Genere: Generale.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José, Davide/José (onesided).
Rating: R
AVVISI: AU, Slash.
- Mario fa entra ed esci dall'orfanotrofio da quando aveva due anni. Nessuna famiglia sembra riuscire ad accoglierlo nel giusto modo, e perciò non vede perché dovrebbe essere diverso, stavolta. Solo che lo sarà. Lo sarà eccome.
Note: ;___; Commozione, è finita!!! Voi non potete capire cosa vuol dire per una donna come me – una che le storie sa (quasi) sempre quando le comincia ma mai quando (e se!) le finisce – riuscire a concludere una fic a capitoli. In un tempo prestabilito, poi, e senza sbavature! Sette settimane, ci ho messo, e mai un ritardo. E amo oggi questa famiglia di disastrati esattamente quanto l’amavo il primo giorno, perché piano piano ho imparato a conoscerli assieme a Mario. E nonostante il finale tremendo (me lo dico da sola ._. Odiatemi) mi resteranno sempre nel cuore. *sparge affetto*
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José, Davide/José (onesided).
Rating: R
AVVISI: AU, Slash.
- Mario fa entra ed esci dall'orfanotrofio da quando aveva due anni. Nessuna famiglia sembra riuscire ad accoglierlo nel giusto modo, e perciò non vede perché dovrebbe essere diverso, stavolta. Solo che lo sarà. Lo sarà eccome.
Note: ;___; Commozione, è finita!!! Voi non potete capire cosa vuol dire per una donna come me – una che le storie sa (quasi) sempre quando le comincia ma mai quando (e se!) le finisce – riuscire a concludere una fic a capitoli. In un tempo prestabilito, poi, e senza sbavature! Sette settimane, ci ho messo, e mai un ritardo. E amo oggi questa famiglia di disastrati esattamente quanto l’amavo il primo giorno, perché piano piano ho imparato a conoscerli assieme a Mario. E nonostante il finale tremendo (me lo dico da sola ._. Odiatemi) mi resteranno sempre nel cuore. *sparge affetto*
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NEW COLORS TO PAINT THE WORLD
orange crush
Davide sta sbucciando un’arancia e Mario lo sta guardando con troppa attenzione. I raggi del sole, da fuori, passando attraverso le tendine traforate bianche, invadono la cucina e rendono i colori più accesi, l’arancione vivissimo di ogni spicchio sembra quasi brillare di luce propria ed altrettanto sembrano fare le goccioline di succo che sfuggono alle labbra del ragazzo. Una scivola giù verso il mento, Davide solleva una mano e la caccia con un dito. Il dito poi finisce stretto fra le sue labbra, Davide succhia un po’, Mario lo fissa e deglutisce, e nel momento stesso in cui lo fa ha come l’impressione di sentire un blocchetto di cemento scivolare giù lungo la sua gola, passare con difficoltà attraverso l’esofago e poi fermarsi a pesare nello stomaco, riempiendo il suo corpo di un malessere che non riesce ad identificare. Gli occhi castani di Davide – un altro castano, non c’è quasi nessuno, fra le persone che conosce, che abbia gli occhi chiari – si sollevano dall’arancia e poi si spostano su di lui, scrutandolo con attenzione.
Mario lo osserva schiudere le labbra e prepararsi per chiedergli qualcosa, ma viene interrotto dall’entrata in cucina della signora, vestita in rosso, come sempre – oggi una gonnellina svolazzante ed una canottiera senza maniche che le lascia scoperte le spalle chiare e piccole.
