Scritta in coppia con Def.
Genere: Drammatico, Erotico, Generale.
Pairing: Copiosi.
Rating: NC-17.
AVVISI: Hurt/Comfort, Language, Slash, Ucronia, Underage, Violence, OC.
- "Bruxelles, 29 maggio 1985.
Durante la finale di Coppa dei Campioni (ora UEFA Champions' League) tra Juventus e Liverpool, scoppiarono dei disordini all'interno dello stadio a causa di alcuni gruppi di facinorosi inglesi, che sfondarono le reti divisorie tra il proprio settore e quello che ospitava tifosi neutrali e italiani. A causa della ressa di gente impaurita, alcuni si gettarono nel vuoto per evitare di essere travolti, altri si ferirono contro le recinzioni divisorie. Il muro su cui tentavano di arrampicarsi alcuni tifosi crollò, forse a causa della scarsa manutenzione o del peso eccessivo, seppellendo numerose persone.
Trentanove morti, più di seicento feriti, in gran parte italiani. La UEFA squalificò a tempo indeterminato tutti i club inglesi dalle competizioni europee, molti tifosi del Liverpool furono accusati di omicidio e strage colposa. I disordini, purtroppo, non si fermarono qui."
Note: La parte femminile di questo duo di criminali in carriera, in tutto ciò, vorrebbe tanto ringraziare la sua controparte maschile, nonché l’uomo che molti vorrebbero fosse suo marito, nonché – a quanto pare – il padre di due sue figlie. Tutto ciò in pochissimi mesi, eh, va reso merito a quest’uomo. Egli l’ha seguita senza sfancularla nemmeno una volta (anche quando a buon diritto avrebbe potuto farlo), è stato fonte di grande fangirlingmanning, è stato di grande supporto morale ed è stato soprattutto un compagno di scrittura e plottaggio veramente piacevolissimo. Ed un sacco asservito *O* Mi mancherà scrivere con te >_< E comunque siamo stati fiQuissimi, Def.
Genere: Drammatico, Erotico, Generale.
Pairing: Copiosi.
Rating: NC-17.
AVVISI: Hurt/Comfort, Language, Slash, Ucronia, Underage, Violence, OC.
- "Bruxelles, 29 maggio 1985.
Durante la finale di Coppa dei Campioni (ora UEFA Champions' League) tra Juventus e Liverpool, scoppiarono dei disordini all'interno dello stadio a causa di alcuni gruppi di facinorosi inglesi, che sfondarono le reti divisorie tra il proprio settore e quello che ospitava tifosi neutrali e italiani. A causa della ressa di gente impaurita, alcuni si gettarono nel vuoto per evitare di essere travolti, altri si ferirono contro le recinzioni divisorie. Il muro su cui tentavano di arrampicarsi alcuni tifosi crollò, forse a causa della scarsa manutenzione o del peso eccessivo, seppellendo numerose persone.
Trentanove morti, più di seicento feriti, in gran parte italiani. La UEFA squalificò a tempo indeterminato tutti i club inglesi dalle competizioni europee, molti tifosi del Liverpool furono accusati di omicidio e strage colposa. I disordini, purtroppo, non si fermarono qui."
Note: La parte femminile di questo duo di criminali in carriera, in tutto ciò, vorrebbe tanto ringraziare la sua controparte maschile, nonché l’uomo che molti vorrebbero fosse suo marito, nonché – a quanto pare – il padre di due sue figlie. Tutto ciò in pochissimi mesi, eh, va reso merito a quest’uomo. Egli l’ha seguita senza sfancularla nemmeno una volta (anche quando a buon diritto avrebbe potuto farlo), è stato fonte di grande fangirlingmanning, è stato di grande supporto morale ed è stato soprattutto un compagno di scrittura e plottaggio veramente piacevolissimo. Ed un sacco asservito *O* Mi mancherà scrivere con te >_< E comunque siamo stati fiQuissimi, Def.
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Non ha avuto gli incubi che si aspettava, dopotutto; ha imparato da tempo a filtrare i pensieri innocui da quelli che non lo sono e a essere più controllata anche nei momenti di massimo abbandono.
