Scritta in coppia con Def.
Genere: Drammatico, Erotico, Generale.
Pairing: Copiosi.
Rating: NC-17.
AVVISI: Hurt/Comfort, Language, Slash, Ucronia, Underage, Violence, OC.
- "Bruxelles, 29 maggio 1985.
Durante la finale di Coppa dei Campioni (ora UEFA Champions' League) tra Juventus e Liverpool, scoppiarono dei disordini all'interno dello stadio a causa di alcuni gruppi di facinorosi inglesi, che sfondarono le reti divisorie tra il proprio settore e quello che ospitava tifosi neutrali e italiani. A causa della ressa di gente impaurita, alcuni si gettarono nel vuoto per evitare di essere travolti, altri si ferirono contro le recinzioni divisorie. Il muro su cui tentavano di arrampicarsi alcuni tifosi crollò, forse a causa della scarsa manutenzione o del peso eccessivo, seppellendo numerose persone.
Trentanove morti, più di seicento feriti, in gran parte italiani. La UEFA squalificò a tempo indeterminato tutti i club inglesi dalle competizioni europee, molti tifosi del Liverpool furono accusati di omicidio e strage colposa. I disordini, purtroppo, non si fermarono qui."
Note: La parte femminile di questo duo di criminali in carriera, in tutto ciò, vorrebbe tanto ringraziare la sua controparte maschile, nonché l’uomo che molti vorrebbero fosse suo marito, nonché – a quanto pare – il padre di due sue figlie. Tutto ciò in pochissimi mesi, eh, va reso merito a quest’uomo. Egli l’ha seguita senza sfancularla nemmeno una volta (anche quando a buon diritto avrebbe potuto farlo), è stato fonte di grande fangirlingmanning, è stato di grande supporto morale ed è stato soprattutto un compagno di scrittura e plottaggio veramente piacevolissimo. Ed un sacco asservito *O* Mi mancherà scrivere con te >_< E comunque siamo stati fiQuissimi, Def.
Genere: Drammatico, Erotico, Generale.
Pairing: Copiosi.
Rating: NC-17.
AVVISI: Hurt/Comfort, Language, Slash, Ucronia, Underage, Violence, OC.
- "Bruxelles, 29 maggio 1985.
Durante la finale di Coppa dei Campioni (ora UEFA Champions' League) tra Juventus e Liverpool, scoppiarono dei disordini all'interno dello stadio a causa di alcuni gruppi di facinorosi inglesi, che sfondarono le reti divisorie tra il proprio settore e quello che ospitava tifosi neutrali e italiani. A causa della ressa di gente impaurita, alcuni si gettarono nel vuoto per evitare di essere travolti, altri si ferirono contro le recinzioni divisorie. Il muro su cui tentavano di arrampicarsi alcuni tifosi crollò, forse a causa della scarsa manutenzione o del peso eccessivo, seppellendo numerose persone.
Trentanove morti, più di seicento feriti, in gran parte italiani. La UEFA squalificò a tempo indeterminato tutti i club inglesi dalle competizioni europee, molti tifosi del Liverpool furono accusati di omicidio e strage colposa. I disordini, purtroppo, non si fermarono qui."
Note: La parte femminile di questo duo di criminali in carriera, in tutto ciò, vorrebbe tanto ringraziare la sua controparte maschile, nonché l’uomo che molti vorrebbero fosse suo marito, nonché – a quanto pare – il padre di due sue figlie. Tutto ciò in pochissimi mesi, eh, va reso merito a quest’uomo. Egli l’ha seguita senza sfancularla nemmeno una volta (anche quando a buon diritto avrebbe potuto farlo), è stato fonte di grande fangirlingmanning, è stato di grande supporto morale ed è stato soprattutto un compagno di scrittura e plottaggio veramente piacevolissimo. Ed un sacco asservito *O* Mi mancherà scrivere con te >_< E comunque siamo stati fiQuissimi, Def.
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Helena non avrebbe mai pensato di potersi aggrappare a qualche certezza, a mano a mano che il mondo intorno a lei aveva cominciato a diventare più buio, più pericoloso e infine più schifoso. Neanche Zlatan è stato una certezza, per lei – sì, d'accordo, c'era stata una mezza cosa, in fondo è un bell'uomo nonostante abbia dieci anni meno di lei, e di quella mezza cosa ha pagato le conseguenze a caro prezzo. Non c'è niente di peggio che restare incinta quando tenti di barcamenarti per arrivare a racimolare a fine mese i soldi per pagare la mafia e i ragazzi, tentando di prendere la tua parte per riuscire a buttarti qualcosa nello stomaco, ogni tanto; e non c'è niente di peggio che partorire un figlio bellissimo, perché con la bellezza non si può mangiare – non prima dei quindici o sedici anni, se proprio decidesse di pulirsi le scarpe con la moralità – e che assomiglia pochissimo a lui e tantissimo a lei, con tutte le ovvie conseguenze del caso in quanto a salute cagionevole.
Poi Zlatan è diventato Nio anche per lei, e si è ritrovata ad aggiungere un'altra foto greve di sensualità lasciva e ormoni inespressi al catalogo; purtroppo o per fortuna, nessuno restava intrigato abbastanza a lungo da una puttana così indisponente – ma nessuno aveva lamentele al riguardo, questo proprio non poteva affermarlo.
Per questo, anche se non la stupisce che il portoghese sia tornato, un po’, sì, sentirgli chiedere di nuovo di Zlatan la prende un po’ di sorpresa.
L’uomo sta lì, perfettamente a proprio agio, dice “Nio” e la guarda, come se tanto bastasse. Helena annuisce compitamente, intasca la paga – è di nuovo più abbondante rispetto a quanto Zlatan non valga, almeno per quanto ne sa lei – e lo accompagna alla porta. Ancora una volta, lui non si muove finché non la vede allontanarsi; lei lo capisce e va via dopo un ossequioso cenno col capo, lasciandoli soli, lui e la porta, a dialogare silenziosamente finché José non si sente abbastanza tranquillo da aprirla e introdursi all’interno della camera scura e silenziosa.
Zlatan è disteso sul letto, ansima un po’ ed è sudato. Ha appena finito di scopare, è evidente, e mentre José medita di tirar fuori più soldi di quanto al momento possa permettersene per impedire che la cosa si ripeta, si volta a guardarlo. E spalanca gli occhi.
«Tu» sibila infastidito, «Di nuovo.»