- Arance! – esala entusiasta, giungendo le mani sotto il mento, - Posso farvi una spremuta! – propone, e senza nemmeno aspettare un loro cenno d’assenso si china sul cesto colmo di frutti e comincia a scegliere le arance più belle, più tonde, dai colori più accesi. Le coccola con gli occhi, mentre Beppe resta dritto e sorridente al suo fianco e le prende fra le braccia quando lei gliele passa. Alla fine, ne raccolgono una ventina – abbastanza per riempire di succo molti più bicchieri di quanti ce ne siano sul tavolo al momento – e si mettono a spremerle, ridendo entrambi come due bambini, Tami divertita dal modo in cui lo spremiagrumi ruota vorticosamente sotto l’arancia, Beppe divertito e altrettanto intenerito dal sorriso allegro della donna. Mario li osserva alternarsi allo spremiagrumi – Beppe comincia a spremere quando Tami si stanca – e non può fare altro che sorridere dolcemente, soprattutto quando poi Tami si volta – due enormi bicchieri colmi di spremuta d’arancia, uno in ogni mano – e squittisce felice poggiandoli sul tavolo.
- Ora lo zucchero. – annuisce la donna con competenza, e Mario allunga una mano a recuperare una fetta biscottata, che comincia distrattamente a sgranocchiare mentre continua a fissare la donna, che ora ha aperto un barattolo di un bel blu acceso e sta versando lo zucchero a cucchiaiate nella spremuta. – Dimmi quando basta, tesoro. – lo invita, e Mario conta i cucchiai. Tre, sei, nove, e ride.
- Basta così, Tami, grazie.
E in cucina cala il gelo. Beppe si irrigidisce ma resta silenzioso al fianco di Tami, mentre Davide si volta a guardarlo con sgomento, uno spicchio d’arancia ancora a mezz’aria, tenuto sospeso davanti alla bocca con due dita, che gocciola lentamente sul piattino di sotto.
Tami, di tutto ciò, non risente: continua a versare lo zucchero del bicchiere, continuando a sorridere serena come non l’avesse neanche sentito parlare. Dodici, quindici, diciotto, se continua così non sarà più una spremuta zuccherata ma un bicchiere di zucchero all’arancia.
- Mamma. – la ferma Davide, e solo allora lei si volta e lo guarda, con una certa curiosità, - Mario ha detto basta, non l’hai sentito. – le dice, sorridendole dolcemente. Tami sgrana gli occhioni castani e si volta a guardare Mario, imbarazzata.
- Oddio, tesoro, mi dispiace… - mugola dispiaciuta, - Non ti ho sentito! Spero di non avere esagerato…
Davide gli lancia un’occhiataccia talmente truce che Mario ricaccia nel fondo della gola qualsiasi minuscolo desiderio di chiedere dell’altra spremuta, e si limita a sorridere, stringendo il bicchiere fra le mani e cominciando a mescolare lo zucchero con il cucchiaino, anche se l’operazione non è per niente facile, considerando la resistenza che i granelli raggrumati oppongono ai suoi gesti.
- È perfetta così. – la rassicura, - Mi piace molto dolce.
Davide torna a mangiare ciò che resta della propria arancia e Mario manda giù qualche sorso di quella spremuta dolce in maniera quasi nauseante, tutto per vedere Tami sorridere compiaciuta e sedersi al proprio posto, di fronte ad un piatto di fette biscottate già imburrate sulle quali prende a spalmare quattro o cinque tipi diversi di marmellata, creando dei piccoli disegni con la conserva – un fiore, un sole, un bambino stilizzato – che sono tanto carini che a Mario quasi dispiace accettarne una e mangiarla. Ma è ciò che Tami vuole, e Mario comincia a capire com’è che funzioni in quella casa. Non è più tanto sicuro di trovarsi in un posto normale, ma in compenso è certo al duecento per cento di trovarsi in un posto piacevole, perciò può starci.
José passa appena per la cucina, ruba una fetta biscottata a Mario, uno spicchio d’arancia a Davide e un bacio a sua moglie ed esce, stringendo fra le mani il giornale di oggi. Mario lo osserva completare il suo giro di furti autorizzati attorno al tavolo e poi fuggire a lavoro con un saluto gridato a gran voce dall’ingresso, e poi osserva Tami scattare in piedi e chinarsi a recuperare un grembiule appoggiato sullo schienale di una sedia.
