupido pensare in questi termini solo perché per una volta non hai litigato con tuo fratello per un qualche motivo assurdo e per un qualche motivo ancora più assurdo lui ha deciso di portarti al cinema a vedere un film fantascientifico, senza lamentarsi ogni volta che aprivi bocca disturbando l’universo creato per esporre le tue perplessità riguardo la concretezza delle ipotesi espresse dallo sceneggiatore nell’ambito della probabilità di uno sbarco alieno sulla terra o della distruzione di determinati centri di potere piuttosto che di altri.
Tutto ciò che Charlie sa è che Don è di buon umore. Ha dieci anni, Charlie, e capisce un mucchio di roba che un sacco di gente fatica a comprendere, ma i meccanismi per i quali si muove il cervello di suo fratello restano ancora misteri insoluti e insolubili, perciò accetta le risate di Don per quelle che sono – risate e basta, sono anche piacevoli da ascoltare – e per la verità non sembra che, ridendo, Don voglia prenderlo in giro, perciò meglio così.
- E comunque la traiettoria di quel raggio laser è completamente sballata, lo vedrebbe anche un cieco. – si lamenta ancora, pignolo, puntando il dito contro lo schermo. Una signora si lagna infastidita dietro di loro, Don ride, recupera una patatina fritta dalla vaschetta che tiene fra le mani e gliela ficca in bocca senza la minima delicatezza.
- Sta’ un po’ zitto adesso, Charlie. – dice in un’altra mezza risata, e nell’infilargli la patatina in bocca si lascia sfuggire un po’ la mano, e Charlie assaggia il gusto unto e salato appiccicato sui suoi polpastrelli, e pensa che suo fratello ha smesso di sapere di zucchero, e che quel nuovo sapore gli piace lo stesso.

.Bitter Fruit.
- Non ho tempo per te, adesso. – ringhia Don, e manda giù una prugna, per poi concedersi una smorfia schifata. Non era abbastanza matura, niente lo è mai per Don, d’altronde, e Charlie lo sa che tutta la rabbia di suo fratello è lì solo perché è invidioso delle sue capacità, il bastardo, perché non pensava che fosse maturo abbastanza da diplomarsi assieme a lui a tredici anni, così come non pensa che sia maturo abbastanza per laurearsi, adesso che ne ha quindici. Bastardo, due volte bastardo.
- Non stai facendo niente. – gli fa notare in uno sbuffo esasperato, - Volevo solo parlare un po’!
Don è irritabile da giorni, Charlie non ha idea di cosa gli stia succedendo ma sa che si sono ritrovati a sbattersi svariate porte in faccia, nel corso dell’ultima settimana, e per motivi talmente idioti che spesso lui non solo non arrivava a comprenderli, ma nemmeno ad individuarli.
- Sono molto impegnato a non fare niente. – sbotta Don alzandosi in piedi e dirigendosi verso l’uscita della cucina. Charlie gli è dietro il secondo dopo – odia, odia, odia essere lasciato indietro da Don, Don non ha il diritto di lasciarlo indietro, Don non ha il diritto di lasciarlo e basta, ma fa appena in tempo ad arpionare la manica della sua maglia che si ritrova pressato contro la parete, suo fratello schiacciato contro di lui e il mondo che esplode mentre il sapore amaro della prugna attraversa lo spazio fra le loro bocche e lui riesce quasi a sentirlo sulla lingua, e si chiede come sia possibile, e poi smette di chiedersi qualsiasi cosa. – Lasciami. In. Pace. – ordina Don, cupo. E poi lo lascia andare. Il nuovo sapore di suo fratello è insopportabile. Charlie lo odia.

.Hot Coffee.
- È caldo. – gli fa notare Larry, ma Charlie è troppo concentrato sull’equazione che si rincorre su tutte le lavagne della stanza da ore, e non lo sente. Segue con gli occhi la lunga scia di numeri bianchi su sfondo verde, uno di seguito all’altro, formano uno schema che sembra avere un senso, il modo in cui disegna i numeri sempre uguali, ordinati, sorride pensando che potrebbe riuscire ad individuare un algoritmo che possa prevedere in quale posizione precisa scriverà il prossimo numero, poi lascia perdere, scrive semplicemente un uguale e va a capo, preparandosi ad affrontare una nuova parentesi, ed è così perso in ciò che sta facendo che manda giù il caffè e naturalmente si ustiona.
- Ahi… - si lamenta, allontanando il bicchierino di plastica dalle labbra e posandolo sulla scrivania, mentre cerca di accarezzarsi il palato con la lingua senza farsi esageratamente male.
- Ti avevo detto che era caldo. – annuisce Larry, sedendosi su una sedia e scrutandolo attentamente, - Non mi ascoltavi?
- No. – ammette Charlie con un mezzo sorriso, - È che-
- L’equazione ti ha preso, lo so. – annuisce ancora Larry, sorridendo a propria volta. – Sei distratto. Notizie da tuo fratello?
Charlie si mordicchia l’interno di una guancia e scrolla le spalle. Non sente suo fratello da mesi, e non ha idea di quale possa essere il suo sapore adesso. Ma con la lingua che ancora duole per il caffè troppo caldo, è quasi sicuro che, se anche suo fratello fosse lì, il suo sapore non riuscirebbe ad individuarlo comunque, perciò lascia perdere. E torna alle sue parentesi.