«Anche a me fa piacere rivederti.» risponde più affabile di quanto vorrebbe – di quanto si meriti l'altro, senza dubbio; un vago sorriso si fa strada sul volto, incurante del fatto che Zlatan lo stia guardando con gli occhi socchiusi, come una belva pronta a colpire.
Sì, gli farà proprio comodo uno così.
«Io non ho parlato di piacere» borbotta Zlatan, mettendosi a sedere e puntellandosi con una mano sul materasso, mentre l’altra va a ravviare la frangia scomposta sulla fronte. «Cosa cazzo sei tornato a fare?»
«Mi sembrava che la nostra conversazione si fosse interrotta bruscamente, l’ultima volta.» risponde José, sfilando disinvolto il cappotto e poggiandolo con noncuranza sulla spalliera dell’unica sedia della stanza.
«Questo perché io non sono uno di quegli sfigati che parlano… non so nemmeno come cazzo ti chiami.»
«Non è importante, al momento.» scrolla le spalle, avvicinandosi al letto con passo sicuro.
«Non è importante perché tu non dovresti essere qui.»
José non può fare a meno di notare, con un certo compiacimento, come per Zlatan sia impossibile dire una cosa simile senza distogliere lo sguardo. Pianta entrambe le mani sui fianchi, chinandosi appena per guardarlo comunque negli occhi.
«Sono un cliente come un altro» ghigna furbo, «Vuoi perdere la tua percentuale di oggi?»
«Tu non saresti comunque altro che un minimo della mia percentuale di oggi.» gli fa notare in un ringhio frustrato, mentre torna a guardarlo con aria furiosa.
«Sono un minimo garantito. E non puoi negare che ti sia piaciuto, l’altra volta.»
Zlatan sbuffa, perché lo stronzo ha ragione su entrambe le cose. E perdere, seppur con uno scarto minimo, non rientra nei suoi piani abituali: anche quando i clienti occasionali lo fottono, magari senza un briciolo di riguardo, riesce sempre a trasformare una scopata poco piacevole in qualcosa di più fruttifero, che sia un extra per la bella serata o qualche aggancio un po' più in alto del solito.
«Il mondo dev'essere parecchio duro con le puttane. Più di un cazzo male assestato.» continua sprezzante.
«Non ho mai pensato fosse così facile farsi strada. Avevo quattro anni quando il mondo si è fatto fottere da quattro stronzetti, sai, e tu ne avevi parecchi di più. Quindi smettila di sparare cazzate, smettila di girare intorno al fatto che sei in un bordello, sta' zitto e fottimi.»
José sembra non pensarci nemmeno – appare profondamente disinteressato a tutto ciò che non lo riguarda direttamente. «Nella vita c'è chi si fa largo a suon di pugni, chi uccide e chi monta castelli di bugie. Io ho il mio metodo, Zlatan. Puoi pensare che sia quello speciale, quello giusto, e io non te lo impedirò.»
«Non mi chiamo Zlatan.»
«Nio è un nome del cazzo. Letteralmente.» ghigna. Zlatan scoppia in una risata forzata, accarezzandosi l'inguine con aria lasciva.
José gli lascia scorrere addosso lo sguardo e si inumidisce brevemente le labbra, e questo rende la risata di Zlatan un po’ più sincera. Niente da fare, c’è qualcosa, nel modo in cui quell’uomo lo guarda, che lo fa rabbrividire di piacere. Sembra desiderarlo come non s’è mai sentito desiderato. Ed è abituato a sentirsi desiderato in così tanti modi e con così tanta intensità che l’idea di aver trovato qualcuno che possa desiderarlo in un modo ancora diverso e con un’intensità ancora superiore un po’ lo sconcerta.
Si tira un po’ indietro sul materasso e José non ha bisogno di sentirsi ripetere l’invito ad alta voce: lo segue, arrampicandosi sul letto davanti a lui e costringendolo ad allargare le gambe con un colpetto delle ginocchia. Essere completamente nudo ed avere la pelle ancora umida di sudore – ed essere ancora dannatamente eccitato per la scopata che non è riuscita a farlo venire non più di dieci minuti prima – non aiuta decisamente il suo autocontrollo, e perciò José ghigna supponente appena lo sente strusciarsi contro di lui in cerca di sollievo per la propria dolorosa erezione. Il tessuto dei suoi vestiti, sfregandosi contro la sua pelle calda, provoca un contrasto che è insieme quanto di più piacevole e quanto di più fastidioso abbia mai sentito addosso.
Zlatan non ha idea di cosa stia succedendo con quest’uomo. L’unica cosa che sa è che la situazione nel complesso non gli piace. E non gli piace almeno quanto gli piace.
«Mi hanno detto» sussurra José, chinandosi a mordergli il collo, «che palleggi con le gomme da masticare.»
Perso com’è sulla scia di morsi che gli tempesta la pelle, Zlatan non lo capisce.
«Mhn…?» biascica, ancorandosi alle spalle dell’uomo per spingersi contro il suo bacino in modo meno disarticolato e di gran lunga più soddisfacente, «Di che cazzo stai parlando?»
José sogghigna contro la sua pelle e lo tiene fermo per i fianchi, impedendogli di muoversi come preferisce.
«Mi hanno detto che palleggi con le gomme da masticare.» ripete, risalendo con la lingua la linea della sua mascella.
Stavolta Zlatan lo capisce.
«Che stronzata» ansima, cercando di forzare la sua stretta, «Scopami e basta.»
«Non puoi parlare e scopare?» chiede José, divertito, sbottonando lentamente i jeans.
«No, cazzo» ringhia lui, mordendogli un lobo con una certa violenza, «Tu parli troppo, per i miei gusti.»
«Dovrai imparare a fare più cose per volta, se vuoi fare strada.» lo avverte, scendendo ad accarezzarlo ruvidamente fra le gambe.
«Dio, sì» grugnisce Zlatan, «Stai zitto, usala meglio quella cazzo di bocca.»
José non risponde e continua ad accarezzarlo, e Zlatan si è appena accomodato per un attimo nell’illusione – vana – che si sia finalmente deciso a tappare la fogna per scoparlo come si deve – Dio, al solo pensiero rabbrividisce di voglia – che lo stronzo, come niente, riprende a parlare.
«Allora, è vero che palleggi con la gomma da masticare?»
Zlatan si ferma e spalanca gli occhi.
«Perché cazzo t’interessa tanto?» chiede gelido, allontanandosi da lui di qualche centimetro.
«Semplice conversazione, suppongo.» risponde José, smettendo di accarezzarlo e guardandolo fisso.