- Ora si lavano i piatti! – decreta entusiasta, - Ragazzi, andate pure fuori a divertirvi.
Davide si alza in piedi e Mario decide di seguirlo, e prima di uscire dalla cucina riesce a cogliere appena un pezzetto del sorriso infantile e deliziato col quale Tami costringe Beppe ad indossare il grembiule che Mario pensava avesse preso per sé.
- Devi chiamarla mamma. – gli fa sapere Davide mentre lui continua a seguirlo verso chissà dove, gli occhi per qualche motivo incollati al lento ondeggiare delle sue braccia lungo i suoi fianchi, mentre cammina, - Altrimenti non ti sente nemmeno.
- Mh. – annuisce lui, fingendo di capire, - Ed è normale, questo? – chiede curiosamente, mentre Davide apre una porta e lo invita ad entrare in una specie di piccolo spogliatoio da una finestra del quale si vede la piscina.
- Normale? – ridacchia appena Davide, lanciandogli un’occhiata divertita, - A te sembra normale?
- No, direi di no. – borbotta lui, per tutta risposta, osservandolo dirigersi verso un armadietto, - Ma non intendevo quello. Intendevo se è normale che mi ignori se non la chiamo mamma o se sia soltanto una questione di tempo. Cioè… magari per ora vuole essere chiamata mamma, - ipotizza, guardandosi intorno a disagio quando Davide recupera un costume dall’armadietto e lo posa distrattamente su una panchina, cominciando a spogliarsi, - però fra qualche tempo, diciamo qualche mese, gli andrà bene anche se la chiamo Tami e basta. Si abituerà, dico, credo.
Davide gli lancia un’occhiata un po’ incerta, piegando sommariamente la maglietta ed appoggiandola sulla panca accanto al costume, mentre comincia a sbottonare i jeans.
- Lo zingaro ha quasi trent’anni e la chiama ancora mamma. – lo informa con una scrollatina di spalle, abbassando in un colpo i jeans fino alle caviglie, mentre Mario distoglie lo sguardo.
- Lo zingaro? – chiede, più che per reale interesse nell’argomento, per fare conversazione e ignorare la realtà dei fatti per la quale il suo fratellastro è lì a dieci centimetri da lui che si toglie anche le mutande per infilarsi il costume da bagno.
Davide annuisce sovrappensiero.
- Zlatan. – precisa.
- È… il terzo?
- Già. – annuisce ancora Davide, sistemando gli slip perché non lo infastidiscano ed annodando il laccetto che pende sul davanti. Sono arancioni e il colore è vivissimo esattamente come quello dell’arancia che ha mangiato a colazione. Evidentemente deve piacergli. – Non credo lo vedrai spesso da queste parti, purtroppo. – aggiunge con un sospiro che sembra davvero lievemente dispiaciuto.
- Sì, mi ha già detto qualcosa José.
- Papà.
- José. – insiste lui, piccato, - Ho già chiamato “papà” troppi uomini che poi mi hanno accompagnato gentilmente alla porta. Quindi, se permetti, finché non deciderò io, è José e nient’altro.
Davide sbuffa, appendendo le mani ai fianchi magri e sporgendo un po’ il bacino in avanti con aria a metà fra l’oltraggiato e l’ostinato.
- Certo che permetto. – ringhia acido, - Ma vedi di non lasciarti sfuggire un José di troppo di fronte a mamma. Chiamalo papà, almeno davanti a lei. Ci tiene a queste cose. – e poi lo omaggia di una lunga occhiata silenziosa, un’occhiata che sembra radiografarlo per intero. – Non metti il costume? – chiede quindi, - Come intendi passare tutta l’estate?
Mario inarca le sopracciglia, ricambiandogli l’occhiata stranita.
- Tu non esci? – domanda incerto, e Davide scrolla le spalle.