Quando Rosalia apre gli occhi, ancora in preda al torpore mattutino, non può non sorridere. Non è abituata a sentire quel sibilo leggero al suo fianco, ma è pronta a scommettere che potrebbe anche adattarsi all’idea. E non riesce neanche a resistere all’idea di seguire, con le dita, i segni della faccia di Filippo: scivola lungo il naso, e poi segue il contorno tra le sue labbra con l’indice fino a quando la bocca di lui non si apre all’improvviso e stringe, senza mordere, il suo dito.
«Mi hai spaventato» mormora, avvicinandosi un po’ di più. Lui continua a tener chiusi gli occhi di proposito, lasciandosi sfuggire solo un suono deluso quando Rosalia riesce a sfilare il dito dalla sua presa.
«Non è vero.»
Ride, guardando la smorfia di Filippo e godendosi tutto il calore del suo corpo. «Non è vero, maggiore.»
«Spettava a te» borbotta, aprendo finalmente gli occhi e girandosi dalla sua parte. «Dovevi essere promossa tu.»
In risposta ottiene un bacio – un bacio lento, colmo di pazienza da parte di lei e di affetto da parte di lui, un bacio che li costringe a tendersi l’uno verso l’altra e a ignorare il fatto di essersi addormentati mezzi nudi ed esausti da una giornataccia che, tra interrogatori, rapporti e moduli da compilare, è andata avanti per più di trenta ore. E di essersi addormentati insieme.
«Avrai la scusa per portare la barba. Ti sta bene.»
«Non mi piace» le risponde, sorridendo e senza smettere di baciarla e stringerla a sé. Non ha bisogno di avere una stelletta sulla divisa. Nessuno dei due ne sente la necessità, dopotutto, ma sottrarsi alle formalità, in un ambiente che fa di quelle l’unico motivo per sopravvivere, è un compito ingrato. «Non mi sento a mio agio.»
«Ma la porterai solo perché piace a me» commenta leggera, accarezzandogli la guancia.
«Non vedo come possa convincermi, capitano.» Filippo la guarda con malcelata curiosità, pizzicandole delicatamente il fianco.
«Maggiore» ridacchia, strusciandosi con falsa innocenza contro il suo corpo e godendosi l’effetto che gli fa, e tutte le attenzioni di cui la ricopre, «non ho altro da dire.»
Filippo ride piano, lasciando scivolare la mano lungo la curva dolcissima delle anche e saggiando la consistenza delle cosce tornite sotto i polpastrelli, risalendo poi verso l’interno e sfiorandola appena lì dove i suoi tocchi da soli la mandano già fuori di testa, ed osservandola piegare il capo contro il cuscino, le labbra dischiuse che lasciano andare solo mezzi respiri affannati.
«Credo di poterla comunque reclamare io, l’ultima parola di oggi» la prende in giro, e Rosalia in effetti non risponde, ma il movimento lentissimo col quale segue la traccia umida delle dita di Filippo che scivolano dentro di lei è in realtà una risposta molto più completa di qualsiasi cosa possa dire, perciò lui non aspetta che sia lei a chiamarlo e si china sulla sua bocca, baciandola lentamente e con una voracità sempre crescente, la cui ansia aumenta con lo stesso ritmo col quale aumenta la velocità delle sue carezze.
Rabbrividisce quando lo sente toccarla in maniera davvero decisa, i baci che si spostano sulle linee della mandibola, e poi giù, lungo il collo e la spalla, prima di tornare da lei e da quella bocca che ha desiderato tutta per sé per così tanto tempo. Filippo sorride tra un bacio e l’altro, sorride quando lei stringe le gambe intorno alla sua mano che la sfiora e la pizzica leggera e l’accarezza, sorride quando vede il suo corpo tendersi contro il proprio, affamato di desiderio, e sorride quando sente le mani di lei esplorargli la schiena con così tanta bramosia da sconvolgergli ogni pensiero.
Il sorriso si smorza appena quando, arrampicandosi lungo le spalle e poi scendendo languide per la lunghezza delle braccia, le mani di Rosy finiscono per chiudersi in una stretta decisa ma gentile attorno al suo polso, impedendogli di muoversi come vorrebbe – perché oh, Dio, al momento non gl’importa di venire, tantomeno di scopare, vuole sentirla godere e gemere e sciogliersi sotto le sue dita, e non ha intenzione di fermarsi finché non avrà ottenuto ciò che vuole. La guarda, mordendole appena un labbro per invitarla ad aprire gli occhi e spiegarsi.
