Genere: Introspettivo.
Pairing: Charlie/Don (accennato).
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash (accennato), Incest (accennato), Angst.
- Charlie cerca di risolvere un problema. Don non lo capisce.
Note: Okay, prima di tutto questa storia è il mio regalo di compleanno per mio fratello Fae senza il quale la mia vita sarebbe una roba molto più triste <3 E invece la sua esistenza rallegra le mie giornate, tutte, dal lunedì alla domenica, e aw <3 FRAMOTZ, TI AMO ;O; E non volevo regalarti dell'angst, volevo regalarti dell'Eppescest, ma cosa ci posso fare io se questi due sono nati per portare angst e dolore nel mondo? Ecco.
Accessoriamente, la fic partecipa alla challenge indetta da 500themes_ita, ispirandosi al prompt #82 (Nel silenzio della notte).
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P VS NP

Charlie sta sempre chiuso in garage. Don ha difficoltà perfino ad incontrarlo per casa, sembra che suo fratello sia in grado di gestire i ritmi della propria esistenza alla perfezione con l’unico scopo di non andare mai in giro quando sa che potrebbe incontrare qualcun altro. Don sa che è possibile, l’ha visto farlo spesso quando ancora viveva qui, ha visto Charlie chiudersi in camera propria – allora non aveva ancora colonizzato l’intera casa, ogni spazio disponibile, con la sua ingombrante vocazione per la matematica – e non uscirne né per mangiare, né per bere, né per andare in bagno. I bisogni del suo corpo si annullano, come assopiti, vanno praticamente in letargo, e quando Charlie si concentra su un problema non c’è modo di allontanarlo dai suoi quaderni e dalle sue lavagne fino a quando non l’ha risolto.
Don lo odia. Odia il pensiero di lui chiuso in quella stanza ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, mentre la mamma muore stesa su un letto trascinato giù in salotto, collegata a un trilione di macchine i cui suoni intermittenti in certi momenti sono l’unico segno dal quale è possibile capire che c’è ancora, che non è ancora andata via.
Don lo odia, lo odia e non lo capisce. Quando si è trasferito per dare una mano a papà, ha trovato Charlie già chiuso in sé stesso e in quel suo stupido problema già da tre settimane abbondanti. Ha provato a ragionare con lui, ma è dura ragionare con chiunque attraverso la barriera inespugnabile di una porta chiusa a chiave, e poi Don non è bravo con le parole, non è bravo a utilizzarle per spiegarsi, sa litigare usandole, è vero, ed ha sfruttato questa capacità spesso e volentieri, con Charlie, il quale a maneggiare le parole riesce ancora meno di lui, ma in un momento come questo, in un momento in cui ogni singolo litigio incide un graffio profondo nel cuore di mamma, che immobilizzata sul suo lettino sembra estraniata dal mondo e in realtà sente tutto, in un momento come questo i litigi non servono. Non servono le urla, non servono le recriminazioni e gli insulti, servirebbe sedersi attorno ad un tavolo e parlare, parlare, cazzo, cosa c’è, Charlie?, cosa c’è di così importante in quel dannato problema da impedirti di uscire da quella stanza perfino per guardare il volto di tua madre quando sai che fra un paio di mesi potresti non vederlo più?, ma Don non riesce, non ne è capace.
Suo padre non è stupito dal comportamento di Charlie. Perfino sua madre, nei momenti di lucidità, quando non passa ore intere a chiamare il nome del suo figlio più piccolo e tendere la mano verso uno spazio vuoto – uno spazio che non si riempie mai, nel quale Don si adatta, fingendo di essere Charlie e biascicando “sì, mamma, sono qui” quando lei lo chiama e lo cerca e non lo trova e piange –, sembra prendere con una certa serenità l’autoreclusione forzata di Charlie in quel garage.
- Lo conosci, - dice Alan a Don mentre cenano divorando velocemente un paio di sandwich in piedi accanto al tavolo in cucina, prima di tornare di là a tenere d’occhio la mamma, - Lui reagisce così.
