Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Daniel/Douglas.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Douglas ha un problema: sente una voce. Ma non una voce qualunque.
Note: Altra fic nata in modo assolutamente randomico, esplodendo d'amore nel guardare la foto in cui Dani sussurra qualcosa di palesemente romantico all'orecchio di Douglas. Voglio dire, questi due sono di una bellezza sconvolgente /o\ (E Lucio è un po' il beniamino di noi tutti, diciamolo pure.) (Oddio, di sicuro è quello della Jan, in ogni caso.)
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I’LL GO CRAZY IF I DON’T GO CRAZY TONIGHT
- Io sto impazzendo. – disse Douglas, la testa fra le mani, seduto nell’erba proprio accanto alla ringhiera.
- Questo sarebbe possibile se tu fossi mai stato assennato, Doug. – ribatté Lucio, con aria anche vagamente annoiata, apparentemente preso dal contare i fili d’erba attorno a loro, - Ma non ricordo di averti mai visto con un solo briciolo di sale in zucca da che ti conosco, per cui…
- Che succede? – chiese Julio, planando allegramente davanti a loro e porgendo ad entrambi un paio di panini, - Il pranzo. – disse con un sorriso, precipitandosi a divorare il proprio in grandi morsi affamati.
- Succede che Douglas non ci sta con la testa. – rispose Lucio, osservando il proprio panino da tutti i lati prima di addentarlo disinvoltamente e strapparne via metà con un solo morso.
- Oh, e dov’è la novità? – rise Julio, divertito. Douglas gli tirò addosso una scarpa.
- Piantatela. Tutti a due. – grugnì scorbutico, - D’accordo, forse non sono mai stato tanto normale, ma se permettete c’è differenza fra essere un po’ fuori di zucca ed esserlo del tutto, e vorrei un consiglio prima di ammattire completamente, se non vi dispiace.
Lucio lo ignorò, continuando a trangugiare il proprio pasto, mentre Julio si avvicinò a lui con curiosità, chinandosi un po’ come a voler proteggere col proprio stesso corpo le confessioni dell’amico.
- Be’, qual è il problema? – chiese quindi, staccando con le dita un po’ di lattuga che fuoriusciva dal panino e masticandola pigramente.
Douglas arrossì, stornando lo sguardo.
- Dai, Douggie. – lo prese in giro Lucio, con un sorriso ironico, - Digli qual è il problema.
Douglas gli tirò uno scappellotto sulla nuca, ignorando le sue proteste e i suoi ringhi offesi e sospirando profondamente, prima di tornare a guardare Julio e trattenere per un attimo il respiro.
- Sento le voci. – disse quindi, tutto d’un fiato, - Ma non voci qualsiasi. La voce di Dani.
- Oh, santa madre di Dio. – esalò Julio, sollevando immediatamente gli occhi al cielo in un’implorazione disperata, - Ancora con questa cotta ridicola e assurda? Voglio dire, Douglas, sono quasi otto anni che te la porti dietro, ci credo che ormai hai perfino le allucinazioni uditive ogni volta che ci pensi.
- Ecco, diglielo. – commentò atono Lucio, ingollando ciò che restava del suo panino e prendendo a mangiare con convinzione anche quello di Douglas, ancora intonso, - Magari se glielo spieghi tu lo capisce, perché tutto quello che gli dico io entra da un orecchio ed esce dall’altro. E dovrei essere il suo capitano, fai un po’ tu.
- Voi due siete due idioti e non capite un accidenti. – borbottò Douglas, allungandosi a recuperare la scarpa che aveva tirato a Julio poco prima, solo per riutilizzarla come oggetto contundente sulle spalle di entrambi subito dopo. – Lo so che è una pazzia, ma io lo
sento. Di giorno, di notte, quando dormo, quando sono sveglio… - sospirò pesantemente, le labbra strette in una smorfia quasi sofferta, - Non sono pazzo perché sento la sua voce, ma lo diventerò presto se questa storia continua.
