Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico, Romantico.
Pairing: Daniel/Douglas.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- Durante la partita contro la Costa D'Avorio, Dani non degna Douglas nemmeno di uno sguardo. Subito dopo, per tale motivo, lui si sente in pieno diritto di lamentarsene.
Note: Fic nata in modo assolutamente randomico guardando le foto di Brasile-Costa D'Avorio. Io amo il Malves, punto. Anche se poi loro rompono le palle impedendomi di trovare titoli acconci alla loro magnificenza. (E infatti per questo devo ringraziare la Jan.)
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CAN’T KEEP MY EYES OFF YOU


L’espressione di Douglas non è quella tipica di un uomo felice. Daniel se ne accorge subito entrando nella stanza che condivide con lui in albergo, ed è incerto sulla possibilità di farglielo notare o meno perché Douglas, insomma, è un ragazzo simpatico e divertente e tutto, ma sclera anche per un nonnulla, roba che Boji quando perde gli slip perché uno a caso fra Gerard e Thierry glieli ha rubati nello spogliatoio non è niente, è un ragazzo tranquillo e a modo. No, seriamente, Douglas quando sclera è una roba da mani ai capelli, si agita come un neonato isterico, con la stessa coordinazione di braccia e gambe, peraltro, e gli dà sempre l’impressione di volersi mettere a scalare le pareti a mani nude, tipo, sempre gesticolando come volesse vendergli del pesce al mercato o chissà che altro, quindi meglio evitare.
Proprio per questo motivo, Daniel cerca di evitare di attirare la sua attenzione. Potendo, si stenderebbe a terra e si fingerebbe morto, ma non è proprio sicuro che questo servirebbe allo scopo, perciò si limita ad entrare in camera con calma, non di soppiatto ma nemmeno annunciandosi come il carnevale di Rio, e cerca di mettere tutto a posto in silenzio – poggia il borsone di lato, sfila la maglietta e la ripone con cura, toglie anche i pantaloni e li appoggia sulla sedia e poi si rompe le palle di sentire Douglas grugnirgli alle spalle come una vecchia nonna pazza in vena di lamentele e si volta a guardarlo, incrociando le braccia sul petto.
- Be’? – chiede, cercando di non mostrarsi già spazientito come invece è.
Douglas fa lo gnorri: i suoi lineamenti si distendono come non fosse rimasto a borbottare col broncio e le sopracciglia aggrottate fino a questo esatto momento, e lui si volta a guardare da un’altra parte, come non c’entrasse assolutamente niente con la situazione in atto.
- Be’ cosa? – ha anche il coraggio di ribattere, prendendo a giocare distrattamente con l’orlo del lenzuolo che copre il letto su cui sta semidisteso.
- Cosa be’ cosa? – insiste lui, allargando le braccia ai lati del corpo in un chiaro segnale di incredulità, - Cos’hai? – precisa quindi, per evitare che Douglas si senta in diritto di trascinarlo in un vortice di cosa be’ cosa be’ cosa che li renderebbe entrambi pazzi nel giro di non più di dieci minuti.
- Non ho niente. – grugnisce a caso Douglas, sempre facendo di tutto per non guardarlo e preferendo spostare la propria attenzione sul monotono disegno della carta da parati sul muro o sull’altrettanto monotono panorama della notte scura e densa fuori dalla finestra.
- No, certo. – sbotta Daniel, roteando gli occhi e rassegnandosi a rimanere in mutande senza potersi infilare immediatamente a letto. Si avvicina a Douglas, notandolo mentre lo osserva di sottecchi senza girarsi e ponendosi perciò in pericolo di diventare strabico nel giro di dieci secondi, e si siede accanto a lui, attendendo che si rassegni a voltarsi. Douglas non si rassegna, e Daniel decide di smettere di aspettare ed afferrarlo per il mento, costringendolo a guardarlo. – Sei incazzato e non capisco per quale oscuro motivo. Me lo dici o devo estirpartelo a forza dalla bocca?
Douglas lo guarda come fosse incredibilmente offeso dalle sue parole, come non fosse assolutamente possibile essere davvero offeso, come se Daniel avesse preso il granchio più enorme della sua intera esistenza, e poi naturalmente lascia andare uno sbuffo inviperito, si libera dalla stretta della sua mano sul mento, si alza in piedi, muove qualche passo nervoso davanti alla finestra e infine scoppia.
- Non mi hai cagato di striscio, oggi! – gli fa notare, gesticolando animatamente.
- Che cosa?! – spalanca gli occhi Daniel, fissandolo sconvolto, - Ma di che cazzo stai parlando? Ma quando?
- Ma durante la partita, no?! – risponde Douglas con ovvietà, - Cioè, capisco che sei entrato tardi e magari hai anche avuto altro da fare—
- Sì, per dire.
- --ma il tempo per mettere mani addosso a mezza Costa d’Avorio l’hai trovato, eh!
