Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico, Triste.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: NC-17
AVVISI: AU, Lemon, OC, Slash.
- Del giorno in cui suo padre è andato via di casa, Matthew ricorda solo che era estate, che sua madre piangeva, che piangeva anche la televisione e che lui voleva un jukebox. Da quel momento, la sua vita è stato un inseguirsi di vuoti, nel disperato tentativo di evitare di prendere atto di un problema che non c'è ma forse dovrebbe esserci. O forse non dovrebbe esserci e invece c'è. Il successivo momento di non-vuoto è Brian. E Matthew che comincia a imparare che il problema non è tale solo se lo vedi. Lui c'è comunque. Sta a te affrontarlo.
Note: WIP.
Pairing: Matthew/Brian.
Rating: NC-17
AVVISI: AU, Lemon, OC, Slash.
- Del giorno in cui suo padre è andato via di casa, Matthew ricorda solo che era estate, che sua madre piangeva, che piangeva anche la televisione e che lui voleva un jukebox. Da quel momento, la sua vita è stato un inseguirsi di vuoti, nel disperato tentativo di evitare di prendere atto di un problema che non c'è ma forse dovrebbe esserci. O forse non dovrebbe esserci e invece c'è. Il successivo momento di non-vuoto è Brian. E Matthew che comincia a imparare che il problema non è tale solo se lo vedi. Lui c'è comunque. Sta a te affrontarlo.
Note: WIP.
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MAKE-UP FOR BOYS
CAPITOLO 6
SCHOOL CAN BE FUNNY TOO
[Ero abituato al sesso.
Non mi piaceva. Non riuscivo, anzi, a capire per quale motivo la maggior parte dei ragazzi che avevo incontrato nella mia vita dessero all’evento tanta importanza. Non capivo, per esempio, per quale motivo, per ottenere un pompino somministrato in fretta e furia nello sgabuzzino delle scope, fossero disposti ad abbassarsi al punto da usare la bocca di un essere che li disgustava, come succedeva sempre con me. O perché fossero disposti ad arrivare fino a malmenarmi per costringermi ad ubbidire.
Solo per una stupida bocca. O per una breve quanto dolorosa visitina nelle mie mutande.
Il sesso non mi piaceva, ma avevo imparato a tollerarlo. Faceva male, ma era meglio delle ossa rotte o delle viscere sconquassate al punto da costringermi a vomitare sangue non appena tornato a casa o al primo angolo di strada disponibile. Era un buon compromesso, in fondo. Io faccio un favore a te, tu non mi pesti a morte. Non era un affare vantaggioso, ma non era neanche completamente svantaggioso.
Perciò tutte quelle storie sull’incastro perfetto e la naturalezza dell’atto e la dolcezza dei baci e tutto il resto mi facevano semplicemente ridere. Ridere e basta. Di una risata sprezzante, oltretutto. Non c’era la benché minima traccia di dolcezza, nel sesso che avevo visto io. E l’atto non era naturale, era la cosa più innaturale dell’universo. Incastrarsi, poi, era talmente orribile e doloroso che per parlare di perfezione si sarebbe dovuti essere considerevolmente più pazzi di quanto non fossi io.
È per questo che la nostra prima volta insieme mi ha sorpreso tanto.
Perché ci si incastrava davvero bene. Perché, al di là del sesso, le tue braccia attorno al mio corpo, le mie gambe fra le tue, le nostre dita allacciate insieme, erano davvero come pezzi di un puzzle. Semplicemente giusti l’uno per l’altro, tanto che non si doveva fare affatto forza per metterli a posto.
E perché sembrava davvero naturale scivolarti addosso e socchiudere gli occhi al suono dei tuoi sospiri. Sembrava davvero naturale stringerti e farmi stringere, sembrava naturale accettare le tue carezze e ricambiare con le mie.
Ed era dolce. Dio. Era dolcissimo.
Baciarti, sospirarti sulla pelle, passarti le mani fra i capelli e sulla schiena.
Era dolcissimo.]
A me successe proprio questo.
Per dire, quando era andato via di casa mio padre, io avevo capito subito che da quel momento in poi avrei vissuto anni difficili. Ed in effetti fu esattamente ciò che successe. Però, insomma, l’avevo previsto. Ero preparato. Addirittura corazzato, direi. Perciò la presi bene, tutto sommato. Non andai fuori di testa.
Fare l’amore con Brian nella cascina di caccia della mia infanzia, invece, non era qualcosa di umanamente prevedibile. Non avrei mai potuto prevederlo, perché fino a quando si tratta di pompini rabbiosi da distrazione pomeridiana elargiti di nascosto negli angoli ciechi di casa, ci può anche stare. Lui sta giocando, tu lo sai e ti metti il cuore in pace.
Ma quella… quella era una cosa completamente diversa.
Tanto diversa che
sulla strada per tornare a casa
non riuscivo a smettere di tremare.
sulla strada per tornare a casa
non riuscivo a smettere di tremare.
Brian non parlò. Non disse una parola, davvero. Si limitò a starsene lì, tutto arricciato nel proprio giubbotto, tremante di freddo nell’alba ghiacciata del nostro personalissimo day-after, senza fiatare per ore, sia lungo il tragitto dalla baita alla stazione, sia lungo quello in treno fino a casa. Neanche mi guardò.
Era ovvio che fossi nel panico. M’ero messo talmente in ridicolo, con ciò che avevo detto la sera prima, che sarebbe stato strano non lo fossi. E lui non diceva niente e continuava a mordersi le labbra camminando svelto, fissando la strada dritta davanti a sé. Mi avesse almeno guardato e sputato addosso un “sei un coglione” random, di quelli con cui mi ricopriva di solito quando facevo qualcosa di molto stupido, sarebbe stato meglio. Magari avrei sofferto un po’, ma avrei anche saputo esattamente cosa stava succedendo nella sua testa, e magari avrei pure trovato un modo per contrastare quel disastro.
E invece no. Non ne capivo nulla. Non capivo se fosse arrabbiato, se si sentisse in imbarazzo, se si fosse semplicemente pentito di averlo fatto, o chissà cos’altro.
Mi sforzai di vederla nell’ottica migliore. Non ero mai stato un vero e proprio pessimista. Ero piuttosto fatalista e cinico, quello sì, ma avere fiducia nel futuro mi piaceva, mi consolava e mi aiutava ad andare avanti senza depressioni di sorta. Perciò mi costrinsi letteralmente a credere che andasse bene comunque, perché magari non stava dicendo nulla, ma nel suo non dire nulla almeno non stava cercando di farmi capire che mi odiava.