«Mi sembrava fosse chiaro il concetto: io non parlo.»
«Mi sembrava fosse chiaro il concetto: tu fai quello che ti dico io.»
E la sua mano è ancora stretta attorno alla sua erezione, il suo corpo troppo vicino per non desiderarlo e quella bocca troppo stronza per non sentire il bisogno quasi fisico di tapparla a modo suo. Ma Zlatan è una puttana, non un servo. Ed è davvero orgoglioso. Non stupido, ma orgoglioso. Perciò neanche ci pensa un secondo, prima di piantargli entrambe le mani sul petto e rovesciarlo per terra, fermandosi poi a guardarlo con aria furiosa dal letto, mentre José, piantando entrambe le mani sul parquet scricchiolante e sudicio che ricopre il pavimento, inarca le sopracciglia e lo fissa sgomento.
«Fuori di qui» intima Zlatan, indicandogli la porta, «Non tornare, o giuro che ti spacco la faccia, Cristo santo» José fa per aprire la bocca e protestare, ma Zlatan non gliene lascia il tempo. «Fuori di qui!» ripete deciso.
E José si alza. Si muove lentamente verso la sedia, recupera il cappotto e lo indossa dopo essersi risistemato alla meno peggio.
«Forse è vero» lo sente ringhiare astioso mentre liscia il colletto della camicia, «Non vali granché la pena. E probabilmente non sei nemmeno quello che sto cercando.»
«Allora non tornare e vai a ‘fanculo, stronzo di merda!» sbotta Zlatan, stringendo i pugni.
Mentre lo osserva uscire, pensa che adesso l’unica certezza che ha è che di sicuro quello stronzo non tornerà. Può scommetterci tutto quello che possiede.
José torna come se non fosse accaduto nulla. Helena lo accoglie come se non fosse accaduto nulla. Il culo di Zlatan, tempo trenta secondi, lo accoglierà come se non fosse accaduto nulla. La cosa è vagamente destabilizzante e assolutamente imprevista.
Lo stronzo entra tranquillissimo, sfila il cappotto e lo lascia lì sul solito schienale della solita fottuta sedia, e poi lo guarda. Come stesse aspettando qualcosa da lui.
«Be’?» ha anche il coraggio di chiedere. «Che ci fai lì impalato? Spogliati.»
Zlatan si alza in piedi e lo guarda. Incerto fra le varie possibilità, nel mentre sfila la maglietta.
«Ti avevo detto di non farti più vedere.»
«E io ti ho ignorato» risponde lui, sbottonando lentamente la camicia. «Conversazione?»
«Sì, direi che a questo punto servirebbe» confessa nervosamente Zlatan, slacciando i jeans. «Perché continui a tornare?»
«Il tuo culo non è una risposta sufficiente?»
«Lo sarebbe, se tu non fossi lo stronzo fuori di testa che sei.»
José ghigna furbo.
«Mi conosci già così bene?»
Zlatan lo imita, sfilando i pantaloni e scalciandoli lontano.
«È facile venire a capo di quelli stronzi come te. Siete stronzi, tanto basta.»
E non riesce a dire altro, perché il secondo dopo le labbra di José sono pressate contro le sue, lui lo sta tirando verso il basso con una mano piantata di prepotenza sulla nuca e Zlatan, naturalmente, non capisce più un cazzo. I baci non fanno parte delle regole del gioco. I baci sono off-limits. Cristo, non ricorda di avere baciato così neanche Helena. Eppure eccolo lì che gli si scioglie sulle labbra – le labbra di uno stronzo, peraltro. Fosse almeno una cazzo di persona per bene. E invece no, è uno stronzo e basta. Uno stronzo che lo sta facendo uscire di testa, per di più.
Lo afferra per le spalle – le mani vagano ovunque – e lo trascina verso il letto. Non gli importa che sia uno stronzo e non gli importa ammattire: lo vuole sentire dentro adesso, subito, e non permetterà a José di rovinare tutto riaprendo a sproposito quella boccaccia di merda. Lo terrà impegnato con la lingua, se proprio deve – e non è nemmeno un dovere tanto spiacevole.
Ha appena il tempo di ricadere sul materasso, che José gli si è già infilato fra le gambe e sta premendosi contro di lui. E lui mugola, andando incontro alle sue spinte e annullando l’universo intero, perché per quello che gli frega al momento può anche esplodere il bordello con loro dentro, José è tornato anche se non avrebbe avuto motivo di farlo e questa cosa, per quanto stupida, per quanto ridicola, per quanto assurda, lo fa impazzire.
Lo lascia entrare stringendoglisi attorno più che può, graffiandogli le spalle e mordendogli il collo. José ride sulla sua pelle.
«Sei arrabbiato, mh?» lo prende in giro, e Zlatan risponde con un altro morso, reclamando le sue labbra.
José si lascia coinvolgere nel bacio e ne prende il controllo, schiacciandolo con forza contro il materasso e spingendoglisi dentro con calma. È addirittura irritante, cazzo, se c’è una cosa che Zlatan sa, adesso, è che vorrebbe essere fottuto quasi con violenza. Perché lo odia eppure l’ha aspettato. Ed odia averlo aspettato anche più di quanto odi lui.
Viene con un ringhio e lo soffoca fra le sue labbra, José ride e si prende il proprio tempo – spinte lunghe e lente, come al solito, sembra che quest’uomo riesca a godere solo così, solo coi propri tempi, e non sono mai tempi frenetici – prima di svuotarsi contro il preservativo e respirargli addosso per un lunghissimo istante, in seguito al quale si separa dal suo corpo – e Zlatan ci ha provato, a trattenerlo, solo che si è fermato quando si è reso conto di quanto discutibile fosse, come gesto, stringergli le braccia attorno alle spalle e costringerlo a lasciarsi abbracciare.
«Vali la pena» gli concede José in un mezzo ghigno, sistemandosi sul letto neanche fosse a casa propria, «Anche se sei insopportabile.»
“Io, eh?”, pensa Zlatan con un mezzo sorriso. Ma non lo dice, perché dirlo adesso implicherebbe mandarlo via. Steso accanto a lui, senza nemmeno toccarlo, ma col calore del suo corpo che arriva chiarissimo nonostante quei due centimetri che li separano l’uno dall’altro, che José si alzi e vada via è esattamente l’ultima cosa che Zlatan voglia. E quindi, tace.
