Genere: Introspettivo.
Pairing: Don/Charlie.
Rating: NC-17.
AVVERTIMENTI: Angst, Underage, Self, Lime, Incest.
- "C’è quella domenica mattina, poi. Ma quella cerchi di non ricordarla quasi mai."
Note: Dunque, è successo che ultimamente ho rewatchato tipo tutte le prime tre stagioni di Numb3rs in, boh, due settimane? *ride* E mi sono fatta prendere benissimo da Don e Charlie, come sempre, perché sono meravigliosi e ogni tanto mi dimentico quanto mi piace la conflittualità del loro rapporto X3 Per cui, ho colto l'occasione offertami sia dal numero 5 di Squee (prompt: in passato), sia dal P0rn Fest #5 @ fanfic_italia (prompt: Charlie Eppes/Don Eppes, maglietta troppo larga) e ho scritto ♥
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I SERVED TIME FOR MY ADDICTION, I PAY THE PRICE FOR MY AFFLICTION

Hai pochi ricordi di quando tuo fratello aveva tredici anni. La maggior parte sei riuscito ad estirparli dalla tua memoria durante gli anni a Quantico, a cancellare la quasi totalità del resto sono serviti gli anni solitari nella Squadra Speciale per il recupero dei ricercati, e ormai quasi tutte le immagini che ti restano in memoria, e che ogni tanto ti abbagliano, annebbiandoti la vista come certi flashback che uno non riesce a frenare in tempo, sono ricordi del tutto negativi, o comunque nient’affatto piacevoli da rievocare.
C’è il giorno del diploma, naturalmente, quello, be’, è marchiato a fuoco nella tua memoria come un tatuaggio, non potresti mai dimenticarlo. Lì sei arrivato proprio a tanto così dal combinare una qualche improponibile stronzata tipo prenderlo a calci, o tirargli un pugno sul naso. Ti senti un idiota a ripensarci adesso, perché Dio, non era niente più di un ragazzino, ma lo odiavi, davvero. Non riuscivi a sopportarne la vista, figurarsi la presenza, o il fatto che si stesse diplomando con te, che di anni ne avevi cinque in più ed avevi smesso di riuscire a sentirti intelligente quando lui ti aveva corretto delle operazioni su un quaderno alla tenera età di sei anni.
C’è anche il giorno della tua festa di compleanno, sì. Non ricordi neanche che cosa ti ha regalato Charlie in quell’occasione, hai uno scatolone pieno di cianfrusaglie, nel ripostiglio del tuo appartamento, in cui sei andato stipando tutti i suoi regali un anno dopo l’altro. Roba del tutto inutile, per di più anche abbastanza impersonale, Charlie non è mai stato bravo a fare regali, ogni anno preferiva infilarsi a caso in un negozio ed uscirne con, boh, una stupida sciarpa, una cravatta o una penna stilografica, piuttosto che perdere qualche pomeriggio in più e trovare qualcosa che fosse adatto a te, perfetto per te.
Sarebbe stata comunque un’impresa ardua, questo puoi ammetterlo, perché Charlie non ti ha mai conosciuto davvero – perché tu non ti sei mai lasciato conoscere davvero – ma alle volte l’incuria con la quale il regalo era stato scelto era talmente palese nel regalo stesso, che tu quasi hai sentito fortissimo il bisogno di buttarlo via, invece di conservarlo.
E invece hai conservato tutto, perché sei uno stupido. E hai conservato anche il regalo di quella festa di compleanno, di quando Charlie aveva tredici anni e tu diciotto e non ricordi nemmeno cosa ti ha regalato, e ti chiedi se abbia importanza, dopotutto.
Forse no.
C’è quella domenica mattina, poi. Ma quella cerchi di non ricordarla quasi mai. Cerchi anzi di convincerti di essere riuscito a rimuoverla del tutto, e ogni tanto ci riesci. Poi capitano giornate come questa, che è domenica di nuovo e anche se sono passati più di dieci anni e non vivi più lì (per la maggior parte del tempo) riesci ancora ad immaginarti mentre esci da camera tua, scendi al piano di sotto e ti accorgi che è prestissimo, ma va be’, hai fame, rovisterai un po’ in frigo e poi aspetterai la colazione, e poi attraversi il corridoio, ti affacci alla porta della cucina e Charlie è lì, appollaiato su una delle sedie attorno al tavolo, un quaderno aperto sulle ginocchia strette al petto e la matita che rimbalza sulle sue labbra piegate in una specie di broncio infastidito e corrucciato.
Indossa solo una maglietta, e tu ci metti un po’ a capire perché ti sembri così strana addosso a lui. Ma sì, ti dici a un certo punto, è che è troppo larga, gli cade giù come una camicia da notte, è ridicola. E stai quasi per metterti a ridere quando capisci che è tua.