Era un pensiero stupido e, nella sua stupidità, addirittura esaltante. “Non mi odia, non mi odia!”, continuavo a ripetermi, ed oltre a crederci ne ero felice. Tanto felice che pensai pure, ma sì, che potevo presentarlo a Dom e Chris. Cosa che feci immediatamente tornati a scuola, il giorno dopo.
Sapevo che la prima cosa che avrebbe detto Dom vedendomi avanzare con Brian appiccicato al fianco – e non perché lui lo volesse, ci tengo a precisarlo – sarebbe stata “non ci credo, hai una ragazza!”.
Sapevo anche che prima o poi Dom mi avrebbe comunque messo in imbarazzo davanti a lui.
Dom faceva uno sport del mettermi in imbarazzo.
Era un recordman.
Era un recordman.
Solo speravo non dovesse succedere necessariamente la prima volta. Necessariamente fin dall’inizio.
Necessariamente quando era chiaro
che avevo deciso di trattarlo davvero come una fidanzata.
che avevo deciso di trattarlo davvero come una fidanzata.
Perciò mi affrettai a mettere le mani avanti e, quando lo vidi corrermi incontro, mollando Chris seduto sul muretto che era il nostro punto di ritrovo abituale durante la pausa pranzo, strillai “Vi presento il figlio del nuovo marito di mia madre, si chiama Brian!”.
Mi illudevo davvero che Dom me l’avrebbe fatta scampare?
Si fermò davanti a noi, squadrando Brian da capo a piedi con estrema attenzione. Sembrava stesse pensando “Ma come, tutto questo mistero ed alla fine era questa cosa?”.
Poi, i suoi occhi si spostarono su di me, ed io sudai freddo.
- Una bambina? – chiese, con estrema naturalezza, indicando lo scricciolo al mio fianco con un dito incerto.
Avrei voluto sprofondare in un mare di melma.
- È un ragazzo! – protestai animatamente, e poi – Lascialo perdere, è un idiota. – commentai ansioso, rivolgendomi a Brian.
Lui annuì meccanicamente, guardandomi spaesato. Scommetto che, dal momento in cui, durante la pausa pranzo, l’avevo afferrato e trascinato con me – senza neanche guardarlo, per paura potesse sferzarmi con un’occhiataccia uccidi-buone-intenzioni delle sue – dicendogli che volevo assolutamente presentargli qualcuno, lui non aveva neanche avuto il tempo di realizzare pienamente cosa stesse succedendo. Probabilmente, mentre mi guardava fisso ed attonito, si stava pure chiedendo per quale oscuro motivo gli fosse capitata una piattola del genere a rendere orribile una vita che già di per sé non è che fosse granché piacevole.
- Come un ragazzo? – insistette Dom, cocciuto, mentre io cercavo un buco in cui nascondermi, - È truccato! Ha la gonna!
- …sì, Dom. – registrai, tremando come una foglia, - Direi che si nota.
- Ma guardalo, è una femmina! Cioè, è femmina!!!
Accanto a me, Brian non dava segno di volersi muovere. M’infuriai.
- Dom, Cristo santo, - protestai, - vuoi smetterla di parlarne come se non fosse qui?!
- Ma non è vero che ne sto parlando come non fosse qui, - borbottò in risposta lui, stringendosi nelle spalle, - ti sto dicendo di guardarlo!
Brian fece un paio di passi indietro, ed io mi sentii morire.
Quando Brian si allontana è quasi sempre così.
È già troppo distante a un metro.
Lui dice che sono ossessivo.
È già troppo distante a un metro.
Lui dice che sono ossessivo.
[Le ossessioni mi piacciono.]
Chris si avvicinò a noi, finalmente, e cercò di riportare un po’ di razionalità nel nostro mondo assurdo, presentandosi a Brian e tendendogli la destra.
Brian rispose titubante, guardandolo con curiosità, sollevando un sopracciglio.
- Tu mi sembri normale. – rispose, invece di presentarsi a sua volta, - Cosa ci fai con questi?
Chris si lasciò andare a una breve risatina, scrollò le spalle e tornò silenzioso come al solito.
Chris non era per niente normale.
Era terribilmente taciturno.
Era terribilmente taciturno.
[Era normale.]
- Comunque sembra femmina. – concluse Dom, chiudendo gli occhi e sollevando il mento con supponenza – detestavo questa sua mania di voler avere sempre l’ultima parola.
Tutt’ora, non è che mi piaccia.
[Ci si fa l’abitudine.]
D’improvviso, lo sguardo di Dom sembrò illuminarsi di una luce demoniaca.
Ed io seppi con certezza che stava per chiedergli proprio quello. L’unica altra cosa, dopo le battute sull’ambiguità sessuale, che avrei preferito evitare anche a costo di spararmi un proiettile dritto in mezzo alle sopracciglia.
- Immagino che qui a scuola tu non te la passi proprio bene. – ipotizzò, grattandosi il mento con fare pensieroso.
Brian fece una smorfia e mi guardò malissimo, accusandomi di ogni male nel mondo.
No, non gli avevo raccontato niente.
Piccola, sciocca ragazzina senza fiducia.
Piccola, sciocca ragazzina senza fiducia.
- Povero caro. – continuò Dom, totalmente disinteressato alla morte certa alla quale mi stava condannando, - Sei proprio perfetto.
L’attenzione di Brian tornò a puntarsi tutta su di lui, e ringraziai tutti gli dèi per avermi concesso un po’ di pausa dal gravare assurdo di quel grigio brillante su di me.
- Perfetto per cosa? – chiese, nella voce una nota tremolante di paura che non avevo mai sentito.
Gli occhi di Dom si illuminarono più intensamente, se possibile.
Erano spaventosi.
- Ma per entrare nel nostro Club Degli Sfigati, chiaramente!
Brian spalancò quei fanali che si ritrovava sulla faccia e lo guardò con una tale quantità di sconvolgimento emotivo e imbarazzo negli occhi che io pensai potesse esplodere in una nuvola di vapore rosso.
[Avessi almeno mai avuto il coraggio di dirti che in fondo ne ero felice.
Ammetterai che ci sarebbe voluta una buona dose di palle, comunque.]