- Non mi diverto granché con quelli della mia età. Ogni tanto esco con Zlatan e i suoi amici, comunque.
Mario prende atto – soprattutto del fatto che Davide potrà avere, quanto, massimo sedici anni, a giudicare dall’aspetto?, ed esce praticamente solo con trentenni o quasi – ed annuisce silenziosamente, guardandosi intorno come a cercare qualcosa.
- Uno di questi armadietti dovrebbe essere mio? – chiede indicandone uno a caso. Davide li passa velocemente tutti in rassegna con gli occhi, fermandosi trionfante sul penultimo della fila.
- Non dovrebbe, è. C’è anche scritto il tuo nome sopra. – gli fa notare, spostando il suo dito col proprio finché non indica l’armadietto giusto. – Di sicuro Andrea ci avrà già messo dentro tutto. Io comincio a buttarmi, sto già morendo di caldo. – lo liquida, mentre con uno sbuffo esasperato cerca di liberare la fronte dalla frangetta asimmetrica che la copre quasi interamente.
Mario lo osserva andar via e si cambia in fretta – il suo costume da bagno è davvero lì nell’armadietto, assieme ad un accappatoio e un paio di ciabatte nuovo. C’è una grossa M ricamata in un bel corsivo nero, proprio sul cappuccio. Mario la sfiora con due dita prima di sistemare meglio i boxer ed uscire all’aperto, in giardino. Il sole picchia forte sulla sua testa, ma la sua pelle è scura e ruvida e temprata dai lunghi mesi di giardinaggio – “Ti servirà!”, diceva il direttore, ed evidentemente aveva ragione lui, come quasi sempre – perciò lui lo sente appena. Davide sta galleggiando nel mezzo della piscina. Steso a pelo d’acqua, il suo corpo luccica come fosse ricoperto di brillanti, e l’espressione rilassata del suo viso assume sfumature ancora più tenere e infantili a causa dei capelli lunghi e umidi che gli si appiccicano sulla fronte e sulle tempie. Mario scivola in acqua e poi al suo fianco, galleggiando a propria volta, cercando di mantenere il silenzio. In realtà gli dispiace disturbare, ecco tutto, e gli sembra di stare già disturbando abbastanza. Mentre osserva con la coda dell’occhio Davide aprire gli occhi e fissare un punto imprecisato in alto nel cielo, non può fare a meno di ripensare alle parole del direttore: in casa Mourinho si adotta solo quando si vuole un figlio. Si chiede chi è che lo volesse, questo figlio, perché a José sembra non fare la minima differenza, mentre Davide pare proprio che un altro fratello non lo volesse nemmeno per tutto l’oro del mondo. Il desiderio non può che essere partito da Tami.
- Senti, ma… - inizia, muovendo appena le braccia sulla superficie, per restare accanto a Davide anche quando lui si sposta di qualche centimetro, - si sa cos’ha? Cioè, perché è così? Intendo Tami.
Davide ride appena, continuando a fissare il cielo.
- Tutti intendono mamma, quando parlano con quel tono lì. – commenta distaccato.
- Io non ho usato nessun tono. – protesta Mario, offeso.
- Probabilmente non te ne sei accorto. Io non faccio che sentirlo da anni, lo riconosco. Comunque – sospira, muovendo appena le gambe, - non è un problema se chiedi. Fintanto che sai che non riceverai risposta.
Mario aggrotta le sopracciglia. I misteri non gli piacciono e non capisce come sia possibile fidarsi di qualcuno se quel qualcuno ti porta in casa sua senza dirti che la tua futura madre è pazza e, soprattutto, senza spiegartene i motivi.
- Cos’è, segreto di stato? – domanda in un borbottio irritato. Davide scuote lentamente il capo.
- Sono solo affari di mamma e papà. Te ne parlerà papà, quando sarà il momento.
Mario smette di guardarlo e cerca con gli occhi lo stesso spicchio di cielo che Davide pare fissare con smisurato interesse.
