Genere: Generale.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José, Davide/José (onesided).
Rating: R
AVVISI: AU, Slash.
- Mario fa entra ed esci dall'orfanotrofio da quando aveva due anni. Nessuna famiglia sembra riuscire ad accoglierlo nel giusto modo, e perciò non vede perché dovrebbe essere diverso, stavolta. Solo che lo sarà. Lo sarà eccome.
Note: ;___; Commozione, è finita!!! Voi non potete capire cosa vuol dire per una donna come me – una che le storie sa (quasi) sempre quando le comincia ma mai quando (e se!) le finisce – riuscire a concludere una fic a capitoli. In un tempo prestabilito, poi, e senza sbavature! Sette settimane, ci ho messo, e mai un ritardo. E amo oggi questa famiglia di disastrati esattamente quanto l’amavo il primo giorno, perché piano piano ho imparato a conoscerli assieme a Mario. E nonostante il finale tremendo (me lo dico da sola ._. Odiatemi) mi resteranno sempre nel cuore. *sparge affetto*
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NEW COLORS TO PAINT THE WORLD
that green gentleman

All’improvviso vede verde, e non capisce perché finché non si trova col sedere per terra, le mani ben piantate sulla morbida moquette che ricopre il pavimento dell’ingresso e gli occhi puntati verso l’alto, sul viso acconciato in un’espressione di rintontita stupidità che diverte l’ospite appena arrivato così tanto da costringerlo a piegarsi in avanti per dare sfogo ad una risata sguaiata e tonante, mentre Mario continua a fissarlo con aria ebete.
L’ospite indossa una bella polo Lacoste verde mela che dà l’idea tanto per cominciare di essere un sacco costosa, tanto per continuare di essere un sacco nuova e tanto per concludere di stargli un sacco bene addosso. Mario distoglie lo sguardo e lo porta sul suo viso sgraziato – ha un naso che probabilmente fa provincia a sé, e i lineamenti più incasinati che abbia mai visto in vita sua, neanche venisse dritto dritto da un quadro astratto – e tanto basta per farsi passare lo scatto di stranissima attrazione che l’ha preso nell’osservare una delle sue braccia – quella tatuata – piegarsi sul suo ventre per cercare di trattenere le risate, schiacciando la maglia sopra gli addominali e i pettorali scolpiti.
- Tu sei quello nuovo! – dice il tipo in un italiano a dir poco opinabile. Mario lo guarda e si chiede da quanto tempo viva in Italia, anche se non osa porre la domanda ad alta voce, anche perché sarebbe allucinante chiedere “da quanto vivi qui?” prima di “chi sei?”. L’altro, comunque, gli porge una mano e, sconosciuta o meno, Mario è felice di accettarla, se non altro per rimettersi in piedi e darsi una parvenza di serietà.
- Io sono Zlatan! – si presenta con entusiasmo l’uomo, stringendogli calorosamente la mano che gli ha afferrato prima per aiutarlo ad alzarsi, del tutto incurante del fatto sia la mano sbagliata, - Tu devi essere Mario, Dade mi ha parlato di te. – annuisce sicuro, lasciandolo andare e chiudendosi la porta alle spalle con impeto, prima di voltarsi verso il corridoio e cominciare ad urlare. – Sono tornato! Com’è che quando arrivo non trovo mai un’anima che mi dia retta? E dire che quando me ne vado state tutti lì a piagnucolare come imbecilli.
Un po’ frastornato, Mario lo osserva sbracciarsi per liberarsi dello zaino che indossa su una sola spalla, cercando contemporaneamente di sistemare dei capelli già oggettivamente improponibili in un’ancora più improponibile acconciatura comprendente un elastico enorme che dovrebbe in teoria tenerla ferma e, invece, non fa che sparare capelli da tutte le parti, dandogli l’aria di una specie di profugo appena sceso da un barcone pieno di buchi. Un profugo con addosso vestiti per almeno mille euro, ma tant’è.
Tami è la prima a farsi vedere, uscendo dalla cucina con le mani e il viso impiastricciati di farina, Beppe che la insegue con un panno morbido, pulito e un po’ umido, cercando di ripulirla prima che combini altri danni.
