Genere: Generale.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José, Davide/José (onesided).
Rating: R
AVVISI: AU, Slash.
- Mario fa entra ed esci dall'orfanotrofio da quando aveva due anni. Nessuna famiglia sembra riuscire ad accoglierlo nel giusto modo, e perciò non vede perché dovrebbe essere diverso, stavolta. Solo che lo sarà. Lo sarà eccome.
Note: ;___; Commozione, è finita!!! Voi non potete capire cosa vuol dire per una donna come me – una che le storie sa (quasi) sempre quando le comincia ma mai quando (e se!) le finisce – riuscire a concludere una fic a capitoli. In un tempo prestabilito, poi, e senza sbavature! Sette settimane, ci ho messo, e mai un ritardo. E amo oggi questa famiglia di disastrati esattamente quanto l’amavo il primo giorno, perché piano piano ho imparato a conoscerli assieme a Mario. E nonostante il finale tremendo (me lo dico da sola ._. Odiatemi) mi resteranno sempre nel cuore. *sparge affetto*
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NEW COLORS TO PAINT THE WORLD
lady in red

La signora è vestita di rosso, quando arriva all’orfanotrofio. Assieme a lei c’è un uomo che, al suo fianco, sembra altissimo, anche se in realtà può vantare al massimo un metro e settantacinque d’altezza, qualcosa di più forse, qualcosa di meno probabilmente, Mario non è mai stato granché bravo con questo tipo di stime, anche perché è cresciuto molto in fretta ed è diventato altissimo altrettanto frettolosamente, perciò ha perso il senso della misura da qualche parte fra i quindici e i sedici anni. Alla fine di tutte le considerazioni, non saprebbe dire se l’uomo in questione sia basso davvero o gli sembri tale solo perché è più basso di lui, tutto ciò che sa è che è con la signora e che la signora è vestita di rosso, ed è bellissima. Non una bellezza canonica, non di quelle che vede sui giornali e non certamente di quelle con cui si concede di uscire ogni tanto – le altre ragazzine dell’orfanotrofio, sedicenni e diciassettenni fasciate in jeans e top aderenti, che gli corrono dietro solo perché è alto e gioca a calcio, perciò il fisico è quello che è e non è niente male. La signora è bella perché è elegante, la signora è bella perché emana una piacevole aura di tranquillità e la signora è bella perché ha due begli occhi castani che si guardano attorno con aria svagata e persa. La signora è bella perché chissà quanti anni ha ma sembra una ragazzina che scopre tutto all’improvviso, una che esce di casa per la prima volta, ed è bella anche per come si stringe all’uomo che la accompagna, che la trae a sé in un gesto protettivo e intimo, stringendole un braccio attorno alle spalle e voltando appena il capo per baciarle una tempia e sussurrarle qualcosa all’orecchio – qualcosa che le provoca una risata divertita e infantile, che lei cerca di soffocare con poco successo portando una mano alle labbra.
Mario non è proprio sicuro che restare a fissare i due nel modo in cui lui li sta fissando sia la cosa più giusta da fare, ma è altrettanto vero che proprio non riesce a smettere di farlo, perciò resta lì con aria ebete mentre intorno a lui il giardino dell’orfanotrofio si agita tutto, ogni ragazzo intento nelle proprie attività, e lui dovrebbe stare più attento a come muove le cesoie attorno a quel cespuglio tondo, o finirà per tranciarlo a metà e fare un disastro. Non che abbia paura di una punizione, il direttore non è esattamente noto per il suo pugno di ferro, ma gli è sempre dispiaciuto rovinare le cose belle, perciò sì, dovrebbe stare più attento, ma la signora e il suo uomo continuano a passeggiare per il giardino come fossero in visita ad un parco o chissà che, e lui non può fare altro che continuare a guardarli, perciò poco da fare, sono comunque molto più belli loro di qualunque cespuglio tondo decori quel giardino.
La signora si volta a guardarlo e gli lascia scivolare gli occhi addosso in una carezza distratta. Sorride serena, ed il suo sorriso si allarga lievemente quando incontra gli occhi scuri e stupiti di Mario, che la osserva fermarsi all’improvviso con una certa curiosità, le cesoie ancora a mezz’aria. L’uomo si ferma contemporaneamente a lei, con una naturalezza che sa di comportamenti rodati: chissà quante volte la signora si ferma all’improvviso e chissà quante volte l’uomo, semplicemente, la segue, fluido, senza scatti, immediato.
