rp: daniel alves

Le nuove storie sono in alto.

Genere: Erotico, Romantico, Commedia, Introspettivo.
Pairing: Dani Alves/Douglas Maicon.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Angst, Slash, Lemon.
- "Non riesco a starti lontano."
Note: Doveva necessariamente venire fuori un seguiro di Dry Humping XD L'amore era così profondo che non ce lo potevamo risparmiare. Avremmo potuto risparmiarci di farcire il Malves di angst, certo, ma poi che divertimento ci sarebbe stato? *delira e piange* (Non so se ci sarà un terzo seguito. E' probabile di sì, ma i miei "è probabile" valgono come un calzino bucato su una bancarella dell'usato, per cui fatene un po' quel che volete.) Titolo da Enjoy The Silence dei Depeche Mode.
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Words, Like Violence, Break The Silence


- Oh, ti prego. – ride Douglas, ansimando affaticato e reggendosi sul fianco con un gomito ben piantato sul materasso mentre Daniel lo stringe per i fianchi e, mordendogli distrattamente una spalla, entra in un unico gesto secco dentro di lui, - Abbiamo appena finito.
Tu hai appena finito. – ride a propria volta Daniel, spingendosi contro il suo corpo fino a costringerlo a pancia in giù, - Io devo ancora cominciare.
- Molto carino, da parte tua. – lo prende in giro Douglas, lasciandosi rigirare senza opporre particolari resistenze ed accomodandosi meglio sul materasso, per accoglierlo dentro di sé con maggiore facilità. Daniel lo segue, imprime le linee dure del suo corpo contro quella curva della sua schiena e ringhia di gola quando le sue spinte riescono ad acquistare un ritmo soddisfacente per entrambi.
- Sai cosa intendevo. – gli sussurra sul collo. Douglas tiene gli occhi chiusi, le labbra umide lievemente aperte e le braccia incrociate sotto il mento. Sembra perfettamente felice, rilassato come fosse steso in spiaggia. Daniel sorride, mordendogli la nuca e riportando la sua completa attenzione sulle sue spinte decise, e Douglas ridacchia, inarcando la schiena ed accogliendolo più profondamente, mentre si concede qualche gemito appena più forte, in attesa che Daniel lo zittisca chinandosi a coprire le sue labbra con le proprie.
Daniel lo accontenta nel momento in cui viene dentro il suo corpo, esattamente com’è venuto lui non più di cinque minuti fa. Lo bacia con forza, costringendolo a voltare il capo il più possibile per permettere alle loro lingue di intrecciarsi, alle loro labbra di chiudersi e stringersi e succhiare, ai loro denti di mordere e pizzicare.
Non dicono niente, dopo. Le chiacchiere vuote post-sesso non sono mai rientrate nella loro pur poco rodata routine, e le poche parole che si scambiano sono finalizzate ad un uso prettamente pratico. Resti o vai? Domani torni? Stai attento fuori, mh?
Ciò che hanno da dirsi, d’altronde, sono perfettamente in grado di esprimerlo senza dargli voce.

*

- Ma cazzo. – ride Daniel, tirandolo all’interno della stanza e chiudendosi rapidamente la porta alle spalle, - Ma sei un coglione! Potevano vederti.
- Be’, chi vuoi che possa avere da ridire se porto la colazione a un collega? – chiede Douglas, agitando davanti al suo naso un pacchetto dal quale proviene un profumo delizioso.
- Nudo? – chiede quindi Daniel, inarcando un sopracciglio e portando una mano al fianco mentre con l’altra lo indica in un gesto vago, fra le sue risate divertite e un po’ infantili. – Spero che almeno avessi qualcosa addosso quando sei uscito a comprare… qualsiasi cosa ci sia là dentro.
Douglas posa il pacchetto sul tavolino e se lo tira contro, schiacciandosi contro il suo corpo e tenendolo per i capelli cortissimi mentre senza troppe cerimonie lo costringe a piegare il capo e il collo come preferisce per approfondire il bacio il più possibile.
- Ti fai un sacco di problemi idioti. – gli fa notare, interrompendo il bacio ma restando a così pochi millimetri dal suo profilo da sfiorare le sue labbra con ogni parola, - Tipo se qualcuno mi abbia visto o meno in un corridoio deserto di un albergo addormentato alle cinque del mattino. Ma non ti poni le domande importanti.
- E quali sarebbero le domande importanti? – chiede Daniel, gli occhi socchiusi e velati di voglia, mentre lascia scorrere le mani lungo i fianchi di Douglas, fino a stringerli con forza fra le dita.
Douglas sorride, allungandosi a recuperare il pacchetto e sollevandolo di nuovo all’altezza del suo viso.
- Croissant vuoti o con marmellata?

*

- Ma sei impazzito del tutto? – ride Douglas, completamente senza fiato, gettando indietro il capo ed appoggiandosi alla parete della doccia mentre l’acqua scorre su di lui e su Daniel, in ginocchio sul pavimento, che scivola con le labbra sulla superficie della sua erezione, respirandogli addosso, sfiorandolo appena con la lingua, ma senza rassegnarsi a prenderlo in bocca fino ad averlo fatto andare definitivamente fuori di testa. – Ci vedranno. – cerca di fargli presente, ma la verità è che non vuole nemmeno aprire gli occhi per guardarsi intorno e verificare la fondatezza delle sue paure.
Daniel schiude le labbra, mordicchia lievissimo la punta della sua erezione e si ritrae. Lo guarda dal basso, e Douglas si sforza di ricambiare la sua occhiata, respirando a fatica.
- Lo spogliatoio è vuoto. – dice, e si china a leccarlo piano una, due, tre volte. Douglas geme con forza.
- Non sappiamo per quanto. – gli ricorda, la voce rotta in un singhiozzo che gronda voglia tanto quanto i loro corpi grondano acqua.
Daniel si alza in piedi, si pressa contro di lui, lo schiaccia contro la parete e lo bacia come dovesse essere l’ultima volta.
- Allora facciamo in fretta.

*

È stato Douglas ad avvicinarsi, questa volta, anche se ormai entrambi faticano a tenere il conto delle volte o delle responsabilità oggettive di questo o quest’altro avvicinamento. Ansimando rumorosamente, cercano di riacquistare il controllo dei loro corpi, ancora stretti in un abbraccio un po’ goffo dentro il bagno dell’infermeria.
- Questa cosa sta diventando assurda. – commenta Daniel, fissando il soffitto bianco e restando malamente appoggiato contro il lavandino, anche se l’unico motivo per cui riesce a mantenersi in equilibrio è il corpo di Douglas che, restando in piedi e ben piantato per terra, gli dà qualcosa cui appigliarsi per non scivolare inesorabilmente. Come fa spesso. – Dovremmo essere più prudenti. Credo.
Douglas stringe le braccia attorno a lui. Nasconde il viso nell’incavo del suo collo come un ragazzino che ha paura, e Daniel gli appoggia una mano sulla nuca e lo accarezza ruvidamente, fissando davanti a sé, le labbra strette e quasi bianche per la tensione.
- Non riesco a starti lontano. – gli sussurra Douglas sulla spalla, e Daniel sente il mondo rovesciarglisi sotto i piedi. È una delle tante cose che credevano di non aver bisogno di dirsi, quando forse in realtà avevano solo paura di farlo.

*

Vorrebbero entrambi sparire, quando – l’uno all’insaputa dell’altro – vengono convocati nell’ufficio di Dunga. Non si aspettavano di ritrovarsi di fronte durante un confronto simile, non si aspettavano nemmeno che un confronto simile dovesse avere luogo, tanto per cominciare, ma forse questo è stato solo uno dei loro numerosi errori, una delle tante cose che avrebbero dovuto prevedere, o almeno provare a prevedere, e delle quali invece hanno preferito non curarsi.
- Non voglio fare lunghi discorsi, - dice Dunga, massaggiandosi stancamente le tempie, - so che siete ragazzi responsabili e non ne avete bisogno. Può succedere, dico, vi capisco. I santi non esistono, la perfezione non è cosa degli esseri umani, possiamo tutti sbagliare. Ma, ragazzi, - e solleva lo sguardo, piantandolo su di loro che smettono all’istante perfino di respirare, - per quanto le cose possano succedere e non sia colpa di nessuno, ci sono cose che possono continuare e ce ne sono altre che vanno fermate.
- Mister, - prova a cominciare Douglas, tirando fuori dai polmoni un rantolo di voce che mette a Daniel i brividi fin nelle ossa, ma Dunga lo ferma con un’occhiata comprensiva ma severa, sospirando profondamente.
- Questa è una delle cose che vanno fermate. – conclude, deciso ma non aggressivo, in una richiesta, quasi, che però è un ordine al quale non si può disobbedire. – Non fatemelo ripetere una seconda volta, ragazzi.

*

Non guardarsi è dura. Troppo. Fingere di non farlo sembra un buon compromesso, all’inizio, ma sulla lunga distanza non funziona tanto bene. Douglas pensa a Milano, il più delle volte. A quanto sarebbe più facile se si trovasse lì. Daniel pensa a Barcellona e i risultati, più o meno, sono gli stessi.
Frustrati e delusi rendono meno di quanto potrebbero rendere se fossero tranquilli, sereni e felici, ma la verità è che questa situazione è colpa loro e di nessun altro. Se fossero stati più prudenti, se fossero stati più accorti, se in generale fossero stati meno stupidi e non avessero dato inizio a quella follia per leggerezza, per capriccio, perché l’odore delle loro pelli e il pensiero dei loro corpi toglieva loro il respiro al solo immaginare di poter stare vicini, tutto questo non sarebbe mai accaduto. È una cosa che comprendono entrambi molto bene.
E perciò ci provano, ci provano davvero a fare come se l’altro non esistesse. Dunga è vicino a entrambi: “è una fase,” dice. Loro cercano di crederci.
Quando Douglas si avvicina a Daniel, una settimana dopo, forse è troppo presto, perché Daniel si sente correre addosso un brivido che lo devasta, e fa un passo indietro, preoccupato dall’entità di quello che sta provando, e anche dalla possibilità di perderne il controllo.
- Scusa. – dice Douglas, che quello stesso brivido l’ha percepito sul corpo come fosse partito direttamente da lui, - Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.
Daniel lo guarda, incerto fra la possibilità di dire la verità e quella di mentire.
Alla fine, sceglie la via più facile.
Genere: Commedia, Erotico.
Pairing: Dani Alves/Douglas Maicon.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- Durante l'amichevole con la Tanzania, Dani subisce un fallo piuttosto duro. Subito dopo, Douglas va ad informarsi sulle sue condizioni.
Note: Allora, ieri stavo guardando l'amichevole Brasile-Tanzania, e sul finale un giocatore della Tanzania prende e mi entra a gamba pericolosamente tesa sulla caviglia del povero Dani. Questo, da solo, non avrebbe portato a niente, immagino; peccato che subito dopo il fallo Douglas sia andato dal giocatore della Tanzania e si sia messo a prenderlo a schiaffetti sulle spalle per "rimproverarlo" per quel fallo X'D Ciò, unito al bell'abbraccio che i due si sono scambiati (e poi hanno condiviso anche con Kakà, ma questo ci interessa meno nell'atto del fangirling contingente) quando Douglas ha assistito il gol dello stesso Kakà per il 4-0, ed unito soprattutto alla Jan ed al nostro comune sclero su Twitter, ha portato a dello shipping furioso che non s'è ancora estinto XD E, come tutti voi sapete, lo shipping porta alle fic. Perciò le fic sono ciò che avrete.
Il titolo, ad imperitura testimonianza della mia indubbia fantasia (?), non è altro che la denominazione inglese di ciò che Dani e Douggie fanno all'interno della fic "XD
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Dry Humping