- Zlatan! – lo chiama, spalancando le braccia, mentre il suo sorriso si illumina più del sole stesso, - Zlatan! Quando sei tornato?
- Adesso, mamma. – risponde lui, sorridendole teneramente e stringendola in un abbraccio affettuoso e un po’ ondeggiante, - Mmmh, che buon profumo hai! – dice, tirandola su di peso mentre lei ridacchia imbarazzata e si appende con forza al suo collo per paura di cadere. Mario li osserva e trova Tami minuscola, sembra che la figlia, fra i due, sia lei.
- Stavo preparando una torta! Fra poco, sai, è il compleanno di Mario-
- Ma faccio il compleanno fra due settimane. – si intromette lui, gli occhi enormi di stupore. Zlatan gli lancia un’occhiata un po’ stupita e un po’ stizzita, mentre Tami, ancora appesa a lui come un koala, sbuffa e rotea gli occhi.
- Lo so, tesoro, - risponde con aria annoiata, - ma devo pur esercitarmi, o quando dovrò farla davvero non sarò in grado!
- Il che significa – gli sussurra Beppe, sollevandosi appena per arrivare all’altezza del suo orecchio, - che passerà i prossimi quindici giorni a pasticciare farina e lievito e poi mi chiederà di preparare qualcosa di magnifico in due ore. Tipico. – ridacchia, e Mario ridacchia con lui, mentre Zlatan continua a coccolarla come fosse una bambola di porcellana.
Davide scende le scale qualche minuto dopo, quando già Mario e Zlatan hanno cominciato a familiarizzare – Zlatan gli sta chiedendo quando con l’esattezza faccia il compleanno e Mario non ha tempo di rispondere, perché Tami si intromette e risponde al suo posto con un sorriso delizioso a increspare le labbra morbide e rosa.
- Zingaro. – lo chiama con astio palesemente simulato, le labbra strette in una smorfia disapprovante e i capelli ancora umidi. È appena uscito dalla doccia, Mario riesce a sentire il profumo del suo bagnoschiuma fin da dove si trova e non sa se sentirsene più confuso o più eccitato. Alla fine, lascia che a decidere sia l’unica parte di sé che con le decisioni non dovrebbe avere niente a che fare: è eccitato, e se quella stanza fosse vuota, rabbia o meno, Davide sarebbe già steso lì dov’è, sulle scale, con lui premuto addosso e la quantità d’aria minima sindacale da respirare direttamente dalle sue labbra.
- Oddio. – mormora Zlatan, sollevandogli addosso un paio d’occhi stupiti, - Sei più alto! – ride, ed allunga un braccio nella sua direzione, invitandolo a scendere le scale con un gesto delle dita.
Davide rotea gli occhi ma obbedisce, camminando impercettibilmente più veloce man mano che va avvicinandosi a lui e finendo per catapultarsi letteralmente contro il suo corpo in cerca di un abbraccio, investendolo con tanta forza che Zlatan ride ed è costretto a reggersi più saldamente sulle gambe, molleggiando anche un po’ per non cascare inesorabilmente per terra.
- Come stai? – gli chiede, sollevando lo sguardo nella sua direzione, - Sei magro. – commenta, pressando con forza le mani sui suoi fianchi.
- Ha parlato lo stecco su due gambe. – lo prende in giro Zlatan, ricambiando le sue carezze distratte con altrettanti pizzicotti, - Perché non prendi esempio da Mario? Guarda lui com’è messo bene. – annuisce con un certo compiacimento. Mario indietreggia di qualche passo, profondamente a disagio. Fosse una ragazzina, si stringerebbe nelle spalle e distoglierebbe lo sguardo. Ragazzina non è, purtroppo, o tutta la sua vita probabilmente sarebbe stata più facile, perciò tutto ciò che può fare è indietreggiare e continuare a guardarsi intorno come avesse voglia di uccidere qualcuno, quando in realtà tutto ciò di cui avrebbe voglia è andarsi a chiudere in camera, mettere la musica – qualsiasi musica – al massimo volume e stendersi sul letto fino a scivolare naturalmente nel sonno.