José Mário dos Santos Mourinho Félix – è il nome completo che campeggia sulla carta di identità, anche se di questi tempi non c'è da fidarsi nemmeno più di quelle – si sta lavorando con abilità consumata sia Helena che Zlatan. La grassona caraibica che gestisce la casa di transessuali e stalloni cubani, trecento metri più in là, rimpiange amaramente di aver preso a calci, a suo tempo, l'unico ragazzo che sembra interessare a un uomo che non sa far altro che svuotare il portafogli per svuotare le palle, almeno apparentemente. Helena gongola con compostezza, senza sapere che José pensa solo ai suoi scopi (non ultimo, far sesso con quello che è diventato più di una piacevole abitudine) e se ne sbatte del suo successo come tenutaria; successo molto labile, peraltro, vista la sua inettitudine a separare la vita privata dal lavoro – la pancia curva è fonte di malelingue all'interno del suo stesso casino.
Dal canto suo, Zlatan può dichiararsi quasi felice – almeno, per il concetto idiota di felicità che è riuscito a imporsi in due anni di onorata e fottutissima carriera. Non tanto per i soldi, perché anche prima era comunque la puttana di maggior successo lì dentro, e il fatto che José stia portando un flusso ragionevole e costante di denaro è un optional gradito, ma era pur sempre possibile farne a meno. No, è che scopare con lui gli piace, se è possibile che la testa di un povero cristo che si fa scopare per soldi da un ninfomane portoghese concepisca una cosa del genere. Gli piace sentire mentre entra dentro di lui, con decisione e allo stesso tempo con una cautela che lo fa sorridere, gli piace quando ogni tanto tappa quella bocca che parla troppo, gli piace la routine che si è instaurata tra di loro, sempre uguale ma sempre diversa ogni volta che Helena lo saluta con un sorriso meno svenevole e più sincero. Il labbro superiore appena increspato significa che la giornata gli è andata bene. Le guance appena incavate come dopo uno sbuffo marcato, noia. Più è incazzato e più lo scopa con calma, quasi volesse trasferire a lui in questo modo tutta la sua frustrazione. Gli occhi che brillano possono significare qualunque cosa, ancora non ha imparato ad associare a loro qualcosa di fisso e immutabile; del resto, José può avere qualsiasi espressione quando entra nella sua stanza, ed è certo che riuscirà a sconvolgere di nuovo tutti i suoi schemi mentali.
Nonostante la sua reticenza, poi, sono riusciti anche a fare un po' di conversazione (mai, mai scontentare un cliente al punto da impedirgli di tornare; Helena gli avrà ripetuto una sessantina di volte questa regola, ma lui non l’ha mai seguita prima); Zlatan sa un po' di cose di lui – niente di eclatante, a parte le sue origini portoghesi, appunto, e che viaggia per bordelli ogni volta che può – e José sa molte cose di lui, perché è lui a chiedere ed è Zlatan a rispondere.
Dopo aver indugiato un po' più del solito con i preliminari, e dopo che Zlatan ha scoperto che José è bravo a fare pompini almeno tanto quanto a riceverne, che le sue mani tozze adorano scorrere su tutto il suo corpo e che il suo corpo adora che le sue mani tozze lo accarezzino così, nell'altro isolato comincia l'inferno; una ventina di colpi di fucile, alcune sventagliate di mitraglietta e un paio di esplosioni – probabilmente auto date alle fiamme e saltate in aria. La bocca di José non si ferma, quella di Zlatan neppure, ma dalla finestra sentono il rumore del portone chiuso a chiave ed entrambi capiscono che Helena, almeno per stasera, ha chiuso bottega; la balena di Haiti, a giudicare dagli strilli isterici, l'ha chiusa per sempre.
José prende fiato, continuando a masturbarlo con la mano per qualche altro istante, e passa distrattamente la lingua sulle proprie labbra, inseguendo un pensiero niente affatto irrealizzabile. Quando si volta – e lo fa spontaneamente e senza quasi nemmeno cambiare espressione – Zlatan lo guarda con vago sconcerto.
«Che c’è?» lo apostrofa lui, in una mezza risata ironica. «Non eri abituato a svolgere entrambi i tipi di servizio?»
Zlatan deglutisce e resta immobile. Si sente congelato e non capisce nemmeno perché.
«… non con te.» ammette alla fine, confuso e un po’ agitato.
José allunga una mano e se lo schiaccia contro, afferrandolo per i fianchi.
«Abituati in fretta» sibila, tornando ad appoggiarsi al muro, «Non ho tempo per i ritardatari.»
È incredibile come le sue risposte del cazzo riescano sempre, invariabilmente, a farlo imbestialire; Zlatan spinge in fondo con una violenza che stupisce per primo lui stesso, e José si inarca e scivola a terra sotto le sue mani. L’immagine in sé, a guardarla da fuori, dev’essere squallida, quasi da nausea – no, è lui a sentirsi squallido mentre afferra l’uomo per i capelli e tira; José geme e ringhia, e si tira su, issandosi sulle ginocchia.
Non vuole scoparlo in quel modo, Zlatan si rifiuta. Quello non è un uomo che vada scopato a quattro zampe come un animale. Adesso sono entrambi sulle ginocchia, adesso va bene, adesso può stringerlo alle spalle e alla vita e farsi sentire fino in fondo come preferisce. Adesso sono pari, con José non accetta niente di meno. Né niente di più.
Giù in strada, quattro colpi di fucile hanno seccato la maitresse mulatta. Zlatan non ne sentirà la mancanza, e dal modo in cui mugola mentre entra ed esce da lui probabilmente non sentirà la mancanza di niente e di nessuno, se e quando José uscirà dalla sua vita. Il più tardi possibile, aggiunge, venendo con un ringhio più roco e appagato che mai.
Restano immobili per un quantitativo di tempo che Zlatan non riesce a contare, e lui fa sinceramente fatica a tenere ferme le mani e non accarezzare il corpo di José in un modo che sarebbe indubbiamente tenero – e quindi indubbiamente poco opportuno. Dovrebbe smetterla, dovrebbe staccarsi da lui e dovrebbe, Cristo, sbattere la testa contro una lastra di cemento per tornare in sé. Non è affatto felice di quello che gli sta facendo quell’uomo. Non va per niente bene così.