- …quindi per te non è abbastanza folle sentire la voce di qualcuno che… ora che ci penso, - disse Julio, grattandosi il mento, meditativo, - Cos’è che ti dice?
Douglas si ritrasse improvvisamente, come Julio avesse tentato di morderlo. Poi infilò di fretta la scarpa e si alzò in piedi.
- Non sono affari vostri. – grugnì burbero, prima di allontanarsi senza una parola di più.
*
- Doug. – sussurrò bassa la voce di Dani, direttamente nel suo orecchio, - Doug, svegliati.
Douglas si rigirò confusamente fra le lenzuola, preda di quella sensazione quasi soffocante tipica di quando ci resti impigliato in mezzo. Mugolò lagnoso, spiegò gambe e braccia e, quando non riuscì a stenderle del tutto, sbuffò contrariato.
- Non riesco. – si lamentò con tono infantile. La voce di Dani rise piano accanto a lui, un’eco lontanissima, per quanto era flebile, eppure così spaventosamente vicina da dargli i brividi. Concentrandosi ancora un po’, ancora
solo un po’, poteva perfino sentire il suo respiro caldo sulla pelle.
- Questo perché non vuoi. – disse la voce di Dani. Douglas allungò un braccio, liberandolo a fatica dalla matassa di lenzuola in cui sembrava prigioniero. Nel movimento, non trovò niente. Era davvero solo la sua voce.
- Non riesco. – ripeté, più deluso e serio di prima. La voce di Dani lo accarezzò in una mezza risata sconfitta, prima di sfiorarlo sul collo in un ultimo brivido.
- No, Douggie, non vuoi. – insisté.
Douglas aprì gli occhi avviluppato in mezzo alle lenzuola, braccia e gambe strette in un nodo confuso, l’angolo della federa del cuscino ad accarezzargli il collo proprio nello stesso punto in cui gli era parso di sentire il respiro di Daniel. Lentamente, sospirando e cercando di ripetersi che era stato solo un sogno, si liberò da quella trappola di tessuto tiepido e sgualcito e portò una mano alla fronte, massaggiandosi stancamente le tempie.
Sarebbe impazzito, senza dubbio.
Si alzò dal letto, le membra ancora intorpidite dal sonno e la mente annebbiata dai residui del sonno. La voce di Dani era ancora lì, gli riecheggiava nelle orecchie, chiamava il suo nome.
Stava già impazzendo.
Mosse qualche passo all’interno della stanza immersa nel buio. Era silenziosa, quella come il corridoio, come tutto il resto dell’albergo. Eppure la voce era ancora lì, insistente, quasi fastidiosa. Non fosse ormai stato abituato a quel frastuono continuo – e non avesse provato, come invece provava, quella spinta di tenerezza improvvisa che gli scioglieva il cuore ogni volta che la sentiva – si sarebbe preso a pugni da solo, pur di farla tacere.
Forse, però, era già impazzito del tutto.
Uscì in terrazza nella speranza che prendere un po’ d’aria gli facesse bene, se non altro per abbassare la temperatura del proprio corpo, dal momento che la pelle sembrava bruciargli addosso, ma non si stupì più di tanto nel trovare Daniel già lì. Provò a dirsi che doveva trattarsi di un altro sogno, o che forse le allucinazioni erano peggiorate, e non bastava più solamente sentirlo ovunque, doveva anche vederlo continuamente, e forse avrebbe dovuto rassegnarsi ed andare in cura da uno bravo, imbottirsi di psicofarmaci e sperare in bene, ma poi Daniel si voltò a guardarlo – una macchia scura appena percettibile sullo sfondo altrettanto scuro del cielo africano, poggiato sulla terra come un drappo a lutto, ma lui l’avrebbe riconosciuto anche se avesse potuto vedere molto meno di quanto non vedesse – e gli bastò sorridergli per dimostrargli che no, non era un sogno né un’allucinazione, era reale.
- Non hai sonno? – gli chiese, e Daniel rispose con una mezza risata nervosa.
- Per niente. Cioè, - precisò, - dormivo, prima. Ma… - scosse lievemente il capo, - Lasciamo perdere. Tu?