Davide allontana Zlatan con una spintarella e gli dà del cretino, Tami ride, Beppe sospira e tutti questi movimenti si annullano e diventano insignificanti quando José apre la porta di casa ed entra, ghiacciandosi sulla soglia, le dita strette attorno alla maniglia e gli occhi fissi su Zlatan come nel mondo non esistesse nient’altro.
- Zay! – trilla entusiasta Tami, correndogli incontro e cercando un bacio che deve sollevarsi a prendere sulle punte, perché José è ancora troppo immobile per accontentarla, - Hai visto che sorpresa? È tornato Zlatan!
José deglutisce ed annuisce piano, riscuotendosi da quell’innaturale paralisi e chiudendosi la porta alle spalle.
- Vedo. – si schiarisce la voce, posando la borsa da lavoro in terra, accanto all’appendiabiti, - Ciao.
- Sorpreso? – chiede Zlatan, con un’urgenza tale da dare a Mario l’impressione che non attendesse altro.
- Un po’. – ammette José, sciogliendo la cravatta, Tami ancora stretta al fianco, - Quanto ti fermi?
- Un po’. – gli fa il verso lui con un ghigno divertito, - Ho bisogno di qualche vestito nuovo.
José gli fa correre addosso un’occhiata intensa, e il brivido che scuote Zlatan fin nelle ossa è talmente evidente che Mario non può fare a meno di notarlo.
- La maglietta e i pantaloni mi sembrano ancora nuovi.
- Non ho detto che i vestiti che ho sono vecchi. – risponde Zlatan, sospirando appena, - Solo che ho bisogno di vestiti nuovi.
Davide rotea gli occhi, sbuffando esasperato.
- Voi due siete impossibili. – commenta, dribblando prima Zlatan e poi José, dirigendosi tranquillo verso il giardino. Mario lo segue con lo sguardo e nient’altro, almeno fino a quando non sente Zlatan dire a José che ha bisogno di parlargli, se ha due minuti. José acconsente brusco, senza parlare, precedendolo nel proprio studio, e Tami scompare in un fruscio di seta rossa, tornando in cucina, accompagnata da Beppe.
Una volta solo, si decide finalmente a seguire l’unica persona in compagnia della quale si senta tranquillo, anche se non esattamente a proprio agio, ed è appunto in giardino che trova Davide, seduto in mezzo alle rose di Tami, con una cesoia in mano, impegnato nella complessa operazione di tagliar via le spine senza rovinare i fiori.
- Vuoi una mano? – gli chiede, indicando l’aiuola alla sua sinistra con un vago cenno del braccio. Davide scrolla le spalle e non dice né sì né no, ma recupera una cesoia dietro la schiena e gliela porge con attenzione.
- Non ho un altro paio di guanti da darti. – lo avverte, tornando a tagliare via spine, - Sta’ attento.
- Tranquillo. – lo rassicura Mario, sedendosi al suo fianco e analizzando ogni fiore con attenzione prima di mettersi a propria volta al lavoro, - In orfanotrofio facevo il giardiniere, sai? Ognuno di noi aveva un-
- Lo so come funzionano le cose in un orfanotrofio. – taglia corto Davide, senza degnarlo di un’occhiata. – Io stavo in cucina. Aiutavo a preparare le cose e mi hanno tolto da lì alla terza volta che quasi mi mozzavo un dito per tagliare le cipolle. E prima che tu dica che potevano mettermi a mescolare la pasta o pulire il banco, - aggiunge con una risatina, - avevo fatto danni anche lì.
Mario ride a propria volta, sistemandosi meglio sull’erba. La sua schiena curva sfiora quella di Davide ogni volta che respira, e lui non si fa indietro quando succede.
- Un disastro.
- Ognuno ha il suo talento.
- E il tuo è?
Davide ride, voltandosi a guardarlo con aria divertita.
- Stai flirtando! – lo prende in giro, indicandolo con un dito, - Fantastico!
- Non sto flirtando… - si lagna Mario, aggrottando imbarazzato le sopracciglia.