- Ohi, stai bene? – chiede Douglas, avvicinandoglisi nello spogliatoio dopo la doccia. Daniel sta seduto sulla panca, una gamba tirata su fino a poter poggiare il piede sulla seduta, e guarda con attenzione la propria caviglia. Non sembra gonfia, ma fa un po’ male, e l’entrata è stata dura. Non è proprio sicuro che ci sia da preoccuparsi, quindi per pronto accomodo evita di farlo, ma l’idea di poter subire delle complicazioni dopo una stupida botta in una stupida amichevole contro la stupida Tanzania lo mette di malumore, e questo non va bene.
- Mmmh. – risponde vago, scrollando le spalle ed abbassando la gamba, - Cazzo, mi sono preso una paura fottuta. – confessa a bassa voce, - Questo Mondiale maledetto ne ha già rimandati in patria un pacco, ti pare?
Douglas ride, sinceramente divertito, battendogli una pacca sulla spalla.
- Ma va’, tu sei fatto di ferro. – lo rassicura, - Non corri mica quel rischio lì.
- Ma uno non può mai sapere quando la sfiga gli si abbatterà contro. – riflette Daniel, ridendo a propria volta, - Prendi per dire voi che riuscite a passare le semifinali con noi al Camp Nou, ti pare che potessimo prevederla una sfiga simile?
- Una sfiga! – ribatte Douglas, senza perdere il sorriso ma tirandogli uno schiaffo giocosamente offeso sulla nuca, - È così che chiamate la bravura dell’avversario, in Catalogna?
- La brav— oh, credimi, - ride Daniel, inarcando un sopracciglio, - non vuoi veramente parlare con me di questo.
- Non voglio e non posso, - annuisce Douglas, ancora divertito dallo scambio di battute, - se Dunga sapesse che stiamo qui a rinfacciarci i nostri crimini di guerra mettendo a repentaglio la serenità del ritiro, - dice con una mezza risatina ironica, - ci sbatterebbe fuori a vita. L’unità della squadra prima di tutto.
- Esattamente. – annuisce compitamente Daniel in risposta, allungandosi a recuperare la propria maglietta ed indossandola. – Quindi, pietra sopra? – chiede, porgendogli la mano. Douglas però sorride malizioso, scuotendo lentamente il capo.
- Io non sono uno che si lascia offendere e poi dimentica tanto facilmente, Alves. – dice con tono fintamente serio, mentre Daniel, ridendo, rotea gli occhi, mimando un’esasperazione che è quanto di più distante esista dal suo reale stato d’animo, - Facciamo che stasera si esce. Ci si prende una birra. Ed offri tu. – conclude Douglas, stringendogli la mano prima che Daniel possa ritrarla. A lui non resta che accettare, ma d’altronde non ha mai pensato di fare il contrario, per cui va bene.
*
Le birre diventano due, poi tre, poi quattro, e così finisce che entrambi perdono il conto, e riescono solo distrattamente a pensare a quanto Dunga li terrà inchiodati alla parete per una delle sue sessioni di prediche infinite sulla responsabilità e sulla serietà e sulla professionalità e su tutta una serie di parole pesanti che finisco in –tà ed alle quali né Daniel né Douglas hanno voglia di pensare al momento, perché ce ne sono di molto migliori – risate, solletico, battute, spintarelle, tocchi casuali sopra e sotto il tavolo nell’oscurità del locale senza nome in cui si sono rifugiati alla prima occasione, per evitare di essere beccati da soli per strada dopo essere riusciti chissà come a sfuggire alle generose attenzioni delle guardie del corpo – che sono tanto più leggere, tanto più belle da provare a pronunciare fallendo miseramente ad ogni tentativo, perché è già tanto riuscire a concludere una semplice frase di senso compiuto, figurarsi impostare periodi, virgole, punti, concetti.
- E quindi mi fa – ride Douglas, asciugandosi una lacrima dall’angolo di un occhio, - mi fa “tanto la Champions mica la vincete, manco quest’anno”. – e anche Daniel ride, piegandosi in due sul tavolino e dicendosi che in realtà dovrebbe rovesciargli il boccale di birra sulla testa, visto che s’era detto di non parlarne, ma non avrebbe nemmeno la forza di sollevare il braccio, per cui lascia perdere, - E io gli faccio: “Dinho”, gli faccio, “quando sarò a Madrid e prenderò la coppa in mano, assicurati di stare a guardarmi perché le darò un bel bacio grosso e appiccicoso e sarà tutto dedicato a te”! – conclude con l’ennesima risata e Daniel cerca di ritirarsi su, respirando a fatica.
- Un bel bacio grosso e appiccicoso… - gli fa eco, - Cazzo, devono fare schifo i tuoi baci, scusami, eh.
Checcosa?! – sbotta Douglas, oltraggiato, battendo il boccale sul tavolo dopo essere riuscito a sollevarlo di ben cinque millimetri, - Come osi! I miei baci sono assolutamente spettacolari, ti fanno vedere le stelle. Sono meglio di un’ubriacatura.
- Sì, è un peccato che non funzionino all’inverso, allora. – ride Daniel, grattandosi la testa, - Al momento mi servirebbe qualcosa per schiarirmi le idee.
Douglas ridacchia divertito.
- Be’, si può sempre provare. – butta lì, e Daniel non capisce quanto sia serio o quanto invece stia giocando, almeno fino a quando Douglas non si sporge verso di lui, coprendo col suo corpo i centimetri che li separano e baciandolo lievemente sulle labbra.
Quando si allontana, sta ancora sorridendo sereno, e Daniel non si muove, cercando di capire se il bacio sia servito allo scopo. Non è servito, e infatti scuote il capo.
- Sono più confuso di prima. – ammette, fissandolo con aria un po’ vaga, - Non vai bene come rimedio dopo sbornia.
Douglas ride, divertito dalla battuta. Dimentica che dovrebbe essere Daniel ad offrire e lascia un paio di banconote sul tavolo, poi lo prende per mano, lo aiuta ad alzarsi e comincia a trascinarlo fuori dal locale.
- Magari vado bene durante, però. – mormora a mezza voce, ma è abbastanza perché Daniel possa sentirlo e rabbrividire, chiedendosi cosa stia facendo, o cosa stia accettando di farsi fare, mentre Douglas, per strada, si guarda intorno per un paio di secondi e poi lo conduce sul retro del locale, in uno spiazzo vuoto, poco illuminato, silenzioso al punto che Daniel può sentire solo il suo stesso respiro faticoso e concitato.
Daniel non protesta quando Douglas lo spinge verso la parete. È ruvida e gli punge le spalle, lasciate scoperte dalla canottiera senza maniche, ma quel fastidio perde importanza quando le labbra di Douglas tornano a coprire le sue, più affamate di prima e decisamente meno incerte. Daniel risponde con la stessa foga, con la stessa voglia, con lo stesso bisogno assoluto che ha di sentirselo addosso, e per questo lo afferra per la maglietta, tirandoselo contro con un grugnito animalesco che sfugge dalle sue labbra solo per finire intrappolato in quelle dell’altro.
Douglas gli poggia le mani sui fianchi, anche troppo delicatamente. Daniel interrompe il bacio e si allontana da lui solo di qualche centimetro, ridisegna con la lingua il contorno della sua bocca e poi torna ad affondare dentro di lui, mentre Douglas stringe la presa e si muove contro di lui in uno strusciare dapprima probabilmente accidentale che poi si fa sistematico quando si accorge della sua erezione prepotente premuta contro la propria.
Daniel smette ancora di baciarlo, allarga le gambe per lasciargli più spazio e libertà di movimenti e si aggrappa alle sue spalle, scendendo a baciargli e mordergli il collo quasi con furia, seguendo il più possibile i movimenti del suo bacino. Douglas appoggia la fronte nell’incavo del suo collo, lambisce la sua pelle accaldata e sudata con le labbra umide, e il suo respiro bollente gli dà la pelle d’oca su tutto il corpo. Non ha senso chiedersi cosa stia succedendo, Daniel non lo sa e se anche lo sapesse probabilmente non farebbe la minima differenza. I gemiti di Douglas si diffondono nell’aria tiepida e secca che accarezza distrattamente le loro pelli dove i vestiti le lasciano scoperte, e Daniel si ritrova quasi inconsapevolmente a sollevare la propria maglietta assieme a quella di Douglas, perché vuole sentirlo di più, vuole sentirlo ovunque, e così però è troppo difficile, troppo confuso, troppo sbagliato – nonostante sia così terribilmente piacevole – e Daniel pensa che forse è normale che sia così, essendo quello che è, e quindi alla fine è meglio non dirselo troppo chiaramente, perché se solo provasse ad esprimere il concetto con un minimo di lucidità in più poi gli toccherebbe fuggire a gambe levate, e non vuole, perché la frizione confusa e furiosa del corpo di Douglas contro il suo, del suo cazzo contro il proprio, nonostante i vestiti rendano il tutto più ovattato e distante di quanto Daniel non preferirebbe, è troppo bella per potervi rinunciare.
Daniel si sente esplodere, quando viene, ed accoglie fra le labbra l’ultimo gemito di Douglas, il più rumoroso di tutti, quello nel quale sfugge il suo nome in un sussurro così caldo e intimo da farlo impazzire. Lo bacia a lungo, freneticamente all’inizio, poi con più calma. Trovano un ritmo che si adatta ad entrambi, trovano probabilmente anche serenità sufficiente per gestire la cosa senza doversi necessariamente divorare a vicenda per la voglia, ed il bacio si trasforma in un gioco incerto di baci più piccoli e morsi più maliziosi, mentre il lampione lontano che illumina il piazzale si spegne e si riaccende come la lampadina fosse lì lì per fulminarsi, e le voci che giungono dal locale e dalla strada poco distante tornano ad invadere le loro orecchie come ospiti attesi ma non per questo meno fastidiosi.
Quando il bacio s’interrompe, loro respirano già normalmente. Non riescono ad interrompere il contatto fisico, però, e l’abbraccio in cui sono ancora stretti da solo non basta, per cui rimangono lì, gli occhi chiusi, fronte contro fronte a respirarsi addosso mentre il mondo torna ad avere senso.
- …non credo di essere ancora ubriaco. – ride piano Daniel poco dopo, allontanandosi ed aprendo gli occhi. Douglas sorride al niente, all’inizio, perché ha gli occhi ancora chiusi. Poi, però, li apre, ed a quel punto Daniel capisce che sta sorridendo a lui, e lo stava facendo anche prima.
- Visto? – lo prende in giro, - Funziona.
Daniel rotea gli occhi e lo spintona, scuotendo il capo e dandosi una sistemata mentre gli intima di darsi una mossa, che sono già abbastanza in ritardo e non è proprio il caso di peggiorare la situazione perdendo ulteriormente tempo. Douglas annuisce, sistema la maglietta e poi gli lancia un’occhiata incerta, per quanto ancora divertita.
- Domani offri tu davvero. – borbotta, puntandogli un dito nel mezzo del petto. Daniel lo scosta con uno schiaffo anche troppo forte.
- Sì, ma in camera. – ride, - Il muro di merda mi avrà scorticato la schiena, e se devo tornarmene in Spagna preferisco che sia perché uno mi spacca la caviglia sul campo che non perché non riesco a muovermi dopo una scopata del cazzo.
Douglas ride a propria volta, ma annuisce e non protesta. Non dice nient’altro, in realtà, ma Daniel è abbastanza convinto che non ce ne sia davvero bisogno, per cui segue il suo esempio e, in silenzio, lo affianca.
Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Dani/Douglas.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, AU, Lime.
- "Lo chiamavano il Brasiliano."
Note: Questa storia è-- la follia. *ride* In realtà è nata un millennio fa circa, quando Def tirò fuori, da meandri che non conosco, una serie di foto simili a quella che ho usato per il banner e che ritraevano Dani (s)vestito da torero. Poi, per un motivo o per l'altro, più che altro perché avevo scadenze pressanti per altre storie, il programma di scriverla è slittato nel tempo, ma la voglia di farlo non è mai mancata, per cui a un certo punto è semplicemente nata. Le voglio bene perché è bello quando si riesce a descrivere un mondo in una storia relativamente breve, che è una cosa che per forza deve riuscirti quando vuoi scrivere un AU che magari non sia lungo trecento pagine. *ride* Insomma, io spero di esserci riuscita, e che vi piaccia /o/
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REMEMBER WHEN I MOVED IN YOU