Daniel lo fissa per un paio di secondi. Schiude le labbra nel tentativo di formulare qualcosa di sensato da rispondergli, ma non riesce, in tutta onestà, a trovare nulla di abbastanza razionale da controbilanciare la palese follia di Douglas in questo momento, perciò allarga nuovamente le braccia e continua a fissarlo con aria persa.
- Tu stai male. – sentenzia, - Ma che cazzo dici? Ma ho messo le mani addosso a chi, quando e dove?!
- Potrei fare un elenco infinito, guarda! – sbotta Douglas, riprendendo ad agitarsi e anche a camminare avanti e indietro, come un padre in attesa nel corridoio appena fuori dalla sala parto. A Daniel quasi gira la testa, ma continua a seguirlo con gli occhi giusto per vedere se andando avanti e indietro dimenticherà che di fronte a lui c’è la parete e la abbatterà passandoci sopra, o la scalerà camminando come un ragno.
- E allora fammelo! – lo invita scioccato. Douglas lo guarda ed aggrotta le sopracciglia in una smorfia infantile.
- Drogba, per dirne uno! – comincia, e Daniel gli tira addosso un cuscino, che lui non si aspetta e che pertanto prende dritto sul naso.
- Ma mi ha tipo abbattuto e calpestato! – si giustifica, - Poi mi ha chiesto scusa e non è che potessi prenderlo a ceffoni o a calci fino a farlo rotolare fuori dallo stadio, ti pare?!
- E Touré? – insiste Douglas, indicandolo come in un gesto d’accusa, - Anche lui ti ha abbattuto e calpestato e poverino voleva solo chiederti scusa?
- Doug, Yaya è un mio compagno nel Barcellona, ci siamo solo salutati! – gli ricorda, e Douglas, per tutta risposta, gli ritira indietro il cuscino, con la differenza che Daniel lo anticipa e riesce a scansarsi in tempo.
- I legami fra compagni di squadra sono del tutto irrilevanti, in Nazionale! – sbotta. Daniel incrocia le braccia sul petto ed inarca un sopracciglio.
- Tu hai abbracciato Julio e Lucio. – gli fa notare.
- Ma non certo perché sono miei compagni nell’Inter! – protesta Douglas, e Daniel si lascia andare ad un gemito esasperato.
- Doug, santo Dio, potrei capire se avessi preso Yaya e Drogba, li avessi spogliati nudi e me li fossi scopati in contemporanea nel cerchio di centrocampo, ma ci siamo a malapena abbracciati! Quale cazzo è il tuo problema?!
Douglas ringhia di gola, pianissimo, ma Daniel lo sente, e quel suono gli riempie la schiena di brividi, perciò non si rende perfettamente conto di quello che succede quando, due secondi dopo, Douglas è a un centimetro dal suo corpo, quasi cavalcioni su di lui, e lo sovrasta in altezza, piantando le mani sulla testiera del letto, ai lati della sua testa, e tenendolo imprigionato fra le sue braccia mentre lo guarda dritto negli occhi da una distanza troppo infinitesimale per poter essere ancora chiamata con questo nome.
- Il mio problema è che tu devi guardare me. – gli soffia sulle labbra, la voce cupa, carica di una rabbia che gronda possessività e gelosia, - Solo— cazzo, solo e soltanto me. – aggiunge, avvicinandosi impercettibilmente e strusciando contro il suo bacino nel muoversi, togliendogli il fiato.
- Non… - prova a protestare Daniel, rapito dai suoi occhi, dal suo calore, dal ritmo del suo respiro, - Non li ho guardati nello stesso modo in cui guardo te. Lo sai questo.
- Non è il punto! – insiste Douglas, avvicinandosi ancora e parlandogli sulla pelle, - Non hai guardato me. È l’unica cosa che mi interessi, e non l’hai fatto. – si allontana appena, guardandolo attentamente per qualche secondo, prima di allontanare le mani dalla testiera e portarle all’orlo della maglietta che indossa. – Guardami. – dice in un sussurro, e il secondo successivo la maglietta non c’è più, e la visuale di Daniel si riempie del suo corpo, del colore della sua pelle, della forma arrotondata delle sue spalle, di quella dritta dei suoi fianchi, delle linee definite dei pettorali e di quelle un po’ più morbide della pancia. Deglutisce a fatica, e boccheggia senza speranza di riuscire davvero a respirare quando Douglas si china su di lui e gli lascia scorrere le mani sul petto, verso il basso, e poi di nuovo verso l’alto, le spalle, il collo, la nuca, le prime vertebre della schiena.
È un’esitazione che dura solo pochi secondi: quando il sapore di Douglas si fa sentire sulla sua lingua, Daniel riprende immediatamente coscienza di sé, e sente tutto il proprio corpo bruciare di voglia. Afferra Douglas per le spalle, scostandoselo di dosso lo stretto indispensabile per costringerlo con la schiena contro il materasso, e si stende sul suo corpo, le mani che corrono immediatamente alla chiusura dei jeans. Douglas sbuffa una mezza risata nell’osservarlo sfilargli febbrilmente i pantaloni di dosso, ma getta indietro il capo, inarca la schiena e ricaccia nel fondo dello stomaco qualsiasi battuta stesse pensando di fare nel momento in cui le sue labbra si chiudono attorno alla punta della sua erezione, mentre le sue mani ne accarezzano la base, strappandogli dalla bocca una serie di gemiti uno più perso e profondo dell’altro.
