Genere: Generale.
Pairing: Davide/Mario, Zlatan/José, Davide/José (onesided).
Rating: R
AVVISI: AU, Slash.
- Mario fa entra ed esci dall'orfanotrofio da quando aveva due anni. Nessuna famiglia sembra riuscire ad accoglierlo nel giusto modo, e perciò non vede perché dovrebbe essere diverso, stavolta. Solo che lo sarà. Lo sarà eccome.
Note: ;___; Commozione, è finita!!! Voi non potete capire cosa vuol dire per una donna come me – una che le storie sa (quasi) sempre quando le comincia ma mai quando (e se!) le finisce – riuscire a concludere una fic a capitoli. In un tempo prestabilito, poi, e senza sbavature! Sette settimane, ci ho messo, e mai un ritardo. E amo oggi questa famiglia di disastrati esattamente quanto l’amavo il primo giorno, perché piano piano ho imparato a conoscerli assieme a Mario. E nonostante il finale tremendo (me lo dico da sola ._. Odiatemi) mi resteranno sempre nel cuore. *sparge affetto*
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NEW COLORS TO PAINT THE WORLD
mellow yellow


Mario non riesce a capire se sia più acceso il giallo bruciante del sole che splende inondando di luce tutto l’intero immenso giardino di villa Ratti, o quello bitorzoluto e chiarissimo della buccia della fetta di limone che Davide sta tenendo fra le labbra, mentre prende il sole steso sulla sdraio accanto alla sua. Quand’è arrivato, quella mattina, Davide stava già lì a succhiare il suo limone; ormai sono quasi tre ore che stanno lì ad essiccare di fronte alla piscina, e mai, nemmeno una volta, lo spicchio ha abbandonato le labbra di Davide, perciò Mario può ragionevolmente ipotizzare non sia rimasto proprio più niente da succhiare. Si chiede perché Davide invece continui a insistere e si chiede anche se una cosa del genere sia in qualche modo indicativa della sua personalità. Poi aggrotta le sopracciglia e si dà del cretino da solo, perché se deve ridursi a cercare di capire cosa c’è nelle teste dei suoi familiari analizzando il modo in cui succhiano frutti il cui gusto, peraltro, lui odia, allora non solo è arrivato al fondo, ma lo sta pure raschiando.
- Mi consumerò. – dice all’improvviso Davide, e le lettere escono impastate, scivolando con difficoltà fra la lingua, il palato e la fetta di limone. Mario stabilisce che non importa se sia più acceso il giallo del sole, rispetto a quello della buccia: la seconda è decisamente più interessante da osservare.
- Uh? – chiede a mezza voce, sollevando lo sguardo dalla sua bocca ai suoi occhi, impegnati comunque a fissare annoiati il pelo dell’acqua.
- Se continui a guardarmi, - precisa Davide con un mezzo ghigno, sfilando la fetta solo per un attimo e rimettendola in bocca ancora prima di concludere la frase, - mi consumerò.
Mario deglutisce, a corto di fiato.
- Non ti stavo guardando. – prova a difendersi, voltandosi a fissare a propria volta la superficie dell’acqua, così immobile da sembrare solida. Il caldo è secco e non c’è neanche un filo di vento. Mario sta sudando ma non è proprio sicuro che sia colpa del sole. Davide sta sudando anche lui, e l’unica cosa di cui Mario è sicuro è che da guardare è bellissimo. Quindi sì, ok, forse lo stava guardando davvero. Un po’. – Mi stavo solo chiedendo perché continui a succhiare quella fetta di limone.
Davide scrolla le spalle, tornando a sfilare lo spicchio dalla bocca e guardando con attenzione ciò che ne resta – la curva ormai priva di polpa della buccia, un’onda perfetta di giallo e bianco, e praticamente nient’altro.
- Avevo il singhiozzo, stamattina. – spiega in tono neutro, - Mamma me l’ha data come rimedio.
- Be’, il singhiozzo è passato, adesso. – obietta Mario.