Lo chiamavano il Brasiliano, e quello doveva essere il motivo per cui Douglas, trattenendo il respiro fino allo stremo delle forze, stava andando a parlare con lui. Non aveva idea di cosa gli avrebbe detto e, per dire tutta la verità come stava, non era neanche sicuro che ciò che aveva intenzione di fare si potesse fare per davvero, ma in quel momento non gl’importava. Il pensiero di poter fare la figura peggiore della sua esistenza naturalmente lo sfiorava ad ondate continue, ma sempre meno forti, come il mare che riacquista la calma dopo una tempesta. La paura e la vergogna erano state fortissime quando era uscito di casa ed aveva cominciato a dirigersi a piedi verso l’arena, ma man mano che la strada già percorsa si faceva più lunga, accorciando quella ancora da percorrere, quelle sensazioni svanivano, lasciando posto ad un senso di irrequietezza che poco aveva a che fare con l’imbarazzo, e che Douglas riusciva a riconoscere come una sorta di timida eccitazione, una strana impazienza di arrivare e trovarsi di fronte a lui per riuscire a dirgli qualcosa, anche una cosa qualsiasi.
Camminando ad occhi bassi come faceva, si accorse di aver raggiunto la Monumental solo quando la sua immensa ombra scura gli si gettò addosso. Il sole di Barcellona smise di bruciargli la pelle e la temperatura tornò ad abbassarsi attorno a lui, convincendolo a sollevare lo sguardo e scrutare l’enorme e splendido edificio con aria un po’ incerta, inumidendosi le labbra. Socchiuse gli occhi ed immediatamente le emozioni fortissime che aveva provato non più di una settimana prima assistendo alla Corrida tornarono ad impossessarsi dei suoi sensi: le grida della gente, l’odore del sangue e del sudore, i versi dei picadores e dei banderillos ed il sorriso immobile e sicuro del torero, le labbra rilassate, i movimenti del corpo fluidi e naturali, come stesse facendo la cosa per cui era nato e niente di diverso. L’immagine dei suoi denti bianchissimi ad apparire e sparire fra le sue labbra quando il sorriso si faceva appena più compiaciuto, un attimo prima di tornare composto e pacato, è ancora perfettamente chiara nella sua mente, così come quella dei suoi occhi chiarissimi, perfettamente visibili perfino dalla lunga distanza.
L’arena sembrava completamente diversa quando era vuota. Douglas girò per qualche secondo attorno all’entrata principale, chiedendosi se ci fosse un passaggio meno esposto attraverso il quale entrare, ma quando non vide nessuno a sorvegliare il posto scrollò le spalle e decise di entrare da lì. Lo spettacolo non sarebbe cominciato prima di tre ore, ed era abbastanza ridicolo entrare così presto con la speranza di trovare il torero già dentro, da qualche parte, ma Douglas risolse il problema stabilendo che non ne avrebbe fatto un dramma, se non l’avesse trovato. Era una chance che si stava dando alla cieca, spegnendo il cervello e pregando perché andasse bene. Pregando, soprattutto, perché una volta giunto di fronte a lui potesse scattare qualcosa, nella sua gola, qualcosa che potesse permettergli di capire perché stava facendo tutto questo. Se un perché c’era.
Si guardò intorno per un minuto buono, prima di individuare il torero. Era lì, a non più di una decina di metri da lui. Costeggiava lentamente il bordo dell’arena, le mani dietro la schiena e gli occhi chiusi, il viso puntato verso l’alto ad accogliere la luce del sole. Indossava un paio di normalissimi jeans ed altrettanto normalissime scarpe da tennis, ma portava la chaquetilla direttamente sul petto nudo, e quello era l’unico particolare per il quale era possibile riconoscerlo per ciò che era.
Douglas trattenne il respiro mentre gli lasciava scorrere gli occhi addosso, e si riscosse solo quando vide con la coda dell’occhio qualcuno avvicinarglisi. Si voltò per inquadrare la figura appena in tempo per riconoscere un uomo dai lunghi capelli ricci con la divisa del servizio d’ordine che lo squadrava sospettoso, le sopracciglia aggrottate e l’aria di uno che non ha tempo da perdere a rimbrottare visitatori per la loro inopportuna presenza fuori dall’orario di apertura, ma che nondimeno è costretto a farlo per contratto.
- Non può stare qua. – borbottò l’uomo, guardandolo severamente, - Il signor Alves si sta preparando, è ancora presto per la Corrida. Ritorni quando apriremo la biglietteria.
- No, guardi, - cercò di dire lui, gesticolando vagamente più nel tentativo di distrarlo che per altro, - in realtà volevo solo— parlare un attimo col signor Alves, se fosse possibile, e—
- Non può stare qua. – ripeté l’uomo, - E non può disturbare il torero mentre si prepara per la corrida, per cui, se vuole seguirmi… - lo invitò brusco, mostrandogli con un gesto la via per l’uscita.
Douglas puntò i piedi, ben deciso a protestare animatamente, ma i suoi programmi furono vanificati dalla voce del torero che giunse chiara e cristallina a pochi passi dalle transenne.
- Carles. – lo chiamò tranquillamente, attirando la sua attenzione, - Non preoccuparti, lo conosco. Lascialo passare.
- Dani. – borbottò lui, incrociando le braccia sul petto, - Non posso lasciarlo passare.
- Sì, ma puoi farmi un favore. – disse l’uomo, sciogliendo le braccia da dietro la schiena e piegandosi un po’ per appoggiarsi alla transenna, senza mai perdere il contatto visivo con l’uomo e senza degnare Douglas di uno sguardo, come se la sua presenza fosse tanto ovvia da non dover richiedere che se ne si prendesse nota.
L’uomo sospirò e scosse il capo, rassegnato, prima di voltarsi di nuovo verso Douglas e lanciargli un’occhiata risentita.
- Un’ora, non di più. Dopo deve cominciare a vestirsi, e tu – disse puntandolo con un dito e passando alla seconda persona senza curarsi troppo di quanto il tutto potesse suonare minaccioso (o forse proprio perché, invece, se ne rendeva conto alla perfezione) – tu sloggi. Ci siamo intesi?
- Carleeees. – lo riprese il torero, mentre Douglas annuiva incerto, e pochi secondi dopo l’uomo sbuffò e girò sui tacchi, sparendo dietro il primo angolo utile.
- …tu mi conosci? – chiese Douglas, scavalcando le transenne sotto lo sguardo di Dani che, ora che Carles era scomparso all’orizzonte, si era focalizzato su di lui come se nel raggio di chilometri non esistesse nient’altro che valesse ugualmente la pena guardare.
- No, non ti ho mai visto prima. – rispose sinceramente lui, ridendo divertito, - Ma se non l’avessi detto, Carles non ti avrebbe mai lasciato passare. Per cui fai in modo che sia valsa la pena mentire.
Douglas abbassò immediatamente lo sguardo, perdendo il passo mentre Dani continuava a camminare seguendo la forma ovale dell’arena.
- Per la verità non— non lo so. – biascicò incerto, - Sono brasiliano anch’io, sai?
- L’avevo immaginato dal tuo accento. – rispose Dani, voltandosi a guardarlo ed aspettando che si trovasse nuovamente accanto a lui prima di riprendere a camminare, - Se vuoi, possiamo parlare in portoghese. Sono anni che non parlo più nella mia lingua, qui non ho nessuno con cui farlo. È importante per tutti che io parli in spagnolo. Potrò essere brasiliano, ma prima di tutto sono un matador, e per esserlo devo essere spagnolo. E quando vivi a Barcellona, spesso essere spagnolo non basta. Devi essere catalano.
Douglas annuì distrattamente. Poteva capire cosa Dani intendesse dire con quel discorso, ma lui non faceva il suo stesso lavoro, non aveva la sua stessa posizione e soprattutto, anche se per lavoro tutto il giorno era costretto a parlare spagnolo, quando tornava a casa dalla sua vecchia mamma e dal suo vecchio babbo, ricominciava a parlare in portoghese, e smetteva solo quando andava a dormire. Ancora di più, comunque, a nessuno importava se lui parlasse spagnolo o portoghese, quando e con chi. Per Dani la questione invece sembrava essere del tutto diversa.
- Per me va bene. – annuì quindi, cominciando subito a parlare in portoghese ed osservando i lineamenti del viso di Dani che si distendevano in un sorriso molto più sincero dei precedenti.
- Potrei essere un po’ arrugginito. – confessò lui con un sorriso, indicandogli una porticina che li condusse entrambi in un ambiente buio e riparato, che non s’illuminò davvero neanche quando Dani accese la luce. La lampadina bassa, pendente dal tetto tramite un filo sottilissimo che la portava ad ondeggiare nel vuoto al minimo spostamento d’aria, diffondeva una luce fioca e giallastra che permetteva appena di rendersi conto dei confini dei mobili per non andare a sbatterci contro. – Comunque, volevi parlarmi di qualcosa in particolare? Accomodati pure.
Douglas prese posto sul bracciolo di un divanetto in pelle nera. Si sedette tanto in bilico che dovette puntellarsi con entrambe le mani per non cadere. Dani rise, ma si adeguò immediatamente, appoggiandosi al bordo di un tavolino poco distante e restando in attesa.
Douglas si guardò intorno. Non riusciva a distinguere il colore di metà dei mobili che arredavano la stanza, ma erano quasi tutti molto tradizionali, in legno scuro. C’era una credenza enorme che chissà cosa doveva contenere, ed un armadio perfino più grande, ed erano entrambi di un bel legno bruno cui la luce davvero non rendeva giustizia, arrivando ad oscurare perfino gli splendidi disegni floreali che ne decoravano le ante. Si ritrovò a dirsi che si stava perdendo apposta in quelle osservazioni assolutamente inutili, per non dover fronteggiare il fatto di trovarsi proprio lì a due passi da lui e non avere la minima idea di cosa dirgli, esattamente come sarebbe immaginato che sarebbe successo.
- Io sono… un tuo fan, se così si può dire. – abbozzò quindi, tenendo gli occhi bassi e dondolando un po’ sul bracciolo, salvo poi interrompersi immediatamente al pensiero di poterlo rompere con un movimento particolarmente goffo.
- Davvero? – chiese Dani, inarcando un sopracciglio ed osservandolo scettico, - E da quando?
- Da… una settimana? Suppongo. – rispose lui, mortalmente in imbarazzo. Dani rise ad alta voce e lui immediatamente sollevò lo sguardo, lanciandogli un’occhiata truce. – Così non mi aiuti. – borbottò offeso, e Dani scosse il capo, cercando di trattenere le risate con scarsi risultati.
- E per cosa ti servirebbe il mio aiuto? – lo invitò a proseguire, sorridendo enigmatico. Douglas scostò lo sguardo, sospirando profondamente.
- Non lo so. – rispose quindi, buttando fuori in un fiato tutto ciò che aveva nei polmoni, agitazione compresa, e sentendosi immediatamente più leggero. – Mi sei piaciuto da subito, credo. – disse quindi, e non sapeva se stesse facendo maggiormente sfoggio di coraggio, incoscienza o stupidità, - Solo che non sapevo come— fartelo sapere.
- Le donne, generalmente, mi scrivono lettere d’amore, o mi lanciano rose nell’arena. – rise ancora Dani, allontanandosi dal tavolino per avvicinarsi a lui. – Per quanto riguarda te, invece, sono contento che sia venuto a dirmelo di persona.
Douglas sollevò lo sguardo, incontrando i suoi occhi e cercando di inumidirsi le labbra. Senza riuscirci, peraltro. Aveva la bocca talmente secca che riusciva a stento a respirare.
- …con questo vuoi dire che—
- Con questo non voglio dire niente. – sorrise Dani, avvicinandosi ancora e piegandosi un po’ per guardarlo negli occhi. – Dimmi il tuo nome. – disse quindi, la voce bassa e un po’ roca, - E dimmi cosa sei venuto a chiedermi.
Douglas trattenne il fiato e si sentì esplodere il petto. Lasciò andare il respiro più doloroso di tutti proprio contro le sue labbra, e contro quelle stesse labbra sussurrò il proprio nome, prima di sporgersi a baciarlo. Dani non si tirò indietro e non mostrò stupore a quel gesto, accogliendo la sua lingua con la propria e perfino il suo corpo fra le proprie braccia quando lui si slanciò in avanti tanto repentinamente che, se non avesse trovato il suo corpo a frenarlo, sarebbe sicuramente caduto in avanti.
Rise divertito fra le sue labbra, guadagnandosi in cambio un mugugno offeso cui seguirono un paio di morsi che fecero perfino male, e che si sfumarono subito in un’altra serie di baci, uno più umido e aperto dell’altro, mentre le mani esperte di Dani scorrevano lungo tutto il suo corpo, liberandosi celermente degli abiti che lo nascondevano alla vista.
Coi jeans appallottolati in un angolo accanto al divano e la maglietta tirata su a scoprire il petto ma ancora indosso, come nessuno dei due volesse perdere troppo tempo a toglierla completamente di mezzo, purché lasciasse scoperti i centimetri di pelle che contavano, Douglas si abbandonò contro il divano e chiuse gli occhi, lasciando che le labbra di Dani corressero senza tregua lungo il suo petto, il suo stomaco e le sue gambe, togliendogli la voce, il respiro, il senno. Inarcò la schiena, gemendo di sorpresa e dolore quando lui si spinse dentro il suo corpo, soffocandolo in un bacio più affamato degli altri. Dischiuse gli occhi alla ricerca dei suoi e le labbra alla ricerca di un po’ d’aria per non morire. Trovò i primi ma non la seconda, boccheggiò per qualche istante e poi Daniel gli sorrise addosso, cominciando a spingersi dentro di lui più lentamente, come aspettando che si abituasse, e allora perfino il bisogno di respirare o il naturale istinto a cercare di non morire persero importanza, e fu proprio in quel momento che cominciò a rilassarsi, e l’aria cominciò a tornare da sé, senza che lui avesse bisogno di ostinarsi a cercarla.
Le mani di Dani scivolarono lungo i suoi fianchi, stringendolo con forza per tenerlo fermo mentre si sistemava fra le sue cosce e dentro di lui, e poi allentarono la presa per accarezzarlo più lentamente lungo la sua erezione, talmente tesa da fare quasi male. Douglas continuò a gemere sempre allo stesso modo e non poté evitare di chiedersi dove stesse finendo il dolore che stava provando, e dove cominciasse invece il piacere che lo stava stordendo costringendolo a tremare fin nelle ossa. E smise di chiedersi qualsiasi cosa quando cercare di stabilire fine ed inizio non ebbe più senso, perché l’orgasmo gli esplose dentro portandolo a spalancare le labbra in un grido acuto per il quale avrebbe avuto modo di sentirsi in imbarazzo in seguito, ma non in quel momento, non quando l’unica cosa che sembrasse importante era allungare le mani, afferrare la chaquetilla di Dani, afferrare Dani, tirarselo contro e non lasciarlo andare più.
- Fai così con tutte le donne che ti mandano una lettera o ti lanciano una rosa nell’arena? – gli chiese con un mezzo sorriso, quando ebbe ritrovato sufficiente fiato per farlo. Dani rise, sollevandosi un po’ sulle mani per lanciargli un’occhiata curiosa.
- Stai sdrammatizzando? – gli chiese. Douglas distolse lo sguardo, lasciandosi andare ad una risatina nervosa.
- …ne sento il bisogno. – rispose sinceramente. Dani gli lasciò un bacio lievissimo sulla fronte, prima di separarsi da lui e rimettersi in piedi, scomparendo pochi secondi dopo dietro un paravento e lasciandolo lì sul divano, sfatto e stanchissimo, ad ascoltare lo sciabordio dell’acqua da un rubinetto nella stanza accanto.
- Apri l’armadio, - gli disse in spagnolo quando fu tornato da lui, indossando solo la biancheria, - ed aiutami a vestirmi.
Douglas si mise in piedi, ricomponendosi brevemente ed annuendo mentre si dirigeva verso l’armadio e ne schiudeva le ante, restando per qualche secondo incantato a fissare el traje de luces, immaginando infinite possibilità di spogliare e rivestire Dani da quegli abiti per sempre. Arrossì visibilmente e fu felice per la prima volta della luce giallastra che impedì a Dani di notarlo mentre gli passava la camiseta, la taleguilla e tutto il resto degli indumenti, osservando lentamente il torero prendere forma a partire dal corpo di un uomo comune e sentendosi stranamente parte di qualcosa di più grande, come si fosse guadagnato il proprio posto all’interno del rituale che trasformava Dani in un dio, o perfino qualcosa di più.
- Sei bellissimo. – disse senza fiato, osservandolo sorridere e sfilare da sé il capote de paseo dal proprio piedistallo, drappeggiandoselo su una spalla.
- Lo spettacolo di oggi te lo offro io. – disse Dani, - Va’ da Carles e riferisciglielo. Ti darà un buon posto.
Douglas annuì, osservandolo uscire dalla stanza senza voltarsi più indietro. Non lo salutò, ma non lo fece neanche Dani, per cui diede per scontato che non ce ne fosse bisogno. Si disse che avrebbero avuto un’altra occasione per recuperare. Stabilì di non salutarlo mai più, così da dovere avere per sempre un’altra occasione in cui recuperare. E poi lo seguì all’esterno.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste.
Pairing: Dani/Douglas.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Angst, Slash.
- "Mordi."
Note: C'era semplicemente bisogno che io la scrivessi.
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TAKE A BITE OF ME
(SHOW ME YOUR TEETH)