La signora si allontana dalla stretta del compagno e lui non la trattiene, si limita a seguirla, un solo passo indietro, fino a quando non si ferma davanti a Mario, continuando a guardarlo con quel sorriso entusiasta e un po’ bambino, che contrasta in maniera piacevole con le rughe sul suo viso e che, adesso che sono vicini, Mario può vedere distintamente.
- Che bel colore. – dice la signora, trasognata, sollevando una mano ad accarezzargli una guancia. È avvolta in rosso anche quella manina così piccola e delicata, Mario se la sente scorrere morbidamente addosso e resta a guardare la signora, rapito dai suoi occhi persi. Nessuno l’ha mai guardato con tanta palese adorazione, e lui non sa se sentirsi più lusingato o più in imbarazzo. – Zay, hai visto che bel colore?
- Sì, Tami. – annuisce l’uomo, sorridendo appena, - È bello davvero.
Mario sposta lo sguardo sull’uomo e cerca di decifrarne gli occhi, ma pur essendo di un colore banalissimo sono assolutamente incomprensibili.
- Tami! – dice la voce del direttore alle sue spalle, e qualcosa in quel momento perfetto si spezza. La signora abbassa la mano e smette subito di accarezzarlo, sollevandosi sulle punte per cercare oltre il suo corpo la figura che si avvicina, e sorridendo entusiasta come una bambina non appena riesce ad individuarla.
- Massimo! – lo chiama, agitando un braccio, - Zay, c’è Massimo! – richiama l’attenzione dell’uomo, che sorride ancora e saluta il direttore con un cenno del capo.
- Ma che piacere rivedervi! – saluta anche il direttore, chinandosi sul corpo minuscolo della signora per avvolgerlo in un abbraccio amichevole e poi voltandosi a stringere la mano dell’uomo, - José, quanto tempo.
L’uomo sorride ancora, e si ravvia distrattamente i capelli sulla testa, con una smorfia buffa.
- È stata bene, ultimamente. – butta lì, come non avesse importanza. Mario non capisce a cosa si stiano riferendo, d’altronde il direttore non ha chiesto a nessuno come stesse qualcun altro, quindi la risposta dell’uomo è veramente incomprensibile, ma il direttore sembra capire tutto al volo, e Mario lo osserva annuire serio per un secondo, prima di tornare a sorridere allegramente, poggiando una mano sulla spalla della signora.
- Coraggio, Tami, ti offro un tè. Vaniglia?
- Con piacere. – sorride la signora, e si volta a cercare il marito con lo sguardo, un po’ incerta.
- Precedetemi. – la rassicura lui, chinandosi a baciarla lievemente sulle labbra, - Io vi raggiungo subito.
Mario osserva la signora e il direttore allontanarsi lungo il vialetto, verso l’edificio principale dell’orfanotrofio, e poi torna a portare lo sguardo sull’uomo – José, come l’ha chiamato il direttore, che lo sta a propria volta scrutando con un certo interesse, come lo stesse studiando.
- Non parli molto, mh? – chiede curioso. Mario serra le cesoie attorno ad un rametto fuori posto. Il suono che producono è secco e fastidioso. Il rametto, cadendo a terra, invece, è silenzioso come una piuma.
- Preferisco tacere, se non ho qualcosa da dire. – risponde scrollando le spalle, - Cerco di evitare di mettermi nei guai.
- E ti capita spesso? – chiede ancora José, - Di metterti nei guai, intendo.
- …ogni tanto. – risponde Mario, sinceramente. – Prima, però. Adesso non più.
- E come mai?
Mario si prende un secondo, prima di rispondere. Pota ancora un paio di rametti qua e là, cercando di mantenere la forma del cespuglio, e poi sospira.
- Il direttore mi ha fatto capire che, passati i diciott’anni, non è più possibile creare problemi.
José scoppia immediatamente a ridere, una risata piena, tonante e divertita. Mario lo osserva gettare indietro il capo e poi tornare a guardarlo con una luce compiaciuta negli occhi.