- Mi piace il sapore degli agrumi. È aspro. – aggiunge Davide, e scrolla ancora le spalle, come fosse una cosa della minima importanza. La cosa buffa è che lo è, è davvero una cosa della minima importanza, ma per Mario è fondamentale, adesso, capire perché Davide continui a succhiare la dannata fetta di limone, e quindi insiste. E non lo sa perché sia così fondamentale, sa solo che lo è.
- Ma non è rimasto più nulla attaccato alla buccia. – puntualizza, indicando anche la fettina con l’indice, e Davide sbuffa platealmente, con tanta forza che la sua frangetta si scuote, ricadendo morbidamente di lato e appiccicandosi un po’ alla tempia sudata.
- Tu hai bisogno di una motivazione per tutto? – chiede, rassegnandosi finalmente a guardarlo come in una conversazione normale.
- Come sarebbe a dire? – borbotta Mario, a disagio ora che gli occhi scuri di Davide fanno a gara coi suoi per vedere chi dei due resisterà più a lungo prima di abbassarli. – Le persone, in genere, quando fanno qualcosa, lo fanno per un motivo.
- Magari no. – inclina un po’ il capo Davide, stendendosi più comodamente contro lo schienale della sdraio, - Magari, boh, avevo solo voglia di succhiare qualcosa.
Mario rabbrividisce, perde la gara e distoglie lo sguardo.
- Allora… - comincia a fatica, - il motivo è questo, avevi voglia, punto.
- Le voglie non sono un motivo. – contesta Davide con un sorrisino furbo, - Le voglie sono irrazionali. Ne sai qualcosa tu, mh?
Mario si inumidisce le labbra, continuando a fissare un punto imprecisato fra il prato e la piscina ancora per qualche secondo, prima di rassegnarsi e tornare a incontrare gli occhi di Davide, che dal canto loro non hanno mai smesso di scrutarlo in un misto di curiosità e divertimento, negli ultimi minuti.
- Ti diverti? – chiede, non senza un certo astio, stringendo la presa delle mani attorno ai braccioli della sdraio. Davide risponde con una mezza risata.
- Un po’. – ammette, e il suo sorriso, per la prima volta da quando Mario lo conosce – e sono già passate più di tre settimane – sembra perfino sincero. – Ma potrebbe essere ancora più divertente, in realtà.
- Non riesco a immaginare come. – sbotta sarcastico Mario, con uno sbuffo esasperato.
Davide gli lascia scorrere addosso uno sguardo più che intenso, scivolando lento lungo il suo collo, le sue spalle, il suo petto e la sua pancia, fermandosi poi in un punto che Mario non riesce a identificare con precisione ma che sa, per istinto, essere anche troppo vicino al cavallo dei bermuda che indossa.
- Oh, io sì. – dice la sua voce, soffice e sottile come venisse da dentro la sua testa, - Io ci riesco perfettamente.
Mario trattiene il fiato così a lungo che dopo un po’ si sente confuso, e quando rilascia il respiro quello viene fuori rumoroso e pieno, troppo perché Davide possa ignorarlo. Mario lo osserva ridere con un certo compiacimento, mentre si stiracchia pigramente sulla sdraio, stendendo gambe e braccia in un gesto tremendamente infantile.
- Quando l’hai capito che ti piacevano i maschi? – gli chiede con naturalezza, e Mario si ritrova a valutare concretamente l’ipotesi di sfilare i pantaloni e gettarsi in piscina con tutte le mutande, nel tentativo di mitigare la temperatura insopportabilmente alta del proprio corpo.
- Non mi piacciono i maschi. – scolla con una certa difficoltà, mentre Davide riprende a giocare con la fettina di limone fra i denti.
- Ti piaccio solo io? – lo prende in giro, e Mario aggrotta le sopracciglia.
- Sarebbe troppo chiederti di piantarla?