Rosy lascia andare un sorriso così malizioso che Filippo sente i brividi correre lungo la schiena e la nuca. E poi la osserva mentre schiude le cosce e lo costringe ad allontanare la mano, conducendola poi in un viaggio umidissimo sul profilo di ogni collina ed ogni valle del suo corpo, fino a terminare il proprio viaggio sulle sue labbra.
«L’ultima parola, maggiore» sorride prima di lasciare scivolare un dito e poi l’altro fra i denti e la lingua, «è sempre mia.»
E Filippo non ha voglia di protestare quando la vede chiudere gli occhi e giocare divertita con le sue falangi, né quando smette di provocarlo e si mette a sedere, spingendolo col proprio corpo a stendersi sul materasso e scavalcandolo con una gamba per sederglisi in grembo.
Lui le sfiora i fianchi, strofinando i pollici contro la sua pelle dorata, e risalendo le sue linee fino a seguire i contorni dei seni e a sottolinearli con le nocche. «Lo vedre- oh» fa per dire, ma non riesce a completare una frase così semplice, non con Rosalia che si muove per un secondo su di lui in una maniera così provocante da spezzargli il respiro; per due volte tenta di dire qualcosa, e per due volte è costretto a lasciare a metà qualunque cosa stia cercando di dire, mentre le mani di lei viaggiano decise sulla mandibola, e poi sul collo e su tutto il torace, indugiando su ogni punto che trasforma e distende l’espressione sempre troppo seria dell’uomo.
«Dicevi?» aggiunge lei con malizia, sentendolo già teso contro di lei e chinandosi a baciare le labbra dischiuse dall’eccitazione, godendosi il suo fremito al contatto tra la propria lingua e la sua, gemendo quando lui le afferra i seni con determinazione e si dimena appena sotto di lei.
Filippo non dice più niente, fortunatamente per entrambi. Rosalia chiude gli occhi e decide che può anche mollare le redini, per i successivi dieci minuti – mezz’ora, un’ora, due ore, l’eternità, volendo – e si perde nella stretta dell’uomo, si perde nella forza con la quale lui le misura i fianchi – le mani bene aperte, i palmi aderenti alla sua pelle accaldata e un po’ umida di sudore – si perde nel gesto carico di voglia e bisogno col quale la solleva appena per poi aiutarla a ridiscendere sulla sua erezione in un movimento fluidissimo e stupendamente naturale. Filippo si osserva scomparire quasi per intero dentro di lei e non riesce, neanche con tutte le buone intenzioni, a trattenere il gemito che già quella sola vista gli procurerebbe, figurarsi sommata alla sensazione fisica di starle dentro, stretto in quell’abbraccio umido e caldo che annulla in lui qualsiasi capacità di pensiero razionale.
Rosalia registra quel suono sommesso e sorride soddisfatta, il piacere che già scorre in brividi lungo la schiena, mentre pianta le mani sul suo stomaco e lo usa come appoggio per muoversi lentamente dal basso verso l’alto, inarcandosi ogni volta che le mani di Filippo si stringono con più decisione attorno ai suoi seni, stuzzicandone i capezzoli tesi dall’eccitazione. E sorride, ancora, per il solo piacere di guardare i suoi occhi scuri persi su di lei, quegli occhi che si chiudono con un sospiro denso e tremulo quando si abbassa su di lui; sorride e non è solo il fatto di sentirlo dentro di lei, sono mille particolari a sommarsi e sopraffarla del tutto, il petto che si alza e si abbassa al ritmo che lei sta imponendo, il contrasto assurdo tra le proprie mani e la sua pelle chiara, l’espressione trasognata che assume soltanto guardandola, e Dio, la ama, e lei lo ama, e si stringe contro di lui, seguendo le prime onde di intenso piacere che si irradiano dal basso ventre e la travolgono con tanta veemente energia da strapparle un grido, un grido che contiene un nome che contiene un grido che contiene amore. Un grido che sono loro, al quale Filippo fa eco con un altro di quei gemiti che dicono più di qualsiasi urlo, lui sempre così composto, lui sempre così rigido, lui sempre così serio, lui che sotto le sue mani diventa malleabile e morbido e condiscendente, e Dio, potrebbe fare di tutto per sentirlo gemere così, e lo fa, accogliendolo dentro di sé fino in fondo finché non sente il suo orgasmo esploderle dentro e non riesce più a trattenersi, e tutto ciò che può fare è chiamarlo ancora e piegarsi su di lui, cercando le sue labbra mentre viene, scossa dai tremiti e dai brividi che le sue mani le regalano, scorrendole addosso con esasperante e dolcissima lentezza.