Davide continua a ridere, scuotendo appena il capo mentre l’ilarità scivola via e l’aria torna a riempirsi solo dei suoni netti e secchi delle cesoie che preparano i fiori per Tami.
- Quindi quello è lo zingaro. – commenta Mario quando il silenzio comincia a farsi troppo pesante.
- Aha. – annuisce Davide, chinandosi ad inalare il profumo di una rosa particolarmente grande, - Bello, mh?
- No, non direi. – ride Mario, - Tutt’altro.
- Io lo trovo bello. – sbotta Davide con un mezzo broncio, tirandogli una gomitata, - Avevo una mezza cotta per lui, un tempo.
Mario ridacchia, massaggiandosi il fianco e tornando a guardare Davide con aria seria.
- Trovo più bello te. – sussurra appena, - Sì, ora sto flirtando.
Davide lo guarda con aria stupita per più di qualche secondo, trattenendo perfino il respiro. Poi sorride, alzandosi in piedi e spolverandosi i calzoncini, muovendo qualche passo all’esterno dell’aiuola.
- Sfacciato. – commenta, prima di allontanarsi verso casa.
Mario lascia andare un respiro profondo solo quando lo vede sparire oltre la porta, ed è difficile alzarsi ed andarsene in quelle condizioni, perché Davide gli smonta il cervello, questo ormai è chiaro, e gli sembra assurdo che il resto del mondo non l’abbia ancora capito. Gli fa fare cose, cose che non ha mai fatto con nessun altro. Lo segue con lo sguardo quando sono nella stessa stanza, lo segue col pensiero quando sono lontani, si sente sempre come se la sua testa fosse troppo piena di lui e potesse provare a svuotarla solo continuando a immaginarlo in ogni modo possibile. E non tutte le immagini sono erotiche, poi, ci sono anche le cose stupide, ce ne sono un sacco, di cose stupide, tipo la forma assurda dei suoi capelli al mattino o come si arrossa in maniera ridicola quando sta troppo sotto il sole senza cospargersi di crema prima.
Sospira pesantemente prima di alzarsi in piedi, molleggiando un po’ sulle ginocchia intorpidite dall’immobilità degli ultimi minuti. Guarda a ciò che gli resta del pomeriggio e si sente già impazzire di noia. Si lagna grugnendo a bassa voce, fra sé e sé, mentre passa di fronte alla finestra dello studio di José, e si ferma lì davanti solo perché ad attirarlo è un particolare strano: una maglietta verde mela abbandonata lì sul davanzale, proprio contro le imposte chiuse. Quella maglietta non dovrebbe essere lì. È una maglietta, dovrebbe essere addosso a qualcuno. E invece non è che un mucchietto di cotone stropicciato cui nessuno tranne lui sta badando.
Almeno, nessuno che sia all’interno di quella stanza le sta badando, e Mario non fatica a capire perché quando, cercando di nascondersi e affacciarsi solo il minimo indispensabile, vede Zlatan spingersi lento contro José, poggiando le mani su quelle dell’altro uomo, che usa le proprie per aggrapparsi disperatamente alla libreria mentre stringe i denti e chiude gli occhi, accogliendolo dentro di sé con un gemito appena accennato.
Processare le immagini è difficile. Mario resta lì, le mani sul muro e gli occhi fissi sulla scena, e non sa nemmeno per quanto tempo. Tutti i muscoli del suo corpo sono rigidi e tesi, per una volta in senso assolutamente privo di ripercussioni a livello inguinale. Non è che trovi brutta o imbarazzante la scena che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi, in realtà non saprebbe nemmeno come definirla. Solo che adesso che l’ha vista non riesce più ad inquadrare tutto in maniera semplice come prima. Prima lo era, era semplice, José era innamorato di Tami e basta. Tutto il resto poteva essere assurdo, complicato, disturbante e fastidioso quanto voleva, ma quello era un punto fermo che restava invariato, José e Tami, Tami e José. Ora di mezzo c’è lo zingaro di Davide e Mario non sa più dove collocare le trecento pedine diverse che si sono sparpagliate sulla scacchiera di fronte a lui. È confuso, è irritato, è a disagio e non ce la fa, davvero, non ci riesce a trovarsi un posto in quella follia.