Restano immobili fino a quando non sentono il campanello squillare, ed allora Zlatan ricorda improvvisamente chi è, dov’è e che, mentre lui e José scopavano come se nel mondo non esistesse nient’altro, fuori infuriava la guerra e Yara veniva massacrata e lasciata lì a morire in un lago di sangue e carne spappolata. Perciò si allontana da lui – José lo lascia andare con un ringhio appena udibile – e si rimette in piedi, infilando i pantaloni a casaccio – fossero anche al contrario, non se ne accorgerebbe: tutto quello che gl’interessa al momento è sbirciare di fuori, controllare che sia tutto a posto e poi tornare indietro per vedere se José ha ancora qualcosa per lui.
Quando si affaccia alla porta, nota che Helena ha già aperto e sta discutendo con un uomo dall’aria poco raccomandabile – tanto quanto è poco raccomandabile la pistola che si intravede chiaramente uscire dalla tasca dei jeans sdruciti che indossa.
Zlatan digrigna i denti.
«È tutto a posto, da queste parti, giusto?» chiede il tizio, con addosso un sorriso da schiaffi che Zlatan spazzerebbe volentieri via a sprangate.
Helena annuisce con aria tesa, senza guardarlo negli occhi.
«Continuerà ad essere tutto a posto se qui continuerete a contribuire all’economia della città.» sorride ancora quello, sempre più stronzo e angelicamente sicuro di sé. Helena allunga una mano oltre il bancone, alla ricerca dei soldi da consegnare, e Zlatan si chiude la porta alle spalle con un grugnito frustrato, tornando a guardare all’interno della stanza.
José, nel mentre, s’è tirato in piedi e s’è messo a sedere sul letto, e sta controllando un’agendina con aria disinteressata – il tipico atteggiamento che ha qualcuno che fa qualcosa solo per occupare le mani in attesa del resto.
«Non sopporto più questa situazione di merda» ammette in un sospiro, lasciandosi andare seduto al suo fianco, i gomiti appoggiati sulle ginocchia piegate e gli avambracci a pendere nel vuoto fra le gambe, «Odio questo posto.»
José scrolla le spalle, sembra disinteressato.
«Allora dovresti andare via» dice semplicemente. L’attimo dopo è in piedi. Il minuto successivo è andato via. Cinque minuti dopo, Zlatan è ancora lì immobile sul letto. E ne sente la mancanza.
TBC...
Note dell'autore maschio: no, per quanto possa aver amato scrivere e leggere ogni singola parola di questa storia non mi sarei mai aspettato una risposta del pubblico così massiccia. E ora l'autrice femmina dovrà raccogliermi con scopino e paletta. *defunge*
Note dell'autrice femmina: *raccoglie con scopino e paletta il defunto autore maschio e sparge amore sulle fangirl*
Poi Zlatan è diventato Nio anche per lei, e si è ritrovata ad aggiungere un'altra foto greve di sensualità lasciva e ormoni inespressi al catalogo; purtroppo o per fortuna, nessuno restava intrigato abbastanza a lungo da una puttana così indisponente – ma nessuno aveva lamentele al riguardo, questo proprio non poteva affermarlo.
Per questo, anche se non la stupisce che il portoghese sia tornato, un po’, sì, sentirgli chiedere di nuovo di Zlatan la prende un po’ di sorpresa.
L’uomo sta lì, perfettamente a proprio agio, dice “Nio” e la guarda, come se tanto bastasse. Helena annuisce compitamente, intasca la paga – è di nuovo più abbondante rispetto a quanto Zlatan non valga, almeno per quanto ne sa lei – e lo accompagna alla porta. Ancora una volta, lui non si muove finché non la vede allontanarsi; lei lo capisce e va via dopo un ossequioso cenno col capo, lasciandoli soli, lui e la porta, a dialogare silenziosamente finché José non si sente abbastanza tranquillo da aprirla e introdursi all’interno della camera scura e silenziosa.
Zlatan è disteso sul letto, ansima un po’ ed è sudato. Ha appena finito di scopare, è evidente, e mentre José medita di tirar fuori più soldi di quanto al momento possa permettersene per impedire che la cosa si ripeta, si volta a guardarlo. E spalanca gli occhi.
«Tu» sibila infastidito, «Di nuovo.»
«Anche a me fa piacere rivederti.» risponde più affabile di quanto vorrebbe – di quanto si meriti l'altro, senza dubbio; un vago sorriso si fa strada sul volto, incurante del fatto che Zlatan lo stia guardando con gli occhi socchiusi, come una belva pronta a colpire.
Sì, gli farà proprio comodo uno così.
«Io non ho parlato di piacere» borbotta Zlatan, mettendosi a sedere e puntellandosi con una mano sul materasso, mentre l’altra va a ravviare la frangia scomposta sulla fronte. «Cosa cazzo sei tornato a fare?»
«Mi sembrava che la nostra conversazione si fosse interrotta bruscamente, l’ultima volta.» risponde José, sfilando disinvolto il cappotto e poggiandolo con noncuranza sulla spalliera dell’unica sedia della stanza.
«Questo perché io non sono uno di quegli sfigati che parlano… non so nemmeno come cazzo ti chiami.»
«Non è importante, al momento.» scrolla le spalle, avvicinandosi al letto con passo sicuro.
«Non è importante perché tu non dovresti essere qui.»
José non può fare a meno di notare, con un certo compiacimento, come per Zlatan sia impossibile dire una cosa simile senza distogliere lo sguardo. Pianta entrambe le mani sui fianchi, chinandosi appena per guardarlo comunque negli occhi.
«Sono un cliente come un altro» ghigna furbo, «Vuoi perdere la tua percentuale di oggi?»
«Tu non saresti comunque altro che un minimo della mia percentuale di oggi.» gli fa notare in un ringhio frustrato, mentre torna a guardarlo con aria furiosa.
«Sono un minimo garantito. E non puoi negare che ti sia piaciuto, l’altra volta.»
Zlatan sbuffa, perché lo stronzo ha ragione su entrambe le cose. E perdere, seppur con uno scarto minimo, non rientra nei suoi piani abituali: anche quando i clienti occasionali lo fottono, magari senza un briciolo di riguardo, riesce sempre a trasformare una scopata poco piacevole in qualcosa di più fruttifero, che sia un extra per la bella serata o qualche aggancio un po' più in alto del solito.
«Il mondo dev'essere parecchio duro con le puttane. Più di un cazzo male assestato.» continua sprezzante.
«Non ho mai pensato fosse così facile farsi strada. Avevo quattro anni quando il mondo si è fatto fottere da quattro stronzetti, sai, e tu ne avevi parecchi di più. Quindi smettila di sparare cazzate, smettila di girare intorno al fatto che sei in un bordello, sta' zitto e fottimi.»