- Sì. – ride cristallino Davide, piegandosi in avanti ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia mentre si siede con le gambe incrociate, - Seriamente, se senti cose del genere, dovresti provare. Io ho provato a sedici anni, e-
- Aspetta, aspetta… - lo ferma Mario sgranando gli occhi. È tanto confuso da non sapere cosa dire – o meglio, non sapere da dove cominciare – perciò parte dal basso, dall’informazione più stupida. - …non hai sedici anni?
Davide lo guarda con un misto di curiosità e stupore, come stesse chiedendosi se sia cretino davvero o si diverta solo a fingerlo. Mario vorrebbe rispondergli che sì, evidentemente è cretino davvero, si mettesse il cuore in pace.
- Ne ho diciotto. – lo liquida con un gesto spiccio, - Comunque, ti dicevo, a sedici anni ero confuso e tutto, no?, sai le cazzate che ti dici quando sai che qualcosa ti piace ma non riesci ad ammetterlo, un po’ come quando guardi Dawson’s Creek e dici ai tuoi amici sì, ma è perché a quell’ora in tv non c’è nient’altro e almeno quella è una cazzata e non mi distraggo dallo studio e poi invece sai a memoria vita morte e miracoli anche di Bessie Potter, comunque-
- Davide… - lo interrompe ancora Mario, massaggiandosi confuso le tempie, - il punto?
- Il punto – sbotta Davide, offeso, - è che avrei continuato a rimuginare come un cretino se un bel giorno lo zingaro non mi avesse baciato.
- …oh. – è tutto ciò che Mario riesce a lasciarsi sfuggire dalle labbra, sempre più orientato verso il salto in piscina per allontanarsi il più possibile da tutto ciò che sta vedendo e sentendo e pensando e tutto il resto. Davide lo confonde in modi illegali, dovrebbe tapparsi la bocca e, mentre pensa una cosa simile, per la sua mente passano anche un paio di immagini sui metodi più efficaci per ridurlo al silenzio, e sono metodi illegali tanto quanto lui. – Cioè…
- Non siamo davvero fratelli, mh? – ride Davide, - Cerca di ricordartelo. Comunque non è stato un momento così romantico, non ti fare strane idee. Ero lì in camera sua che stavo cercando di tirare fuori questo rospo enorme dalla gola quando a un certo punto lo vedo sbottare un “oh, Cristo, Dà, fa’ silenzio”, mi si china addosso e mi bacia. Il mio primo bacio, lingua e tutto, ci sei? – aspetta di vederlo annuire confusamente, prima di continuare, - E poi niente, si allontana e fa “allora, piaciuto?”. Io annuisco, non è che ci stia molto con la testa, e lui sorride e aggiunge “ottimo. Benvenuto nel club. Ora te ne torni a studiare? Devo essere fuori di casa fra dieci minuti”. Fine della storia.
Fine della storia, si ripete mentalmente Mario. L’inizio della fine.
- …il club. – sillaba Mario, la gola secca, - Che razza di modo di dirlo. È anche esclusivo?
- Meno di quanto immagini. – ride allegro Davide, gettando scompostamente i piedi giù dalla sdraio e saltando in piedi al fianco di Mario. – Allora. Visto che non ti decidi… - e si avvicina con aria ammiccante, le labbra piegate in un sorriso da mordere.
- Oh, oh! – cerca di fermarlo Mario, mettendo le mani avanti, - Io non ti ho dato il permesso!
Davide poggia i palmi contro i suoi e ride, intrecciando le loro dita e molleggiando un po’, spostando il peso dalle punte ai talloni solo per osservare i muscoli delle braccia di Mario rilassarsi e contrarsi per reggerlo.
- Io non l’ho chiesto. – gli fa notare, sollevando una gamba e sedendosi a cavalcioni su di lui, come un bambino.