Lui la stringe forte a sé, perdendosi in lei e dentro di lei, ed è un abbraccio formidabile che non le duole più di tutto quello che sta provando adesso, il cuore che batte così all’impazzata per ciò che sente per lui da farle quasi male; non si staccano più l’uno dall’altra, neanche quando gli ultimi fremiti di piacere si spengono – lenti, meravigliosamente lenti – riecheggiando nei loro respiri affannati. La bacia su un seno, mormorando il suo nome contro la sua pelle, gli occhi chiusi per trattenere e alleviare una vaga sensazione che tenta in ogni modo di sfuggire al suo autocontrollo; sospira piano, ancora, e alza lo sguardo sul volto di lei, che sorride e piange e non sa cosa dire per giustificare un’accozzaglia di emozioni così violenta da ridurla così.
Gli passano davanti agli occhi miriadi di immagini, lampi di colore sfocato dove gli unici tratti nitidi sono i suoi: Rosalia che lo guarda spaesata, appena giunta dalle terre dimenticate d’Italia, e strofina imbarazzata gli avambracci contro i fianchi; Rosalia al suo fianco nell’Alfa, in attesa di qualcosa che fa fatica a ricordare; Rosalia che viene avvicinata da un figuro che per poco non prende a cazzotti e senza motivo apparente; Rosalia che tratta con santi e peccatori, con superiori e criminali, con lui e con nessun altro; Rosalia, sempre con lui, mai così vicina a lui, abbastanza da farlo soffrire e non abbastanza da appagarlo come adesso; Rosalia, dolore, nostalgia, disprezzo, sofferenza, affetto, angoscia, terrore, divertimento, ogni attimo passato insieme riflesso in una delle sue lacrime che ora gli bagnano le labbra che si sono allungate a coprirle le palpebre.
«Che fai?» la prende un po’ in giro, scivolandole con le labbra lungo le guance, a seguire la scia delle lacrime, «Piangi?»
«Stronzo» borbotta lei, ricambiandogli il pizzicotto sul fianco di quelli che sembrano secoli prima, «non sfottere.»
«Sei bellissima» risponde semplicemente Filippo, baciandola ancora una volta.
«E questo cosa c’entra con le lacrime?» ridacchia Rosy, indugiando sulle sue labbra.
«Niente» scrolla le spalle lui, stringendosela contro. «O forse sei bellissima anche quando piangi. O comunque chissenefrega.»
Rosalia ride ancora e si lascia abbracciare, scavandosi il proprio posto sul suo petto in una scia di baci umidi. Chissenefrega, si ritrova a pensare socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal respiro regolare di Filippo, dopotutto è un’ottima risposta.
«Cosa facciamo?» bisbiglia, senza smuoversi di un centimetro e lasciando che lui le accarezzi i capelli.
«Assolutamente niente» le risponde, e l’eco della sua risata le rimbomba piacevolmente nella testa. «Chiameremo gli stracciaballe al comando per farci dare un permesso per meriti speciali, poi chiameremo quell’altro stracciaballe di Mourinho per avvisarlo che non ci avrà tra i piedi per un po’, staremo nel letto per tutto il santo giorno e stasera ci faremo mandare una pizza da Mel-by.»
Pigola soddisfatta, strusciandosi contro di lui. «Non potrei pensare a un programma migliore.»
Ultima nota: Oggi, 29 maggio 2009, ricorre il ventiquattresimo anniversario della tragedia dell'Heysel. Non avevamo previsto di riuscire a pubblicare l'epilogo proprio stasera, né era nostra intenzione. Ci limitiamo a ricordare.