- Per quante famiglie sei passato? – chiede a bruciapelo.
- Due. – risponde lui, altrettanto immediato e altrettanto privo di filtri.
- Non eri abbastanza per loro?
- O forse loro non lo erano per me.
José lo guarda con compiacimento se possibile addirittura maggiore, incrociando le braccia sul petto.
- Mi piace quest’atteggiamento. – commenta annuendo, - E a Tami piace il tuo colore. – si interrompe solo per un attimo, inumidendosi le labbra. – Ti andrebbe di provare ancora?
Mario non può nascondere il suo stupore, quando sente la domanda, ed inarca entrambe le sopracciglia, abbassando la cesoia lungo il fianco.
- Solo perché alla signora piace il mio colore? – chiede.
José annuisce.
- Ce l’hai un sogno? – domanda a propria volta, salutando con la mano la signora che si sta sbracciando come una ragazzina dalla terrazza sul fronte dell’enorme quanto sobrio castello che ospita l’orfanotrofio. – Una cosa per la quale sei disposto a tutto?
Mario scrolla le spalle.
- Aspetto che arrivi. – sospira profondamente. José annuisce ancora, prendendo atto.
- Tami è il mio. – dice a bassa voce. E stavolta annuisce Mario.
- Non c’è due senza tre, immagino. – concede con un’altra scrollatina di spalle.
José ride ancora. Anche Mario è divertito, perciò ride anche lui.
- Comunque mi chiamo Mario. – precisa il ragazzo, tornando a potare il cespuglio, - Giusto per informazione.
José annuisce, prendendo atto, e poi sorride ancora.
- Fantastico. – commenta, infilando una mano in tasca e continuando a fissare la signora, seduta col direttore ad un grazioso tavolino bianco in terrazza, mentre sorseggia il tè, - Mario è anche il mio secondo nome.
*
Mario arriva a Villa Ratti appena due giorni dopo e, quando oltrepassa il cancello, perdendo lo sguardo sull’immensità del giardino – ed è un eliporto, quello che intravede al di là degli alberi, in quella radura assolata? – gli riecheggia ancora nelle orecchie l’ultima conversazione avuta col direttore Moratti, mentre sistemava le poche cose cui tiene nel borsone già al quinto trasloco.
- Se dovesse andare male… - gli ha chiesto con falsa distrazione, appallottolando calzini e schiacciandoli nel fondo del borsone senza cercare gli occhi del proprio interlocutore, il quale non ha neanche sentito il bisogno di interrompere il suo discorso parlando, e s’è limitato a coprire le sue ipotesi con un rassicurante sorriso dei suoi, di quei sorrisi che raggiungono come una specie di mistica incrollabilità, che quando li guardi capisci che sono così splendenti e sicuri solo perché si sono guadagnati con la forza il diritto di esserlo.
- Non mi sembra il piede giusto con cui partire. – gli ha fatto notare, battendogli un’amichevole pacca sulla spalla, - E comunque non credo che andrà male. Nel caso dovesse proprio essere un disastro, - ha aggiunto con un sospiro stanco, osservandolo rilassarsi visibilmente, rassicurato, - qui c’è sempre un posto per te, Mario, naturalmente.
Mario ha annuito senza sollevare lo sguardo dalla maglietta che stava piegando.
- E che tipi sono, questi qui? – ha chiesto poi, cercando di dissimulare la curiosità fra le pieghe di un disinteresse costruito ad arte.
Il direttore ha riso, aiutandolo a piegare i pantaloni.
- Sono brave persone. – gli ha risposto con sicurezza, - Li conosco da moltissimo tempo. Sono molto affettuosi e tu non sei il primo che adottano.
Mario ha sollevato lo sguardo, finalmente, cercando gli occhi castani del direttore coi propri, sempre castani ma di una tonalità decisamente più scura, retaggio di un codice genetico che non sente proprio perché lui, nonostante il colore della sua pelle, è nato in Italia e in Italia ha sempre vissuto, dell’Africa non sa nulla e in realtà non sa nulla neanche dei suoi genitori naturali che, dopo averlo messo al mondo, non hanno trovato niente di meglio da fare che mollarlo nel primo ospedale disponibile quando si sono accorti che non è nato perfetto ma con un difetto di fabbrica che – non avesse trovato brava gente a prendersi cura di lui in ospedale, e il direttore, naturalmente – gli sarebbe quasi sicuramente costato la vita.