- Io non sono uno sfigato! – si difese, col fiato corto per la sorpresa, - Sono un tizio normale che si fa i cazzi propri!
- Sì tesoro, sì. – lo blandì Dom, accarezzandogli il capo con gesti da vecchio nonno affettuoso.
Io prelevai Brian da dove si trovava e letteralmente lo trasferii dall’altro lato. Lo feci passare dalla mia sinistra alla mia destra come fosse stato un pacco. Sollevandolo da terra, riposandolo con cautela e tutto il resto.
Dio.
Lui mi fissò sgomento, e io mi grattai la testa.
- Non devi unirti per forza a noi, se non vuoi. – dissi, andando nel panico perché da un lato avrei voluto graziarlo da quell’incombenza degradante ma, dall’altro, stavo cercando qualche scusa stupida ma convincente per costringerlo ad accettare, - Però, vedi, noi facciamo delle riunioni… - inventai, per quanto supponessi potessero essere classificati come tali gli incontri quotidiani al Cafe Creperie, - e quindi se non ti unisci al gruppo sarà difficile vedersi spesso…
Stavo mentendo spudoratamente.
Speravo solo che la mia dannata faccia non mi tradisse, macchiandosi di rosso nel momento e nei luoghi meno opportuni.
Non avevo mai mentito per tenere qualcuno vicino.
Non ero sicuro potesse funzionare.
Grazie al cielo Brian
si fa abbindolare facilmente.
Non ero sicuro potesse funzionare.
Grazie al cielo Brian
si fa abbindolare facilmente.
[Il che non significa che io non ne sia consapevole.]
- Cioè ci saranno giorni in cui non tornerai neanche a casa? – chiese lui, mettendo una mano sul fianco.
Io scrollai le spalle.
- Be’, potrebbe capitare. Fra poco cominciano le mezze giornate a scuola, quindi il turno a lavoro si modificherà. Quindi sì, è probabile.
Si mordicchiò il labbro inferiore, lasciando vagare lo sguardo sull’asfalto ai suoi piedi, mentre tamburellava con le dita sul tessuto leggero della camicia della divisa che indossava.
- E va bene. – cedette infine, chiudendo gli occhi con un sospiro stremato, - Ma se chiederete una conferma in tribunale, negherò.
Dom esultò come un ragazzino ed afferrò i polsi di Brian fra le mani, costringendolo ad una breve quanto impacciata danza della gioia che mandò lui su tutte le furie e, più tardi, costò a me un calcio ben assestato sugli stinchi, mentre tornavamo a casa al termine delle lezioni. Per la prima volta insieme, peraltro.
Non mi lamentai di quel calcio, me lo meritavo. Era colpa di Dom, ma me lo meritavo comunque.
Però mi sentivo bene. Ero felice.
Probabilmente, era solo successo ciò che Chris aveva predetto quella volta in cui era venuto a trovarmi da solo in creperia. Avevamo risolto i problemi che c’erano tra noi – o, almeno, eravamo riusciti a nasconderli tanto bene da illuderci fossero spariti sul serio – e adesso eravamo pronti a condividerci.
Era un passo avanti piuttosto importante e significativo, ma purtroppo lo fu solo a livello ideale, perché a livello pratico in realtà le cose fra noi continuarono ad essere dannatamente complicate e fin troppo artefatte. Brian continuava a farsi trovare nel mio letto, ed io continuavo a prenderla male, perciò decise che tutto ciò che poteva fare era cercare di costringermi con la forza ad abituarmi all’idea che, nella sua ottica, non era possibile stare nella stessa stanza da soli senza provare l’irrefrenabile impulso di spogliarsi e fare sesso fino a sfinirsi.
In realtà aveva pure ragione, voglio dire, l’irrefrenabile impulso c’era eccome. Ma io non potevo certo dimenticare che quella era comunque la stessa casa in cui vivevano mia madre e suo padre, e cielo, di sicuro non potevo dimenticare che in teoria lui avrebbe dovuto essere solo il mio fratello acquisito, perciò, in definitiva, continuai a starmene sulle mie ed agire con ritrosia ogni volta che stavamo insieme.
Quel periodo fu davvero un discreto disastro.
Dovevo, nell’ordine: studiare, lavorare, stare attento che mia madre o il signor Molko non ci beccassero mentre pomiciavamo in camera e soddisfare comunque Brian che, se per caso provavo a rendere una realtà effettiva i miei no strascicati e poco convinti, diventava letteralmente una furia in gonnella. A tutto ciò si aggiungeva Dom, che come al solito non poteva fare a meno di intrattenersi con la propria attività preferita – cioè farmi diventare nevrastenico ponendo domande a raffica sulla mia vita sessuale, usando peraltro espressioni tipo “Adesso che scopi anche tu, pretendo le descrizioni dettagliate!”, perché ovviamente, dopo avergli presentato Brian, gli erano bastate solo un paio di domande mirate per farsi presentare anche tutto il resto, e domande simili le faceva pure di fronte ai clienti della creperia, cosa che di sicuro non aiutò Tom a smettere di malsopportarmi e minacciarmi fisicamente di morte e licenziamento non necessariamente in quest’ordine.
Tra l’altro, Dom fu anche uno dei motivi per i quali, a un certo punto, Brian impazzì del tutto e fece una missione del rovinare la vita di entrambi.
[…sei uno stronzo.]
I problemi – o meglio, l’ennesima serie di problemi da aggiungere alla già lunga lista di quelli che stavo affrontando – cominciarono un pomeriggio qualunque in creperia. Io preparavo crepes – la mia faccia era guarita, perciò ero orgogliosamente tornato al bancone… e meno male, perché, con tutto quello che era successo, lavorare in quel magazzino stava diventando impossibile – e, fondamentalmente, mi annoiavo a morte, lanciando ogni tanto occhiate languide a Bubbler per ottenere un po’ di compassione umana mentre Dom, Chris e Brian divoravano dolciumi a mie spese e tendevano agguati continui al barattolone della Nutella, nel tentativo di costringere Tom a condannarmi a morte sul momento, suppongo.
Erano passate già diverse settimane da quando li avevo presentati, e devo dire con una certa invidia che Brian legò molto più facilmente e velocemente con loro di quanto avesse fatto con me.
Per Dom non ho dubbi: legarono perché il loro cervello si muoveva nello stesso identico modo. Per associazioni assurde e pure considerevolmente perverse, cioè.