La prima volta che fanno l’amore, sono entrambi spaventati ed hanno una fretta della Madonna. È un anno che si rincorrono da un lato all’altro dell’Europa, è un anno che vivono di baci e carezze dati di sfuggita negli spogliatoi o nel tunnel nascosti dietro agli altri, e ora non hanno più nessuna cazzo di voglia di aspettare. Sanno già che sarà dura farlo ancora quando si rivedranno nuovamente a Barcellona, ed hanno parlato, sono stati molto chiari, niente legami, niente obblighi, ma hanno una cazzo di voglia fottuta di sentirsi l’uno addosso all’altro senza star troppo a pensare alle conseguenze, e così il tre a uno scompare e scompare anche il ritorno che potrebbe portarli anche a pestarsi a caso in mezzo al campo, dipende da come andrà, e restano solo loro due e lo spogliatoio vuoto. E dieci minuti di tempo.
- Mordi. – dice Daniel, ridendo appena nel buio. Si sporge in avanti, offrendogli tutto il proprio corpo in un invito imprecisato. “Mordere dove?”, si chiede Douglas, e un secondo dopo smette di pensare, e affonda i denti.
*

Dopo il ritorno di Champions, stranamente, non hanno per niente voglia di picchiarsi a vicenda, nonostante il risultato della partita. A Douglas basta sentire addosso l’odore e il calore della sua pelle, quando si abbracciano dopo essersi scambiati le maglie, per desiderarlo come se non avessero appena finito di darsi battaglia in mezzo al campo.
Gli basta uno sguardo veloce per rendersi conto che negli occhi di Daniel c’è la stessa identica voglia, e non ha bisogno di chiedergli niente ad alta voce: tutto ciò che deve essere detto si traduce nei gesti, nel linguaggio dei loro corpi che si cercano e, mezz’ora dopo, in uno stanzino vuoto e buio del Camp Nou, si trovano anche.
- Mordi. – dice Douglas, e sorride quando negli occhi di Daniel legge in un bagliore improvviso la consapevolezza che anche lui se lo ricorda.
- Perché? – chiede Daniel, sfiorando coi denti la pelle tesa e scura e calda del suo collo.
Douglas inspira con forza il suo odore, poggia le mani sulla parete, ai lati della sua testa, e si spinge d’impeto contro di lui, sentendo tutto il suo corpo teso di voglia con tanta forza contro il proprio da sentirsi girare la testa.
- Perché voglio sentire che è vero. – risponde in un sussurro, e Daniel affonda i denti.
*