Don lo odia. Don odia entrambi, lui e la mamma. Don odia tutti e tre, i suoi genitori e Charlie. Seduto al capezzale di una donna che quando è in sé non fa che cercare di convincerlo a non essere arrabbiato con suo fratello, e quando non è in sé non fa che piangere cercando un ragazzino che non vuole starle intorno, Don fissa la televisione senza vederla, stringe la mano di sua madre senza sentirla, ascolta la voce di suo padre che commenta distrattamente una partita senza capire ciò che dice, e tutto ciò che riesce a fare è concentrarsi sul proprio odio. Su ciò che ha lasciato indietro ad Albuquerque per tornare a Los Angeles e trovare una famiglia in pezzi che credeva di poter rimettere insieme, solo per scoprire che non era possibile farlo. Solo per trovare un fratello chiuso in un garage, un padre che lo giustifica, una madre che non riesce neanche a considerarlo per l’egoista che è.
- In fondo è buono, - gli dice sorridendo Margaret mentre lo osserva, sciogliendo la stretta delle loro dita e sollevando una mano per accarezzargli il viso, - Non essere arrabbiato con lui, Don. Sei l’unica cosa che ha, oltre la matematica.
Don vorrebbe risponderle che, allora, gli resta solo la matematica, ma non lo fa. Forza un sorriso carico di dolore represso e stringe nuovamente la mano di sua madre fra le proprie. Lei continua a sorridergli per un po’, poi volta il capo, chiude gli occhi e qualche secondo dopo sta già dormendo, il respiro regolare, sereno, il battito elettrico del macchinario che monitora le sue funzioni vitali in sottofondo. Sono così abituati a sentirlo che ormai non se ne accorgono quasi più. Don pensa spesso al momento in cui smetterà di suonare, il momento in cui quell’incessante, continuo, rassicurante bip smetterà di riempire ogni spazio silenzioso e vuoto della loro vita. Il solo pensiero gli stringe lo stomaco in modo quasi doloroso.
Don sa già che, da solo, non riuscirà mai a trovare una soluzione a questa situazione del cazzo. Non ne è proprio capace, è consapevole di riuscire spesso a trovare soluzioni a problemi ben più complessi quando lavora, ma per qualche motivo questo è diverso, in questo momento, seduto su questa poltrona e con le dita magre di sua madre strette fra le proprie, non riesce ad utilizzare la stessa logica stringente, per cui non fa che sperare che qualcuno arrivi, all’improvviso, senza motivo, e gli proponga una soluzione da adottare.
Spera spesso che quel qualcuno sia Charlie. Che suo fratello un giorno esca da quel garage sorridendo stanco ma soddisfatto, gli si avvicini e gli dica “ce l’ho fatta, Don, ho trovato la soluzione”, e quella soluzione guarirà la mamma dalla sua malattia, guarirà papà dal suo lutto, guarirà Don dal suo odio e Charlie dalla sua solitudine.
Ma Charlie non esce mai da quel garage. E Don non può fare altro che continuare ad odiarlo.
*
È praticamente impossibile capire se esistano problemi per i quali è più complesso calcolare una certa soluzione che verificarla. È per questo che la complessità P contro NP fatica a trovare una soluzione, è per questo che è considerata uno dei problemi del millennio.
Charlie non si rassegna, però. Il solo pensiero che possa esistere un problema per cui sia impossibile trovare una soluzione, ma del quale sarebbe facilissimo verificare tale stessa soluzione se venisse fornita da qualcun altro su un bel piatto d’argento lo irrita oltremisura. Lui ha sempre trovato le proprie soluzioni da solo, non ha mai dovuto arrendersi ad un numero imposto da un professore, da una mente che fosse più brillante della sua, se davvero al mondo ne fosse esistita una che non lo precedesse di decine d’anni, non ha mai sbirciato le soluzioni alla fine degli eserciziari e, quando ha visto qualcuno farlo, è sempre stato pronto a guardarlo con diffidenza, perfino con severità, indipendentemente da quanto fosse più grande di lui, per fargli capire come stesse mancando il punto in maniera colossale.
Sono tutti convinti – ed è una cosa che lo irrita da morire, davvero – che l’importante, in matematica, anche nel più basilare dei calcoli, sia raggiungere il risultato corretto. Non importa come, non importa sacrificando cosa, ogni operazione ha uno ed un solo risultato, e tutto ciò che conta, alla fine della giornata, è averlo raggiunto.
Non è vero. È un modo banale, volgare, perfino errato di intendere le operazioni. Non è per uno stupido numero che, preso a se stante, non dice niente dell’operazione che ha condotto il matematico a scoprirlo, che gli uomini combattono battaglie lunghe mesi, perfino anni, contro i limiti della loro mente.
L’operazione è importante nel suo complesso. Lo è nel risultato, sì, ma lo è ancora di più nel metodo, nel procedimento.