È tua.
È una di quelle vecchie magliette bianche, semplici, senza decorazioni, che tua madre ti ha comprato in stock. Un giorno è tornata a casa e ti ha rovesciato sul letto il contenuto di un sacchetto di plastica, e dentro c’erano tipo sei o sette di queste magliette tutte uguali. “Le metti sotto i maglioni!” ti ha spiegato, “Così non prendi freddo.”
Charlie deve averne rubata una. Non te ne saresti mai accorto, visto che sono tutte uguali e naturalmente non pensi mai a contarle per vedere se ci sono tutte. Ti confonde vedergliela addosso, però, perché è enorme, lui quasi ci nuota dentro, il colletto è troppo largo e gli si apre quasi su una spalla, e poi le sue gambe, davvero, non può pensare di mettersi addosso una cosa simile senza un paio di pantaloni sotto, e stai quasi per entrare in cucina e fargli una partaccia di quelle indimenticabili, però quando ci provi ti si blocca il fiato in gola, deglutisci a fatica, lo osservi dondolare le gambe come il ragazzino che è e non ci riesci più.
Indietreggi. Sentendoti irrazionalmente spaventato, torni in camera tua. Ti infili sotto le coperte, provi a riaddormentarti, ma tutto ciò che ottieni è di rimanere lì a fissare il soffitto, confuso e angosciato, davanti agli occhi l’immagine delle gambe nude di tuo fratello lasciate scoperte dalla maglietta troppo lunga ma evidentemente non lunga abbastanza.
Nelle domeniche come questa, in cui sei a letto e ti godi il tepore delle coperte e la luce del sole che gioca a nascondino sul soffitto fra le assi delle imposte socchiuse, quell’immagine torna sempre a galla. Ci riesce senza che tu abbia il tempo di impedirlo, approfitta del tuo stato di debolezza, dell’incoscienza causata dal sonno, e le gambe nude di Charlie tornano a dondolare innocentemente davanti ai tuoi occhi. E tu li chiudi, ma le immagini non si fermano, e tu puoi solo assecondarle. Le assecondi scivolando con una mano lungo la linea piatta del tuo ventre, insinuando le dita oltre l’orlo elasticizzato dei boxer e prendendo a toccarti distrattamente, perfino un po’ goffamente, come – immagini – anche Charlie avrebbe fatto se gliel’avessi chiesto, anni fa, lui che era così piccolo, lui che non aveva mai avuto nessuna esperienza, lui che ogni tanto si sedeva sul divano accanto a te e, arrossendo come una ragazzina, ti riempiva di domande imbarazzanti perché aveva visto qualche video o qualche foto che non aveva capito, e tu gli rispondevi, gli spiegavi tutto con un sorriso bonario, sentendoti scorrere brividi sotto la pelle per ogni gradazione di rosso che gli vedevi affiorare sulle guance.
Ti accarezzi pigramente, seguendo col bacino il ritmo imposto dalla tua mano, ondeggiando lentamente, stringendo appena la tua erezione fra le dita. Le gambe nude di Charlie continuano a dondolarti davanti agli occhi, tu cerchi di guardare qualcos’altro e appare la curva dolcissima delle sue spalle nude, e riesci quasi a vederti mentre entri in cucina, sfiori la pelle bianca delle sue cosce ed insinui la mano oltre l’orlo inferiore della maglietta, cercando punti più nascosti e sensibili da accarezzare.
Riesci quasi a vederlo mentre piega le labbra in una smorfia incerta e preoccupata, si guarda intorno allarmato, ti sussurra che no, Don, non potete, e poi si scioglie sulle tue dita quando solo provi a sfiorarlo oltre il tessuto leggero degli slip.
Quando i ricordi e le fantasie si fondono in un sogno all’interno del quale non riesci più a distinguere cosa sia reale e cosa no, ti stringi fra le dita con più forza, ti spingi con più decisione all’interno del tuo stesso pugno chiuso, e grugnisci confusamente quando vieni in un brivido caldo che ti lascia senza fiato, costretto a tornare a distenderti e fissare il soffitto come quella mattina di tanti anni fa, confuso e perso ancora alla stessa maniera.
E pensi che se sei andato via forse non è stato solo perché volevi la tua indipendenza. O perché non sopportavi più l’aria di casa. O perché volevi provare a crescere facendo affidamento solo sulle tue forze.
Forse stavi scappando da qualcosa. Qualcosa che gli anni non sono riusciti a cancellare, ma che hanno nascosto abbastanza a lungo perché tu potessi illuderti che fosse scomparsa.
Prima era più facile. Potevi scappare fingendo di non sapere da cosa.
Ora lo sai, e non puoi neanche più fuggire via.
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