.Tasteless Food.
- Non credo tornerà. – dice papà, e mamma sorride stancamente, stringendosi nelle spalle e cominciando a rassettare la tavola.
- Cosa? – chiede Charlie, sollevando gli occhi su di lui. Suo padre sospira, passandosi una mano fra i capelli.
- È impegnato. – cerca di giustificarlo, - Il lavoro e tutto, è molto preso, sta facendo qualcosa in cui crede molto, non dovresti-
- Essere arrabbiato con lui? – chiede Charlie con una risata sarcastica, alzandosi in piedi e lasciando sul piatto metà della propria bistecca. Poco male, non sapeva di niente. – Non sono arrabbiato con lui. – insiste, cercando di mostrarsi forte, disinteressato, cosa potrà mai fregargliene, d’altronde? – Non lo vedo semplicemente da una vita, e- e non lo vedete voi, ecco, quel che è peggio è che non lo vedete voi, non lo vede mamma, e lui se ne frega!
- È la sua vita, Charles. – dice suo padre, - Sta facendo qualcosa in cui crede. – ripete, come servisse a cambiare qualcosa. Charlie ride ancora, sempre più amaramente, e solleva entrambe le braccia, rassegnato.
- Come volete. – risponde in un sospiro, - Come volete.
Il sapore di suo fratello l’ha dimenticato del tutto. A volte vorrebbe averlo davanti per il solo piacere di poterlo prendere a pugni. E poi, cazzo, baciarlo. E vedere se sa di sangue.

.Dark Chocolate.
Don entra nello studio, caotico come al solito, ed a Charlie viene un po’ da ridere, perché non è davvero possibile che suo fratello lo trovi sempre in queste condizioni, ogni volta che entra in quella stanza. Fermo davanti ad una lavagna in cerca di una soluzione. Charlie ogni tanto si chiede perché la matematica lo appassioni tanto. Un tempo credeva fosse perché pensava che risolvere ogni singolo problema esistente al mondo lo avrebbe aiutato a trovare una soluzione anche per i suoi. Oggi sa che esistono problemi che una soluzione non ce l’hanno e basta – e in questo senso la matematica lo conforta: i numeri sono più sicuri, i numeri un risultato lo danno sempre; a volte magari è sbagliato, ma c’è, puoi mettere punto, la parola fine. Non si è così fortunati sempre, nella vita reale, fuori dalle lavagne.
- Non riesci proprio? – chiede suo fratello, poggiando un piattino con un po’ di torta al cioccolato sulla scrivania, - Ti ho portato il dolce.
- Grazie. – sorride Charlie, ravviandosi i capelli dietro le orecchie, - Sto morendo di fame. – annuisce, mandando giù un generoso morso di torta, - E comunque sento di essere vicino alla soluzione. C’è qualcosa che mi sfugge, ma ci sono quasi. Posso farcela entro domattina.
- Sì, ma cerca anche di dormire, di tanto in tanto. – risponde lui con quel suo tono a metà fra lo stupito, il divertito e il rassegnato, così tipico di lui mentre gli si rivolge. Charlie sorride ancora, annuendo, e Don esita a lasciare la stanza. – Non ti starai stancando troppo? – chiede quindi, dubbioso, - Mi stai aiutando col caso e continui a seguire questo problema, e-
- È tutto a posto. – ride un po’ Charlie, - Sul serio, grazie, ma non preoccuparti.
Don si inumidisce le labbra e poi si sporge verso di lui, stringendolo in un abbraccio improvviso e impacciato, che gli mozza il fiato in gola. Non sembra intenzionato a lasciarlo andare, e quando gli sussurra “grazie” all’orecchio prima Charlie si dice che non ne capisce il perché, e poi realizza che non gl’importa.
Quando Don si allontana, le sue labbra lo sfiorano dolcemente prima su una guancia, poi all’angolo della bocca. E poi sente il sapore del cioccolato sulla sua lingua per un attimo brevissimo e infinito che si interrompe bruscamente quando Don si allontana, turbato. Charlie lo guarda di rimando, gli occhi spalancati, il respiro pesante.
- È tutto ok. – dice immediatamente, ansioso, - È tutto ok. – ripete. Don annuisce vago.
- Mangia la tua torta. – dice confusamente, voltandogli le spalle, - E dormi un po’. – conclude, prima di abbandonare la stanza.
Charlie resta immobile nel centro della stanza, guarda la torta sul tavolo, assaggia il sapore di suo fratello misto al cioccolato sulla lingua. Mette da parte la torta e decide di tenere quello.