- Insonnia. – mentì, avvicinandosi alla balaustra. Non c’era luna, quella sera, e il profilo delle mani di Daniel, strette attorno alla ringhiera, si sfumava nella notte, come fosse evanescente. – Trovo sempre difficile abituarmi ad un letto nuovo.
- Qualche anno fa non eri così. – rise Daniel, tirandogli una mezza spallata giocosa, - Ti addormentavi ovunque.
- Sono cambiate un sacco di cose, da allora. – ammise Douglas. – Ma te lo ricordi sul serio?
Daniel si prese qualche secondo, prima di rispondere, scrutando l’orizzonte invisibile con gli occhi chiarissimi e brillanti nonostante il buio.
- Ricordo tutto. – rispose alla fine, lasciando andare un sospiro sconfitto in tutto e per tutto identico a quello che Douglas aveva sognato fino a pochi minuti prima. – Me ne torno a letto. – aggiunse con un mezzo sorriso, - Vedi di farlo anche tu. – gli consigliò, prima di sparire all’interno, oltre la portafinestra.
Douglas non rientrò prima di essersi assicurato che il suo cuore potesse reggere senza difficoltà il pensiero di tornare a dormire senza avergli parlato di ciò che, ormai da anni, avrebbe desiderato di potergli dire.
*
- Sto impazzendo. Impazzirò. – si lagnò a bassa voce, lasciandosi andare sulla panchina che Lucio stava usando per aiutarsi nello stretching. Il compagno roteò gli occhi, tornando a piantare entrambi i piedi per terra e voltandosi a guardarlo con aria esasperata.
- No, Douglas. – preciso, - Tu sei
già impazzito, sono
io quello che impazzirà.
- Ma la pianti, una buona volta?! – sbottò Douglas, tirandogli addosso un asciugamano e poi sfregandosi con forza gli occhi con i palmi delle mani, come nel tentativo di liberarsi da chissà che torpore. – Stanotte è stato tremendo. Mi sono quasi sentito soffocare.
- Dio del cielo, aiutami. – sussurrò Lucio, rivolgendo un ultimo sguardo supplice al cielo, prima di sedersi al suo fianco e battergli qualche amichevole pacca consolatoria su una spalla. – Dimmi tutto, dai.
- Non dormivo. – disse Douglas, mordicchiandosi nervosamente un’unghia, - Ti
giuro che non dormivo. Ero sveglio, potevo muovermi. Lo sentivo parlarmi nell’orecchio ma lui
non c’era.
- Hai guardato bene? – chiese, cercando di razionalizzare il tutto, - In ogni angolo?
- Non potevo aprire gli occhi. – rispose Douglas, scrollando le spalle, - Ma sentivo il suo respiro addosso, eppure lui non c’era. Ho allungato un braccio, ho cercato di toccarlo, avrei dovuto riuscirci, a giudicare da quanto lo sentivo vicino, ma niente. Questa cosa non può in alcun modo essere normale. E parliamo, anche!
- Be’, anche io ho parlato con lui, giusto due minuti fa. – sospirò Lucio.
- Non in quel senso, cretino, anche io gli parlo abitualmente. Quello che intendo è che parlavo con la sua voce, cercavo di spiegargli che non riuscivo ad aprire gli occhi e lui…
- …lui? – lo incitò, stupito dal suo interrompersi improvviso.
- Lui mi diceva che se non ci riuscivo era perché non volevo. – rispose Douglas, fissando un punto imprecisato nel terreno sabbioso di fronte a sé. – E non voleva sentire ragioni. Ma non è vero che non volevo. Ci provavo e non riuscivo.
Lucio sospirò pesantemente, massaggiandogli una spalla e poi la nuca mentre Douglas si piegava su se stesso, coprendosi la faccia con le mani.
- Doug, io non so veramente spiegarti cosa ti stia accadendo. – disse piano, cercando di suonare rassicurante, - Ma so che questa cosa ti sta veramente spossando, e non va bene, perché, voglio dire, già non andrebbe bene se fossi in vacanza, ma qui abbiamo un Mondiale da giocare, e contiamo tutti su di te. Capisci cosa cerco di dirti?