José sembra non pensarci nemmeno – appare profondamente disinteressato a tutto ciò che non lo riguarda direttamente. «Nella vita c'è chi si fa largo a suon di pugni, chi uccide e chi monta castelli di bugie. Io ho il mio metodo, Zlatan. Puoi pensare che sia quello speciale, quello giusto, e io non te lo impedirò.»
«Non mi chiamo Zlatan.»
«Nio è un nome del cazzo. Letteralmente.» ghigna. Zlatan scoppia in una risata forzata, accarezzandosi l'inguine con aria lasciva.
José gli lascia scorrere addosso lo sguardo e si inumidisce brevemente le labbra, e questo rende la risata di Zlatan un po’ più sincera. Niente da fare, c’è qualcosa, nel modo in cui quell’uomo lo guarda, che lo fa rabbrividire di piacere. Sembra desiderarlo come non s’è mai sentito desiderato. Ed è abituato a sentirsi desiderato in così tanti modi e con così tanta intensità che l’idea di aver trovato qualcuno che possa desiderarlo in un modo ancora diverso e con un’intensità ancora superiore un po’ lo sconcerta.
Si tira un po’ indietro sul materasso e José non ha bisogno di sentirsi ripetere l’invito ad alta voce: lo segue, arrampicandosi sul letto davanti a lui e costringendolo ad allargare le gambe con un colpetto delle ginocchia. Essere completamente nudo ed avere la pelle ancora umida di sudore – ed essere ancora dannatamente eccitato per la scopata che non è riuscita a farlo venire non più di dieci minuti prima – non aiuta decisamente il suo autocontrollo, e perciò José ghigna supponente appena lo sente strusciarsi contro di lui in cerca di sollievo per la propria dolorosa erezione. Il tessuto dei suoi vestiti, sfregandosi contro la sua pelle calda, provoca un contrasto che è insieme quanto di più piacevole e quanto di più fastidioso abbia mai sentito addosso.
Zlatan non ha idea di cosa stia succedendo con quest’uomo. L’unica cosa che sa è che la situazione nel complesso non gli piace. E non gli piace almeno quanto gli piace.
«Mi hanno detto» sussurra José, chinandosi a mordergli il collo, «che palleggi con le gomme da masticare.»
Perso com’è sulla scia di morsi che gli tempesta la pelle, Zlatan non lo capisce.
«Mhn…?» biascica, ancorandosi alle spalle dell’uomo per spingersi contro il suo bacino in modo meno disarticolato e di gran lunga più soddisfacente, «Di che cazzo stai parlando?»
José sogghigna contro la sua pelle e lo tiene fermo per i fianchi, impedendogli di muoversi come preferisce.
«Mi hanno detto che palleggi con le gomme da masticare.» ripete, risalendo con la lingua la linea della sua mascella.
Stavolta Zlatan lo capisce.
«Che stronzata» ansima, cercando di forzare la sua stretta, «Scopami e basta.»
«Non puoi parlare e scopare?» chiede José, divertito, sbottonando lentamente i jeans.
«No, cazzo» ringhia lui, mordendogli un lobo con una certa violenza, «Tu parli troppo, per i miei gusti.»
«Dovrai imparare a fare più cose per volta, se vuoi fare strada.» lo avverte, scendendo ad accarezzarlo ruvidamente fra le gambe.
«Dio, sì» grugnisce Zlatan, «Stai zitto, usala meglio quella cazzo di bocca.»
José non risponde e continua ad accarezzarlo, e Zlatan si è appena accomodato per un attimo nell’illusione – vana – che si sia finalmente deciso a tappare la fogna per scoparlo come si deve – Dio, al solo pensiero rabbrividisce di voglia – che lo stronzo, come niente, riprende a parlare.
«Allora, è vero che palleggi con la gomma da masticare?»
Zlatan si ferma e spalanca gli occhi.
«Perché cazzo t’interessa tanto?» chiede gelido, allontanandosi da lui di qualche centimetro.
«Semplice conversazione, suppongo.» risponde José, smettendo di accarezzarlo e guardandolo fisso.
«Mi sembrava fosse chiaro il concetto: io non parlo.»
«Mi sembrava fosse chiaro il concetto: tu fai quello che ti dico io.»
E la sua mano è ancora stretta attorno alla sua erezione, il suo corpo troppo vicino per non desiderarlo e quella bocca troppo stronza per non sentire il bisogno quasi fisico di tapparla a modo suo. Ma Zlatan è una puttana, non un servo. Ed è davvero orgoglioso. Non stupido, ma orgoglioso. Perciò neanche ci pensa un secondo, prima di piantargli entrambe le mani sul petto e rovesciarlo per terra, fermandosi poi a guardarlo con aria furiosa dal letto, mentre José, piantando entrambe le mani sul parquet scricchiolante e sudicio che ricopre il pavimento, inarca le sopracciglia e lo fissa sgomento.
«Fuori di qui» intima Zlatan, indicandogli la porta, «Non tornare, o giuro che ti spacco la faccia, Cristo santo» José fa per aprire la bocca e protestare, ma Zlatan non gliene lascia il tempo. «Fuori di qui!» ripete deciso.
E José si alza. Si muove lentamente verso la sedia, recupera il cappotto e lo indossa dopo essersi risistemato alla meno peggio.
«Forse è vero» lo sente ringhiare astioso mentre liscia il colletto della camicia, «Non vali granché la pena. E probabilmente non sei nemmeno quello che sto cercando.»
«Allora non tornare e vai a ‘fanculo, stronzo di merda!» sbotta Zlatan, stringendo i pugni.
Mentre lo osserva uscire, pensa che adesso l’unica certezza che ha è che di sicuro quello stronzo non tornerà. Può scommetterci tutto quello che possiede.
* * *
José torna come se non fosse accaduto nulla. Helena lo accoglie come se non fosse accaduto nulla. Il culo di Zlatan, tempo trenta secondi, lo accoglierà come se non fosse accaduto nulla. La cosa è vagamente destabilizzante e assolutamente imprevista.
Lo stronzo entra tranquillissimo, sfila il cappotto e lo lascia lì sul solito schienale della solita fottuta sedia, e poi lo guarda. Come stesse aspettando qualcosa da lui.
«Be’?» ha anche il coraggio di chiedere. «Che ci fai lì impalato? Spogliati.»
Zlatan si alza in piedi e lo guarda. Incerto fra le varie possibilità, nel mentre sfila la maglietta.
«Ti avevo detto di non farti più vedere.»