Non è stato facile trovare un po’ di tempo l’uno per l’altro, durante il Mondiale. Gli allenamenti continui, e le conferenze, e le partite, ovviamente, e la stanchezza generale, l’andare a letto presto e le guardie del corpo che non ti si allontanano dal culo quasi mai durante il giorno o la notte, e ad entrambi è mancato quel tipo di contatto che, da quando sono in Sudafrica, non sono ancora riusciti a trovare neanche una volta. Ogni tanto, durante gli allenamenti o durante il pranzo o in qualsiasi altro momento, sia Daniel che Douglas si sono sentiti quasi avvampare e, voltandosi intorno alla ricerca del motivo di quel calore improvviso, hanno trovato gli occhi dell’altro piantati con forza in un punto a caso del loro corpo, ed era sempre il punto in cui il fuoco era divampato.
È triste trovarsi finalmente con la possibilità di stare di nuovo vicini, e solo perché ormai è tutto finito.
Assaggiano l’uno il sapore dell’altro con la devozione nostalgica di qualcuno che, tornato a casa dopo anni passati in viaggio, riscopre la morbidezza delle proprie lenzuola, il gusto particolare del proprio cibo e il calore dolce e confortante del proprio focolare domestico. Daniel strizza forte le palpebre, Douglas lo stringe forte a sé.
- Mordi. – dicono insieme, vicini tanto da non percepire distanza fra le loro pelli. Si lasciano sfuggire una risatina un po’ imbarazzata e un po’ divertita per quello strano attacco di telepatia casuale, ed è Douglas, poco dopo, a parlare per primo.
- Perché? – chiede, sentendosi ridicolo perché, in effetti, per primo non sarebbe capace di rispondere a quella stessa domanda.
Daniel ci pensa su qualche secondo, appoggia il capo contro la sua spalla, sospira pesantemente.
- Voglio sentire dolore per qualcosa che possa passare in fretta. – risponde a mezza voce.
Douglas fissa la parete di fronte a sé e sente il singhiozzo minuscolo di Daniel esplodere nelle proprie orecchie con la potenza di un’atomica. E poi affonda i denti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Daniel/Douglas.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Douglas ha un problema: sente una voce. Ma non una voce qualunque.
Note: Altra fic nata in modo assolutamente randomico, esplodendo d'amore nel guardare la foto in cui Dani sussurra qualcosa di palesemente romantico all'orecchio di Douglas. Voglio dire, questi due sono di una bellezza sconvolgente /o\ (E Lucio è un po' il beniamino di noi tutti, diciamolo pure.) (Oddio, di sicuro è quello della Jan, in ogni caso.)
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I’LL GO CRAZY IF I DON’T GO CRAZY TONIGHT


- Io sto impazzendo. – disse Douglas, la testa fra le mani, seduto nell’erba proprio accanto alla ringhiera.
- Questo sarebbe possibile se tu fossi mai stato assennato, Doug. – ribatté Lucio, con aria anche vagamente annoiata, apparentemente preso dal contare i fili d’erba attorno a loro, - Ma non ricordo di averti mai visto con un solo briciolo di sale in zucca da che ti conosco, per cui…
- Che succede? – chiese Julio, planando allegramente davanti a loro e porgendo ad entrambi un paio di panini, - Il pranzo. – disse con un sorriso, precipitandosi a divorare il proprio in grandi morsi affamati.
- Succede che Douglas non ci sta con la testa. – rispose Lucio, osservando il proprio panino da tutti i lati prima di addentarlo disinvoltamente e strapparne via metà con un solo morso.
- Oh, e dov’è la novità? – rise Julio, divertito. Douglas gli tirò addosso una scarpa.
- Piantatela. Tutti a due. – grugnì scorbutico, - D’accordo, forse non sono mai stato tanto normale, ma se permettete c’è differenza fra essere un po’ fuori di zucca ed esserlo del tutto, e vorrei un consiglio prima di ammattire completamente, se non vi dispiace.
Lucio lo ignorò, continuando a trangugiare il proprio pasto, mentre Julio si avvicinò a lui con curiosità, chinandosi un po’ come a voler proteggere col proprio stesso corpo le confessioni dell’amico.
- Be’, qual è il problema? – chiese quindi, staccando con le dita un po’ di lattuga che fuoriusciva dal panino e masticandola pigramente.
Douglas arrossì, stornando lo sguardo.
- Dai, Douggie. – lo prese in giro Lucio, con un sorriso ironico, - Digli qual è il problema.
Douglas gli tirò uno scappellotto sulla nuca, ignorando le sue proteste e i suoi ringhi offesi e sospirando profondamente, prima di tornare a guardare Julio e trattenere per un attimo il respiro.
- Sento le voci. – disse quindi, tutto d’un fiato, - Ma non voci qualsiasi. La voce di Dani.
- Oh, santa madre di Dio. – esalò Julio, sollevando immediatamente gli occhi al cielo in un’implorazione disperata, - Ancora con questa cotta ridicola e assurda? Voglio dire, Douglas, sono quasi otto anni che te la porti dietro, ci credo che ormai hai perfino le allucinazioni uditive ogni volta che ci pensi.
- Ecco, diglielo. – commentò atono Lucio, ingollando ciò che restava del suo panino e prendendo a mangiare con convinzione anche quello di Douglas, ancora intonso, - Magari se glielo spieghi tu lo capisce, perché tutto quello che gli dico io entra da un orecchio ed esce dall’altro. E dovrei essere il suo capitano, fai un po’ tu.
- Voi due siete due idioti e non capite un accidenti. – borbottò Douglas, allungandosi a recuperare la scarpa che aveva tirato a Julio poco prima, solo per riutilizzarla come oggetto contundente sulle spalle di entrambi subito dopo. – Lo so che è una pazzia, ma io lo sento. Di giorno, di notte, quando dormo, quando sono sveglio… - sospirò pesantemente, le labbra strette in una smorfia quasi sofferta, - Non sono pazzo perché sento la sua voce, ma lo diventerò presto se questa storia continua.
- …quindi per te non è abbastanza folle sentire la voce di qualcuno che… ora che ci penso, - disse Julio, grattandosi il mento, meditativo, - Cos’è che ti dice?
Douglas si ritrasse improvvisamente, come Julio avesse tentato di morderlo. Poi infilò di fretta la scarpa e si alzò in piedi.
- Non sono affari vostri. – grugnì burbero, prima di allontanarsi senza una parola di più.
*

- Doug. – sussurrò bassa la voce di Dani, direttamente nel suo orecchio, - Doug, svegliati.
Douglas si rigirò confusamente fra le lenzuola, preda di quella sensazione quasi soffocante tipica di quando ci resti impigliato in mezzo. Mugolò lagnoso, spiegò gambe e braccia e, quando non riuscì a stenderle del tutto, sbuffò contrariato.
- Non riesco. – si lamentò con tono infantile. La voce di Dani rise piano accanto a lui, un’eco lontanissima, per quanto era flebile, eppure così spaventosamente vicina da dargli i brividi. Concentrandosi ancora un po’, ancora solo un po’, poteva perfino sentire il suo respiro caldo sulla pelle.
- Questo perché non vuoi. – disse la voce di Dani. Douglas allungò un braccio, liberandolo a fatica dalla matassa di lenzuola in cui sembrava prigioniero. Nel movimento, non trovò niente. Era davvero solo la sua voce.
- Non riesco. – ripeté, più deluso e serio di prima. La voce di Dani lo accarezzò in una mezza risata sconfitta, prima di sfiorarlo sul collo in un ultimo brivido.
- No, Douggie, non vuoi. – insisté.
Douglas aprì gli occhi avviluppato in mezzo alle lenzuola, braccia e gambe strette in un nodo confuso, l’angolo della federa del cuscino ad accarezzargli il collo proprio nello stesso punto in cui gli era parso di sentire il respiro di Daniel. Lentamente, sospirando e cercando di ripetersi che era stato solo un sogno, si liberò da quella trappola di tessuto tiepido e sgualcito e portò una mano alla fronte, massaggiandosi stancamente le tempie.
Sarebbe impazzito, senza dubbio.
Si alzò dal letto, le membra ancora intorpidite dal sonno e la mente annebbiata dai residui del sonno. La voce di Dani era ancora lì, gli riecheggiava nelle orecchie, chiamava il suo nome.
Stava già impazzendo.
Mosse qualche passo all’interno della stanza immersa nel buio. Era silenziosa, quella come il corridoio, come tutto il resto dell’albergo. Eppure la voce era ancora lì, insistente, quasi fastidiosa. Non fosse ormai stato abituato a quel frastuono continuo – e non avesse provato, come invece provava, quella spinta di tenerezza improvvisa che gli scioglieva il cuore ogni volta che la sentiva – si sarebbe preso a pugni da solo, pur di farla tacere.
Forse, però, era già impazzito del tutto.
Uscì in terrazza nella speranza che prendere un po’ d’aria gli facesse bene, se non altro per abbassare la temperatura del proprio corpo, dal momento che la pelle sembrava bruciargli addosso, ma non si stupì più di tanto nel trovare Daniel già lì. Provò a dirsi che doveva trattarsi di un altro sogno, o che forse le allucinazioni erano peggiorate, e non bastava più solamente sentirlo ovunque, doveva anche vederlo continuamente, e forse avrebbe dovuto rassegnarsi ed andare in cura da uno bravo, imbottirsi di psicofarmaci e sperare in bene, ma poi Daniel si voltò a guardarlo – una macchia scura appena percettibile sullo sfondo altrettanto scuro del cielo africano, poggiato sulla terra come un drappo a lutto, ma lui l’avrebbe riconosciuto anche se avesse potuto vedere molto meno di quanto non vedesse – e gli bastò sorridergli per dimostrargli che no, non era un sogno né un’allucinazione, era reale.
- Non hai sonno? – gli chiese, e Daniel rispose con una mezza risata nervosa.
- Per niente. Cioè, - precisò, - dormivo, prima. Ma… - scosse lievemente il capo, - Lasciamo perdere. Tu?
- Insonnia. – mentì, avvicinandosi alla balaustra. Non c’era luna, quella sera, e il profilo delle mani di Daniel, strette attorno alla ringhiera, si sfumava nella notte, come fosse evanescente. – Trovo sempre difficile abituarmi ad un letto nuovo.
- Qualche anno fa non eri così. – rise Daniel, tirandogli una mezza spallata giocosa, - Ti addormentavi ovunque.
- Sono cambiate un sacco di cose, da allora. – ammise Douglas. – Ma te lo ricordi sul serio?
Daniel si prese qualche secondo, prima di rispondere, scrutando l’orizzonte invisibile con gli occhi chiarissimi e brillanti nonostante il buio.
- Ricordo tutto. – rispose alla fine, lasciando andare un sospiro sconfitto in tutto e per tutto identico a quello che Douglas aveva sognato fino a pochi minuti prima. – Me ne torno a letto. – aggiunse con un mezzo sorriso, - Vedi di farlo anche tu. – gli consigliò, prima di sparire all’interno, oltre la portafinestra.
Douglas non rientrò prima di essersi assicurato che il suo cuore potesse reggere senza difficoltà il pensiero di tornare a dormire senza avergli parlato di ciò che, ormai da anni, avrebbe desiderato di potergli dire.
*