Perciò gira i tacchi e finge di non aver visto niente, gira attorno alla casa e, invece di attraversare la porta e salire le scale per rifugiarsi in camera propria come sarebbe buono e giusto, va dritto verso la piscina, sfila le scarpe, sfila i vestiti e si butta a chiodo, trattenendo il respiro e strizzando forte le palpebre.
Riemerge tanto di quel tempo dopo che il primo respiro a pieni polmoni che prende, una volta fuori, gli fa male al petto. Apre gli occhi e vede solo bagnato, le goccioline d’acqua intrappolate fra le ciglia catturano la luce del sole e lo abbagliano. Davide è affacciato alla finestra con le cuffiette calcate con forza dentro le orecchie, e lo guarda come fosse uno strano animale fantastico.
- Tu sei completamente fuori. – gli dice ridendo e puntandosi un indice alla testa. Mario annuisce.
*
Qualcuno lo sveglia alle undici di sera. Mario spalanca gli occhi sul proprio cuscino con la federa ricamata a paperotti col pannolino e salta a sedere sul letto, sconvolto. Lancia un’occhiata allarmata alla sveglia sul comodino, nota l’orario, si chiede quanto diavolo abbia dormito e poi il tizio, da fuori, ricomincia a bussare, e si mette anche a chiamarlo: è Zlatan, a Mario basta sentire l’accento per riconoscerlo.
Cercando di combattere l’imbarazzo e il disagio, si solleva in piedi e raggiunge la porta, schiudendola appena per sbirciare all’esterno. Zlatan completa l’opera spalancandogliela in faccia.
- Ma che ci fai combinato in questo modo assurdo? – chiede, lanciando un’occhiata colma di disapprovazione alla sua vecchia maglietta bianca e ai pantaloncini di spugna corti al ginocchio, - Datti una mossa, stiamo per uscire!
Mario lo guarda, gli occhi vivi come quelli di una triglia già bella che infornata, e Zlatan sospira teatrale, indicando Davide vestito di tutto punto che li attende in corridoio.
- Andiamo all’Old Fashion. – gli spiega, aprendo l’armadio e cominciando a rovistare all’interno cercando qualcosa di non eccessivamente ridicolo, - In genere viene solo Dade, ma visto che adesso ci sei anche tu non vedo perché dovrei lasciarlo ad ammuffire da solo al tavolino mentre io e Adri rimorchiamo. To’, metti questa. – conclude, passandogli una maglia nera aderente e tuffandosi nell’altra metà dell’armadio alla ricerca di un paio di pantaloni.
Mario obbedisce senza neanche annuire, e dieci minuti dopo è seduto sul sedile posteriore di una dannata Ferrari grigia metallizzata che è quanto di più simile esista alla fine del mondo – in senso dannatamente positivo, se ne esiste uno – tra ciò che Mario abbia mai visto in vita propria.
- Un grazie a Zay che ce la presta! – ride Zlatan, affacciandosi al finestrino mentre José lo ricopre di raccomandazioni, - Non te la rigo, tranquillo. Lo sai che sono bravo.
- Sei insopportabile. – borbotta lui, mentre Tami ride divertita al suo fianco, - E non chiamarmi Zay!
Zlatan risponde con una risata distratta che vuol dire letteralmente “non ti sto ascoltando”, e José rientra in casa con uno sbuffo insoddisfatto, prima che Tami si chini a baciare fugacemente il figlio maggiore sulle labbra, augurandogli di divertirsi, per poi seguirlo. Zlatan la osserva sparire oltre la soglia con un sorriso tenerissimo, e poi Davide gli dà una botta sulla nuca, lui ride, si riscuote e mette in moto.