- Brave persone? – ha ripetuto Mario, inarcando un sopracciglio e infilando un paio di scarpe da tennis in un sacchetto di plastica, - Non saranno mica di quelli che vanno in giro recuperando bambini e ragazzi negli orfanotrofi di tutto il mondo solo per mostrare alla gente quanto sono fighi e generosi e antirazzisti? Guardi che non ci voglio finire in casa col Brangelina di Milano e provincia. – ha borbottato irritato, o forse solo innervosito dall’imminente cambiamento.
Il direttore ha riso ancora, scuotendo appena il capo.
- No, Mario, niente del genere. Puoi stare tranquillo, in casa Mourinho si adotta solo perché si vuole un figlio.
Mario ha scrollato le spalle ed ha recuperato tutta la propria biancheria dal primo cassetto del comodino.
- E la signora… - ha aggiunto in un soffio, quasi percepisse la propria curiosità come una violenza nei confronti di quella bella donna vestita di rosso, - …intendo, non è mica tanto normale.
Il direttore ha sospirato, aiutandolo a tenere ben fermo il borsone dai lati mentre lui cercava di chiudere la cerniera sulla sommità.
- Di questo dovrà parlarti José, e lo farà quando sarà il momento giusto. Ma non hai ragione di preoccuparti, Tami è splendida. Ed è accudita bene sia da suo marito che dai suoi figli.
- Di solito – ha aggiunto quindi Mario, ricontrollando per l’ennesima volta tutta la stanza per essere certo di non dimenticare niente, - non è la mamma che si prende cura di tutti gli altri?
Il direttore ha riso per la centesima volta in mezz’ora e Mario s’è chiesto se non fosse per caso ubriaco o non si trattasse piuttosto di lui, che si stava effettivamente rendendo ridicolo, con tutte quelle domande del cavolo, neanche avesse avuto dieci anni e tutto ancora da imparare.
- Scoprirai che in famiglia le cose sono quasi sempre molto più complicate di così. – ha risposto il direttore, sollevando il borsone dal letto e poi lasciandolo planare disinvoltamente fra le sue braccia, rischiando di mandarlo col sedere per terra causa eccessivo carico da sostenere troppo improvvisamente, - Ed anche molto più semplici.
In realtà, comunque, attraversando il giardino lungo il selciato e andando incontro all’uomo in giacca e cravatta che lo attende sulla soglia di casa, Mario non riesce a immaginare cosa possa esserci di complicato in una situazione come questa. È altrettanto vero, in realtà, che non riesce nemmeno ad immaginare cosa possa esserci di semplice, per cui resta in silenzio e lascia che l’uomo recuperi il suo borsone direttamente dalle sue mani e lo introduca all’interno della casa, dove un altro tipo lo aspetta, avvolto in un abito elegantissimo, tipo Ambrogio, per intendersi, solo che il tizio con Ambrogio non c’entra granché, perché più che un maggiordomo sembra una specie di topo da biblioteca tirato lontano di prepotenza dai libri, infilato in una livrea grande almeno due taglie più della sua e costretto a fare un lavoro che non gli compete minimamente.
- Benvenuto a casa, Mario. – dice il maggiordomo, - Il mio nome è Beppe e mi occupo della gestione della casa. Non lasciarti intimorire dalla livrea, a Tami piace come mi sta, ma non c’è bisogno di trattarci formalmente. Lavoro per José da più di dieci anni, ormai.
Mario annuisce, con aria poco convinta.
- La mia borsa… - accenna, e Beppe gli sorride conciliante.
- Se ne sta occupando Andrea. – gli rivela, - Più tardi tornerà a portarti in camera tua.
- Ma sta rovistando nella mia roba? – chiede Mario, allarmato, cercando di fare mente locale per assicurarsi di non aver ficcato qualche calzino sporco in qualche tasca laterale del borsone.
- Rovistando? – chiede Beppe, con un certo stupore, - Sta mettendo a posto. Per te le due cose coincidono?
