Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Charlie/Don.
Rating: R
AVVISI: Incest, Slash, Lime, Self, Underage (lieve, non esplicito e non grafico).
- La prima volta ad otto anni. Poi a dodici, tredici, un continuo fino ai quindici. Poi il vuoto. E poi ancora. Cronistoria inusuale della vita di Charlie Eppes.
Commento dell'autrice: Dunque, c’è questa puntata di non-mi-ricordo-che-serie (la quarta, possibly?) di Numb3rs (abbiate pazienza, non è semplice guardare in contemporanea la seconda e la quarta senza perdersi mentre si scrivono le note finali di una fic alle due e un quarto del mattino, soprattutto se la suddetta fic la si è scritta in preda ad ispirazione improvvisa dopo la visione della suddetta puntata circa, uh, un millennio prima?), in cui Don, a un certo punto, dal niente, blatera cose riguardo al fatto che lui e Charlie non sono mai andati ad un appuntamento a quattro. Ora, non vogliamo soffermarci su quanto sia WTF e pertanto palese prova di sentimenti incestuosi che un fratello pensi/dica una cosa simile ad un altro fratello, ma Charlie coglie l’occasione per dire al mondo che in effetti lui e suo fratello una volta hanno fatto qualcosa di simile – Charlie aveva otto anni ed aveva appunto invitato a casa la sua amichetta Michelle, mentre Don, invece, già si limonava la babysitter, amiamolo tutte. Insomma, da lì è partita questa storia che in teoria doveva essere molto più underage e disturbante di com’è venuta fuori, ma è comunque abbastanza underage e disturbante, soprattutto quando il tipo venuto fuori dal nulla ci prova con Tredicenne!Charlie, OMG. Dio mi perdoni.
(Titolo rubato ai Muse, ovviamente. Si prospetta un lungo periodo di furti, con quest’album.)
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UNDISCLOSED DESIRES
50 Kinks / 036 Wanking (Masturbazione)


Della prima volta non ricordi moltissimo, probabilmente perché avevi otto anni. Quando hai otto anni e ti ritrovi a toccarti piano nascosto dietro uno scatolone mentre tuo fratello di cinque anni più grande bacia la babysitter e, dalla cucina, la tua amichetta Michelle grida a gran voce che le fette biscottate con la marmellata sono pronte, il tuo primo desiderio è dimenticarle al più presto possibile, certe cose.
Poi l’imbarazzo è perdurato per molto tempo, perciò sei stato tranquillo per un po’, e quando è successo di nuovo hai fatto in modo che fosse per qualcosa che con Don non aveva niente a che fare. Dodici, tredici anni, forse, e un giornaletto che qualcuno ti aveva rifilato – qualcuno di decisamente più grande di te, ma non ti stupisce pensarlo, visto che a quell’età eri circondato solo ed esclusivamente da persone più grandi di te. Non ricordi il suo volto – ricordi le parole con cui ti passò la rivista, ricordi la sua risata e quel “il piccolo Eppes deve farsi una cultura anche lui, no?”, e ricordi la sua mano insinuarsi insistente fra i tuoi riccioli, e il tuo scostarti immediatamente, con il fiato corto, il cuore che ti martellava nel petto tanto forte da darti l’impressione di voler sfondare la cassa toracica e fuggire via il più lontano possibile. Poi ricordi di essere tornato a casa, esserti sdraiato sul letto ed aver tirato fuori la rivista dallo zaino. Ricordi ancora la sensazione tattile delle pagine patinate sotto i polpastrelli, i volti dei ragazzi, alcuni sorridenti, altri misteriosi, altri ancora coi lineamenti sconvolti dal piacere, occhieggiare disinvoltamente verso di te, e ricordi di esserti morso un labbro ed aver lasciato la tua mano scivolare lenta dentro i pantaloni, chiudendo gli occhi. Ricordi di aver pensato ai ragazzi della rivista, per un po’, e poi ricordi Don, come sempre, infiltrarsi silenzioso e svelto nelle tue fantasie e prenderne il posto – il suo viso i suoi occhi le sue labbra il suo petto le sue gambe i suoi fianchi la sua schiena le sue mani la sua lingua – e ricordi la sensazione devastante dell’orgasmo, il primo completo della tua intera vita. Ricordi la spossatezza, subito dopo, esserti addormentato all’improvviso ed esserti risvegliato dopo un paio d’ore, di malumore e col mal di testa. Ricordi Don chiederti “che hai?”, ricordi distintamente di averlo ignorato e di esserti rifugiato in cucina, per poi arrampicarti su una sedia e mangiare gelato fino a stare male, senza un perché.