«E io ti ho ignorato» risponde lui, sbottonando lentamente la camicia. «Conversazione?»
«Sì, direi che a questo punto servirebbe» confessa nervosamente Zlatan, slacciando i jeans. «Perché continui a tornare?»
«Il tuo culo non è una risposta sufficiente?»
«Lo sarebbe, se tu non fossi lo stronzo fuori di testa che sei.»
José ghigna furbo.
«Mi conosci già così bene?»
Zlatan lo imita, sfilando i pantaloni e scalciandoli lontano.
«È facile venire a capo di quelli stronzi come te. Siete stronzi, tanto basta.»
E non riesce a dire altro, perché il secondo dopo le labbra di José sono pressate contro le sue, lui lo sta tirando verso il basso con una mano piantata di prepotenza sulla nuca e Zlatan, naturalmente, non capisce più un cazzo. I baci non fanno parte delle regole del gioco. I baci sono off-limits. Cristo, non ricorda di avere baciato così neanche Helena. Eppure eccolo lì che gli si scioglie sulle labbra – le labbra di uno stronzo, peraltro. Fosse almeno una cazzo di persona per bene. E invece no, è uno stronzo e basta. Uno stronzo che lo sta facendo uscire di testa, per di più.
Lo afferra per le spalle – le mani vagano ovunque – e lo trascina verso il letto. Non gli importa che sia uno stronzo e non gli importa ammattire: lo vuole sentire dentro adesso, subito, e non permetterà a José di rovinare tutto riaprendo a sproposito quella boccaccia di merda. Lo terrà impegnato con la lingua, se proprio deve – e non è nemmeno un dovere tanto spiacevole.
Ha appena il tempo di ricadere sul materasso, che José gli si è già infilato fra le gambe e sta premendosi contro di lui. E lui mugola, andando incontro alle sue spinte e annullando l’universo intero, perché per quello che gli frega al momento può anche esplodere il bordello con loro dentro, José è tornato anche se non avrebbe avuto motivo di farlo e questa cosa, per quanto stupida, per quanto ridicola, per quanto assurda, lo fa impazzire.
Lo lascia entrare stringendoglisi attorno più che può, graffiandogli le spalle e mordendogli il collo. José ride sulla sua pelle.
«Sei arrabbiato, mh?» lo prende in giro, e Zlatan risponde con un altro morso, reclamando le sue labbra.
José si lascia coinvolgere nel bacio e ne prende il controllo, schiacciandolo con forza contro il materasso e spingendoglisi dentro con calma. È addirittura irritante, cazzo, se c’è una cosa che Zlatan sa, adesso, è che vorrebbe essere fottuto quasi con violenza. Perché lo odia eppure l’ha aspettato. Ed odia averlo aspettato anche più di quanto odi lui.
Viene con un ringhio e lo soffoca fra le sue labbra, José ride e si prende il proprio tempo – spinte lunghe e lente, come al solito, sembra che quest’uomo riesca a godere solo così, solo coi propri tempi, e non sono mai tempi frenetici – prima di svuotarsi contro il preservativo e respirargli addosso per un lunghissimo istante, in seguito al quale si separa dal suo corpo – e Zlatan ci ha provato, a trattenerlo, solo che si è fermato quando si è reso conto di quanto discutibile fosse, come gesto, stringergli le braccia attorno alle spalle e costringerlo a lasciarsi abbracciare.
«Vali la pena» gli concede José in un mezzo ghigno, sistemandosi sul letto neanche fosse a casa propria, «Anche se sei insopportabile.»
“Io, eh?”, pensa Zlatan con un mezzo sorriso. Ma non lo dice, perché dirlo adesso implicherebbe mandarlo via. Steso accanto a lui, senza nemmeno toccarlo, ma col calore del suo corpo che arriva chiarissimo nonostante quei due centimetri che li separano l’uno dall’altro, che José si alzi e vada via è esattamente l’ultima cosa che Zlatan voglia. E quindi, tace.
* * *
José Mário dos Santos Mourinho Félix – è il nome completo che campeggia sulla carta di identità, anche se di questi tempi non c'è da fidarsi nemmeno più di quelle – si sta lavorando con abilità consumata sia Helena che Zlatan. La grassona caraibica che gestisce la casa di transessuali e stalloni cubani, trecento metri più in là, rimpiange amaramente di aver preso a calci, a suo tempo, l'unico ragazzo che sembra interessare a un uomo che non sa far altro che svuotare il portafogli per svuotare le palle, almeno apparentemente. Helena gongola con compostezza, senza sapere che José pensa solo ai suoi scopi (non ultimo, far sesso con quello che è diventato più di una piacevole abitudine) e se ne sbatte del suo successo come tenutaria; successo molto labile, peraltro, vista la sua inettitudine a separare la vita privata dal lavoro – la pancia curva è fonte di malelingue all'interno del suo stesso casino.
Dal canto suo, Zlatan può dichiararsi quasi felice – almeno, per il concetto idiota di felicità che è riuscito a imporsi in due anni di onorata e fottutissima carriera. Non tanto per i soldi, perché anche prima era comunque la puttana di maggior successo lì dentro, e il fatto che José stia portando un flusso ragionevole e costante di denaro è un optional gradito, ma era pur sempre possibile farne a meno. No, è che scopare con lui gli piace, se è possibile che la testa di un povero cristo che si fa scopare per soldi da un ninfomane portoghese concepisca una cosa del genere. Gli piace sentire mentre entra dentro di lui, con decisione e allo stesso tempo con una cautela che lo fa sorridere, gli piace quando ogni tanto tappa quella bocca che parla troppo, gli piace la routine che si è instaurata tra di loro, sempre uguale ma sempre diversa ogni volta che Helena lo saluta con un sorriso meno svenevole e più sincero. Il labbro superiore appena increspato significa che la giornata gli è andata bene. Le guance appena incavate come dopo uno sbuffo marcato, noia. Più è incazzato e più lo scopa con calma, quasi volesse trasferire a lui in questo modo tutta la sua frustrazione. Gli occhi che brillano possono significare qualunque cosa, ancora non ha imparato ad associare a loro qualcosa di fisso e immutabile; del resto, José può avere qualsiasi espressione quando entra nella sua stanza, ed è certo che riuscirà a sconvolgere di nuovo tutti i suoi schemi mentali.
