Genere: Erotico, Romantico, Commedia, Introspettivo.
Pairing: Dani Alves/Douglas Maicon.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Lemon.
- "Non riesco a starti lontano."
Note: Doveva necessariamente venire fuori un seguiro di Dry Humping XD L'amore era così profondo che non ce lo potevamo risparmiare. Avremmo potuto risparmiarci di farcire il Malves di angst, certo, ma poi che divertimento ci sarebbe stato? *delira e piange* (Non so se ci sarà un terzo seguito. E' probabile di sì, ma i miei "è probabile" valgono come un calzino bucato su una bancarella dell'usato, per cui fatene un po' quel che volete.) Titolo da Enjoy The Silence dei Depeche Mode.
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Words, Like Violence, Break The Silence


- Oh, ti prego. – ride Douglas, ansimando affaticato e reggendosi sul fianco con un gomito ben piantato sul materasso mentre Daniel lo stringe per i fianchi e, mordendogli distrattamente una spalla, entra in un unico gesto secco dentro di lui, - Abbiamo appena finito.
Tu hai appena finito. – ride a propria volta Daniel, spingendosi contro il suo corpo fino a costringerlo a pancia in giù, - Io devo ancora cominciare.
- Molto carino, da parte tua. – lo prende in giro Douglas, lasciandosi rigirare senza opporre particolari resistenze ed accomodandosi meglio sul materasso, per accoglierlo dentro di sé con maggiore facilità. Daniel lo segue, imprime le linee dure del suo corpo contro quella curva della sua schiena e ringhia di gola quando le sue spinte riescono ad acquistare un ritmo soddisfacente per entrambi.
- Sai cosa intendevo. – gli sussurra sul collo. Douglas tiene gli occhi chiusi, le labbra umide lievemente aperte e le braccia incrociate sotto il mento. Sembra perfettamente felice, rilassato come fosse steso in spiaggia. Daniel sorride, mordendogli la nuca e riportando la sua completa attenzione sulle sue spinte decise, e Douglas ridacchia, inarcando la schiena ed accogliendolo più profondamente, mentre si concede qualche gemito appena più forte, in attesa che Daniel lo zittisca chinandosi a coprire le sue labbra con le proprie.
Daniel lo accontenta nel momento in cui viene dentro il suo corpo, esattamente com’è venuto lui non più di cinque minuti fa. Lo bacia con forza, costringendolo a voltare il capo il più possibile per permettere alle loro lingue di intrecciarsi, alle loro labbra di chiudersi e stringersi e succhiare, ai loro denti di mordere e pizzicare.
Non dicono niente, dopo. Le chiacchiere vuote post-sesso non sono mai rientrate nella loro pur poco rodata routine, e le poche parole che si scambiano sono finalizzate ad un uso prettamente pratico. Resti o vai? Domani torni? Stai attento fuori, mh?
Ciò che hanno da dirsi, d’altronde, sono perfettamente in grado di esprimerlo senza dargli voce.

*

- Ma cazzo. – ride Daniel, tirandolo all’interno della stanza e chiudendosi rapidamente la porta alle spalle, - Ma sei un coglione! Potevano vederti.
- Be’, chi vuoi che possa avere da ridire se porto la colazione a un collega? – chiede Douglas, agitando davanti al suo naso un pacchetto dal quale proviene un profumo delizioso.
- Nudo? – chiede quindi Daniel, inarcando un sopracciglio e portando una mano al fianco mentre con l’altra lo indica in un gesto vago, fra le sue risate divertite e un po’ infantili. – Spero che almeno avessi qualcosa addosso quando sei uscito a comprare… qualsiasi cosa ci sia là dentro.
Douglas posa il pacchetto sul tavolino e se lo tira contro, schiacciandosi contro il suo corpo e tenendolo per i capelli cortissimi mentre senza troppe cerimonie lo costringe a piegare il capo e il collo come preferisce per approfondire il bacio il più possibile.
- Ti fai un sacco di problemi idioti. – gli fa notare, interrompendo il bacio ma restando a così pochi millimetri dal suo profilo da sfiorare le sue labbra con ogni parola, - Tipo se qualcuno mi abbia visto o meno in un corridoio deserto di un albergo addormentato alle cinque del mattino. Ma non ti poni le domande importanti.
- E quali sarebbero le domande importanti? – chiede Daniel, gli occhi socchiusi e velati di voglia, mentre lascia scorrere le mani lungo i fianchi di Douglas, fino a stringerli con forza fra le dita.
Douglas sorride, allungandosi a recuperare il pacchetto e sollevandolo di nuovo all’altezza del suo viso.
- Croissant vuoti o con marmellata?