- Non vedo quale sia il problema. Perché non dovrebbero dirmelo adesso?
- E tu perché non vuoi chiamarli papà e mamma già adesso? – ritorce Davide con un sorrisino divertito. Dopodiché si rimette dritto, si immerge all’improvviso e in un secondo rispunta in superficie dopo aver oltrepassato il corpo di Mario – che se l’è sentito scivolare contro la schiena in un movimento talmente naturale da non poter dubitare neanche per un secondo della sua casualità, eppure… eppure.
Mario si rimette dritto a propria volta, resta lì a galleggiare per qualche secondo mentre osserva Davide raggiungere svelto il bordo della piscina ed uscirne facendo forza sulle braccia. È costretto a distogliere lo sguardo quando lui si piega in avanti, sporgendo il sedere per poggiare le ginocchia per terra e poi risollevarsi in piedi, cercando le infradito a tentoni nell’erba del prato che circonda la piscina, il costume arancione che si tende attorno ai suoi glutei piccoli e sodi e Mario che improvvisamente sente molto più caldo di quanto non dovrebbe essere umanamente possibile, ed è costretto ad andare sott’acqua con tutta la testa, strizzandogli occhi e trattenendo con forza il respiro per cercare di cancellare dalla mente ciò che ha visto e pensato e voluto e, soprattutto, ciò che ha pensato di voler vedere.
Quando riemerge respira profondamente, si dà del pessimo fratello – perché non si sente tale – si dà del pessimo figlio – perché ha paura di non sentirsi neanche questo – e poi abbandona la piscina, fa una breve doccia e s’infila nello spogliatoio, alla ricerca dell’accappatoio che sogna di usare da quando l’ha accarezzato prima di seguire Davide in giardino. Lo indossa, se lo stringe addosso, chiude la cintura alla vita e decide di andare in giro così, tanto quella casa sembra una villa al mare e tutti i suoi abitanti pare facciano solo il cavolo il cavolo che vogliono. Non che questo sia un male, dopotutto, è estate, c’è caldo, la sua matrigna è pazza, il suo patrigno chissà dov’è e chissà come può permettersi di pagare per tutto ciò, il suo fratellastro è bellissimo e lui non dovrebbe pensare niente del genere, ma è tutto a posto, è tutto perfetto, è tutto tranquillo. E lui deve calmarsi.
- Mario? – chiede Beppe, quando se lo vede apparire in accappatoio in cucina, - È tutto a posto? Ti vedo un po’ scosso.
- Ho solo sete. – risponde burbero lui, ficcando la testa nell’enorme frigorifero metallizzato che occupa quasi metà di una delle pareti, - È rimasto un po’ di succo d’arancia, da stamattina?
- Credo di sì. – risponde il maggiordomo, vagamente confuso, - Ma Tami ha davvero esagerato con lo zucchero, forse-
- Andrà benissimo. – lo interrompe spiccio, recuperando la caraffa e posandola con un tonfo sul tavolo, prendendo direttamente dalle mani il bicchiere che l’uomo gli porge, e riempiendolo fino all’orlo. – Ho bisogno di zucchero.
Beppe gli lancia un’occhiata strana e Mario, a disagio, si stringe con più forza dentro l’accappatoio, quasi a sparirci dentro, ma non è molto facile, visto che non è magro come Davide e la sua schiena non è flessuosa quanto la sua e oh, no, sta ricominciando, così non va per niente bene. Deve. Decisamente. Calmarsi.
- Sei sicuro che sia tutto a posto? – insiste il maggiordomo, - Ti vedo teso. – aggiunge con una mezza risatina.
Mario lo sferza con un’occhiataccia tagliente, sorseggiando l’aranciata.
- Ahaha. – finge di ridere, - Molto divertente.
Beppe ride a propria volta, battendogli una manata comprensiva sulla spalla.
- Sei giovane e forte, può succedere!
“Sono giovane, forte e gay,” aggiunge mentalmente Mario, “può succedere. O anche no.”