[E, se non la pianti, ti faccio vedere quanto assurde e perverse possano arrivare ad essere le mie associazioni mentali. Parlo sul serio, Matt.]
Comunque, la realtà dei fatti era fossero diventati pressoché inseparabili. Visto che ragionavano nello stesso modo, andavano d’accordo su tutto e si divertivano un sacco a passare il tempo insieme dando il tormento in coppia a chiunque li circondasse. Non scherzo, la gente cominciò a pensare che stessero insieme sul serio, visto che continuavano ad andare ovunque come se non ci fosse modo di staccarli l’uno dall’altro. Tanto più che a loro due non dispiaceva, trovavano entrambi enormemente stuzzicante sconvolgere la quiete pubblica, perciò si lasciavano andare a tutta una serie di comportamenti disgustosi dei quali ridevano come cretini fino a sfinirsi e dei quali io finivo per essere geloso a morte ogni santa volta.
Chris invece era completamente diverso da lui – ma in realtà Chris era completamente diverso da chiunque non fosse già un onesto lavoratore di più di trent’anni. Era fin troppo tranquillo per averne appena sedici! – perciò posso semplicemente ipotizzare che lo incuriosisse, o che, al più, in sua compagnia si sentisse rilassato e a proprio agio, perché questa era un po’ la caratteristica principale di Chris. In ogni caso sembrava trovarlo un soggetto interessante, tant’è che ogni tanto lo beccavo ad osservarlo incuriosito da lontano, come stesse rimuginando chissà cosa all’interno del proprio cervello.
[Rimuginavo intuizioni esatte, anche se si sarebbe scoperto solo dopo. Ed ora piantala davvero con queste supposizioni, perché non vuoi proprio vedermi arrabbiato come mi arrabbiavo quando supponevi a quindici anni.]
Ad attenermi scrupolosamente ad un racconto dei fatti come si susseguirono, in realtà i miei problemi non cominciarono proprio quel giorno lì, ma nei giorni successivi. Solo che io non riesco a togliermi dalla testa il tarlo che mi sussurra che fu per ciò che gli suggerì Dom che Brian cominciò ad agire come un dissennato.
Insomma. La creperia era piena, io lavoravo come un mulo e Tom incassava come un protettore marocchino, e quello era un normalissimo pomeriggio di fine primavera. Per tutto il mio turno non avevo avuto modo di scambiare neanche quattro chiacchiere con Brian, che, per conto proprio, sembrava divertirsi moltissimo a ciarlare con Dom e Chris lanciandomi ogni tanto un’occhiata maliziosa e divertita, appositamente per irritarmi.
Quando il locale si fu svuotato, mentre Tom faceva il conto dei guadagni, sgattaiolai da dietro il bancone ed andai a farmi ricadere esausto sulla sedia libera al tavolo ancora occupato da loro tre, sbuffando come un ippopotamo annoiato.
- Certo che potevate anche venirmi a fare compagnia, di tanto in tanto. – sbottai offeso, e nel dirlo guardai solo Brian, perché in effetti era principalmente a lui che era rivolta quella lamentela.
Chris e Dom lo capirono e si limitarono ad una risatina – sommessa il primo, sguaiata e fastidiosa il secondo – mentre Brian inclinava graziosamente il capo e mi faceva notare che “siccome ero sempre freddo e distaccato con lui, non avrebbe dovuto importarmi molto che mi gironzolasse o meno intorno, mentre lavoravo”.
Dom colse l’occasione per sfottermi un po’.
Erano occasioni che raramente si lasciava sfuggire.
- Vuoi dire che questa bestia ti ignora? – chiese infatti, accorato, giungendo teatralmente le mani sotto il mento.
Brian annuì partecipe.
- Ogni volta è un tale strazio tentare di coinvolgerlo, che mi viene voglia di lasciar perdere! – aggiunse per crudeltà gratuita, mentre Chris cercava di consolarmi con una cordiale pacca sulla spalla, prendendo atto del mio sguardo sconvolto ed avvilito.
- Ah, come ti capisco. – cinguettò Dom, con la stessa voce di sua madre quando spettegolava con la mia, - Ma credo di avere la soluzione per te. – ed io non lo sapevo ancora, ma quello fu il momento esatto che decise il crollo del mio mondo. – Matthew ha bisogno di sentirsi desiderato. – concluse professionale, neanche fosse un esimio laureato in Mattologia.
- Desiderato? – gli diede corda Brian, che non poteva fare a meno di incuriosirsi come una scimmia, quando Dom si metteva ad elargire confidenze.
- Esatto. – annuì il mio cosiddetto migliore amico, intrecciando le braccia sul petto, - Come adesso, per esempio. Fa tanto il distaccato, quello a cui non interessa particolarmente se gli amici lo seguono o meno, ma poi, quando si sente trascurato, ecco che comincia a protestare come un poppante.
- Ehi! – provai a lamentarmi io, ma ovviamente venni ignorato.
- Quindi devo semplicemente mantenere vivo il suo interesse… - considerò seriamente Brian, abbassando lievemente lo sguardo. Poi sorrise come non aveva mai fatto con me e tornò a guardare Dom, ringraziandolo per la dritta.
Quando mi spostò gli occhi addosso, io tremai. Perché quegli occhi parlavano di così tante cose da lasciarmi stordito. La malizia e la bramosia che vi trovai riflesse erano di quelle che paralizzano.
Sapevo che quegli occhi sarebbero stati sinonimo di guai.
Ed infatti fu esattamente ciò che accadde.
Ne parlo poco volentieri, perché davvero quei due diventarono una cosa sola, e dal momento che i loro obiettivi, per quanto riguardava la scuola, collimavano – ed erano riassumibili in “più stiamo a bighellonare per i corridoi parlando di cavolate, più saremo felici” – non era raro che Brian piombasse nella nostra classe e chiedesse al professore “se per caso Howard poteva uscire un attimo”.
I professori sapevano perfettamente sia che Howard non sarebbe più rientrato sia che la ragione per la quale stava uscendo non era tra le più lecite – anche se immaginavano cose del tutto lontane dalla realtà, perché, almeno per quanto ne so, Brian e Dom non si sono mai trovati attraenti, in quel senso – ma che dire?, la nostra era una scuola pubblica, nessuno badava veramente a ciò che gli altri facevano, tantomeno i nostri sottopagatissimi insegnanti, perciò fondamentalmente si faceva ciò che si voleva e fine. Avrei potuto uscire anche io, con una scusa qualsiasi, e raggiungerli, ma non lo facevo mai, perché Brian adorava rendermi geloso ed io adoravo crogiolarmi nella gelosia, cosa che faceva di noi una coppia perfetta, di me in particolare un nevrotico e di lui nello specifico un soddisfatto egocentrico.