L’Old Fashion è una cosa strabiliante, punto. Quando ci arrivano, Mario resta per tutta una serie di secondi a fissare l’ingresso con aria instupidita, e Davide deve spingerlo di malagrazia per costringerlo a muoversi. Zlatan trova subito un amico – un brasiliano robusto con un sorriso enorme e la testa rasata – col quale parte a chiacchierare allegro, in una profusione di battute e pacche sulle spalle che Mario non riesce quasi a percepire, perso com’è nell’osservazione del paesaggio. Dove per paesaggio s’intende ovviamente l’ambiente circostante e ciò che lo riempie, vale a dire ragazze, ragazze, ragazze e ancora ragazze, chili, quintali, tonnellate di ragazze equamente suddivise fra svestite, poco vestite e seminude. Sarebbe disturbante, se non fosse evidentemente una prova dell’esistenza di Dio in terra. Mario si ripromette di tornare in chiesa il prima possibile, poi Davide lo incenerisce con un’occhiataccia truce e lui abbassa gli occhi, sentendosi assurdamente colpevole.
Succede tutto così in fretta che Mario non se ne accorge. E non se ne accorge anche perché Davide non si stupisce, anzi, sembra perfettamente abituato a quella routine: scavalcare la fila, scambiare qualche battuta divertita col buttafuori, intrufolarsi all’interno, sempre seguendo Zlatan e l’altro – Adricoso, lì, Mario non è riuscito a capirne il nome per intero, con tutto quel baccano – poi attraversare tutto il locale rischiando di rimanere steso a terra per la quantità allucinante di donne che si muovono ondeggianti e sensuali sulla pista da ballo, fino a raggiungere il privè, pieno ma moderatamente tranquillo, una pista più piccola, più intima, con molte meno persone, e tavolini ordinati quasi tutti occupati. Quasi tutti, appunto, uno è libero, o almeno lo è fino a quando Zlatan non parcheggia sia lui che Davide sulla prima panca disponibile, fornendoli di un’abbondante dose di Corona condita con la promessa di non muoversi di lì finché non sarà lui a venirli a riprendere.
Davide comincia a sorseggiare dalla sua bottiglia, leccando un po’ di limone prima di tirare giù un po’ di birra, e Mario lo guarda attentamente per la prima volta. Jeans, maglietta, cappellino storto sulla fronte e, stampata in viso, l’espressione più annoiata dell’universo intero.
- Quindi intendevi questo quando dicevi che “ogni tanto uscivi con Zlatan”. – lo prende in giro per spezzare un silenzio che silenzio non è, perché tutto intorno a loro la gente ride scherza e balla, sono solo loro fossilizzati in questo momento immobile di cui non sanno che fare.
Davide lo fissa, risentito.
- Be’, te l’ho detto che non mi piace andare in giro coi miei coetanei.
- Perché questo invece è divertente! – insiste Mario, spalancando gli occhi, - Restare qui e-
- Senti. – lo interrompe Davide, sbuffando infastidito, - Non mi interessa come la pensi tu. La prossima volta, non venire. – dopodiché non lo degna più di un’altra occhiata, e tocca a lui sospirare e avvicinarglisi per cercare di superare la musica senza per questo dovere urlare.
- Okay. – sospira, cercando il suo fianco con la mano più per attirare la sua attenzione che per toccarlo davvero, - Ho esagerato. Non volevo offenderti. Zlatan sembra simpatico.
Davide lo guarda con gli occhi spalancati, e Mario ha quasi paura che possa mettersi ad urlargli in testa di tutto, ma tutto ciò che passa per quelle labbra piene è un sussurro un po’ confuso.
- Fallo ancora.
Gli ricambia un’occhiata ugualmente idiota.
- Eh? – balbetta incerto, - Cosa?
- Mi hai… - sillaba Davide, inumidendosi le labbra, - mi hai toccato il fianco. Fallo ancora.
- Oh. – annuisce Mario, allungando un braccio ad accarezzarlo di nuovo, - Così?