- Be’! – borbotta Mario, irritato, - Sì, se per mettere a posto ci ficchi il naso dentro!
Beppe ride, e Mario mette su un broncio scontento, ripromettendosi di dire a José che lui è abituato a badarci da solo, alle proprie cose, e quindi gradirebbe che nessuno lo facesse al posto suo, e non gliene frega niente di quale sia la prassi di quella stupida villa in riva a uno stupido lago nel mezzo di una stupida palude umidiccia e piena di stupide zanzare. Naturalmente, tutti i suoi buoni propositi vanno a farsi benedire quando Beppe torna a parlare.
- Tami… - esordisce, e tutti i sensi di Mario si tendono nel tentativo di captare ogni singola sfumatura di quel discorso, - è in una condizione un po’ particolare. È lei che decide come ci si muove in questa casa, chi fa cosa e quando e come. Lei vuole i maggiordomi e lei vuole che si occupino loro di tutte le questioni pratiche. Quindi, che ti piaccia o no, Andrea continuerà a badare alla tua roba, ed io a tutto il resto. Mi sono spiegato?
Mario annuisce – non gli pare ci sia molto altro da fare – ed esita appena, prima di concedersi una domanda.
- Ma la signora… sì, cioè, Tami, dico… sta bene o no? Perché a me-
- A me pare che tu stia già chiedendo più di quanto non debba sapere in questo momento. – lo interrompe Beppe con un sorriso serafico, allargando un braccio verso una porta a vetri che porta su un’altra parte del giardino, - Ora seguimi, avvertiamo la tua famiglia del tuo arrivo.
La prima cosa che Mario vede, comunque, uscendo in giardino, non è la sua famiglia, ma un’enorme piscina dalle forme tondeggianti che si allunga per almeno una quindicina di metri. Ci sono le scalette, c’è un trampolino azzurro e c’è tutto un corridoio di sassolini rotondi e lucidi che brillano nel sole e portano dalla piscina alle docce – alti tubi verdi che somigliano a gambi di fiori, così come fiori sembrano i doccini – di una bel rosso acceso – che li terminano e dai quali esce un getto continuo d’acqua tiepida e cristallina.
Il sole abbaglia Mario colpendolo dritto negli occhi e, quando lui li scherma per mettere a tacere il bruciore, riesce finalmente ad individuare Josè – in camicia a mezze maniche e bermuda, steso su una sdraio a prendere il sole come una lucertola. Il portoghese solleva una mano e lo saluta sorridendo.
- Spero tu abbia portato un costume da bagno. – scherza, tornando a sistemarsi comodamente sul telo di spugna che gli impedisce di bagnare di sudore il tessuto in cotone pesante della sdraio che lo ospita.
- …dovrei averne uno nel mio borsone, ma me l’hanno rubato. – si lamenta lui, sedendosi tranquillamente su una sdraio accanto a quella di José. L’uomo ride divertito, chinandosi a recuperare da terra un bicchiere colmo di succo di frutta fresco.
- Andrea te lo porterà sicuramente quando avrà finito di mettere ogni cosa al suo posto. – lo tranquillizza, e Mario annuisce. Poi viene colpito da qualche gocciolina d’acqua in pieno viso, ed ha appena il tempo di sollevare lo sguardo che i suoi occhi impattano contro la figura snella di un ragazzino dalla pelle rosata e dai capelli di un castano talmente chiaro da sembrare biondo sotto i raggi del sole. Mario lo osserva emergere dalla piscina, tirandosi su con la sola forza delle braccia, e poi camminare lentamente lungo il sentiero di sassolini, dopo aver infilato le infradito, per concedersi una breve doccia che scacci via dalla sua pelle il sapore vagamente salato del cloro disciolto in acqua.
- Davide. – risponde José alla domanda muta di Mario, mentre il ragazzo recupera un accappatoio bianco e lo indossa, scomparendo all’interno delle pieghe del morbido tessuto di spugna e dirigendosi poi con disinvoltura verso l’interno della casa, - Tuo fratello. Uno dei.
- …quanti altri? – chiede con un po’ di terrore, tornando a guardare il proprio patrigno. José ride, sempre più divertito.