*

- Ma sei impazzito del tutto? – ride Douglas, completamente senza fiato, gettando indietro il capo ed appoggiandosi alla parete della doccia mentre l’acqua scorre su di lui e su Daniel, in ginocchio sul pavimento, che scivola con le labbra sulla superficie della sua erezione, respirandogli addosso, sfiorandolo appena con la lingua, ma senza rassegnarsi a prenderlo in bocca fino ad averlo fatto andare definitivamente fuori di testa. – Ci vedranno. – cerca di fargli presente, ma la verità è che non vuole nemmeno aprire gli occhi per guardarsi intorno e verificare la fondatezza delle sue paure.
Daniel schiude le labbra, mordicchia lievissimo la punta della sua erezione e si ritrae. Lo guarda dal basso, e Douglas si sforza di ricambiare la sua occhiata, respirando a fatica.
- Lo spogliatoio è vuoto. – dice, e si china a leccarlo piano una, due, tre volte. Douglas geme con forza.
- Non sappiamo per quanto. – gli ricorda, la voce rotta in un singhiozzo che gronda voglia tanto quanto i loro corpi grondano acqua.
Daniel si alza in piedi, si pressa contro di lui, lo schiaccia contro la parete e lo bacia come dovesse essere l’ultima volta.
- Allora facciamo in fretta.

*

È stato Douglas ad avvicinarsi, questa volta, anche se ormai entrambi faticano a tenere il conto delle volte o delle responsabilità oggettive di questo o quest’altro avvicinamento. Ansimando rumorosamente, cercano di riacquistare il controllo dei loro corpi, ancora stretti in un abbraccio un po’ goffo dentro il bagno dell’infermeria.
- Questa cosa sta diventando assurda. – commenta Daniel, fissando il soffitto bianco e restando malamente appoggiato contro il lavandino, anche se l’unico motivo per cui riesce a mantenersi in equilibrio è il corpo di Douglas che, restando in piedi e ben piantato per terra, gli dà qualcosa cui appigliarsi per non scivolare inesorabilmente. Come fa spesso. – Dovremmo essere più prudenti. Credo.
Douglas stringe le braccia attorno a lui. Nasconde il viso nell’incavo del suo collo come un ragazzino che ha paura, e Daniel gli appoggia una mano sulla nuca e lo accarezza ruvidamente, fissando davanti a sé, le labbra strette e quasi bianche per la tensione.
- Non riesco a starti lontano. – gli sussurra Douglas sulla spalla, e Daniel sente il mondo rovesciarglisi sotto i piedi. È una delle tante cose che credevano di non aver bisogno di dirsi, quando forse in realtà avevano solo paura di farlo.

*

Vorrebbero entrambi sparire, quando – l’uno all’insaputa dell’altro – vengono convocati nell’ufficio di Dunga. Non si aspettavano di ritrovarsi di fronte durante un confronto simile, non si aspettavano nemmeno che un confronto simile dovesse avere luogo, tanto per cominciare, ma forse questo è stato solo uno dei loro numerosi errori, una delle tante cose che avrebbero dovuto prevedere, o almeno provare a prevedere, e delle quali invece hanno preferito non curarsi.
- Non voglio fare lunghi discorsi, - dice Dunga, massaggiandosi stancamente le tempie, - so che siete ragazzi responsabili e non ne avete bisogno. Può succedere, dico, vi capisco. I santi non esistono, la perfezione non è cosa degli esseri umani, possiamo tutti sbagliare. Ma, ragazzi, - e solleva lo sguardo, piantandolo su di loro che smettono all’istante perfino di respirare, - per quanto le cose possano succedere e non sia colpa di nessuno, ci sono cose che possono continuare e ce ne sono altre che vanno fermate.
- Mister, - prova a cominciare Douglas, tirando fuori dai polmoni un rantolo di voce che mette a Daniel i brividi fin nelle ossa, ma Dunga lo ferma con un’occhiata comprensiva ma severa, sospirando profondamente.
- Questa è una delle cose che vanno fermate. – conclude, deciso ma non aggressivo, in una richiesta, quasi, che però è un ordine al quale non si può disobbedire. – Non fatemelo ripetere una seconda volta, ragazzi.

*

Non guardarsi è dura. Troppo. Fingere di non farlo sembra un buon compromesso, all’inizio, ma sulla lunga distanza non funziona tanto bene. Douglas pensa a Milano, il più delle volte. A quanto sarebbe più facile se si trovasse lì. Daniel pensa a Barcellona e i risultati, più o meno, sono gli stessi.
Frustrati e delusi rendono meno di quanto potrebbero rendere se fossero tranquilli, sereni e felici, ma la verità è che questa situazione è colpa loro e di nessun altro. Se fossero stati più prudenti, se fossero stati più accorti, se in generale fossero stati meno stupidi e non avessero dato inizio a quella follia per leggerezza, per capriccio, perché l’odore delle loro pelli e il pensiero dei loro corpi toglieva loro il respiro al solo immaginare di poter stare vicini, tutto questo non sarebbe mai accaduto. È una cosa che comprendono entrambi molto bene.
E perciò ci provano, ci provano davvero a fare come se l’altro non esistesse. Dunga è vicino a entrambi: “è una fase,” dice. Loro cercano di crederci.
Quando Douglas si avvicina a Daniel, una settimana dopo, forse è troppo presto, perché Daniel si sente correre addosso un brivido che lo devasta, e fa un passo indietro, preoccupato dall’entità di quello che sta provando, e anche dalla possibilità di perderne il controllo.
- Scusa. – dice Douglas, che quello stesso brivido l’ha percepito sul corpo come fosse partito direttamente da lui, - Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.
Daniel lo guarda, incerto fra la possibilità di dire la verità e quella di mentire.
Alla fine, sceglie la via più facile.
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