Genere: Romantico
Pairing: SanXAshitaka, KayaXAshitaka
Rating: PG13
AVVISI: Spoiler, Incompleta.
- Sono passati due anni dal termine dell'avventura che ha coinvolto tutti i protagonisti, Ashitaka vive poco lontano dalla città del ferro. Lui e San non si sono più visti, finchè un giorno lui non cade in una misteriosa malattia. Cosa lo aiuterà a guarire?
Commento dell'autrice: Inserirò un mio commento quando avrò concluso la storia è_é
Pairing: SanXAshitaka, KayaXAshitaka
Rating: PG13
AVVISI: Spoiler, Incompleta.
- Sono passati due anni dal termine dell'avventura che ha coinvolto tutti i protagonisti, Ashitaka vive poco lontano dalla città del ferro. Lui e San non si sono più visti, finchè un giorno lui non cade in una misteriosa malattia. Cosa lo aiuterà a guarire?
Commento dell'autrice: Inserirò un mio commento quando avrò concluso la storia è_é
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The power of love
2° capitolo
Tramonto
Sulla fredda rupe che si affacciava su uno strapiombo talmente profondo da non scorgerne la fine, San guardava il tramonto; il sole che si consuma, divorato dalle montagne all’orizzonte, la luce che si spegne, il buio improvviso, le stelle che non bastano, qualcuno che chiude gli occhi, una vita che finisce.
E non era mai stata una a cui piacesse riflettere sulle meraviglie della natura, sui miracoli di pittrice, sui colori tanto perfetti e sugli ambienti tanto belli da sembrare finti. Non era mai stata un’attenta osservatrice né una particolare spasimante della bellezza insita in ogni cosa.
Si, aveva combattuto per la foresta. Ma perché era la sua casa. L’unico posto che conoscesse in cui avrebbe potuto vivere bene. E perché odiava gli uomini ed il loro egoismo. Ma non perché volesse preservare la bellezza della natura. Non perché fosse una guerriera dell’esercito dell’ambiente. Non perché le piacesse osservare tramonti, insomma. Solo perché la foresta era l’unica cosa che contava, per lei, e quindi valeva la pena di difenderla o morire nel tentativo.
Ma… vivere le sue giornate senza nulla da fare le aveva insegnato ad apprezzare anche l’osservazione.
Perché almeno prima aveva qualcosa da fare, ecco. Teneva occupata la mente, teneva occupato il corpo, le s’infiammava lo spirito al pensiero di difendere-la-natura.
Finita la guerra, tornata la pace, cominciata una vita *normale* che mai avrebbe immaginato, aveva scoperto che poteva esserci altro. Non aveva ancora ben chiaro cosa, ma sentiva che c’era. C’era, e lo sentiva, ad esempio, qualcosa di diverso in quel tramonto. Perché era strano o quantomeno inusuale che lei si mettesse a riflettere sul miracolo della nascita e su quello della morte, semplicemente osservando la scomparsa del sole, semplicemente osservando qualcosa che fino a pochi anni prima era soltanto il segnale che la mandava ad accucciarsi fra le pelli degli orsi e chiudere gli occhi nell’attesa di una nuova mattinata d’azione.
Eppure, adesso faceva anche quello. E faceva altro. Dopo un temporale, le gocce di pioggia che cadevano sulle foglie per andare poi a schiantarsi sulla dura roccia o sulla morbida ed accogliente madre terra, le sembravano metafore della vita. Un castoro intento a costruire una diga che puntualmente veniva spazzata via dalle acque senza pietà, allegoria della sfortuna umana, dei suoi malanni, dei suoi guai.
E non è che d’improvviso fosse diventata intelligente e colta, avesse studiato chissà dove o cosa. Semplicemente *non aveva null’altro da fare*.
Quando la noia superava i livelli di sopportazione stabiliti dalla sua già scarsa pazienza, si attaccava alla qualsiasi. Un ragno, una pietra, le nuvole, un uccello, l’acqua, tutto. Qualunque cosa offrisse spunti di ragionamento le andava bene. Purché tenesse *almeno la mente* occupata, almeno quella mentre la smania di correre pur non avendo alcun motivo per farlo la portava ad agitare una gamba avanti ed indietro ed a mangiarsi le unghia.
E… ci aveva anche pensato, ad Ashitaka. Ma, appunto, il limite fra ciò che pensava e ciò che poi faceva era talmente netto da risultare irrimediabilmente invalicabile. E così non ne veniva fuori niente, continuava a pensare a cose insignificanti sforzandosi di non immaginarlo solo in quella capanna di legno, perché tanto *non ci sarebbe andata mai e poi mai*, perché lei non poteva perdonare gli umani, e non voleva neanche, magari, ed il pensiero di rivedere lui le faceva salire il cuore in gola e questo sentimento le sembrava tutto meno che odio, ma accidenti non voleva affrontarlo *per nessun motivo al mondo* ed allora niente.
E poi c’era quel sole, quel tramonto, quei pensieri, cupi, cupi… e la sua voglia di rivederlo che prendeva il sopravvento sul suo odio e le sue reticenze…
Si voltò a guardare il lupo bianco che le sonnecchiava accanto e che non immaginava minimamente quali potessero essere i suoi pensieri, d’altronde non era mai stata una emotiva, sfidava chiunque a capirla… nel pensare ad Ashitaka si sentiva in colpa come se stesse tradendo la sua famiglia. Magari lo stava proprio facendo, a tutti gli effetti, e non era soltanto un’impressione o sterile senso di colpa. Magari era una traditrice. Lo era sempre stata? O lo era diventata col tempo, chissà…
Le venne voglia di sparire nel sottosuolo e non sentire né vedere più nulla. Voleva che quel dannato presentimento del sole morente la abbandonasse all’istante e la facesse sprofondare nel sonno, tranquilla. Sapeva che non sarebbe successo, ma per qualche secondo lo sperò davvero.
Poi si alzò in piedi. Gettò un ultimo sguardo al lupo suo fratello. Lui alzò il muso, squadrandola.
- Sai dove sto andando, vero?
Lui non smise di guardarla. Lei aggrottò le sopracciglia e schivò i suoi occhi.
- Ci rivedremo stasera, forse.
D’altronde, voleva *solo* controllare che quel dannato sole non fosse davvero tramontato. Che pensiero idiota.
Si avviò correndo giù per la montagna.