È tutto quello a cui riesce a pensare – quello, l’essere probabilmente omosessuale, l’effetto che questa scoperta avrebbe su se stesso e sulla sua vita, qualora fosse vero – è tutto ciò che riesce a realizzare assieme alla forma del corpo di Davide, impressa con tale forza nella sua memoria da risultare impossibile da ignorare. È con quell’immagine fissa in mente che Mario scioglie il nodo della cintura e lascia scivolare le mani oltre l’orlo ancora umido del costume, è con quell’immagine fissa in mente che si accarezza piano, chiudendo gli occhi e cercando di modulare il respiro perché non si faccia troppo affannato mentre le sue dita lo stringono e lo sfiorano e si chiudono con più decisione attorno alla sua erezione ormai dolorosamente tesa, e l’immagine resta lì, dannazione, inchiodata come un dannato quadro al muro, anche quando qualcuno apre la porta e si annuncia con voce squillante – “Mario? Tami si chiedeva- oh, Dio, scusa!” – e Mario si risistema in fretta e furia, imbarazzato oltre ogni dire, pensando che, non fosse nero, a quest’ora avrebbe già cambiato colore, e invece di distrarlo, invece di portarlo a vergognarsi, questo pensiero gli riporta Davide alla mente sotto una veste nuova, e lui si chiede “chissà come arrossirebbe se lo toccassi, lui che ha la pelle così chiara”, ma non c’è tempo per approfondire il concetto, c’è José fuori dalla sua porta che continua a chiedere scusa, mortificato, e Mario deve assolutamente dire qualcosa.
- Jo- - prova a chiamarlo, ma lui lo interrompe subito, concitato.
- Avrei dovuto bussare. – dice serio, - Non sentirti in imbarazzo.
“Come fosse possibile,” pensa Mario, sfiduciato, poggiando la fronte contro la porta. È lì da meno di una settimana e ha già un mucchio di problemi. Storia vecchia, si dice, lui ha sempre un sacco di problemi, in genere, ma almeno i problemi con le altre famiglie erano di palese insofferenza: litigavano, rimediava qualche ceffone, qualche insulto, qualche “vedi tu questo negro di merda presuntuoso e irriconoscente”, ma finiva tutto lì, non desiderava di scoparsi uno a caso fra i suoi fratellastri e decisamente non si faceva beccare da nessun padre mentre stava in camera, intendo a masturbarsi pensando ad uno dei suoi adorati figlioli. Questo è un problema diverso, e per un secondo pensa con rabbia al direttore e vorrebbe averlo davanti agli occhi per il solo piacere di dirgli “vede? Avevo ragione io. Non sono adatto ad avere una famiglia. Se mi hanno mollato che avevo appena cominciato a respirare, un motivo ci sarà stato, no?”.
Ma il direttore non c’è, c’è solo la porta e José dall’altro lato che resta immobile, e Mario deve trovare qualcosa da fare. Non necessariamente qualcosa che risolva la situazione, solo qualcosa per tenere impegnate le mani e il cervello, o impazzirà.
- Mi dispiace. – mormora confuso, - Non lo farò mai più.
La porta si spalanca di fronte alla sua faccia con una velocità tale che lui si sente quasi risucchiato all’esterno dallo spostamento d’aria. José è lì che lo guarda come fosse un alieno alato – o, molto più probabilmente, come avesse appena detto la cosa più stupida mai partorita da mente umana.
- Hai appena diciott’anni, - gli dice con aria allucinata, - e vuoi darmi a bere che non ti farai mai più una sega in vita tua? Lo sai che è una promessa che non puoi mantenere?
Mario lo guarda per un secondo con sincero sconcerto, e poi aggrotta le sopracciglia.
- Ma non è questo il punto! – protesta agitando le braccia, - Intendevo che mi dispiace davvero!
José lo osserva gesticolare e poi ride, socchiudendo gli occhi, divertito.