Charlie odia le vie brevi. Odia le facilitazioni. Odia le formule semplificate che spesso gli altri professori rifilano agli studenti in previsione di un test importante per il voto alla fine dell’anno accademico, odia saltare i passaggi. È per questo che tutti i suoi quaderni, tutte le sue lavagne, ogni pagina che scrive è ricamata allo stesso modo. Le operazioni complesse hanno un metodo, per essere risolte. Scritte per esteso, hanno dei passaggi da seguire per accompagnarti verso la soluzione. Si risolvono prima le parentesi più interne, poi ci si allarga verso l’esterno. Tonde, quadre, graffe, le moltiplicazioni hanno la precedenza su addizioni e sottrazioni.
C’è un iter da seguire, e va seguito passaggio dopo passaggio, non importa se questo ti porta a ricopiare la stessa equazione in gran parte identica per ore e ore. Ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare.
Charlie fissa la lavagna, fermandosi all’improvviso, il gessetto fra le mani. Gli fa male la punta delle dita.
Ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare. Per un attimo i suoi occhi non vedono altro che il volto di Don, le sue orecchie non sentono altro che la sua voce. Poi tutto torna a frammentarsi in numeri, l’operazione che sta seguendo da ore – giorni – sulla lavagna torna a far sentire prepotentemente tutto il suo peso su di lui, e Don scompare, Don non esiste più, e così è molto, molto più semplice.
Sua madre, invece, no, lei non scompare mai. Lei è una parte di tutto questo. È stata il suo primo pensiero quando ha capito come sarebbe finita e ha deciso di chiudersi in garage con le sue formule e le sue lavagne. La maggior parte delle persone non capisce le sue associazioni mentali, Don, per esempio, non avrebbe idea neanche da che punto cominciare per provarci, a comprendere come funziona il suo cervello – di nuovo Don, di nuovo Don, no, Don deve sparire, Don non esiste – ma per lui è sempre stato tutto molto semplice. Mamma— no, il cancro. Il cancro era P contro NP. Sono la stessa cosa, sono due cose diverse ma sono la stessa cosa, e risolto uno si risolve l’altro, Charlie lo sa, perché è solo una questione di logica. È tutta una questione di logica, ma Charlie non è un medico, Charlie è un matematico, e dovendo scegliere quale dei due problemi affrontare non ha avuto altre opzioni che concentrarsi su P contro NP.
È davvero così semplice, è di una semplicità imbarazzante, ed a volte, pensandoci, Charlie prova una rabbia incontenibile, perché davvero, se Don appena appena decidesse di sforzarsi, se solo lui volesse — ma Don non esiste, esiste solo mamma, esiste solo il cancro, esiste solo P contro NP, esiste solo Charlie che le soluzioni non vuole riceverle, vuole trovarle, e per trovarle non deve fare altro che seguire i passaggi uno dopo l’altro, una volta, poi due, e ancora, e ancora, e ancora, finché il risultato non lo convincerà, dovesse volerglici una vita intera.
*
Sono le quattro del mattino quando si azzarda a mettere il naso fuori dal garage. È l’unico orario in cui sa di non poter trovare nessuno ancora in piedi, l’orario in cui suo padre ormai dorme da un pezzo, l’orario in cui mamma, sedata, non apre più gli occhi e respira tranquilla, l’orario in cui anche Don, stremato dalla giornata, è crollato da qualche parte – spesso ha avuto appena la forza di ritirarsi in camera propria e lasciarsi ricadere di faccia contro il cuscino, ancora vestito –, l’unico orario in cui per Charlie è sicuro andare in giro per casa.
Ha fame da morire, per cui la prima cosa che fa, dopo essere passato per il salotto ed aver sfiorato il dorso della mano di mamma con le dita ancora sporche di gesso, è andare in cucina e prepararsi un panino. Sia papà che Don sono convinti che Charlie non riuscirebbe neanche a sopravvivere, lasciato a se stesso. Che non avrebbe idea di come nutrirsi, di come tenere a posto la casa o di come riparare la caldaia. E forse hanno una punta di ragione per quanto riguarda l’ultimo caso, ma Charlie non è così sprovveduto come credono. Charlie può farcela. È sempre tutto lì che ritorna, è una questione di logica, e nessuno è in grado di far funzionare la logica come lui.