- Sto impazzendo. Impazzirò. – si lagnò a bassa voce, lasciandosi andare sulla panchina che Lucio stava usando per aiutarsi nello stretching. Il compagno roteò gli occhi, tornando a piantare entrambi i piedi per terra e voltandosi a guardarlo con aria esasperata.
- No, Douglas. – preciso, - Tu sei già impazzito, sono io quello che impazzirà.
- Ma la pianti, una buona volta?! – sbottò Douglas, tirandogli addosso un asciugamano e poi sfregandosi con forza gli occhi con i palmi delle mani, come nel tentativo di liberarsi da chissà che torpore. – Stanotte è stato tremendo. Mi sono quasi sentito soffocare.
- Dio del cielo, aiutami. – sussurrò Lucio, rivolgendo un ultimo sguardo supplice al cielo, prima di sedersi al suo fianco e battergli qualche amichevole pacca consolatoria su una spalla. – Dimmi tutto, dai.
- Non dormivo. – disse Douglas, mordicchiandosi nervosamente un’unghia, - Ti giuro che non dormivo. Ero sveglio, potevo muovermi. Lo sentivo parlarmi nell’orecchio ma lui non c’era.
- Hai guardato bene? – chiese, cercando di razionalizzare il tutto, - In ogni angolo?
- Non potevo aprire gli occhi. – rispose Douglas, scrollando le spalle, - Ma sentivo il suo respiro addosso, eppure lui non c’era. Ho allungato un braccio, ho cercato di toccarlo, avrei dovuto riuscirci, a giudicare da quanto lo sentivo vicino, ma niente. Questa cosa non può in alcun modo essere normale. E parliamo, anche!
- Be’, anche io ho parlato con lui, giusto due minuti fa. – sospirò Lucio.
- Non in quel senso, cretino, anche io gli parlo abitualmente. Quello che intendo è che parlavo con la sua voce, cercavo di spiegargli che non riuscivo ad aprire gli occhi e lui…
- …lui? – lo incitò, stupito dal suo interrompersi improvviso.
- Lui mi diceva che se non ci riuscivo era perché non volevo. – rispose Douglas, fissando un punto imprecisato nel terreno sabbioso di fronte a sé. – E non voleva sentire ragioni. Ma non è vero che non volevo. Ci provavo e non riuscivo.
Lucio sospirò pesantemente, massaggiandogli una spalla e poi la nuca mentre Douglas si piegava su se stesso, coprendosi la faccia con le mani.
- Doug, io non so veramente spiegarti cosa ti stia accadendo. – disse piano, cercando di suonare rassicurante, - Ma so che questa cosa ti sta veramente spossando, e non va bene, perché, voglio dire, già non andrebbe bene se fossi in vacanza, ma qui abbiamo un Mondiale da giocare, e contiamo tutti su di te. Capisci cosa cerco di dirti?
- Sì. – rispose lui, la voce ovattata dalle mani ancora premute contro il volto, - Sì, lo capisco. Sto cercando… ti giuro che sto cercando di fare il possibile perché la cosa non interferisca, ma è dura. Ormai dormire una notte di fila è diventato quasi impossibile, e non riuscendo a riposarmi bene per forza di cose finisco col non riuscire a dare il massimo.
- Me ne rendo conto. – sospirò ancora Lucio, accarezzandolo per qualche altro minuto, prima di alzarsi in piedi ed aiutarlo a fare lo stesso. – Sarebbe meglio se cercassi di risolvere questo problema, Doug. – disse quindi, preoccupato, - Non sembra qualcosa che abbia intenzione di lasciarti del tempo. Perciò cerca di fare in fretta.
*

Appoggiato a bordo vasca, le braccia incrociate e il mento poggiato su di esse, Douglas si lasciava cullare dai movimenti naturali e fluidi che il suo corpo compiva per mantenersi a galla pur non avendone un effettivo bisogno, e si sentiva quasi bene. La piscina vuota non aggiungeva altri rumori a quello sempre incessante nella sua testa – Douggie, Douggie, Douggie – e sentire ripetere il proprio nome sullo sfondo lieve dello scrosciare appena percettibile dell’acqua immobile della piscina era quasi rilassante. Sembrava una ninna nanna.
Concedendosi un sorriso intenerito, chiuse gli occhi, inspirando profondamente.
Lo sentì subito avvicinarsi dietro di sé, fendendo l’acqua fino a schiacciare tutta la superficie del proprio corpo contro il suo.
- Douggie. – lo chiamò, e Douglas corrugò le sopracciglia, mordendosi l’interno di una guancia. – Mi aspettavi?
- No. – rispose d’impulso. – Sì. – ammise poi, in un sospiro stremato. – Cosa vuoi da me?
- Voglio che tu apra gli occhi. – disse la voce, carezzevole, scivolandogli in un brivido bagnato lungo tutta la spina dorsale. Douglas provò a sollevare le palpebre, ci provò davvero, con tutte le sue forze. Forse, se fosse riuscito ad aprire gli occhi proprio quando lui glielo chiedeva, se fosse riuscito ad aprirli proprio in quel momento, per vedere che non c’era nulla, nulla da guardare, tantomeno Dani tanto vicino da sentire addosso ogni spigolo ed ogni curva del suo corpo, forse allora tutte quelle allucinazioni sarebbero finite, evaporate, disciolte in una nube confusa e facile da spazzare via e dimenticare.
- Non ci riesco. – si arrese alla fine, espirando in un singhiozzo strozzato, - Ci provo, ma non ci riesco.
- Non provi abbastanza. – disse la voce, quasi arrabbiata, - Perché non vuoi. Non hai le palle. Hai paura di quello che potrebbe succedere poi. Hai paura di quello che dovresti ammettere se aprendo gli occhi mi trovassi lì ad aspettare una tua risposta.
- Sì, ma tu non ci sei. – quasi ringhiò lui. E poi aprì gli occhi di scatto. – E non mi hai fatto nessuna domanda.
La voce, però, era sparita.
- Scusa, non credevo di doverti chiedere se potevo usare una piscina pubblica quando la stavi usando anche tu. – disse Dani, quello vero, alle sue spalle. Douglas si voltò a guardarlo, boccheggiando confusamente alla ricerca delle parole giuste da dire.
- Scusa. – riuscì a tirar fuori alla fine, - Non stavo parlando con te.
- Sì, l’avevo immaginato. – rise Daniel, discendendo la scaletta ed immergendosi sbrigativamente, prima di tornare in superficie e nuotare ad ampie ma lente bracciate verso di lui, appoggiandosi di schiena alla parete della piscina e guardandolo serio negli occhi. – Non hai una bella cera. – constatò con una smorfia, muovendo piano le gambe sott’acqua per restare a galla, - Mi stai facendo preoccupare.
- Non hai nulla di cui preoccuparti. – sorrise rassicurante, voltandosi e sistemandosi contro il bordo nella sua stessa posizione, - Sto bene. – Daniel inarcò un sopracciglio. – Ok, forse non benissimo. – concesse lui, con una mezza risata, - Ma me la posso cavare.
- …mh. – annuì distrattamente Daniel, scrutando la superficie dell’acqua con un certo interesse, prima di riprendere a parlare. – Senti, ti ricordi il Mondiale Under 20 in Argentina? – chiese quindi, e Douglas si concesse una risata, ripensando a quanti anni erano passati. E quanto piccolo gli fosse sembrato Daniel allora, pur essendo più giovane di lui di solo un anno.
- Certo che mi ricordo. – rispose sorridendo, - Non potrei mai dimenticare quanto eri ridicolo mentre ti affannavi a renderti utile. Il raccattapalle perfetto. – ridacchiò.
- Stronzo. – rispose Daniel, pizzicandogli con forza un fianco sotto la superficie dell’acqua, - Cazzo, quanto volevo entrare in squadra. – sospirò sognante, - Non era destino. Comunque, il punto non era quello. Il giorno delle convocazioni definitive, quando il mister mi disse che non sarei stato parte della rosa—
- Mi ricordo. – sorrise intenerito Douglas, lasciandosi andare e sciogliendo i muscoli delle spalle, - Non parlasti con nessuno per ore.
- Ero così incazzato. – quasi ringhiò Daniel, - Avrei preso a pugni e testate perfino le pareti, se non avessi saputo che sarebbe stato perfettamente inutile. E così me ne stavo tutto solo su quella stupida panchina all’ingresso dell’albergo, in attesa del pullman per l’aeroporto, e tu fosti l’unico ad avvicinarti, nonostante il muso lungo che tenevo. E mi dicesti—
- “Guarda che così scoppi.” – rise apertamente Douglas, gettando indietro il capo. Daniel gli fece eco, ridendo assieme a lui.
- Guarda che così scoppi. – gli disse quindi, poggiandogli una mano sulla spalla. Douglas si voltò a guardarlo, il suo sorriso era così sereno da fargli male. Dischiuse le labbra, si disse lo faccio, lo faccio, cazzo, basta, lo faccio, e poi scosse il capo.
- Sto bene. – ripeté, mentendo ancora ma cercando di suonare più credibile. – Davvero.
Daniel inarcò le sopracciglia, quasi deluso.
- D’accordo. – sospirò, smettendo di galleggiare e poggiando i piedi sul fondo della piscina, preparandosi a darsi la spinta per allontanarsi. – Ma nel caso in cui dovessi essere lì lì per esplodere, vieni a parlare con me. – si raccomandò, prima di nuotare via.
*