Chi preferisce il finale del capitolo precedente, faccia finta di non aver letto questo. ^^
Quando Rosalia apre gli occhi, ancora in preda al torpore mattutino, non può non sorridere. Non è abituata a sentire quel sibilo leggero al suo fianco, ma è pronta a scommettere che potrebbe anche adattarsi all’idea. E non riesce neanche a resistere all’idea di seguire, con le dita, i segni della faccia di Filippo: scivola lungo il naso, e poi segue il contorno tra le sue labbra con l’indice fino a quando la bocca di lui non si apre all’improvviso e stringe, senza mordere, il suo dito.
«Mi hai spaventato» mormora, avvicinandosi un po’ di più. Lui continua a tener chiusi gli occhi di proposito, lasciandosi sfuggire solo un suono deluso quando Rosalia riesce a sfilare il dito dalla sua presa.
«Non è vero.»
Ride, guardando la smorfia di Filippo e godendosi tutto il calore del suo corpo. «Non è vero, maggiore.»
«Spettava a te» borbotta, aprendo finalmente gli occhi e girandosi dalla sua parte. «Dovevi essere promossa tu.»
In risposta ottiene un bacio – un bacio lento, colmo di pazienza da parte di lei e di affetto da parte di lui, un bacio che li costringe a tendersi l’uno verso l’altra e a ignorare il fatto di essersi addormentati mezzi nudi ed esausti da una giornataccia che, tra interrogatori, rapporti e moduli da compilare, è andata avanti per più di trenta ore. E di essersi addormentati insieme.
«Avrai la scusa per portare la barba. Ti sta bene.»
«Non mi piace» le risponde, sorridendo e senza smettere di baciarla e stringerla a sé. Non ha bisogno di avere una stelletta sulla divisa. Nessuno dei due ne sente la necessità, dopotutto, ma sottrarsi alle formalità, in un ambiente che fa di quelle l’unico motivo per sopravvivere, è un compito ingrato. «Non mi sento a mio agio.»
«Ma la porterai solo perché piace a me» commenta leggera, accarezzandogli la guancia.
«Non vedo come possa convincermi, capitano.» Filippo la guarda con malcelata curiosità, pizzicandole delicatamente il fianco.
«Maggiore» ridacchia, strusciandosi con falsa innocenza contro il suo corpo e godendosi l’effetto che gli fa, e tutte le attenzioni di cui la ricopre, «non ho altro da dire.»
Filippo ride piano, lasciando scivolare la mano lungo la curva dolcissima delle anche e saggiando la consistenza delle cosce tornite sotto i polpastrelli, risalendo poi verso l’interno e sfiorandola appena lì dove i suoi tocchi da soli la mandano già fuori di testa, ed osservandola piegare il capo contro il cuscino, le labbra dischiuse che lasciano andare solo mezzi respiri affannati.
«Credo di poterla comunque reclamare io, l’ultima parola di oggi» la prende in giro, e Rosalia in effetti non risponde, ma il movimento lentissimo col quale segue la traccia umida delle dita di Filippo che scivolano dentro di lei è in realtà una risposta molto più completa di qualsiasi cosa possa dire, perciò lui non aspetta che sia lei a chiamarlo e si china sulla sua bocca, baciandola lentamente e con una voracità sempre crescente, la cui ansia aumenta con lo stesso ritmo col quale aumenta la velocità delle sue carezze.
Rabbrividisce quando lo sente toccarla in maniera davvero decisa, i baci che si spostano sulle linee della mandibola, e poi giù, lungo il collo e la spalla, prima di tornare da lei e da quella bocca che ha desiderato tutta per sé per così tanto tempo. Filippo sorride tra un bacio e l’altro, sorride quando lei stringe le gambe intorno alla sua mano che la sfiora e la pizzica leggera e l’accarezza, sorride quando vede il suo corpo tendersi contro il proprio, affamato di desiderio, e sorride quando sente le mani di lei esplorargli la schiena con così tanta bramosia da sconvolgergli ogni pensiero.
Il sorriso si smorza appena quando, arrampicandosi lungo le spalle e poi scendendo languide per la lunghezza delle braccia, le mani di Rosy finiscono per chiudersi in una stretta decisa ma gentile attorno al suo polso, impedendogli di muoversi come vorrebbe – perché oh, Dio, al momento non gl’importa di venire, tantomeno di scopare, vuole sentirla godere e gemere e sciogliersi sotto le sue dita, e non ha intenzione di fermarsi finché non avrà ottenuto ciò che vuole. La guarda, mordendole appena un labbro per invitarla ad aprire gli occhi e spiegarsi.