- Sì. – rispose lui, la voce ovattata dalle mani ancora premute contro il volto, - Sì, lo capisco. Sto cercando… ti giuro che sto cercando di fare il possibile perché la cosa non interferisca, ma è dura. Ormai dormire una notte di fila è diventato quasi impossibile, e non riuscendo a riposarmi bene per forza di cose finisco col non riuscire a dare il massimo.
- Me ne rendo conto. – sospirò ancora Lucio, accarezzandolo per qualche altro minuto, prima di alzarsi in piedi ed aiutarlo a fare lo stesso. – Sarebbe meglio se cercassi di risolvere questo problema, Doug. – disse quindi, preoccupato, - Non sembra qualcosa che abbia intenzione di lasciarti del tempo. Perciò cerca di fare in fretta.
*
Appoggiato a bordo vasca, le braccia incrociate e il mento poggiato su di esse, Douglas si lasciava cullare dai movimenti naturali e fluidi che il suo corpo compiva per mantenersi a galla pur non avendone un effettivo bisogno, e si sentiva quasi bene. La piscina vuota non aggiungeva altri rumori a quello sempre incessante nella sua testa –
Douggie, Douggie, Douggie – e sentire ripetere il proprio nome sullo sfondo lieve dello scrosciare appena percettibile dell’acqua immobile della piscina era quasi rilassante. Sembrava una ninna nanna.
Concedendosi un sorriso intenerito, chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
Lo sentì subito avvicinarsi dietro di sé, fendendo l’acqua fino a schiacciare tutta la superficie del proprio corpo contro il suo.
- Douggie. – lo chiamò, e Douglas corrugò le sopracciglia, mordendosi l’interno di una guancia. – Mi aspettavi?
- No. – rispose d’impulso. – Sì. – ammise poi, in un sospiro stremato. – Cosa vuoi da me?
- Voglio che tu apra gli occhi. – disse la voce, carezzevole, scivolandogli in un brivido bagnato lungo tutta la spina dorsale. Douglas provò a sollevare le palpebre, ci provò davvero, con tutte le sue forze. Forse, se fosse riuscito ad aprire gli occhi proprio quando lui glielo chiedeva, se fosse riuscito ad aprirli proprio in quel momento, per vedere che non c’era nulla,
nulla da guardare, tantomeno Dani tanto vicino da sentire addosso ogni spigolo ed ogni curva del suo corpo, forse allora tutte quelle allucinazioni sarebbero finite, evaporate, disciolte in una nube confusa e facile da spazzare via e dimenticare.
- Non ci riesco. – si arrese alla fine, espirando in un singhiozzo strozzato, - Ci provo, ma non ci riesco.
- Non provi abbastanza. – disse la voce, quasi arrabbiata, - Perché non vuoi. Non hai le palle. Hai paura di quello che potrebbe succedere poi. Hai paura di quello che dovresti ammettere se aprendo gli occhi mi trovassi lì ad aspettare una tua risposta.
- Sì, ma tu non ci sei. – quasi ringhiò lui. E poi aprì gli occhi di scatto. – E non mi hai fatto nessuna domanda.
La voce, però, era sparita.
- Scusa, non credevo di doverti chiedere se potevo usare
una piscina pubblica quando la stavi usando anche tu. – disse Dani,
quello vero, alle sue spalle. Douglas si voltò a guardarlo, boccheggiando confusamente alla ricerca delle parole giuste da dire.
- Scusa. – riuscì a tirar fuori alla fine, - Non stavo parlando con te.
- Sì, l’avevo immaginato. – rise Daniel, discendendo la scaletta ed immergendosi sbrigativamente, prima di tornare in superficie e nuotare ad ampie ma lente bracciate verso di lui, appoggiandosi di schiena alla parete della piscina e guardandolo serio negli occhi. – Non hai una bella cera. – constatò con una smorfia, muovendo piano le gambe sott’acqua per restare a galla, - Mi stai facendo preoccupare.