“Ha ragione”, pensa distrattamente Mario mentre sente il bacino di Davide scivolare lento contro il proprio, in un movimento che non riesce a capire se sia un modo per sistemarglisi addosso o solo un tentativo di farlo definitivamente impazzire. Davide guida le sue mani finché non gli stringono i fianchi, Mario osserva le proprie dita lunghe e scure pressarsi contro la sua pelle abbronzata e lasciare un segno appena più chiaro quando si chiudono con un po’ più di forza attorno alla sua vita sottile.
- Ti piace, fino ad ora? – chiede Davide in un sospiro rovente contro il suo orecchio. Mario annuisce senza pensarci davvero, Davide odora di limone e probabilmente del limone ha anche il sapore. Vuole assaggiarlo anche se le cose aspre non lo esaltano particolarmente. Per una volta, non è un problema, visto che ad esaltarlo è Davide in sé.
Davide poggia le mani aperte su quelle di Mario, le guida ancora, con più determinazione, finché non si posano sui suoi glutei. Li sporge indietro per aiutarlo ad afferrarli con maggiore decisione e Mario si stupisce di quanto siano piccoli. Entrano nella sua presa senza sforare di un millimetro, sembrano fatti apposta. E questo non è possibile.
- Stringi… - sussurra Davide. Mario obbedisce senza esitazioni, il profumo di Davide lo stordisce. Gli passa un attimo per la testa che c’è una possibilità che Tami venga fuori in giardino a controllare le rose, anche se ci ha già passato una buona metà della prima mattinata ed è quasi sicuro che Beppe non la lascerebbe uscire col sole che picchia così forte, ma oh, anche se ci fosse una concreta possibilità di vedere la signora uscire davvero, Mario non crede che riuscirebbe a fermarsi. La consistenza di Davide sotto i polpastrelli, nonostante il tessuto del costume sia un po’ ruvido e opponga una certa resistenza alle sue carezze, è piacevolissima. Troppo per rinunciarvi. Troppo anche per pensare di rinunciarvi, e infatti Mario non ci pensa nemmeno, e Davide non ha bisogno di chiedergli di infilare le dita oltre l’orlo degli slip, alla ricerca di pelle calda e un po’ umida di sudore da sfiorare senza impedimenti.
- Dio… - gli sfugge dalle labbra in un grugnito frustrato, senza che lui nemmeno se ne accorga. Davide risponde con un mugolio divertito, poggiando le mani sulle sue spalle e lasciandole scivolare in una carezza lentissima sulle braccia e poi dietro, sulla schiena, seguendo la traccia delle scapole e della spina dorsale. Mario si piega un po’ in avanti per lasciargli campo libero, gli piace la sensazione delle sue dita sulla pelle, ed anche quella delle sue braccia sulle spalle. Davide è leggerissimo, ma morbido.
E quando si allontanano appena, di pochissimi centimetri, solo per guardarsi negli occhi, nello sguardo di Davide Mario legge il riflesso della propria voglia, e si sporge un po’ nella sua direzione, seguendo l’odore lieve del limone – improvvisamente per nulla fastidioso – di cui lascia traccia il suo respiro.
- Baciami. – esala Davide, la voce arrochita dal desiderio. Mario avanza, poggia le labbra sulle sue, le forza con la lingua e finalmente lo assaggia, affondando nella sua bocca con impeto mentre con una mano continua a stringere con forza una sua natica e l’altra mano scorre lungo la sua schiena magra e flessuosa, raggiunge la nuca e lo tira contro di sé, perché sia il più vicino possibile, tanto vicino da perdere il senso della misura, del tempo e dello spazio.
Davide mugola fra le sue labbra, gli si sistema meglio in grembo e stringe le ginocchia attorno ai suoi fianchi. Mario non ci vede più – probabilmente perché ha gli occhi chiusi e, anche se li aprisse, ora che scivola con le labbra sul collo di Davide vedrebbe solo le punte dei suoi capelli e la luce abbagliante del sole estivo che si riflette sull’acqua della piscina – si spinge contro di lui, segue il ritmo dei suoi gemiti e lo trova perfetto, così perfetto che le sue orecchie, per molto tempo, riescono a percepire solo quello.