Una delle mani di Douglas si posa sulla sua testa, prova ad indirizzarne i movimenti, ma Daniel è ostinato ed il ritmo lo decide da sé, senza suggerimenti. Gli concede però di afferrarlo rudemente ai lati del viso quando è vicino al limite, e strattonarlo senza complimenti lontano da sé, solo per poi tirarlo verso l’alto, riportarlo alla sua altezza e prendersi le sue labbra quasi di prepotenza, baciandolo profondamente. Daniel gli fa sentire il suo sapore sulla lingua e sfila gli slip, divaricando le gambe e sedendosi a cavalcioni su di lui per poi interrompere il bacio – Douglas si allontana con uno schiocco umido, non è contento dell’interruzione, si spinge in avanti per rubargli un altro bacio ma Daniel gli poggia la mano sulle labbra, senza delicatezza ma anche senza violenza, e lo guarda a lungo.
Non ha bisogno di dirgli che lo guarda sempre. Lo guarda di continuo. Lo guarda quando c’è e quando non c’è, ha sempre i suoi occhi piantati addosso, in ogni momento del giorno o della notte, siano vicini pochi centimetri o lontani centinaia di chilometri. Non conta. Non ha mai contato.
Quando guida l’erezione di Douglas dentro il proprio corpo, non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un grugnito confuso. È incredibile come, nonostante le decine di volte in cui si sono trovati in una situazione del genere, la presenza dell’altro risulti ancora così ingombrante, totalizzante, quasi dolorosa. Non c’è abitudine che riesca a far passare per scontata la loro relazione, ed è una sensazione fisica, non soltanto una di quelle stronzate emotive, balle che le coppie normali hanno bisogno di raccontarsi per cercare di dare al loro rapporto una parvenza di immeritata diversità. Douglas e Daniel non hanno bisogno di raccontarsi quanto speciali possano essere rispetto al resto dell’universo, perché lo sentono sulla pelle, lo sentono dentro ogni volta che devono allargarsi e farsi spazio e sradicare pezzi di loro stessi per far posto a pezzi dell’altro, perché tutto combaci perfettamente rendendoli identici solo per l’esatto periodo di tempo in cui possono sopportarlo, tornando ad essere distinti e separati e differenti eppure legati così stretti da sentirsi mancare il respiro per tutto il resto delle loro giornate.
Douglas poggia le mani sui suoi fianchi nel momento preciso in cui le sue braccia cominciano a stancarsi dal dover reggere il suo peso mentre, lentamente prima, sempre più velocemente poi, si solleva e si abbassa su di lui. Tenendolo per la vita lo sostiene, lo indirizza, e Daniel può perdersi per qualche secondo nella sensazione di Douglas che si scava il suo posto dentro di sé senza dover badare a nient’altro. Quasi inconsciamente, prende ad accarezzare la propria erezione seguendo il ritmo delle spinte di Douglas. E non lo chiama per nome, non gli sussurra niente, e Douglas non ha bisogno di esprimersi in altro modo che non siano gemiti e versi senza senso mentre, quando è a un passo dal perdere il controllo, scatta a sedere con un colpo di reni, baciandolo all’improvviso, affamato e umido e confuso, e Daniel si aggrappa disperatamente alle sue spalle come in preda alle vertigini, lasciandosi scappare un gemito più forte degli altri quando Douglas viene dentro di lui e, pochi secondi dopo, anche lui resta travolto dal proprio orgasmo, fermandosi per la prima volta dopo interi minuti, riposando con la fronte contro la sua spalla, ansimando piano, nel tentativo di non soffocare e riportare la temperatura del proprio corpo a livelli accettabili.
Scivola al suo fianco lentamente, ancora stordito. Fissa il soffitto con occhi vacui e l’unica cosa che riesce a percepire chiaramente è il respiro di Douglas, il calore che si irradia dalla sua pelle, il suono flebilissimo che l’aria produce passando pesante attraverso le sue labbra dischiuse, in un fischio bassissimo e un po’ roco che lo avvolge tutto, impedendo al calore che sente di dissolversi se non in minima parte. Si lascia cullare da quella sensazione di torpore e dal modo casuale in cui le nocche della mano di Douglas sfiorano le sue in concomitanza coi brevi movimenti imprecisi con cui cerca di trovare la posizione più comoda per dormire senza doversi spostare troppo, e sorride quando lo sente trattenere il fiato, perché capisce che sta per dirgli qualcosa.
- Per la prossima partita, chiedo a Dunga di farci partire insieme. – dice, - Così non ci saranno problemi di nessun tipo.
Daniel ride a bassa voce, voltandosi su un fianco e sistemandosi il cuscino sotto la testa. È palese che Dunga non acconsentirà mai, ma se i problemi porteranno a soluzioni simili a quella di stasera, può decisamente sopportare che si presentino.
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