Nonostante la sua reticenza, poi, sono riusciti anche a fare un po' di conversazione (mai, mai scontentare un cliente al punto da impedirgli di tornare; Helena gli avrà ripetuto una sessantina di volte questa regola, ma lui non l’ha mai seguita prima); Zlatan sa un po' di cose di lui – niente di eclatante, a parte le sue origini portoghesi, appunto, e che viaggia per bordelli ogni volta che può – e José sa molte cose di lui, perché è lui a chiedere ed è Zlatan a rispondere.
Dopo aver indugiato un po' più del solito con i preliminari, e dopo che Zlatan ha scoperto che José è bravo a fare pompini almeno tanto quanto a riceverne, che le sue mani tozze adorano scorrere su tutto il suo corpo e che il suo corpo adora che le sue mani tozze lo accarezzino così, nell'altro isolato comincia l'inferno; una ventina di colpi di fucile, alcune sventagliate di mitraglietta e un paio di esplosioni – probabilmente auto date alle fiamme e saltate in aria. La bocca di José non si ferma, quella di Zlatan neppure, ma dalla finestra sentono il rumore del portone chiuso a chiave ed entrambi capiscono che Helena, almeno per stasera, ha chiuso bottega; la balena di Haiti, a giudicare dagli strilli isterici, l'ha chiusa per sempre.
José prende fiato, continuando a masturbarlo con la mano per qualche altro istante, e passa distrattamente la lingua sulle proprie labbra, inseguendo un pensiero niente affatto irrealizzabile. Quando si volta – e lo fa spontaneamente e senza quasi nemmeno cambiare espressione – Zlatan lo guarda con vago sconcerto.
«Che c’è?» lo apostrofa lui, in una mezza risata ironica. «Non eri abituato a svolgere entrambi i tipi di servizio?»
Zlatan deglutisce e resta immobile. Si sente congelato e non capisce nemmeno perché.
«… non con te.» ammette alla fine, confuso e un po’ agitato.
José allunga una mano e se lo schiaccia contro, afferrandolo per i fianchi.
«Abituati in fretta» sibila, tornando ad appoggiarsi al muro, «Non ho tempo per i ritardatari.»
È incredibile come le sue risposte del cazzo riescano sempre, invariabilmente, a farlo imbestialire; Zlatan spinge in fondo con una violenza che stupisce per primo lui stesso, e José si inarca e scivola a terra sotto le sue mani. L’immagine in sé, a guardarla da fuori, dev’essere squallida, quasi da nausea – no, è lui a sentirsi squallido mentre afferra l’uomo per i capelli e tira; José geme e ringhia, e si tira su, issandosi sulle ginocchia.
Non vuole scoparlo in quel modo, Zlatan si rifiuta. Quello non è un uomo che vada scopato a quattro zampe come un animale. Adesso sono entrambi sulle ginocchia, adesso va bene, adesso può stringerlo alle spalle e alla vita e farsi sentire fino in fondo come preferisce. Adesso sono pari, con José non accetta niente di meno. Né niente di più.
Giù in strada, quattro colpi di fucile hanno seccato la maitresse mulatta. Zlatan non ne sentirà la mancanza, e dal modo in cui mugola mentre entra ed esce da lui probabilmente non sentirà la mancanza di niente e di nessuno, se e quando José uscirà dalla sua vita. Il più tardi possibile, aggiunge, venendo con un ringhio più roco e appagato che mai.
Restano immobili per un quantitativo di tempo che Zlatan non riesce a contare, e lui fa sinceramente fatica a tenere ferme le mani e non accarezzare il corpo di José in un modo che sarebbe indubbiamente tenero – e quindi indubbiamente poco opportuno. Dovrebbe smetterla, dovrebbe staccarsi da lui e dovrebbe, Cristo, sbattere la testa contro una lastra di cemento per tornare in sé. Non è affatto felice di quello che gli sta facendo quell’uomo. Non va per niente bene così.
Restano immobili fino a quando non sentono il campanello squillare, ed allora Zlatan ricorda improvvisamente chi è, dov’è e che, mentre lui e José scopavano come se nel mondo non esistesse nient’altro, fuori infuriava la guerra e Yara veniva massacrata e lasciata lì a morire in un lago di sangue e carne spappolata. Perciò si allontana da lui – José lo lascia andare con un ringhio appena udibile – e si rimette in piedi, infilando i pantaloni a casaccio – fossero anche al contrario, non se ne accorgerebbe: tutto quello che gl’interessa al momento è sbirciare di fuori, controllare che sia tutto a posto e poi tornare indietro per vedere se José ha ancora qualcosa per lui.
Quando si affaccia alla porta, nota che Helena ha già aperto e sta discutendo con un uomo dall’aria poco raccomandabile – tanto quanto è poco raccomandabile la pistola che si intravede chiaramente uscire dalla tasca dei jeans sdruciti che indossa.
Zlatan digrigna i denti.
«È tutto a posto, da queste parti, giusto?» chiede il tizio, con addosso un sorriso da schiaffi che Zlatan spazzerebbe volentieri via a sprangate.
Helena annuisce con aria tesa, senza guardarlo negli occhi.
«Continuerà ad essere tutto a posto se qui continuerete a contribuire all’economia della città.» sorride ancora quello, sempre più stronzo e angelicamente sicuro di sé. Helena allunga una mano oltre il bancone, alla ricerca dei soldi da consegnare, e Zlatan si chiude la porta alle spalle con un grugnito frustrato, tornando a guardare all’interno della stanza.
José, nel mentre, s’è tirato in piedi e s’è messo a sedere sul letto, e sta controllando un’agendina con aria disinteressata – il tipico atteggiamento che ha qualcuno che fa qualcosa solo per occupare le mani in attesa del resto.
«Non sopporto più questa situazione di merda» ammette in un sospiro, lasciandosi andare seduto al suo fianco, i gomiti appoggiati sulle ginocchia piegate e gli avambracci a pendere nel vuoto fra le gambe, «Odio questo posto.»
José scrolla le spalle, sembra disinteressato.
«Allora dovresti andare via» dice semplicemente. L’attimo dopo è in piedi. Il minuto successivo è andato via. Cinque minuti dopo, Zlatan è ancora lì immobile sul letto. E ne sente la mancanza.
TBC...
Note dell'autore maschio: no, per quanto possa aver amato scrivere e leggere ogni singola parola di questa storia non mi sarei mai aspettato una risposta del pubblico così massiccia. E ora l'autrice femmina dovrà raccogliermi con scopino e paletta. *defunge*
Note dell'autrice femmina: *raccoglie con scopino e paletta il defunto autore maschio e sparge amore sulle fangirl*