La voce di José fa fatica ad infiltrarsi nella trama strettissima dei respiri di Davide. Fa fatica, ma quando ci riesce esplode nel cervello di Mario fino a fargli dolere i timpani.
- Ma che state combinando? – chiede in tono neutro. Non sembra sconvolto, probabilmente davvero non lo è. Davide smette di baciarlo e Mario si congela sul posto. Lo osserva sollevare lo sguardo su José e fissarlo con aria di sfida, senza mollare neanche per un secondo la presa sulle sue spalle. – Davide?
- Fastidio? – ringhia fra i denti. Mario lo guarda e si sente usato, e non riesce nemmeno a capire perché.
- Niente giochetti, Davide. – sospira José, - Alzati. – Davide obbedisce, sparendo nello spogliatoio con uno sbuffo annoiato, e Mario resta lì sulla sedia, le spalle a suo padre o a colui che dovrebbe esserlo, sudato e sconvolto. – Mario? – lo chiama José. Mario è troppo imbarazzato per rispondere. – Dai. – lo esorta, poggiandogli una mano sulla spalla, - Vieni dentro. Parliamo un po’.
Per la verità, l’ultima cosa che Mario vorrebbe fare è parlare, in questo momento. È duro ed è a disagio ed è a disagio perché è duro. E vuole Davide. Non importa se quello che stavano facendo su quella sedia a sdraio era una presa in giro nei suoi confronti o una sfida aperta nei confronti di José – a che pro, poi? – tutto ciò che Mario sa è che vuole tornare a sentirlo sotto i polpastrelli e sulla lingua esattamente come lo stava sentendo prima.
E invece gli tocca stare seduto su una scomoda poltrona in pelle marrone, nello studio di José, mentre lui si appollaia sulla scrivania e lo fissa con serietà, neanche dovesse annunciargli la morte di qualcuno o chissà che altra cosa gravissima. Mario si trova costretto a deglutire per non lasciarsi soffocare dall’ansia, ma quella scende a fatica lungo l’esofago e si blocca proprio a metà strada fra la gola e lo stomaco, infastidendolo al punto da costringerlo a due colpi di tosse tirati un po’ a caso nel tentativo di liberarsene.
- Non sono stato completamente sincero, con te. – esordisce José, il volto privo di espressioni particolari. – Avrei, credo, dovuto avvisarti.
- Riguardo a? – chiede Mario, un po’ stupito da quell’improvviso eccesso di sincerità.
- Tutto, in generale. – sospira José, accavallando le gambe, - Ci sono molte cose di questa famiglia che ancora non sai. Alcune probabilmente le hai già capite da solo, altre le imparerai col tempo. Altre ti verranno dette, prima o poi. Su alcune, però… - sospira ancora, come se affrontare quel discorso fosse per lui estremamente faticoso, - avrei dovuto metterti in guardia prima di portarti qui.
Mario si inumidisce le labbra, confuso e agitato.
- Davide è una di queste cose?
José si ferma a riflettere qualche istante, grattandosi il mento con aria pensierosa, prima di rispondere.
- Non è che sia proprio pericoloso. È che i ragazzi alla sua età sono confusi, e-
- Lui non mi sembra confuso.
- Appunto. – annuisce l’uomo, serio, - Lui non lo è. Alla vostra età, Mario, essere confusi è necessario. Parlando francamente, - sospira, spostandosi per sedersi più comodamente, - sarebbe assurdo se non foste confusi. Non sapete un cazzo del mondo, e quando non si sa un cazzo del luogo in cui si vive essere confusi è il minimo. A lui questa confusione manca del tutto, ed è quasi sicuramente colpa del modo in cui è cresciuto. Non posso che dichiararmi colpevole, su questo punto, ma quello che intendo dire-
- Quello che intendi dire – scatta Mario, sollevandosi in piedi e stringendo convulsamente i pugni, - non mi interessa! Questa famiglia è… voi siete completamente fuori! – quasi urla, sconvolto, - Non dovrebbero permettervi di adottare, e ora che ci penso, è normale che con una donna in quelle condizioni-
- No. – taglia corto José, scendendo dalla scrivania ed avvicinandoglisi deciso. È più basso di lui, ma Mario non può fare a meno di sentirsene intimorito, e indietreggia. – Non è normale. D’altronde, come ti dicevo prima, non sono stato completamente sincero con te, Mario, e potrei avere omesso qua e là qualche piccola irregolarità riguardo la tua adozione.