Mentre io rimanevo a ruminare odio seduto al mio banco, con Chris che, da dietro, cercava di consolarmi con un po’ di sano cameratismo – poco efficace, dal momento che anche lui ruminava eccome, solo che, nel pieno rispetto del proprio personaggio, non lo dava a vedere – Dom e Brian saltellavano in giro per la scuola come coniglietti pasquali. E fu proprio in seguito ad una di queste sessioni di saltellamento gioviale che venni preso al guinzaglio e condannato a morte.
Quel giorno, Brian e Dom erano rimasti più appiccicati del solito, e continuavano a ridacchiare come ragazzine da quando eravamo usciti da scuola. L’unica reazione che io e Chris ci eravamo concessi, da veri uomini quali eravamo…
[Matthew, conto fino a tre, ti avverto.]
…insomma, era stata lanciarci un’occhiata perplessa e tirare avanti per la nostra strada come se non stesse succedendo niente.
Il ridacchiamento compulsivo non si era fermato alla creperia, ed anzi aveva raggiunto livelli di tale assurdità che, mentre servivo un paio di ragazze al bancone, avevo notato con la coda dell’occhio Chris mimarmi segnali di palese insofferenza, chiedendomi di avvicinarmi per dargli una mano a sostenere quella prova straziante.
Che Chris non riuscisse a sostenere qualcosa era già un evento epocale, ma che addirittura chiamasse me per un aiuto aveva dello strabiliante, perciò mi affrettai a chiedere a Tom una pausa – lui minacciò di sventrare Bubbler di fronte ai miei occhi, ma alla fine fu buono e accettò in cambio di un turno di lavoro infrasettimanale pomeridiano in più – ed avvicinarmi al tavolo.
- Si può sapere cosa sta succedendo qui?! – chiesi stizzito, incrociando le braccia sul petto e piegandomi verso le due galline chioccianti.
[Uno, Matt.]
Dom e Brian ridacchiarono ancora e poi Dom cominciò a squittire una serie di “glielo diciamo?” che costrinsero me e Chris a sbuffare più volte consecutivamente, al punto che perfino Tom, dal bancone, se ne accorse e ci strillò di smetterla di fare le locomotive, che l’era del carbone era passata letteralmente da più di un secolo e, soprattutto, quella pratica spaventava i clienti.
Alla fine, insomma, quei due disgraziati ci concessero tregua e cominciarono a raccontare.
[Due, Matt.]
- Mentre andavamo in giro, oggi…
- …ci siamo fermati per caso davanti all’infermeria…
- …e sbirciando all’interno…
- …abbiamo visto due professori che facevano sesso!
Io e Chris li fissammo attoniti.
Chris, presumibilmente, era solo sconvolto dal fatto che una tale cavolata potesse in primo luogo divertirli tanto ed in secondo luogo non annoiarli dopo i primi due minuti di risatine.
Io… be’, mi limitavo ad essere geloso della capacità che avevano acquisito di concludere l’uno le frasi dell’altro, neanche fossero stati gemelli siamesi.
Il mio ruolo, nella nostra storia
è quello di un eterno Otello.
è quello di un eterno Otello.
[Perfino quando non hai il benché minimo motivo di esserlo.]
Chiaramente, non era il fatto in sé ad eccitarli tanto. Una cosa del genere può eccitare al massimo dei bambini delle elementari o delle medie, non certo due liceali smaliziati e pazzi quali loro erano.
No, ad eccitarli in quel modo non era il sesso. Erano le possibilità di profitto.
Da due cervelli bacati come quelli, c’era solo da aspettarselo.
[Matt! Tre!]
- No che non l’ho detto. – puntualizzai, - Tu l’hai detto. E comunque questo non è coinvolgimento, è costrizione! – sbottai, allontanando l’aggeggio con una manata stizzita.
Le possibilità di profitto, nella situazione in cui ci trovavamo, portavano ad un’unica via, che era quella del ricatto. Era questo, il grande piano di Dom e Brian: ricattare i professori per vedere di scucire loro un po’ di soldi in cambio del proprio silenzio. Chiaramente, però, loro due non potevano farsi avanti in prima persona, perché c’era la possibilità che i due prof li avessero visti, dato che s’erano messi a schiamazzare come anatre in corridoio.
[E non ricominciare con questi paragoni zoofili, santo cielo!]
In definitiva: il rischio era che, riconoscendo le loro voci, i professori potessero passare alla controffensiva, invece di cedere alle loro richieste. Peraltro, la professoressa che avevano beccato era Betty Cunningham, che insegnava chimica nel corso che seguiva Brian, ed era probabile che, chiunque fosse il tizio con cui se la faceva – che loro non erano riusciti a riconoscere, ovviamente, nascosto com’era dietro i lunghissimi capelli castani di quella Pocahontas di acidi e basi – fosse un professore dello stesso corso, per cui era molto più sicuro, in ogni senso, che a farmi avanti fossi io.
Io.
Che prima dell’avvento di Brian non avevo mai causato problemi a nessuno.
Il mondo era ingiusto, Dio era crudele con me e chi avrebbe dovuto amarmi – il mio migliore amico ed il mio quasi ragazzo, nonché il mio quasi fratello! – non lo faceva. Fortunatamente, Chris mi teneva simbolicamente la mano, consolandomi a distanza con enormi occhiate comprensive, come a dire “non sai a quante cose simili mi ha costretto Dom, in passato!”.
C’è da dire che quei due comunque avevano fatto un lavoro coi fiocchi. Erano riusciti perfino a recuperare il numero di casa della professoressa, che Dom aveva già composto per me prima di passarmi il cellulare. Sembrava quasi roba da irresponsabili vanificare così tutto il loro lavoro.
Insomma: accettai. Non ricordo bene come, ma accettai.
Deglutii profondamente, mi preparai a modificare la voce ed afferrai ansioso il “copione” che Brian mi porgeva, sempre sorridendo serafico – copione che in realtà era un foglietto spiegazzato sul quale stava annotato un breve discorso minatorio di cui non riesco più a ricordare il contenuto, naturalmente.