Dovrebbe farsi una doccia, pensa in un sospiro mesto mentre posa il panino su un piatto e torna in salotto, prendendo possesso della sedia accanto al lettino di mamma ed appoggiandosi il piattino sulle ginocchia mentre mangia, gli occhi fissi sull’espressione serena di sua madre.
La seduta è tiepida, ma lui, perso com’è nell’osservazione attenta dei lineamenti della donna, nemmeno se ne accorge. Non fosse per i minuscoli tubicini che la collegano alla flebo e alle macchine, sua madre sembrerebbe essersi addormentata naturalmente. Il suo volto è sereno, c’è l’ombra di un sorriso tranquillo a piegare le labbra un po’ secche, le ciglia che tremano appena mentre i suoi occhi inseguono le immagini illusorie di qualche sogno.
Charlie la guarda, mangia il suo panino, e tristemente pensa che non c’è niente, in tutto il mondo, che ami più di lei. Neanche la matematica. E il pensiero di poter restare con nient’altro che la matematica, nel giro di pochi mesi, lo terrorizza così profondamente che deve metterlo da parte per forza, se non vuole che il suo cervello ne resti paralizzato. Non può accadere, perché Charlie ne ha bisogno. Ha bisogno di restare lucido e concentrato sul problema, perché se non si concentra non lo risolverà mai, e se non lo risolve sua madre morirà, e se sua madre muore lui non potrà farcela. Non potrà mai farcela, solo con papà e Don— solo con papà, perché Don, Don non—
- Sei sveglio. – la voce di Don lo sorprende alle spalle. Charlie stringe le dita attorno al proprio panino con tanta forza da schiacciarlo, e si irrigidisce sulla sedia. Improvvisamente, il dettaglio della seduta tiepida assume un valore nella sua testa, diventa una variabile di cui avrebbe dovuto tener conto. Si dà dello stupido, perché è esattamente questo il motivo per cui i passaggi vanno seguiti tutti, nel loro ordine, uno dopo l’altro. Per non trascurare niente.
Vorrebbe trovare qualcosa di intelligente da dire, ma Don non esiste ed è difficile parlare con lui in queste condizioni. È difficile parlare con lui in qualunque condizione. Vorrebbe anche riuscire a trovare la forza di scendere da quella sedia e scappare in garage, perché lì almeno si sentirebbe al sicuro, anche se c’è poco che può fare per fuggire da se stesso più di quanto non stia già facendo da anni, ma non riesce a fare neanche quello. Paralizzato, immobile, fissa davanti a sé mordendosi l’interno di una guancia tanto forte da sentire la familiare puntura amara delle lacrime cominciare a infastidirgli gli occhi.
- Ti cercava, prima. – continua Don, restando in piedi a pochi passi da lui, - Ti cerca continuamente. Non fa altro. – Charlie continua a non rispondere, la gola secca, le labbra strette in una linea nervosa. – Sei uno stronzo.
Charlie si alza in piedi di scatto. Stringe la mano libera attorno al piatto appena in tempo per impedirgli di cadere a terra e rompersi. Può sentire l’occhiata disgustata che Don gli sta lanciando, può sentire il suo odio sulla pelle. È difficile fingere che non esista se si fa sentire con così tanta forza. Charlie fa fatica ad ignorarla, tutta questa forza. Fa fatica perfino a fuggirne.
- Charlie, ci sono cose che puoi fare, e cose che non puoi fare. – dice, sospirando ed allontanandosi da lui in passi lenti e stanchi. Charlie lo sente cominciare a salire le scale. – Cerca di pensarci.
E Charlie vorrebbe voltarsi e dirgli che non fa altro. Il suo cervello non riposa mai. Non smette mai di pensare, ed è questo che rende tutto così difficile, così insopportabile.
Per un attimo, tutto il suo corpo si tende in uno spasmo rabbioso incontrollabile, ma poi torna calmo, perché è l’unica cosa che sa fare. Razionalizzare, pensare logicamente. In questo è bravo, questo può gestirlo, questo può farlo. È tutto chiaro, è tutto evidente. Il punto è sempre quello. P contro NP. Deve solo risolvere il problema, e poi tutto tornerà normale. Mamma starà bene, papà sarà felice, e Don— è ancora troppo presto per pensare a lui, ma ci sarà tempo anche per questo. Solo, non adesso. Non in questo momento, non stanotte. Stanotte non ha bisogno di nient’altro a parte le sue lavagne, le sue operazioni, la sua tranquillità, e un problema insolubile da risolvere.
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