Da quella volta è stato un continuo – ricordi di esserti spaventato, ad un certo punto, perché insomma, era normale farlo tante volte al giorno? Sì, lo era, ma non era tanto semplice parlarne, e non era tanto semplice neanche reperire informazioni, non quanto lo sarebbe diventato grazie ad internet nel giro di una decina d’anni, e perciò stavi in silenzio perché parlare avrebbe significato mettere a rischio tutta l’impalcatura di veli che avevi costruito attorno a te perché nessuno nessuno nessuno al mondo potesse capire che, appena calava la sera e ti rifugiavi nel tuo letto, fra le coperte, cominciavi a toccarti pensando a tuo fratello.
Poi ricordi il college e gli studi per la tesi e la stanchezza che certe notti ti pesava sulle spalle come una pietra, e ricordi le mani che scivolano sul petto e sulla pancia, oltre la cinta, dentro i jeans, ricordi che ti dicevi “solo un po’, scarico la tensione e mi rimetto al lavoro”, ricordi di esserti perso fra le tue stesse dita socchiudendo gli occhi per un minuto e la voce di Don, “che fai?” in una risatina divertita, l’imbarazzo, il ripeterti incessantemente maipiùmaipiùmaipiù giuro non lo farò mai più mentre Don cercava di calmarti, “guarda che è tutto a posto, ehi, tranquillo, non vado mica a dirlo in giro”.
Ricordi di non esserti toccato più per un bel po’, dopo. E ricordi la partenza di Don e come niente sembrasse più la stessa cosa, senza di lui. E poi ricordi mamma, e be’, allora c’era poco da scherzare e poco altro cui pensare, perciò hai lasciato che la matematica diventasse tutto il tuo mondo – non ti faceva sentire meno colpevole, ma ti stordiva e ti assorbiva abbastanza da non lasciarti pensare a nient’altro che non fosse lei. Tutto il dolore rimaneva fuori dalla bolla che avevi gonfiato tutta attorno a te, ed era semplice muoversi all’interno di quell’ambiente protetto in cui controllavi tutto e riconoscevi tutto perché tu eri tutto.
Poi la vita è tornata a fare il suo corso, come sempre, e Don è tornato per restare e tutto ha ricominciato a farsi più eccitante, più nuovo, diverso, ogni tanto guardavi tuo fratello e ti ritrovavi a metà in un universo parallelo in cui un po’ non lo riconoscevi ed un po’ invece era la cosa più incredibilmente familiare della tua esistenza, e una sera – senza apparente motivo, senza apparente bisogno, Amita era appena andata via e tu non eri insoddisfatto di come avevate passato la serata – hai ricominciato a toccarti. E malgrado il profumo di Amita – dei suoi capelli, della sua pelle, del suo lucidalabbra – fosse ancora lì attaccato ad ogni centimetro del tuo corpo, è a tuo fratello che hai pensato. Al suo sorriso, alle sue labbra, al suo torace, alla curva della sua schiena, l’hai rivisto tredicenne mentre schiacciava la babysitter di tre anni più grande contro la porta del garage, l’hai rivisto ventenne mentre maneggiava la mazza da baseball aggiustandosi il cappellino sulla testa e poi l’hai rivisto trentacinquenne con una pistola in mano ed il giubbotto antiproiettile sopra la maglietta aderente nera e sei venuto senza un suono, stringendo con forza la tua erezione fra le dita e mordendoti un labbro quasi a sangue.
Don ride a bassa voce, e tu sollevi lo sguardo, terrorizzato.
- Oddio. – mugoli, cercando di rassettarti il più velocemente possibile, - Oddio.
- Charlie… - sorride lui, posando in tasca le chiavi di casa e voltandosi per appendere il giubbotto all’appendiabiti, - Tranquillo, dai. Sei sfortunato, finisco sempre a beccarti io. Okay, forse non è del tutto una sfortuna, considerate le alternative. – conclude con un’altra risata. E tu non sai più quante volte ti ha visto, probabilmente molte le hai rimosse e la sola idea ti terrorizza perché così non puoi contarle, ma deglutisci con forza e mandi giù solo aria, mentre Don ti batte una pacca sulla spalla. – Vatti a dare una ripulita, dai, - consiglia bonario, - papà fra poco torna dal suo appuntamento galante, non vorrai mica farti trovare così anche da lui?
Tu annuisci sbrigativamente e scompari in corridoio, e l’ultima cosa che pensi, prima di annullarti sotto il getto d’acqua ghiacciata del lavandino, è che la prossima volta ti chiudi in camera a doppia mandata, cazzo.
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