- Qualche piccola irregolarità! – ride Mario, passandosi una mano sulla fronte, - Cosa cazzo… cosa cazzo stai cercando di dirmi?
- Sto cercando di dirti che per Matilde farei di tutto, Mario. – dice lui, glaciale, - Te l’ho già accennato quando ci siamo conosciuti. Non esiste niente che possa frapporsi fra Tami e la sua felicità. Se qualcosa esiste, il mio unico compito è toglierla di mezzo. – sospira per l’ennesima volta, ravviandosi i capelli sul lato sinistro del capo. – Tami non sta bene, come hai già capito da solo. La legge le impedisce di avere figli in adozione. La natura le impedisce di avere figli suoi. Tami, però, i figli li vuole. E quando li vuole, io glieli do. Se, per questo, devo comprarli, non mi importa. Lo faccio e basta.
Il verbo comprare rimbalza fra i neuroni di Mario come un pallone da calcio. Il suo cervello sta giocando a torello col suo orgoglio e Mario non riesce a capire se dovrebbe lasciarlo fare ed adattarsi o imboccare la porta e scappare il più lontano possibile da quel posto.
José sospira ancora e Mario comincia a odiare il suono che fa l’aria quando passa fra le sue labbra.
- Non sto cercando di farti sentire poco amato o in soggezione, Mario. Ti abbiamo voluto davvero, è per questo che sei qui. Tami ti ha voluto ed io ho voluto la sua gioia, è solo per questo che vivi con noi. Sei amato davvero. Ma – e cambia repentinamente espressione, aggrottando le sopracciglia ed abbassando lievemente le palpebre su un paio d’occhi che luccicano di decisione, - se ti becco ancora una volta a fare cose simili con Davide in un posto in cui Tami può vedervi, ti butto fuori di casa senza pensarci neanche mezza volta. Sei avvertito.
Mario schiude le labbra, cerca qualcosa da dire e non la trova, perciò torna a serrarle ed abbassa velocemente lo sguardo, annuendo sbrigativo. È fuori dallo studio neanche due secondi dopo, e mentre imbocca le scale per salire al piano di sopra e trincerarsi in camera coglie di sfuggita uno spicchio di Davide che viene fuori dalla cucina, un’altra fettina di limone fra le labbra e sul viso l’espressione più innocente dell’universo intero. Gli viene voglia di prenderlo a schiaffi e invece si ferma e lo guarda, un piede già sul primo scalino e la presa salda sul corrimano.
- Singhiozzo di nuovo?
Davide annuisce lentamente.
- È molto arrabbiato? – chiede, la fettina di limone in bilico fra le labbra.
Mario aggrotta le sopracciglia.
- Sono più arrabbiato io. – conclude prima di sparire al piano di sopra.
 
*
 
Note. E ce la faccio anche a ‘sto giro *_*;;; Amen. XD Un grazie a Def che come al solito mi ha betato, e vivaddio la storia comincia ad andare da qualche parte. *commozione* Un bacio enorme a Gra. Lei sa perché. *ama* E… uhm *riflette* Amore su chiunque legga/commenti *_*
Il titolo è rubato a una famosissima canzone di Donovan. Mi piace perché mellow è un aggettivo con un sacco di significati diversi XD Vuol dire dolce, ma anche caldo e perfino maturo. E tutti i significati si adattano a questo capitolo, e tutto ciò io lo trovo amorevole XD *spuccia*

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