- Sto impazzendo. – biascicò esausto, ricadendo stancamente sulla sedia al tavolo dove Lucio e Julio stavano pranzando. – Io non ce la posso più fare, seriamente.
- Amico, questa cosa sta raggiungendo livelli malsani. – disse Julio, battendogli qualche pacca sulla schiena con una mano e pasticciando con la forchetta la poltiglia di verdura cotta nel proprio piatto con l’altra, - Non tanto per noi, anche se non ti nascondo che a questo punto ho quasi voglia di stenderti a cazzotti ogni volta che ti vedo, quanto più per te. Voglio dire, non puoi mica continuare così.
- Sta peggiorando. – continuò lui, poggiando i gomiti sul tavolo e stringendosi la testa fra le mani, - Le sensazioni si stanno facendo più fisiche che mai, e mi capita di… - sospirò, cercando le parole adatte, - Vado fuori controllo, o qualcosa di simile. Chiudo gli occhi ed è come se stessi dormendo, anche se non è vero. Ieri ho quasi—
- E basta, Douglas. – lo interruppe Lucio, serio, allontanando da sé il proprio piatto per incrociare le braccia sul tavolo e avvicinarsi a lui il più possibile. – Ma davvero non capisci cosa sta succedendo? È così palese che lo vedrebbe anche un cieco, santo Dio.
Douglas sollevò lo sguardo, piantandolo nel suo e cercando di trarne qualcosa, una spiegazione, magari una soluzione, ma non riuscì. Lucio sospirò pesantemente, scuotendo il capo e tornando a mangiare distrattamente le proprie verdure.
- Douggie, - lo richiamò Julio, tornando a strofinargli una mano sulla schiena in un gesto rassicurante, - credo che quello che Lucio voleva dirti fosse più o meno che è normale che la situazione si stia aggravando, perché tu non stai facendo niente per risolverla.
- Io sto facendo il possibile! – sbottò lui, irritato.
- Ma non è vero! – quasi gridò Lucio, battendo una mano sul tavolo, attirando l’attenzione di tutti. – Oh, fanculo. – borbottò guardandosi intorno, prima di mollare lì le proprie verdure, afferrare Douglas per la maglietta e trascinarlo fuori, nel piazzale vuoto e silenzioso sul retro dell’albergo. – Tu non stai facendo un cazzo per risolverla, Doug. – lo rimproverò aspramente, - Tu stai nascondendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo.
- Ragazzi. – li raggiunse Julio, trafelato, - Lucio, non essere troppo—
- Ma non essere troppo cosa?! – sbuffò l’uomo, strattonando un po’ Douglas per il colletto della maglietta, che ancora teneva stretto fra le dita, - Douglas, tu sei ossessionato da questa cosa. E mi meraviglio di come tu possa non capirlo! Sono, quanto?, otto anni che gli vai dietro, nonostante il tempo e le distanze! Chiunque altro, per un motivo o per l’altro, sarebbe già impazzito del tutto!
- Io non-- - provò Douglas, ma Lucio non lo lasciò concludere.
- Oh, sta’ zitto. – lo interruppe, scuotendolo senza troppe cerimonie, - Le ossessioni vanno affrontate, dimenticate e risolte. Non ne posso più di sentirti blaterare della voce di Dani che ti parla quando l’unica cosa che dovresti fare è far ascoltare a lui la tua. – concluse, prima di lasciarlo andare con un ultimo strattone. – E che cazzo. – sbottò ancora, allontanandosi grandi passi verso il campo d’allenamento, probabilmente per andare a sfogare un po’ di frustrazione con qualche corsetta silenziosa. Douglas lo osservò andare via con gli occhi spalancati, le labbra dischiuse e immobili, il respiro pesante.
Julio gli si avvicinò qualche secondo dopo, tornando a massaggiargli lentamente la schiena. Appena sentì il suo tocco rassicurante contro i propri muscoli tesi, Douglas riprese a respirare normalmente, chiuse gli occhi e chinò il capo.
- Dovrei parlargli. – disse a mezza voce, - Dovrei, vero?
Julio sorrise, dandogli una pacca d’incoraggiamento su una spalla.
- Solo se non vuoi impazzire davvero. – disse piano, - O se non sei già impazzito del tutto.
*

Daniel stava palleggiando in un angolo del campo, un po’ annoiato, quando Douglas, incerto, gli si avvicinò.
- Ehi. – lo salutò con un sorriso, e Daniel immediatamente recuperò il pallone con le mani, tenendolo sottobraccio e voltandosi a guardarlo con un sorriso identico sulle labbra.
- Ehi. – rispose, - C’è qualche problema?
Douglas si grattò una guancia, nervoso.
- Non esattamente. – rispose vago, - Come va? – chiese quindi, nel disperato tentativo di cambiare argomento e spostare l’attenzione da sé su di lui. Era così irrazionalmente spaventato che avrebbe afferrato al volo qualsiasi pretesto pur di non dover parlare.
Daniel scrollò le spalle.
- Come sempre, immagino. – disse, lasciandosi scivolare la palla lungo il fianco ed agganciandola col piede prima che rotolasse via. – Dovevi parlarmi di qualcosa?
Douglas si inumidì le labbra, cercando con tutte le sue forze di non boccheggiare a vuoto mentre cercava le parole.
- Sì, io… - balbettò confusamente, - Io sto… - cominciò, ma non riuscì a concludere. Le parole non arrivavano, forse perché semplicemente non esistevano, e d’altronde, pensò, tutta quella situazione non era mai stata qualcosa che avesse a che fare con la propria, di voce. C’era sempre stata solo ed unicamente la voce di Dani, era sempre stata lei il centro, il fulcro di tutto. Non era sicuro di volerla cancellare, parlando a propria volta.
Chiuse gli occhi, e subito la sensazione familiare di trovarsi perso a metà fra la realtà e il sogno lo avvolse interamente, intorpidendo il suo corpo ed ovattando le sue percezioni.
- Douggie. – disse la voce di Dani, - Douggie, apri gli occhi.
- No. – biascicò lui, aggrottando le sopracciglia, - No io—
- Tu non vuoi.
- No, non voglio. – ammise, - Io non voglio, cazzo, io—
- Douggie. – ripeté Dani, ma stavolta non era più solo la sua voce. Era lui davvero. – Apri gli occhi.
Douglas obbedì, spalancando gli occhi sui suoi, talmente vicini da spaventarlo quasi.
- Tu mi piaci. – disse a mezza voce, in un fiato solo, - Mi piaci da impazzire.
Daniel lo guardò incredulo, le labbra dischiuse in una smorfia sorpresa. Poi lasciò andare un lamento quasi esausto ed allungò una mano ad afferrarlo per la nuca, tirandoselo contro ed obbligandolo a chinarsi.
Quando sentì le sue labbra sulle proprie, Douglas ebbe la certezza che fossero reali, che tutto quello che era accaduto e stava accadendo lo era, e lo circondò con le braccia, stringendolo con più forza di quanta ne avesse mai usata con qualsiasi altra persona o cosa.
- Cazzo. – mormorò Daniel, ancora tutto pressato contro di lui, le labbra tanto vicine da sfiorare le sue in una carezza umida con ogni lettera che si lasciava scivolare sulla lingua, - Cazzo, quanto tempo. – disse esausto, talmente spossato da sembrare sull’orlo delle lacrime, - Cazzo, finalmente. – e senza che dovesse aggiungere altro, Douglas capì di non essere stato l’unico a sentire le voci, negli ultimi otto anni.
*

- Insomma, tutto è bene quel che finisce bene. – disse Julio, trionfante, piluccando con poca convinzione il proprio panino imbottito, seduto su una panchina a bordocampo. Lucio, accanto a lui, era già a metà del secondo sandwich, ed occhieggiava con interesse il cestino del pranzo poggiato sulla panca fra di loro chiedendosi se fosse il caso di procedere con un terzo o meno. – Alla fine, bastava confessare, e tutto risolto. Sembra una favola, ti pare?
- Mmh. – grugnì Lucio, mandando giù i residui del secondo sandwich in un sol boccone e decidendo che sì, era proprio il caso di concedersene un terzo.
- Ma cos’è, si è aperta la stagione della caccia? – chiese Julio, inarcando un sopracciglio nella sua direzione, - Che è tutta questa fame improvvisa?
Lucio trangugiò mezzo sandwich in un morso e sospirò pesantemente quando, con naturalezza, Douglas fece volare via il cestino del pranzo prendendone il posto proprio in mezzo a loro sulla panchina.
- Ragazzi. – disse con un sorriso estatico, - Io non ce la posso proprio fare, devo essere del tutto impazzito. Non mi sembra neanche vero.
Lucio lo indicò con un cenno del capo rivolgendosi a Julio con aria ironica.
- Lo vedi perché mangio tanto? – disse arreso, - Avremo entrambi bisogno di molta forza.
Julio annuì compitamente, comprendendo appieno il suggerimento del compagno, e senza una parola di più cominciò a trangugiare diligentemente il proprio panino, mentre Douglas partiva in quarta con lo spensierato racconto della sua prima settimana di relazione sentimentale.
Genere: Commedia, Introspettivo, Erotico, Romantico.
Pairing: Daniel/Douglas.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon.
- Durante la partita contro la Costa D'Avorio, Dani non degna Douglas nemmeno di uno sguardo. Subito dopo, per tale motivo, lui si sente in pieno diritto di lamentarsene.
Note: Fic nata in modo assolutamente randomico guardando le foto di Brasile-Costa D'Avorio. Io amo il Malves, punto. Anche se poi loro rompono le palle impedendomi di trovare titoli acconci alla loro magnificenza. (E infatti per questo devo ringraziare la Jan.)
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CAN’T KEEP MY EYES OFF YOU