- Sempre meglio chiarire. – gli spiega, - Non ho un bel rapporto con i “mai più”.
Mario sbuffa e serra la cintura dell’accappatoio attorno alla vita.
- Te l’ha mai detto nessuno che siete completamente suonati, in questa casa?
José ride ancora, quasi compiaciuto.
- Chiunque. Più volte, alcuni. Come ti senti a fare parte del gruppo? Ti ci ritrovi?
Mario scrolla le spalle e sbuffa ancora, solo per non rispondere, perché teme che la risposta, se proprio dovesse esprimerla ad alta voce, sarebbe un gigantesco e devastante sì. Probabilmente anche rosa fosforescente, gommoso, pacchiano e illuminato da lucine al neon a forma di cuore. O forse solo arancione, come il costume di Davide, come il succo che gli imbrattava le labbra.
- Mario! – biascica Tami, apparendo in corridoio oltre le spalle di José, - Non ricordo se ti piace lo sgombro, e tuo fratello non me l’ha saputo dire!
Non è che Tami non ricordi, pensa Mario con una certa sottile tristezza della quale proprio non saprebbe definire il motivo, anche se riesce ad identificarlo perfettamente con la sfumatura un po’ malinconica che adesso imbratta la serenità del sorriso di José, non è che Tami non ricordi, è che Tami non lo sa. Lui non gliel’ha mai detto. Mario realizza d’improvviso che ha un sacco di cose da fare per diventare parte di quella famiglia, e si sforza di sorridere nonostante la figuraccia e nonostante i pensieri molesti.
- Mi piace, mamma, - borbotta, - te lo dimentichi sempre! – aggiunge in tono lamentoso.
José si volta a guardarlo spalancando gli occhi, forse stupito da ciò che ha appena detto ma indubbiamente compiaciuto dalla sua prontezza di spirito.
- Lo so! – mugola Tami, inarcando comicamente le sopracciglia verso il basso e lasciandosi andare ad un’adorabile espressione da cucciolo ferito che lascia presto spazio ad un sorriso leggero e smagliante, quando stringe con decisione le mani attorno al cucchiaio di legno che ha portato con sé quando è salita al piano di sopra, - Per farmi perdonare, avrai il creme caramel per dolce! Quello me lo ricordo che ti piace!
E no, quello non gli piace, ma non sarà certo lui a lamentarsi quando, un’ora dopo, seduto al tavolo da pranzo – con José che parla divertito dell’incontro che ha avuto con George Clooney dal pescivendolo mentre comprava lo sgombro, Tami che ride divertita ad ogni battuta del marito, Davide che non riesce a staccargli gli occhi di dosso neanche per sbaglio ed una sorta di gelosia strisciante a farsi strada nel suo petto come veleno che entra in circolo dopo il morso di un serpente – si ritroverà nel piatto una porzione abbondante di budino gelatinoso ricoperto di caramello. Manda giù quello, manda giù anche la gelosia e manda giù il groppo in gola che già si fa sentire al solo pensiero di ritrovarsi stasera da solo nel letto, troppo buio e troppo silenzio intorno e troppo Davide a riempire la testa per poter dormire in pace.
*
Note. A distanza temporale record rispetto al primo capitolo, ecco a voi il secondo, sul quale si è verificato il piccolo miracolo che Def non avesse nulla da sistemare in fase di betaggio *_* Perdonatemi mentre squittisco e mi commuovo, visto che non mi capita quasi mai che non ci sia niente da rimettere a posto ;_; Grazie Def per essere meraviglioso ç_ç E mi scuso con Mario perché, poveretto, l’ho infilato in una situazione allucinante, circondato da gente allucinante. *lo coccola* È palese che il piccino, qui, non sopravvivrà a Davide. D’altronde è difficile sopravvivere a Davide. Io non ci sono mica riuscita XD
Orange Crush, la canzone che dà il titolo a questo capitolo, è dei R.E.M <3