- Non hai nulla di cui preoccuparti. – sorrise rassicurante, voltandosi e sistemandosi contro il bordo nella sua stessa posizione, - Sto bene. – Daniel inarcò un sopracciglio. – Ok, forse non benissimo. – concesse lui, con una mezza risata, - Ma me la posso cavare.
- …mh. – annuì distrattamente Daniel, scrutando la superficie dell’acqua con un certo interesse, prima di riprendere a parlare. – Senti, ti ricordi il Mondiale Under 20 in Argentina? – chiese quindi, e Douglas si concesse una risata, ripensando a quanti anni erano passati. E quanto piccolo gli fosse sembrato Daniel allora, pur essendo più giovane di lui di solo un anno.
- Certo che mi ricordo. – rispose sorridendo, - Non potrei mai dimenticare quanto eri ridicolo mentre ti affannavi a renderti utile. Il raccattapalle perfetto. – ridacchiò.
- Stronzo. – rispose Daniel, pizzicandogli con forza un fianco sotto la superficie dell’acqua, - Cazzo, quanto volevo entrare in squadra. – sospirò sognante, - Non era destino. Comunque, il punto non era quello. Il giorno delle convocazioni definitive, quando il mister mi disse che non sarei stato parte della rosa—
- Mi ricordo. – sorrise intenerito Douglas, lasciandosi andare e sciogliendo i muscoli delle spalle, - Non parlasti con nessuno per ore.
- Ero così incazzato. – quasi ringhiò Daniel, - Avrei preso a pugni e testate perfino le pareti, se non avessi saputo che sarebbe stato perfettamente inutile. E così me ne stavo tutto solo su quella stupida panchina all’ingresso dell’albergo, in attesa del pullman per l’aeroporto, e tu fosti l’unico ad avvicinarti, nonostante il muso lungo che tenevo. E mi dicesti—
- “Guarda che così scoppi.” – rise apertamente Douglas, gettando indietro il capo. Daniel gli fece eco, ridendo assieme a lui.
- Guarda che così scoppi. – gli disse quindi, poggiandogli una mano sulla spalla. Douglas si voltò a guardarlo, il suo sorriso era così sereno da fargli male. Dischiuse le labbra, si disse
lo faccio, lo faccio, cazzo, basta, lo faccio, e poi scosse il capo.
- Sto bene. – ripeté, mentendo ancora ma cercando di suonare più credibile. – Davvero.
Daniel inarcò le sopracciglia, quasi deluso.
- D’accordo. – sospirò, smettendo di galleggiare e poggiando i piedi sul fondo della piscina, preparandosi a darsi la spinta per allontanarsi. – Ma nel caso in cui dovessi essere lì lì per esplodere, vieni a parlare con me. – si raccomandò, prima di nuotare via.
*
- Sto impazzendo. – biascicò esausto, ricadendo stancamente sulla sedia al tavolo dove Lucio e Julio stavano pranzando. – Io non ce la posso più fare, seriamente.
- Amico, questa cosa sta raggiungendo livelli malsani. – disse Julio, battendogli qualche pacca sulla schiena con una mano e pasticciando con la forchetta la poltiglia di verdura cotta nel proprio piatto con l’altra, - Non tanto per noi, anche se non ti nascondo che a questo punto ho quasi voglia di stenderti a cazzotti ogni volta che ti vedo, quanto più per te. Voglio dire, non puoi mica continuare così.
- Sta peggiorando. – continuò lui, poggiando i gomiti sul tavolo e stringendosi la testa fra le mani, - Le sensazioni si stanno facendo più fisiche che mai, e mi capita di… - sospirò, cercando le parole adatte, - Vado fuori controllo, o qualcosa di simile. Chiudo gli occhi ed è come se stessi dormendo, anche se non è vero. Ieri ho quasi—
- E basta, Douglas. – lo interruppe Lucio, serio, allontanando da sé il proprio piatto per incrociare le braccia sul tavolo e avvicinarsi a lui il più possibile. – Ma davvero non capisci cosa sta succedendo? È così palese che lo vedrebbe anche un cieco, santo Dio.