L’espressione di Douglas non è quella tipica di un uomo felice. Daniel se ne accorge subito entrando nella stanza che condivide con lui in albergo, ed è incerto sulla possibilità di farglielo notare o meno perché Douglas, insomma, è un ragazzo simpatico e divertente e tutto, ma sclera anche per un nonnulla, roba che Boji quando perde gli slip perché uno a caso fra Gerard e Thierry glieli ha rubati nello spogliatoio non è niente, è un ragazzo tranquillo e a modo. No, seriamente, Douglas quando sclera è una roba da mani ai capelli, si agita come un neonato isterico, con la stessa coordinazione di braccia e gambe, peraltro, e gli dà sempre l’impressione di volersi mettere a scalare le pareti a mani nude, tipo, sempre gesticolando come volesse vendergli del pesce al mercato o chissà che altro, quindi meglio evitare.
Proprio per questo motivo, Daniel cerca di evitare di attirare la sua attenzione. Potendo, si stenderebbe a terra e si fingerebbe morto, ma non è proprio sicuro che questo servirebbe allo scopo, perciò si limita ad entrare in camera con calma, non di soppiatto ma nemmeno annunciandosi come il carnevale di Rio, e cerca di mettere tutto a posto in silenzio – poggia il borsone di lato, sfila la maglietta e la ripone con cura, toglie anche i pantaloni e li appoggia sulla sedia e poi si rompe le palle di sentire Douglas grugnirgli alle spalle come una vecchia nonna pazza in vena di lamentele e si volta a guardarlo, incrociando le braccia sul petto.
- Be’? – chiede, cercando di non mostrarsi già spazientito come invece è.
Douglas fa lo gnorri: i suoi lineamenti si distendono come non fosse rimasto a borbottare col broncio e le sopracciglia aggrottate fino a questo esatto momento, e lui si volta a guardare da un’altra parte, come non c’entrasse assolutamente niente con la situazione in atto.
- Be’ cosa? – ha anche il coraggio di ribattere, prendendo a giocare distrattamente con l’orlo del lenzuolo che copre il letto su cui sta semidisteso.
- Cosa be’ cosa? – insiste lui, allargando le braccia ai lati del corpo in un chiaro segnale di incredulità, - Cos’hai? – precisa quindi, per evitare che Douglas si senta in diritto di trascinarlo in un vortice di cosa be’ cosa be’ cosa che li renderebbe entrambi pazzi nel giro di non più di dieci minuti.
- Non ho niente. – grugnisce a caso Douglas, sempre facendo di tutto per non guardarlo e preferendo spostare la propria attenzione sul monotono disegno della carta da parati sul muro o sull’altrettanto monotono panorama della notte scura e densa fuori dalla finestra.
- No, certo. – sbotta Daniel, roteando gli occhi e rassegnandosi a rimanere in mutande senza potersi infilare immediatamente a letto. Si avvicina a Douglas, notandolo mentre lo osserva di sottecchi senza girarsi e ponendosi perciò in pericolo di diventare strabico nel giro di dieci secondi, e si siede accanto a lui, attendendo che si rassegni a voltarsi. Douglas non si rassegna, e Daniel decide di smettere di aspettare ed afferrarlo per il mento, costringendolo a guardarlo. – Sei incazzato e non capisco per quale oscuro motivo. Me lo dici o devo estirpartelo a forza dalla bocca?
Douglas lo guarda come fosse incredibilmente offeso dalle sue parole, come non fosse assolutamente possibile essere davvero offeso, come se Daniel avesse preso il granchio più enorme della sua intera esistenza, e poi naturalmente lascia andare uno sbuffo inviperito, si libera dalla stretta della sua mano sul mento, si alza in piedi, muove qualche passo nervoso davanti alla finestra e infine scoppia.
- Non mi hai cagato di striscio, oggi! – gli fa notare, gesticolando animatamente.
- Che cosa?! – spalanca gli occhi Daniel, fissandolo sconvolto, - Ma di che cazzo stai parlando? Ma quando?
- Ma durante la partita, no?! – risponde Douglas con ovvietà, - Cioè, capisco che sei entrato tardi e magari hai anche avuto altro da fare—
- Sì, per dire.
- --ma il tempo per mettere mani addosso a mezza Costa d’Avorio l’hai trovato, eh!
Daniel lo fissa per un paio di secondi. Schiude le labbra nel tentativo di formulare qualcosa di sensato da rispondergli, ma non riesce, in tutta onestà, a trovare nulla di abbastanza razionale da controbilanciare la palese follia di Douglas in questo momento, perciò allarga nuovamente le braccia e continua a fissarlo con aria persa.
- Tu stai male. – sentenzia, - Ma che cazzo dici? Ma ho messo le mani addosso a chi, quando e dove?!
- Potrei fare un elenco infinito, guarda! – sbotta Douglas, riprendendo ad agitarsi e anche a camminare avanti e indietro, come un padre in attesa nel corridoio appena fuori dalla sala parto. A Daniel quasi gira la testa, ma continua a seguirlo con gli occhi giusto per vedere se andando avanti e indietro dimenticherà che di fronte a lui c’è la parete e la abbatterà passandoci sopra, o la scalerà camminando come un ragno.
- E allora fammelo! – lo invita scioccato. Douglas lo guarda ed aggrotta le sopracciglia in una smorfia infantile.
- Drogba, per dirne uno! – comincia, e Daniel gli tira addosso un cuscino, che lui non si aspetta e che pertanto prende dritto sul naso.
- Ma mi ha tipo abbattuto e calpestato! – si giustifica, - Poi mi ha chiesto scusa e non è che potessi prenderlo a ceffoni o a calci fino a farlo rotolare fuori dallo stadio, ti pare?!
- E Touré? – insiste Douglas, indicandolo come in un gesto d’accusa, - Anche lui ti ha abbattuto e calpestato e poverino voleva solo chiederti scusa?
- Doug, Yaya è un mio compagno nel Barcellona, ci siamo solo salutati! – gli ricorda, e Douglas, per tutta risposta, gli ritira indietro il cuscino, con la differenza che Daniel lo anticipa e riesce a scansarsi in tempo.
- I legami fra compagni di squadra sono del tutto irrilevanti, in Nazionale! – sbotta. Daniel incrocia le braccia sul petto ed inarca un sopracciglio.
- Tu hai abbracciato Julio e Lucio. – gli fa notare.
- Ma non certo perché sono miei compagni nell’Inter! – protesta Douglas, e Daniel si lascia andare ad un gemito esasperato.
- Doug, santo Dio, potrei capire se avessi preso Yaya e Drogba, li avessi spogliati nudi e me li fossi scopati in contemporanea nel cerchio di centrocampo, ma ci siamo a malapena abbracciati! Quale cazzo è il tuo problema?!
Douglas ringhia di gola, pianissimo, ma Daniel lo sente, e quel suono gli riempie la schiena di brividi, perciò non si rende perfettamente conto di quello che succede quando, due secondi dopo, Douglas è a un centimetro dal suo corpo, quasi cavalcioni su di lui, e lo sovrasta in altezza, piantando le mani sulla testiera del letto, ai lati della sua testa, e tenendolo imprigionato fra le sue braccia mentre lo guarda dritto negli occhi da una distanza troppo infinitesimale per poter essere ancora chiamata con questo nome.
- Il mio problema è che tu devi guardare me. – gli soffia sulle labbra, la voce cupa, carica di una rabbia che gronda possessività e gelosia, - Solo— cazzo, solo e soltanto me. – aggiunge, avvicinandosi impercettibilmente e strusciando contro il suo bacino nel muoversi, togliendogli il fiato.
- Non… - prova a protestare Daniel, rapito dai suoi occhi, dal suo calore, dal ritmo del suo respiro, - Non li ho guardati nello stesso modo in cui guardo te. Lo sai questo.
- Non è il punto! – insiste Douglas, avvicinandosi ancora e parlandogli sulla pelle, - Non hai guardato me. È l’unica cosa che mi interessi, e non l’hai fatto. – si allontana appena, guardandolo attentamente per qualche secondo, prima di allontanare le mani dalla testiera e portarle all’orlo della maglietta che indossa. – Guardami. – dice in un sussurro, e il secondo successivo la maglietta non c’è più, e la visuale di Daniel si riempie del suo corpo, del colore della sua pelle, della forma arrotondata delle sue spalle, di quella dritta dei suoi fianchi, delle linee definite dei pettorali e di quelle un po’ più morbide della pancia. Deglutisce a fatica, e boccheggia senza speranza di riuscire davvero a respirare quando Douglas si china su di lui e gli lascia scorrere le mani sul petto, verso il basso, e poi di nuovo verso l’alto, le spalle, il collo, la nuca, le prime vertebre della schiena.
È un’esitazione che dura solo pochi secondi: quando il sapore di Douglas si fa sentire sulla sua lingua, Daniel riprende immediatamente coscienza di sé, e sente tutto il proprio corpo bruciare di voglia. Afferra Douglas per le spalle, scostandoselo di dosso lo stretto indispensabile per costringerlo con la schiena contro il materasso, e si stende sul suo corpo, le mani che corrono immediatamente alla chiusura dei jeans. Douglas sbuffa una mezza risata nell’osservarlo sfilargli febbrilmente i pantaloni di dosso, ma getta indietro il capo, inarca la schiena e ricaccia nel fondo dello stomaco qualsiasi battuta stesse pensando di fare nel momento in cui le sue labbra si chiudono attorno alla punta della sua erezione, mentre le sue mani ne accarezzano la base, strappandogli dalla bocca una serie di gemiti uno più perso e profondo dell’altro.
Una delle mani di Douglas si posa sulla sua testa, prova ad indirizzarne i movimenti, ma Daniel è ostinato ed il ritmo lo decide da sé, senza suggerimenti. Gli concede però di afferrarlo rudemente ai lati del viso quando è vicino al limite, e strattonarlo senza complimenti lontano da sé, solo per poi tirarlo verso l’alto, riportarlo alla sua altezza e prendersi le sue labbra quasi di prepotenza, baciandolo profondamente. Daniel gli fa sentire il suo sapore sulla lingua e sfila gli slip, divaricando le gambe e sedendosi a cavalcioni su di lui per poi interrompere il bacio – Douglas si allontana con uno schiocco umido, non è contento dell’interruzione, si spinge in avanti per rubargli un altro bacio ma Daniel gli poggia la mano sulle labbra, senza delicatezza ma anche senza violenza, e lo guarda a lungo.
Non ha bisogno di dirgli che lo guarda sempre. Lo guarda di continuo. Lo guarda quando c’è e quando non c’è, ha sempre i suoi occhi piantati addosso, in ogni momento del giorno o della notte, siano vicini pochi centimetri o lontani centinaia di chilometri. Non conta. Non ha mai contato.
Quando guida l’erezione di Douglas dentro il proprio corpo, non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un grugnito confuso. È incredibile come, nonostante le decine di volte in cui si sono trovati in una situazione del genere, la presenza dell’altro risulti ancora così ingombrante, totalizzante, quasi dolorosa. Non c’è abitudine che riesca a far passare per scontata la loro relazione, ed è una sensazione fisica, non soltanto una di quelle stronzate emotive, balle che le coppie normali hanno bisogno di raccontarsi per cercare di dare al loro rapporto una parvenza di immeritata diversità. Douglas e Daniel non hanno bisogno di raccontarsi quanto speciali possano essere rispetto al resto dell’universo, perché lo sentono sulla pelle, lo sentono dentro ogni volta che devono allargarsi e farsi spazio e sradicare pezzi di loro stessi per far posto a pezzi dell’altro, perché tutto combaci perfettamente rendendoli identici solo per l’esatto periodo di tempo in cui possono sopportarlo, tornando ad essere distinti e separati e differenti eppure legati così stretti da sentirsi mancare il respiro per tutto il resto delle loro giornate.
Douglas poggia le mani sui suoi fianchi nel momento preciso in cui le sue braccia cominciano a stancarsi dal dover reggere il suo peso mentre, lentamente prima, sempre più velocemente poi, si solleva e si abbassa su di lui. Tenendolo per la vita lo sostiene, lo indirizza, e Daniel può perdersi per qualche secondo nella sensazione di Douglas che si scava il suo posto dentro di sé senza dover badare a nient’altro. Quasi inconsciamente, prende ad accarezzare la propria erezione seguendo il ritmo delle spinte di Douglas. E non lo chiama per nome, non gli sussurra niente, e Douglas non ha bisogno di esprimersi in altro modo che non siano gemiti e versi senza senso mentre, quando è a un passo dal perdere il controllo, scatta a sedere con un colpo di reni, baciandolo all’improvviso, affamato e umido e confuso, e Daniel si aggrappa disperatamente alle sue spalle come in preda alle vertigini, lasciandosi scappare un gemito più forte degli altri quando Douglas viene dentro di lui e, pochi secondi dopo, anche lui resta travolto dal proprio orgasmo, fermandosi per la prima volta dopo interi minuti, riposando con la fronte contro la sua spalla, ansimando piano, nel tentativo di non soffocare e riportare la temperatura del proprio corpo a livelli accettabili.
Scivola al suo fianco lentamente, ancora stordito. Fissa il soffitto con occhi vacui e l’unica cosa che riesce a percepire chiaramente è il respiro di Douglas, il calore che si irradia dalla sua pelle, il suono flebilissimo che l’aria produce passando pesante attraverso le sue labbra dischiuse, in un fischio bassissimo e un po’ roco che lo avvolge tutto, impedendo al calore che sente di dissolversi se non in minima parte. Si lascia cullare da quella sensazione di torpore e dal modo casuale in cui le nocche della mano di Douglas sfiorano le sue in concomitanza coi brevi movimenti imprecisi con cui cerca di trovare la posizione più comoda per dormire senza doversi spostare troppo, e sorride quando lo sente trattenere il fiato, perché capisce che sta per dirgli qualcosa.
- Per la prossima partita, chiedo a Dunga di farci partire insieme. – dice, - Così non ci saranno problemi di nessun tipo.
Daniel ride a bassa voce, voltandosi su un fianco e sistemandosi il cuscino sotto la testa. È palese che Dunga non acconsentirà mai, ma se i problemi porteranno a soluzioni simili a quella di stasera, può decisamente sopportare che si presentino.