Quando sollevarono la cornetta, dall’altro lato, buttai fuori tutto d’un fiato, senza neanche sincerarmi di chi stesse ascoltando. Avrebbe perfino potuto essere la madre o la vecchia nonna della prof.
Sarei stato fortunato, se fosse stato qualcosa di simile.
Invece no.
- …Bellamy? – rispose una voce maschile stupefatta e vagamente adirata.
Io trattenni il fiato e quasi mi strozzai. Sono tutt’ora convinto che a soffocarmi quel giorno fu il mio cuore, che – evaso dalla cassa toracica – era risalito fino in gola nel tentativo di uscire dal mio corpo ed abbandonarlo lì, perché evidentemente non si meritava di vivere oltre.
L’uomo con cui Brian e Dom avevano sorpreso la Cunningham era Perry Anderson. Il mio professore di filosofia.
Io, ovviamente, non dissi nulla per incriminare Dom e Brian. Anderson sapeva perfettamente che loro dovevano essere coinvolti, ma non gli fornii alcuna prova o confessione, perciò mi beccai tre giorni di sospensione, una ramanzina piuttosto umiliante ed un’occhiata talmente colma di disapprovazione e delusione da parte di mia madre che avrei preferito scomparire lì, sul momento, invece di dover tornare a casa ed affrontarla.
Mia madre non mi rimproverò – l’episodio del pestaggio, del quale comunque s’era accorta, l’aveva ormai convinta di avere a che fare con una prole ribelle, esagitata e perfino criminale – ma non fu nemmeno tenera, nei miei confronti: m’impedì di uscire di casa per i tre giorni della sospensione e, quando tornai a scuola, per un’ulteriore settimana non mi consentì nemmeno di andare a lavorare. Era talmente ferma sulle proprie posizioni che chiamò Tom per informarlo e, di fronte alle sue proteste, lo invitò a sottrarmi dalla paga i giorni di assenza.
Cosa che fece di me una persona molto povera e molto triste, dal momento che non andare a lavoro significava sì rinunciare a buona parte del mio stipendio, ma soprattutto restare lontano da Bubbler, il mio unico vero e grande amore, nonché unico essere sulla faccia della terra che mi amasse come desideravo e meritavo.
Quella settimana e mezzo di reclusione coincise con un periodo dannatamente sfiancante.
Tanto per cominciare, per i tre giorni in cui rimasi a casa da scuola Brian si finse malato.
La cosa avrebbe pure potuto rivelarsi piacevole, se lui fosse stato una persona normale, ma lui non era una persona normale, perciò continuò a farsi trovare nei posti meno opportuni e nei momenti meno opportuni, e non so nemmeno se avesse preso atto del mio disagio e si limitasse ad ignorarlo oppure se proprio non lo vedesse e basta.
Fatto sta che continuava ad avvicinarmi in posti equivocabili con intenti quanto mai inequivocabili. Me lo ritrovavo intorno in bagno quando uscivo dalla doccia, in salotto quando volevo schiacciare un pisolino di fronte alla tv e nel consueto letto alla mattina. Era una routine davvero stancante.
Anche perché…
…rifiutarlo era praticamente impossibile. Quando si avvicina – ed è una cosa che non ha mai smesso di fare – Brian lo fa come fosse un grande felino a caccia. Una leonessa o una pantera. Uso animali femminili non perché lui non sapesse essere una presenza virile – perché oh, quando voleva metterti spalle al muro con la semplice imposizione di una stretta talmente maschia da sembrare quasi stonata, sul suo corpo agile da gazzella, eccome se ci riusciva, e senza neanche stancarsi troppo – ma perché la grazia dei suoi movimenti era tale da far pensare proprio a quel tipo di animali lì. Ti inchiodava al pavimento con un’occhiata tagliente e ti costringeva a indietreggiare fino alla parete. Fino a che lui non era l’unica cosa che tu fossi in grado di vedere. Che lo volessi o no.
Io non riuscivo, davvero, non riuscivo ad eludere i suoi occhi. Sono la cosa più vivida dell’universo. La più viva. La più brillante. La più attraente. Fra tutti i particolari della sua persona che possono essere additati come belli, gli occhi spiccano come la corona della regina madre su tutti gli altri gioielli di famiglia.
Non posso mentire: non è che ricevere tutte queste attenzioni mi dispiacesse. Ci fu qualcosa di bello, in quel periodo, e fu che Brian smise di cercarmi solo per il sesso e cominciò a cercarmi e basta. Per qualsiasi cosa. Da una chiacchierata stupida ad una passeggiata in giro.
Questo mi lusingava.
E mi rendeva felice, ecco.
Il problema è che questo fiorire d’attenzioni sbocciò in un periodo completamente sbagliato.
In seguito a quello che era successo con Anderson, mia madre non mi aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un secondo. Mi monitorava come si aspettasse di vedermi sfuggire all’improvviso non solo dal suo controllo, ma anche dalla sua casa e addirittura dalla sua vita.
Purtroppo, in quel periodo vide un sacco di cose che sarebbe stato meglio non vedesse. Negli angoli ciechi dei corridoi, dietro gli stipiti delle porte ed al di là della tenda della doccia.
Mi vergogno molto di quello che successe. Non fui in grado di accorgermene in tempo, perciò non fui nemmeno in grado di risparmiare a mia madre settimane di tribolazioni inutili.
Ebbe tutto il tempo di accertarsi di ciò che pensava, ed anche tutto il tempo di maturare la propria decisione. Una decisione della quale non poteva parlare né con Brian né col signor Molko.
Fu con me che ne parlò.
Fortunatamente.
Perché il fatto ne parlasse con me fu l’unica ragione per la quale non riuscì neanche a metterla in pratica.
Quel giorno, Brian era particolarmente frustrato. Lo capii perfino io, che in genere anche quando subodoravo cose simili fingevo di non vedere e non sentire niente, perché in quel modo era più facile sentirmi meno in colpa quando lui mi attaccava ed io cedevo.
Quando tornai a casa, distrutto e depresso dopo una giornata intera di rimbrotti da parte di Tom, che si stava lentamente stufando di avere a che fare con uno spiantato quale il sottoscritto si stava dimostrando, lo trovai languidamente appoggiato contro la porta della mia stanza, bene intenzionato a non lasciarmi passare finché non fosse stato soddisfatto. Gli bastò guardarmi per farmi capire esattamente cosa aveva intenzione di fare.