Davide annuisce a propria volta, avvicinandoglisi un po’ e tornando a bere lentamente dalla propria bottiglia. Mario continua a stare lì, attaccato a lui, senza fare nient’altro che sfiorarlo, per numerose bottiglie successive. Lui non tocca una goccia d’alcol – è che si sente già abbastanza sballato solo per il fatto di stargli tenendo una mano addosso, pure se fra loro non sta succedendo niente di così esaltante, che davvero non sente il bisogno di sballarsi ulteriormente. E si ritiene molto fortunato di aver dimostrato tanta saggezza, quando Davide gli crolla addosso, il respiro che odora di birra e gli occhi lucidi. Mario conta le bottiglie sul tavolo – sono quattro e sono tutte vuote.
- Davide? – lo chiama debolmente, - Ohi, ti senti bene?
- Mmhno. – biascica lui, stiracchiandosi sul suo petto, - Posso dormire?
- No, non mi pare il caso! – cerca di afferrarlo per le spalle Mario, allarmato, - Ehi! Guardami.
Davide ci prova, a guardarlo, ma la sua testa regge due secondi contati. Poi ciondola verso il basso e lì resta, come si fosse addormentato davvero.
- Dà! – lo chiama Mario, scuotendolo un po’, - Ti prego, non farmi questo.
- Non ti sto facendo niente… - piagnucola lui, cercando di forzare la sua stretta per tornare a stenderglisi addosso, - Fammi spazio, sei comodo.
- Non sono comodo e non sono il tuo letto! – gli tiene testa Mario, e Davide sogghigna.
- Però ti piacerebbe. – lo prende in giro, sollevandosi abbastanza da dargli l’impressione di stare cercando le sue labbra per un bacio.
- Non è questo il punto in questione. – si allontana un po’ Mario, guardando altrove. Davide posa le mani sulle sue, intreccia le dita con le sue e posa piano le labbra contro le sue, prima di scostarsi e guardarlo attentamente.
- Non c’è un punto in questione. – sussurra. E poi Mario lo osserva tirare su le gambe e inginocchiarsi sulla panca, gattonare verso di lui e sederglisi in grembo esattamente come ha fatto quel giorno in piscina. Solo che stavolta non ci sono rischi, non c’è Tami e nessuno in quel locale li sta guardando, o se lo stanno facendo sono molto discreti. Ipnotizzato, Mario lo lascia fare, anche quando Davide prende a misurargli con le dita i lineamenti del viso, in carezze piccole e curiose come quelle di un bambino. – Se io ti lasciassi fare tutto quello che vuoi… - gli chiede, tornando a chinarsi sulle sue labbra, - tu poi saresti solo mio?
E il brivido che scuote Mario è il più forte, il più disturbante, il più assurdo che abbia mai sentito scorrere lungo la schiena e le gambe e le braccia e il collo, è la scossa al bassoventre più devastante che abbia mai provato, e nella stretta decisa con la quale le sue dita si chiudono attorno ai fianchi di Davide c’è più di un sì, c’è un “lo sono già” che non ha nemmeno bisogno di essere espresso ad alta voce. Tant’è che perfino Davide, anche se è ubriaco e stanco ed assonnato, se ne rende conto. Spalanca gli occhi, che si fanno anche più enormi di prima, e lo guarda con aria stupita, quasi sconvolta. Schiude le labbra per dire qualcosa, Mario regge il suo sguardo e vorrebbe parlare a propria volta ma non riesce a dire niente, ed è grato a Davide quando si china su di lui e lo bacia a lungo, lentamente, silenziosamente, perché è più giusto così. Ed è anche perfetto così.
- Grazie. – sussurra Davide, separandosi da lui qualche secondo dopo. Prima di crollare addormentato sulla sua spalla. Naturalmente.
*
Non sa quante ore dopo Zlatan sia andato a recuperarli. Sa che è scoppiato a ridere quando ha visto Davide appollaiato su di lui neanche fosse stato un trespolo, e sa che era solo, anche. Di Adricoso, nessuna traccia.
Adesso che sono in macchina e Davide dorme steso sul sedile posteriore, avvolto nella giacca di Zlatan perché non prenda freddo, Mario si sente decisamente meno in imbarazzo, comunque. Perfino disposto ad affrontare una conversazione, e perciò non si tira indietro quando Zlatan lo guarda con un sorriso furbo e comincia a parlare.
- Scommetto che vuoi farmi un sacco di domande. – dice in una mezza risata, - Coraggio, spara.