Douglas sollevò lo sguardo, piantandolo nel suo e cercando di trarne qualcosa, una spiegazione, magari una soluzione, ma non riuscì. Lucio sospirò pesantemente, scuotendo il capo e tornando a mangiare distrattamente le proprie verdure.
- Douggie, - lo richiamò Julio, tornando a strofinargli una mano sulla schiena in un gesto rassicurante, - credo che quello che Lucio voleva dirti fosse più o meno che è normale che la situazione si stia aggravando, perché tu non stai facendo niente per risolverla.
- Io sto facendo il possibile! – sbottò lui, irritato.
- Ma non è vero! – quasi gridò Lucio, battendo una mano sul tavolo, attirando l’attenzione di tutti. – Oh, fanculo. – borbottò guardandosi intorno, prima di mollare lì le proprie verdure, afferrare Douglas per la maglietta e trascinarlo fuori, nel piazzale vuoto e silenzioso sul retro dell’albergo. – Tu non stai facendo
un cazzo per risolverla, Doug. – lo rimproverò aspramente, - Tu stai nascondendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo.
- Ragazzi. – li raggiunse Julio, trafelato, - Lucio, non essere troppo—
- Ma non essere troppo cosa?! – sbuffò l’uomo, strattonando un po’ Douglas per il colletto della maglietta, che ancora teneva stretto fra le dita, - Douglas, tu sei ossessionato da questa cosa. E mi meraviglio di come tu possa non capirlo! Sono, quanto?,
otto anni che gli vai dietro, nonostante il tempo e le distanze! Chiunque altro, per un motivo o per l’altro, sarebbe già impazzito del tutto!
- Io non-- - provò Douglas, ma Lucio non lo lasciò concludere.
- Oh,
sta’ zitto. – lo interruppe, scuotendolo senza troppe cerimonie, - Le ossessioni vanno affrontate, dimenticate e risolte. Non ne posso più di sentirti blaterare della voce di Dani che ti parla quando l’unica cosa che dovresti fare è
far ascoltare a lui la tua. – concluse, prima di lasciarlo andare con un ultimo strattone. – E che cazzo. – sbottò ancora, allontanandosi grandi passi verso il campo d’allenamento, probabilmente per andare a sfogare un po’ di frustrazione con qualche corsetta silenziosa. Douglas lo osservò andare via con gli occhi spalancati, le labbra dischiuse e immobili, il respiro pesante.
Julio gli si avvicinò qualche secondo dopo, tornando a massaggiargli lentamente la schiena. Appena sentì il suo tocco rassicurante contro i propri muscoli tesi, Douglas riprese a respirare normalmente, chiuse gli occhi e chinò il capo.
- Dovrei parlargli. – disse a mezza voce, - Dovrei, vero?
Julio sorrise, dandogli una pacca d’incoraggiamento su una spalla.
- Solo se non vuoi impazzire davvero. – disse piano, - O se non sei già impazzito del tutto.
*
Daniel stava palleggiando in un angolo del campo, un po’ annoiato, quando Douglas, incerto, gli si avvicinò.
- Ehi. – lo salutò con un sorriso, e Daniel immediatamente recuperò il pallone con le mani, tenendolo sottobraccio e voltandosi a guardarlo con un sorriso identico sulle labbra.
- Ehi. – rispose, - C’è qualche problema?
Douglas si grattò una guancia, nervoso.
- Non esattamente. – rispose vago, - Come va? – chiese quindi, nel disperato tentativo di cambiare argomento e spostare l’attenzione da sé su di lui. Era così irrazionalmente spaventato che avrebbe afferrato al volo qualsiasi pretesto pur di non dover parlare.
Daniel scrollò le spalle.
- Come sempre, immagino. – disse, lasciandosi scivolare la palla lungo il fianco ed agganciandola col piede prima che rotolasse via. – Dovevi parlarmi di qualcosa?