- Potresti pure prendere l’iniziativa tu, una volta ogni tanto. – si lamentò, sfuggendo il mio sguardo. Quando lo faceva, significava che era davvero arrabbiato. Siccome era perfettamente cosciente degli effetti che aveva su di me il suo sguardo arrabbiato, cercava di evitare di gettarmelo incautamente addosso, soprattutto quando desiderava un po’ di contatto fisico. Io finivo sistematicamente per scappare via, quando lo vedevo in quello stato, e che io fuggissi non rientrava esattamente fra le sue volontà.
Chiaramente, il fatto lui non mi guardasse non significava automaticamente io potessi ignorare la sua rabbia, perché era palese e fin troppo pesante, a gravare proprio lì, fra noi.
Indietreggiai di qualche passo, guardandomi circospetto intorno.
- Non mi sembra il caso di parlarne qui… - azzardai imbarazzato, pur senza trovare il coraggio di costringerlo almeno ad entrare in camera.
Brian sorrise ed allungò un braccio nella mia direzione, afferrandomi per il colletto della maglietta e trascinandomi finché non fui interamente a contatto con il suo corpo.
- Non mi trovi abbastanza bello…? – sussurrò sulle mie labbra, sferzandomi con un’occhiata gelida e, in qualche modo, perfino troppo rovente.
Sussurrai un dissenso a caso, cercando di rassicurarlo prima che quella scena si trasformasse in una scenata, ma lui non fu soddisfatto. Cominciò a pretendere un bacio. Proprio lì, proprio in quel momento. Io resistetti finché potei, ma lui continuava a chiederlo ed arrabbiarsi, ed allora ad un certo punto mi rassegnai e lo baciai. Dopodichè cercai di sottrarmi alla sua stretta, ma non ci riuscii. Lui non mi lasciò andare. E dopo il bacio pretese una carezza. E dopo la carezza altri baci ed altre carezze.
E dopo una quantità ignota di secondi eravamo schiacciati contro la porta della mia stanza. Proprio lì, in mezzo alla casa. Senza neanche nasconderci. Sudati ed ansanti che ci divoravamo a vicenda. Senza il minimo pudore.
Mia madre ci vide.
Suppongo non rimase in osservazione fino alla fine, ma che ci vide è certo.
Entrò in camera mia dopo cena, mentre io cercavo di venire a capo delle proprietà delle derivate. Senza successo, perché la mia testa galleggiava ancora in un universo alternativo in cui esistevano solo Brian ed il suo profumo.
Bussò lievemente, io non risposi e lei entrò lo stesso, mettendosi in piedi accanto a me, cercando di trovare le parole ed il coraggio per pronunciarle. Io sollevai lo sguardo dal quaderno e le dissi di darsi una mossa, perché ero nei casini e mi aspettava l’ora di matematica più dura della mia intera esistenza, il giorno dopo, perciò lei strinse le mani in grembo e, semplicemente, sputò il rospo.
- Matthew… ho osservato attentamente te e Junior, ultimamente.
Non lo chiamava Brian per lo stesso motivo per il quale io non riuscivo a chiamare in quel modo il signor Molko. Portare lo stesso nome rendeva le associazioni mentali più complesse, almeno per noi che a quella routine non eravamo ancora abituati. Perciò lo chiamava Junior, cosa che riempiva Brian di disappunto ed il signor Molko d’orgoglio.
Comunque, non dovette dire altro per farmi capire la gravità della situazione.
- Forse è il caso di rimandarlo negli Stati Uniti, non pensi? – disse a bassa voce, incerta.
Esplose qualcosa nel mio cervello, in quel preciso istante. O forse si accese un interruttore e basta, non lo so, in ogni caso tutti i miei sensi si acuirono ed io mi tesi come una corda di violino.
- No! – balbettai agitato, - Non è come credi! – cercai di spiegare, - È stato… un errore, - inventai, - una cosa che abbiamo fatto per sbaglio, non è una cosa seria, noi… ce ne siamo pentiti subito dopo, non è una cosa di cui tu ti debba preoccupare, non accadrà più!
Mia madre scosse il capo, angosciata.
- Matt, come fai a pensare che possa credere a questa storia?
Abbassai lo sguardo, colpevole. Mi morsi le labbra. Non sapevo che dire. Ero confuso, irritato e spaventato a morte dalla possibilità che Brian potesse andarsene davvero.
- Quando è cominciata? – mi chiese ancora, inginocchiandosi di fronte a me.
Quella non era una domanda possibile. Non lo era, perché era una domanda la cui risposta avrebbe deciso il corso della mia vita. Quando era cominciata? Nell’istante esatto in cui l’avevo visto all’aeroporto e non ero più riuscito a staccargli gli occhi di dosso. Era cominciata allora e non si era più esaurita, e quindi, probabilmente, no, non era uno sbaglio e non era un episodio e non sarebbe passata proprio mai.
Ma come potevo dirle una cosa del genere?
Non sapevo come ammetterlo nemmeno con me stesso…
- Mamma… - deglutii, - ci penso io, ok? Dammi una possibilità. – implorai, - Ci parlo io.
Mia madre sospirò e scosse il capo. Non sembrava granché propensa a fidarsi. Né a darmi una possibilità. Non ero esattamente il ritratto dell’affidabilità, soprattutto in quel periodo.
Ma lei era mia madre. Mi aveva mandato a lavorare in una creperia per amore di un jukebox, mi aveva dato un fratello e, pur malvolentieri, mi stava dando anche un ragazzo.
Perciò annuì e mi lasciò fare.
Io incassai silenziosamente e mi andai letteralmente a raggomitolare in un angolo della stanza, raccogliendo le ginocchia al petto con aria contrita. Brian mi lanciò un’occhiata stupita e poi salutò brevemente Barry promettendogli di richiamarlo domani, si sollevò dal pouff zebrato e venne a sedersi al mio fianco, imitando la mia posizione e squadrandomi sospettoso.
- Con chi diavolo hai litigato? – inquisì curioso, piegando lateralmente il capo.
Io nascosi la testa fra le ginocchia.
- Mia madre sa tutto… - mugolai disperato, - ci ha visti e adesso vuole rimandarti negli Stati Uniti perché è preoccupata per me…
Lo percepii irrigidirsi al mio fianco ed allontanarsi deciso, come se il contatto col mio corpo lo infastidisse.