Mario apre la bocca, e Zlatan risponde.
- Ambasciatore portoghese in Italia. Dove credevi che prendesse tutti quei soldi? Fa questo lavoro da una vita.
- …non volevo chiederti che mestiere fa José. – borbotta Mario, - Anche se in effetti non lo sapevo, perciò grazie. No, volevo sapere-
- Di mamma non posso parlare. – si affretta a precisare Zlatan, guardando fisso la strada davanti a sé, - Ci sono cose che-
- Devo scoprire da solo quando sarà il tempo, okay. – sbuffa Mario, indispettito, - Ora vuoi provare a indovinare per la terza volta che domanda voglio porti, per vedere se riesci a sbagliare anche questa?
Zlatan ride divertito, scuotendo il capo, i capelli sottili che gli accarezzano gli zigomi.
- Vai. – lo invita, e Mario prende un respiro enorme, prima di parlare.
- Ti ho visto. – svela infine, - Con José.
Zlatan annuisce.
- Lo so. – conferma, - Non sei bravo a spiare. Nient’affatto discreto.
Mario spalanca gli occhi.
- José-
- No, - ride, - lui non lo sa. Era un po’ preso.
- E tu no?
- Anche più di lui. – dice serio, - Ma sono più alto e più libero, quando lo facciamo in quel modo.
Mario annuisce, facendo mente locale.
- Senti… - sospira alla fine, - Lui è-
- Innamorato di Tami? Credo di sì. Sì, indubbiamente.
- E allora… - insiste Mario, - voglio dire, perché?
Zlatan ci riflette un po’ su, come fosse la prima volta che si chiede effettivamente una cosa del genere.
- Non ti è mai capitato – chiede alla fine, - di trovare la persona giusta, anzi, perfetta, ma nel momento e nel modo peggiori che potessi immaginare?
Mario scuote leggermente il capo, anche se lo fa con poca convinzione.
- Be’, a me e lui è successo questo. – scrolla le spalle alla fine, - Le cose, sai Mario, ogni tanto devi prenderle come vengono. Qualsiasi tua azione farà inevitabilmente stare male o bene qualcun altro, il punto è che alla fine, nella tua vita, resti solo tu e la persona che hai scelto di avere accanto. Perciò devi scegliertela bene e, quando la trovi, cercare di trattenerla il più possibile. Almeno finché vuole restare. – e sospira stancamente, mentre il profilo austero di Villa Ratti comincia a delinearsi nella notte del lago. – È un consiglio da amico. – sorride, - E da fratello maggiore, anche. – aggiunge parcheggiando in garage. – Ora muovi il culo e dammi una mano a tirare giù Davide. Diosanto, quando imparerà a bere con moderazione? Dà! Ehi! Sveglia o ti bagno i pantaloni con il primo liquido che trovo e poi dico a Beppe che te la sei fatta addosso, sai? – lo minaccia, e Mario non può fare a meno di ridere, scendendo dalla Ferrari e osservando Zlatan chinarsi a recuperare Davide dal sedile posteriore. Quando il ragazzo schiude gli occhi assonnati e incontra i suoi, concedendogli un sorriso minuscolo, la voce di Zlatan, nella testa di Mario, ripete la domanda sulla persona perfetta incontrata nel momento e nel modo peggiori che si possano immaginare. E la risposta negativa è decisamente meno sicura di quanto non fosse già prima.
 
*
 
Note. …XD Vi aspettavate per caso la lemon Santonelli? *lolla* Non avete ancora capito quanto sono cattiva *risata malefica* No, in realtà non sono cattiva, in realtà sto solo aspettando che i bimbi siano pronti <3 Lo saranno – spero o_o – prima o poi <3 Nel mentre godetevi il Jobra di questa storia (schizzato come tutto il resto o.o) e il Zlatan più gaio e rompiballe si sia mai visto nell’universo intero. Perfino più gaio e rompiballe di quanto non sia in realtà, il che è – tragicamente – tutto dire.
Ps. Titolo rubato a una canzone omonima dei Panic! At The Disco.

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