Rosy lascia andare un sorriso così malizioso che Filippo sente i brividi correre lungo la schiena e la nuca. E poi la osserva mentre schiude le cosce e lo costringe ad allontanare la mano, conducendola poi in un viaggio umidissimo sul profilo di ogni collina ed ogni valle del suo corpo, fino a terminare il proprio viaggio sulle sue labbra.
«L’ultima parola, maggiore» sorride prima di lasciare scivolare un dito e poi l’altro fra i denti e la lingua, «è sempre mia.»
E Filippo non ha voglia di protestare quando la vede chiudere gli occhi e giocare divertita con le sue falangi, né quando smette di provocarlo e si mette a sedere, spingendolo col proprio corpo a stendersi sul materasso e scavalcandolo con una gamba per sederglisi in grembo.
Lui le sfiora i fianchi, strofinando i pollici contro la sua pelle dorata, e risalendo le sue linee fino a seguire i contorni dei seni e a sottolinearli con le nocche. «Lo vedre- oh» fa per dire, ma non riesce a completare una frase così semplice, non con Rosalia che si muove per un secondo su di lui in una maniera così provocante da spezzargli il respiro; per due volte tenta di dire qualcosa, e per due volte è costretto a lasciare a metà qualunque cosa stia cercando di dire, mentre le mani di lei viaggiano decise sulla mandibola, e poi sul collo e su tutto il torace, indugiando su ogni punto che trasforma e distende l’espressione sempre troppo seria dell’uomo.
«Dicevi?» aggiunge lei con malizia, sentendolo già teso contro di lei e chinandosi a baciare le labbra dischiuse dall’eccitazione, godendosi il suo fremito al contatto tra la propria lingua e la sua, gemendo quando lui le afferra i seni con determinazione e si dimena appena sotto di lei.
Filippo non dice più niente, fortunatamente per entrambi. Rosalia chiude gli occhi e decide che può anche mollare le redini, per i successivi dieci minuti – mezz’ora, un’ora, due ore, l’eternità, volendo – e si perde nella stretta dell’uomo, si perde nella forza con la quale lui le misura i fianchi – le mani bene aperte, i palmi aderenti alla sua pelle accaldata e un po’ umida di sudore – si perde nel gesto carico di voglia e bisogno col quale la solleva appena per poi aiutarla a ridiscendere sulla sua erezione in un movimento fluidissimo e stupendamente naturale. Filippo si osserva scomparire quasi per intero dentro di lei e non riesce, neanche con tutte le buone intenzioni, a trattenere il gemito che già quella sola vista gli procurerebbe, figurarsi sommata alla sensazione fisica di starle dentro, stretto in quell’abbraccio umido e caldo che annulla in lui qualsiasi capacità di pensiero razionale.
Rosalia registra quel suono sommesso e sorride soddisfatta, il piacere che già scorre in brividi lungo la schiena, mentre pianta le mani sul suo stomaco e lo usa come appoggio per muoversi lentamente dal basso verso l’alto, inarcandosi ogni volta che le mani di Filippo si stringono con più decisione attorno ai suoi seni, stuzzicandone i capezzoli tesi dall’eccitazione. E sorride, ancora, per il solo piacere di guardare i suoi occhi scuri persi su di lei, quegli occhi che si chiudono con un sospiro denso e tremulo quando si abbassa su di lui; sorride e non è solo il fatto di sentirlo dentro di lei, sono mille particolari a sommarsi e sopraffarla del tutto, il petto che si alza e si abbassa al ritmo che lei sta imponendo, il contrasto assurdo tra le proprie mani e la sua pelle chiara, l’espressione trasognata che assume soltanto guardandola, e Dio, la ama, e lei lo ama, e si stringe contro di lui, seguendo le prime onde di intenso piacere che si irradiano dal basso ventre e la travolgono con tanta veemente energia da strapparle un grido, un grido che contiene un nome che contiene un grido che contiene amore. Un grido che sono loro, al quale Filippo fa eco con un altro di quei gemiti che dicono più di qualsiasi urlo, lui sempre così composto, lui sempre così rigido, lui sempre così serio, lui che sotto le sue mani diventa malleabile e morbido e condiscendente, e Dio, potrebbe fare di tutto per sentirlo gemere così, e lo fa, accogliendolo dentro di sé fino in fondo finché non sente il suo orgasmo esploderle dentro e non riesce più a trattenersi, e tutto ciò che può fare è chiamarlo ancora e piegarsi su di lui, cercando le sue labbra mentre viene, scossa dai tremiti e dai brividi che le sue mani le regalano, scorrendole addosso con esasperante e dolcissima lentezza.