- Ce n’è solo un altro, oltre lui. Ma ho i miei dubbi che lo vedrai spesso da queste parti. – soggiunge scrollando le spalle. Poi chiude gli occhi e torna silenzioso, perciò Mario non può fare nient’altro che aspettare quei due secondi di rito che non lo portino a pensare lui conservasse quella domanda sulla punta della lingua da quando l’aveva visto – cosa peraltro vera – prima di lasciarsi andare, e chiederlo e basta.
- Senti, José… - accenna timoroso, - ma Tami-
- È presto per parlare di Tami. – lo ferma José, senza guardarlo nemmeno, - Per ora goditela e basta. Avrai tempo, per tutto il resto.
- Sei arrivato! – cinguetta una voce allegra da qualche parte alla sua sinistra. Mario si volta in quella direzione ed inquadra la signora nel bel mezzo di un roseto, intenta a potare spine da cespugli che ne sono già stati abbondantemente privati molto tempo prima che lei potesse cominciare a toccarli, pasticciando ovunque con quelle manine minuscole sempre avvolte in un paio di guanti. È ancora vestita di rosso, la signora. Oggi non indossa un abito ma un paio di pantaloni, una casacchina smanicata ed un cardigan di cotone grosso a coprirle le spalle, ed è comunque bellissima. Mario la saluta con un sorriso ed un gesto affettuoso, ed è così piccolina in mezzo a quell’enorme roseto bianco che sembra una goccia di sangue persa sopra chilometri di lenzuola candidissime.
- La aiuti col giardinaggio? – chiede la voce di José, dolcissima, proprio accanto a lui.
Mario annuisce distrattamente, rapito da Tami che sorride e si sbraccia ed agita una rosa per attirare la sua attenzione, e si alza in piedi, per raggiungerla subito dopo. Per il resto avrà tempo. Al momento, intende godersela.
 
*
 
Note. Questa fic nasce praticamente su richiesta XD Stavo istruendo la mia primogenita ai misteri del Santonelli, spiegandole quanto esso sia canon in virtù del fatto che chiunque ama Davide e nel “chiunque” rientra abbondantemente anche il Mou, quando lei a un certo punto s’è messa a sbrilluccicare di luce propria ed ha urlato che voleva una fic con PapàDiMario!Mou. Attenzione, non voleva solo che fosse padre di qualcuno e basta (a quel punto mi sarebbe bastato scrivere la What If? spostata in avanti nel tempo di quindici anni), voleva proprio che fosse il padre di Davide. E quindi il mio cervellino ha cominciato a lavorare alacremente per creare un universo alternativo in cui tutto ciò fosse possibile senza tirare in conto l’Inter. È soddisfacente quando prendi dei calciatori e li metti a fare robe non loro XD
In concomitanza al desiderio di scrivere quest’AU è arrivato il Challenge di FanWorld, che voleva sette storie (o sette capitoli) ispirati ognuno ad un colore diverso. Ho pensato che questo fosse ciò che mancava a questa storia, un’impostazione narrativa ordinata, ed in effetti quando ho deciso che avrebbe partecipato al challenge tutto s’è messo a posto quasi da solo – tranne qualche nodo di trama: quelli sono stati risolti con tempestività, amore e meravigliosa efficacia dal Def, che peraltro questa storia se la beta pure. Onore all’uomo che ha del coraggio – ed è decisamente una delle cose migliori del fandom.
Le coppie principali non ve le dico XD Se mi conoscete, le immaginate. Se non mi conoscete è più divertente *_* E comunque spero di farvi piangere almeno un po’, col prosieguo della storia u.u Uniche noticine: il titolo della storia è preso da un verso di Weapon, di Matthew Good, mentre tutti i titoli di tutti i capitoli sono presi da canzoni più o meno famose (quella di questo giro è appunto l’omonima Lady In Red di Chris de Burg); il nome della moglie del Mou dovrebbe essere Matilde, e Tami dovrebbe essere il suo soprannome, l’ho letto in un articolo di gossip. Lo stesso nel quale ho letto di Zay, che in teoria è il modo in cui José veniva chiamato dalla sua prima amante mai confermata :\ A me di questi retroscena a livello narrativo non interessa poi molto, ma i soprannomi mi piacevano, per cui li ho usati XD
A presto <3

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