Genere: Romantico
Pairing: SanXAshitaka, KayaXAshitaka
Rating: PG13
AVVISI: Spoiler, Incompleta.
- Sono passati due anni dal termine dell'avventura che ha coinvolto tutti i protagonisti, Ashitaka vive poco lontano dalla città del ferro. Lui e San non si sono più visti, finchè un giorno lui non cade in una misteriosa malattia. Cosa lo aiuterà a guarire?
Commento dell'autrice: Inserirò un mio commento quando avrò concluso la storia è_é
Pairing: SanXAshitaka, KayaXAshitaka
Rating: PG13
AVVISI: Spoiler, Incompleta.
- Sono passati due anni dal termine dell'avventura che ha coinvolto tutti i protagonisti, Ashitaka vive poco lontano dalla città del ferro. Lui e San non si sono più visti, finchè un giorno lui non cade in una misteriosa malattia. Cosa lo aiuterà a guarire?
Commento dell'autrice: Inserirò un mio commento quando avrò concluso la storia è_é
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The Power Of Love
4° capitolo
Il muro bianco
Chissà perché non riusciva ad aprire gli occhi.
Se lo chiese, se lo chiese a lungo, puntando le mani in avanti e cercando di capire cosa fosse la parete rigida che aveva di fronte.
La tastò in lungo ed in largo, in basso ed in alto fino a dove riuscì ad arrivare. Alle spalle sentiva solo un gran calore, come se gli stessero puntando fuoco vivo addosso.
Poi, finalmente, riuscì ad aprire gli occhi. Di scatto e dolorosamente come non gli era mai capitato.
La parete rigida altro non era che un muro, un muro bianco. Incredibilmente bianco. Candido. Come non fosse mai stato toccato da alcuno. Istintivamente, si guardò le mani, temendo di averlo sporcato, ma riportando gli occhi sulla liscia superficie si accorse che nulla del suo tocco vi era rimasto impresso.
Se ne stupì moltissimo, forse anche un po’ troppo in più rispetto al necessario.
Comunque dopo un po’ smise di preoccuparsene, e cominciò invece a chiedersi come mai non riuscisse a girarsi.
“Sembra che io stia riacquistando le mie facoltà motorie poco a poco…” si disse, con una precisione quasi scientifica che lo spaventò.
E proprio mentre tentava di rigirarsi ancora, sentì un tocco sul braccio, nel punto in cui poi usciva il gomito. Lo sentì lieve e vellutato, incredibilmente irreale, e si accorse di essere completamente nudo. E lì fece mente locale, e ne rimase deluso.
È un sogno.
La mano bianca che riuscì ad intravedere con uno sforzo sovrumano voltando la testa, risalì lungo il suo braccio fino alla sua spalla, facendolo fremere. Era un tocco così leggero… come un lenzuolo… gli diede i brividi.
Dalla spalla, poi, la mano passò al collo ed alla guancia. E lì si fermò. Ashitaka rimase in attesa, ma la mano non si mosse per molti secondi. Improvvisamente, lui fece scattare la sua di mano, e quando riuscì a posarsela sulla guancia si accorse di essere rimasto l’unica presenza visibile. La mano, sparita. Il fuoco alla schiena, sparito.
E quando finalmente riuscì a voltarsi e ad avere una più estesa panoramica della situazione, si accorse che il muro non era solo davanti a lui, ma da tutti i lati, e lo circondava.
Si svegliò senza lanciare urla anche se ne avrebbe avuto voglia, e si mise seduto sul letto lanciando lontano la coperta, che ora sentiva come una prigione. Colpa del sogno, si disse. Adesso avrebbe odiato per sempre gli spazi chiusi. Dannazione.
Un piccola pressione sulle gambe lo spinse a guardare in quella direzione, ed a realizzare finalmente la figura di San. Anzi, non la dovette completamente realizzare. Piuttosto ricostruire in base ai ricordi spezzati che ancora aveva del passato. Giorni e giorni di noia sempre uguale, ed in parte il suo malessere, ne avevano cancellati alcuni.
Ma quella era San, e non poteva dimenticare la sua ragione di vita.
Sorrise debolmente e la carezzò su una guancia cercando di imitare il tocco morbido che, solo, l’aveva consolato durante quell’incubo bianco, anche se si accorse di non esserci riuscito ugualmente bene. E dire che aveva le mani delicate…
San si svegliò immediatamente, aprendo gli occhi e fissandoli nei suoi per molti istanti.
- Mi dispiace di averti svegliata…
E lo pensava veramente, perché avrebbe voluto rimanere a guardarla dormire almeno fino alla mattina successiva, ed invece era ancora notte e lei già apriva le finestre.
- No, non preoccuparti… come stai?
- Uhm… meglio, credo…
- Credi? Non avrai fame?
Ripensò al kodama della mattina.
- No, no, non mi va nulla…
- Allora vuoi continuare a riposarti?
Si chiese come facesse a rimanere così seria ed impassibile, anche se non lo vedeva da così tanto tempo e lui avrebbe voluto stringerla in maniera incredibile. Ma lei era San. Lei odiava la razza. Lei non perdonava. Quindi tutto questo ghiaccio aveva un senso, in fondo. Non per lui, ma per lei si.
- No, non ho sonno.
E adesso che mi chiedi?
- Uhm. Bene. Possiamo parlare?
- Bè… si… hai qualcosa da dirmi?
- Effettivamente si. Mi sei svenuto addosso, Ashitaka. Che malattia hai?
- Ma nulla… è stata una debolezza improvvisa ed isolata…
- Ed io non ci credo.
- E perché non dovresti?
- Perché ho un presentimento.
Irritato, guardò altrove.
- E cosa ti fa credere che il tuo presentimento sia esatto?
Credendosi vincitore assoluto, si voltò a guardarla nuovamente con un sorriso sottile sulle labbra. La sua espressione cambiò rapidamente quando vide di nuovo quegli occhi scuri e profondi fissi dritti nei suoi, a scrutarlo dentro.
- Ashitaka…
No. Non poteva accettare quel tono da lei.
Sei stata lontana così tanto, cosa pretendi di sapere?! Perché diavolo sei tornata?
Ebbe un giramento di testa, e la sua espressione cambiò. Non molto, ma abbastanza perché lei potesse accorgersene.
- Tutto a posto?
- Ma si, si ti ho detto…
- Senti, Ashitaka, io posso capire che tu sia in collera con me, ma…
- Ma COSA? San, cosa ci fai qui?
- T-Te l’ho detto… avevo un presentimento e sono venuta a controllare se…
- Se? Se stavo bene? Perché? Solo per un presentimento? E se non l’avessi avuto, questo benedetto presentimento? Saresti mai venuta? Hai mai avuto voglia di vedermi… almeno un quarto di quanto io abbia voluto…?
Il fatto che adesso gli venisse da piangere, non lo aiutava. Per nulla. Si sentiva succube di lei, e sapeva che era la verità. La rabbia non impediva alle lacrime di uscire, e nemmeno l’orgoglio. Dio, che pietà.
E lei si alzò in piedi ed uscì dalla sua stanza, e poi da casa sua. E quando lui se ne accorse, quando capì che era sparita di nuovo, solo allora riuscì a frenare le lacrime, ma fu solo per un secondo.