- Ne ha parlato con mio padre? – chiese gelido.
Io negai.
- Mi ha dato la possibilità di parlare con te. Per cercare di… raffreddare le cose, Brian.
Si alzò in piedi con uno scatto nervoso, allontanandosi a grandi falcate rabbiose verso il letto.
- Vattene via. – mi disse cupo, - Voglio stare solo.
Io non volevo. Né stare solo né lasciarlo solo. Ma il tono era quello delle decisioni inappellabili, perciò serrai le labbra e tornai in camera mia. Lanciai una breve occhiata alle derivate e decisi che, evidentemente, l’insufficienza era il mio destino, perciò me ne andai di filato a letto. In ogni caso, non avrei avuto la presenza di spirito per memorizzare alcunché.
La notte servì a Brian per maturare quel germoglio di furia che gli avevo letto negli occhi la sera prima. L’indomani mattina, il mio ragazzo era sul piede di guerra. Ce l’aveva con mia madre ancora più profondamente di quanto non avesse dimostrato fino a quel momento.
[Non è che la odiassi. Mi sembrava semplicemente assurdo che avesse del tutto ignorato i miei tentativi di farmi rimandare a casa quando lo volevo, per poi decidere che era il caso di esaudire il mio desiderio quando ormai non lo volevo più.]
Fu probabilmente per questo che, quando suo padre, già in ritardo, si alzò da tavola, ed a fare colazione restammo solo io, lui e mia madre, sollevò un braccio e lo portò con un movimento falsamente distratto a sfiorarmi la coscia, chiedendomi zuccherino se potevo passargli il miele.
Mia madre distolse lo sguardo, infastidita ed imbarazzata.
Io sentii distintamente il mondo crollare in pezzi tutto intorno a me.
Per un’infinità di giorni a seguire, Brian non mi diede tregua. Ogni occasione era quella giusta per un carezza o per un bacio che fingeva di nascondere ed in realtà esibiva sotto lo sguardo impotente di mia madre che, sempre più sconvolta, si chiedeva come fare per salvare il suo unico figlio da quel disastro emozionale che si profilava all’orizzonte.
Alla fine, esasperata, mia madre si decise a tornare a parlarmi.
Brian era in camera con me, quel giorno. S’era intrufolato con non so che pretesto, solo per giocare un po’ al gatto col topo come piaceva – dannatamente – ad entrambi, e quando mia madre bussò per chiedermi se poteva entrare io lo afferrai di peso e lo trascinai dentro l’armadio – disordinato esattamente come quando l’aveva lasciato per trasferirsi nella stanza di fronte. Ignorai le sue proteste e lo chiusi dentro, dando a mia madre il permesso per entrare.
Lei era veramente ma veramente triste. Mi si strinse il cuore nel vederla in quel modo, lei che era sempre stata una donna incredibilmente fiera, incurvata dal peso del senso di colpa e di inadeguatezza coi quali si tormentava.
- Matthew… - sussurrò, la voce rotta dall’ansia e dalla tristezza, - Io ti ho dato l’opportunità che mi hai chiesto, ma lo vedi da solo, le cose peggiorano giorno dopo giorno e sta diventando sempre più difficile nasconderlo a Brian…
Penso che diventai bianco come un cencio. Lo penso perché sentii chiaramente il sangue defluire dalla pelle del mio volto per cercare di ridare moto a un cuore che, piuttosto, sembrava bene intenzionato a non muoversi proprio più.
- Matt, dovresti cominciare a pensarci anche tu. – continuò mia madre, - Rimandare a casa Junior potrebbe essere l’unica soluzione.
La mia mente si annebbiò. Dimenticai la presenza di Brian nell’armadio ed anche tutto il resto del mondo. Fissai mia madre, cercai di recuperare quel po’ d’aria appena sufficiente per parlare e lo dissi.
Tutto d’un fiato.
Senza ripensamenti.
- Non puoi togliermi Brian.
Mia madre spalancò gli occhi e si pietrificò sul posto.
Io ressi il suo sguardo senza aggiungere altro.
Fu lei a cedere. Io non l’avrei mai fatto.
Abbassò lo sguardo ed annuì, mormorando un “capisco” trasognato e lasciando la stanza subito dopo.
Per qualche secondo, io rimasi immobile di fronte alla porta ormai chiusa.
Avevo vinto.
Mia madre non avrebbe parlato col signor Molko.
Brian sarebbe rimasto.
E me l’ero guadagnato io.
Mi riscossi solo quando le rotelle del mio cervello ripresero a funzionare, ricordandomi ansiose che, per quanto io potessi continuare ad ignorarlo, Brian era ancora chiuso nel mio armadio – un posto che odiava con una violenza del tutto inconcepibile.
Corsi verso le ante e le spalancai. Lui stava lì, in piedi, piccolissimo fra gli enormi scomparti dell’armadio, con un calzino sulla testa. E mi guardava sconvolto, come se avessi appena fatto la cosa più assurda che avesse mai visto.
- …stai bene…? – accennai io, vedendolo così turbato e protendendomi verso di lui per assicurarmi che fosse ancora tutto al proprio posto.
Lui si ritrasse lievemente e poi si sporse in avanti, spalancando le braccia ed allacciandomi al collo, pressando con forza le labbra sulle mie nel bacio più asciutto e tenero che mi avesse concesso fino a quel momento.
Non provò nemmeno ad andare oltre. Non sentiva il bisogno di farlo, probabilmente.
- Ma non ti montare la testa. – mi avvisò, abbandonando la stanza.
Continuai a rimanere immobile nel mezzo della stanza per un’enormità di tempo.
Una volta tanto, però, non ero sconvolto o spaventato. Ero semplicemente felice.
continua…
Ogni tanto vengo a vedere se per caso hai aggiornato questa bellissima storia e, anche se vengo delusa dall’assenza di nuovi capitoli, mi trovo sempre a rileggere questi 7…è una storia speciale, spero tanto che troverai la voglia di continuarla! Tra l’altro, è così particolare che se cambiassi i nomi dei personaggi sarebbe una storia originale vera e propria, potresti farci un libro… ma non cambiarli mai! Il mollamy dà sempre quel tocco in più! :D Eh niente, volevo solo dirti che continuo a farmi del male leggendola e rileggendola pur sapendo che probabilmente non saprò mai come andrà a finire ç_ç
ki2k2ka
06/05/2014 01:56