Douglas si inumidì le labbra, cercando con tutte le sue forze di non boccheggiare a vuoto mentre cercava le parole.
- Sì, io… - balbettò confusamente, - Io sto… - cominciò, ma non riuscì a concludere. Le parole non arrivavano, forse perché semplicemente
non esistevano, e d’altronde, pensò, tutta quella situazione non era mai stata qualcosa che avesse a che fare con la propria, di voce. C’era sempre stata solo ed unicamente la voce di Dani, era sempre stata lei il centro, il fulcro di tutto. Non era sicuro di volerla cancellare, parlando a propria volta.
Chiuse gli occhi, e subito la sensazione familiare di trovarsi perso a metà fra la realtà e il sogno lo avvolse interamente, intorpidendo il suo corpo ed ovattando le sue percezioni.
- Douggie. – disse la voce di Dani, - Douggie, apri gli occhi.
- No. – biascicò lui, aggrottando le sopracciglia, - No io—
- Tu non vuoi.
- No, non voglio. – ammise, - Io non voglio, cazzo, io—
- Douggie. – ripeté Dani, ma stavolta non era più solo la sua voce. Era lui davvero. – Apri gli occhi.
Douglas obbedì, spalancando gli occhi sui suoi, talmente vicini da spaventarlo quasi.
- Tu mi piaci. – disse a mezza voce, in un fiato solo, - Mi piaci da impazzire.
Daniel lo guardò incredulo, le labbra dischiuse in una smorfia sorpresa. Poi lasciò andare un lamento quasi esausto ed allungò una mano ad afferrarlo per la nuca, tirandoselo contro ed obbligandolo a chinarsi.
Quando sentì le sue labbra sulle proprie, Douglas ebbe la certezza che fossero reali, che tutto quello che era accaduto e stava accadendo lo era, e lo circondò con le braccia, stringendolo con più forza di quanta ne avesse mai usata con qualsiasi altra persona o cosa.
- Cazzo. – mormorò Daniel, ancora tutto pressato contro di lui, le labbra tanto vicine da sfiorare le sue in una carezza umida con ogni lettera che si lasciava scivolare sulla lingua, - Cazzo, quanto tempo. – disse esausto, talmente spossato da sembrare sull’orlo delle lacrime, - Cazzo, finalmente. – e senza che dovesse aggiungere altro, Douglas capì di non essere stato l’unico a sentire le voci, negli ultimi otto anni.
*
- Insomma, tutto è bene quel che finisce bene. – disse Julio, trionfante, piluccando con poca convinzione il proprio panino imbottito, seduto su una panchina a bordocampo. Lucio, accanto a lui, era già a metà del secondo sandwich, ed occhieggiava con interesse il cestino del pranzo poggiato sulla panca fra di loro chiedendosi se fosse il caso di procedere con un terzo o meno. – Alla fine, bastava confessare, e tutto risolto. Sembra una favola, ti pare?
- Mmh. – grugnì Lucio, mandando giù i residui del secondo sandwich in un sol boccone e decidendo che sì, era proprio il caso di concedersene un terzo.
- Ma cos’è, si è aperta la stagione della caccia? – chiese Julio, inarcando un sopracciglio nella sua direzione, - Che è tutta questa fame improvvisa?
Lucio trangugiò mezzo sandwich in un morso e sospirò pesantemente quando, con naturalezza, Douglas fece volare via il cestino del pranzo prendendone il posto proprio in mezzo a loro sulla panchina.
- Ragazzi. – disse con un sorriso estatico, - Io non ce la posso proprio fare, devo essere del tutto impazzito. Non mi sembra neanche vero.
Lucio lo indicò con un cenno del capo rivolgendosi a Julio con aria ironica.
- Lo vedi perché mangio tanto? – disse arreso, - Avremo entrambi bisogno di molta forza.
Julio annuì compitamente, comprendendo appieno il suggerimento del compagno, e senza una parola di più cominciò a trangugiare diligentemente il proprio panino, mentre Douglas partiva in quarta con lo spensierato racconto della sua prima settimana di relazione sentimentale.