Lui la stringe forte a sé, perdendosi in lei e dentro di lei, ed è un abbraccio formidabile che non le duole più di tutto quello che sta provando adesso, il cuore che batte così all’impazzata per ciò che sente per lui da farle quasi male; non si staccano più l’uno dall’altra, neanche quando gli ultimi fremiti di piacere si spengono – lenti, meravigliosamente lenti – riecheggiando nei loro respiri affannati. La bacia su un seno, mormorando il suo nome contro la sua pelle, gli occhi chiusi per trattenere e alleviare una vaga sensazione che tenta in ogni modo di sfuggire al suo autocontrollo; sospira piano, ancora, e alza lo sguardo sul volto di lei, che sorride e piange e non sa cosa dire per giustificare un’accozzaglia di emozioni così violenta da ridurla così.
Gli passano davanti agli occhi miriadi di immagini, lampi di colore sfocato dove gli unici tratti nitidi sono i suoi: Rosalia che lo guarda spaesata, appena giunta dalle terre dimenticate d’Italia, e strofina imbarazzata gli avambracci contro i fianchi; Rosalia al suo fianco nell’Alfa, in attesa di qualcosa che fa fatica a ricordare; Rosalia che viene avvicinata da un figuro che per poco non prende a cazzotti e senza motivo apparente; Rosalia che tratta con santi e peccatori, con superiori e criminali, con lui e con nessun altro; Rosalia, sempre con lui, mai così vicina a lui, abbastanza da farlo soffrire e non abbastanza da appagarlo come adesso; Rosalia, dolore, nostalgia, disprezzo, sofferenza, affetto, angoscia, terrore, divertimento, ogni attimo passato insieme riflesso in una delle sue lacrime che ora gli bagnano le labbra che si sono allungate a coprirle le palpebre.
«Che fai?» la prende un po’ in giro, scivolandole con le labbra lungo le guance, a seguire la scia delle lacrime, «Piangi?»
«Stronzo» borbotta lei, ricambiandogli il pizzicotto sul fianco di quelli che sembrano secoli prima, «non sfottere.»
«Sei bellissima» risponde semplicemente Filippo, baciandola ancora una volta.
«E questo cosa c’entra con le lacrime?» ridacchia Rosy, indugiando sulle sue labbra.
«Niente» scrolla le spalle lui, stringendosela contro. «O forse sei bellissima anche quando piangi. O comunque chissenefrega.»
Rosalia ride ancora e si lascia abbracciare, scavandosi il proprio posto sul suo petto in una scia di baci umidi. Chissenefrega, si ritrova a pensare socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal respiro regolare di Filippo, dopotutto è un’ottima risposta.
«Cosa facciamo?» bisbiglia, senza smuoversi di un centimetro e lasciando che lui le accarezzi i capelli.
«Assolutamente niente» le risponde, e l’eco della sua risata le rimbomba piacevolmente nella testa. «Chiameremo gli stracciaballe al comando per farci dare un permesso per meriti speciali, poi chiameremo quell’altro stracciaballe di Mourinho per avvisarlo che non ci avrà tra i piedi per un po’, staremo nel letto per tutto il santo giorno e stasera ci faremo mandare una pizza da Mel-by.»
Pigola soddisfatta, strusciandosi contro di lui. «Non potrei pensare a un programma migliore.»
Ultima nota: Oggi, 29 maggio 2009, ricorre il ventiquattresimo anniversario della tragedia dell'Heysel. Non avevamo previsto di riuscire a pubblicare l'epilogo proprio stasera, né era nostra intenzione. Ci limitiamo a ricordare.
Chi preferisce il finale del capitolo precedente, faccia finta di non aver letto questo. ^^
… perdonateci del piccolo inganno.
Questa è davvero la FINE.
Questa è davvero la FINE.