Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico.
Pairing: Bill/Tom, Georg/OFC, Gustav/OFC, Andreas/OMC, Bill/OMC.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash, Incest, Het, What If?, OC, WIP.
- I protagonisti di questa storia non sono i Tokio Hotel, o forse sì. Non stiamo parlando del gruppo che conosciamo, o forse sì. Le relazioni che li legano non sono le solite, o forse sì. Forse sì, dopotutto. Perché i protagonisti di questa storia sono Timothy e Frank Duncan, Britney Kemp e Serge Monod. Che non sono i Tokio Hotel. Ma forse sì.
Note: WIP.
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ANYPLACE, ANYWHERE, ANYTIME
CHAPTER FIVE
L’ÉVANGILE SELON MATHIEU

Sweep upon me like a wave
We are young and brave

- Odio le persone che intralciano i miei piani perfetti.
Quando Mathieu proruppe in quell’asserto infastidito e seccato, Gustav Schäfer viveva in Francia come Serge Monod da due anni, conviveva a Parigi con lui ed Annette da un anno e dieci mesi ed era il batterista degli Anal Prolaps più o meno dallo stesso periodo di tempo.
Alexandre Morel, invece, era tornato in patria da soli due giorni. E già la cosa minacciava di rivelarsi molto più problematica del previsto.
Di Alexandre, in effetti, Gustav sapeva pochino. E tutto ciò che sapeva poteva essere riassunto nella lapidaria frase che gli aveva scoccato Annette mentre, nervosamente, prendeva atto della notizia del ritorno del ragazzo, direttamente dalle labbra del proprio fratello.
“Com’è Alex? Be’, hai presenta Mathieu? Immaginati lui, ma maschio. Maschio per davvero, intendo”.
Quindi, ciò che Gustav sapeva era che, come Mathieu, anche Alexandre era uno stronzo egoista egocentrico presuntuoso e viziato, solo molto più pericoloso.
Già. Decisamente la cosa minacciava di rivelarsi molto più problematica del previsto.
*
La straordinaria precisione della descrizione di Annette era parsa evidente nel momento in cui Alex aveva deciso di fare irruzione nella vita di Gustav esattamente allo stesso modo in cui l’aveva fatto Mathieu: suonando il campanello a tutto volume ad un orario in cui, generalmente, il solo pensare di poter fare un casino simile in casa altrui risulta per la maggior parte delle persone come minimo disturbante.
Annette e Gustav, che stavano rattrappiti e in equilibrio precario sul letto della ragazza, annodati come non dovessero sciogliersi mai più, spalancarono gli occhi con un identico singhiozzo di stupore e paura e rotolarono giù dal letto, schiantandosi impietosamente contro il pavimento.
Ancora un po’ titubante, Annette s’era massaggiata la schiena e s’era alzata in piedi, mentre Gustav provava a ricordare il proprio nome, la propria età e cosa diavolo stesse facendo in quel luogo.
- Ma Mathieu non era tornato, ieri sera…? – aveva sussurrato a mezza voce la biondina, dirigendosi verso la porta e schiudendola.
Mathieu aveva attraversato il corridoio in quell’istante. Indossava un paio di pantaloni da ginnastica grigi ed una camicia lunghissima, aperta praticamente fino all’ombelico.
- È Alex. – aveva borbottato laconico, avanzando speditamente verso il citofono, - Gli ho chiesto io di venire.
- Tu gli hai chiesto cosa?! – sillabò sbigottita Annette, correndogli dietro mentre anche Gustav recuperava le proprie stanche membra da terra e seguiva i due fratelli all’ingresso.
- Gli ho chiesto di venire. – rispose seccamente Mathieu, sollevando il citofono ed aprendo il portone senza neanche sincerarsi di chi fosse davvero.
Mathieu aveva dei ritmi strani. Le ore della giornata, nella sua testa, sembravano del tutto ribaltate. Di notte suonava, studiava, leggeva, usciva, parlava al telefono, ascoltava musica e, più in generale, faceva tutto ciò che una persona normale avrebbe giudicato buono e giusto fare col sole alto in cielo.
Durante il giorno, invece, dormiva. Così profondamente che non lo si sarebbe potuto svegliare neanche a cannonate.
Dal momento che la nanna cominciava verso le otto e mezza del mattino circa – subito dopo, cioè, avere ingerito il lauto pasto a base di latte, cereali, croissant e marshmallow e si ostinava a chiamare “colazione” – si ritrovava con un’oretta circa – dalle sette in poi – in cui il suo destino poteva incrociarsi con quello dei normali esseri umani senza che questo dovesse costringere i normali esseri umani di cui sopra a seguirlo nelle proprie elucubrazioni mentali fino alle cinque del mattino.
Alex, nonostante i suoi millemila difetti, non era comunque uno psicopatico.
Perciò, se Mathieu aveva bisogno di parlargli, doveva necessariamente convocarlo a quell’ora.
Era una questione di logica.
Annette s’era passata una mano fra i capelli ed aveva lanciato un’occhiata all’orologio, constatando fosse troppo presto per prepararsi per uscire, ma anche troppo tardi per rimettersi a dormire, e decidendo perciò di cominciare a preparare la colazione, sperando così di fare in modo che Mathieu decidesse magari di scomparire in camera un po’ prima.
Mentre lei metteva il latte a scaldare e cominciava a srotolare e spezzettare il marshmallow che doveva infilare nella tazza del proprio fratello, Alex aveva fatto irruzione in casa fra i gridolini isterici di Mathieu.
- Oddio! Sei più figo di quando ti ho lasciato! – aveva constatato il biondo, saltellandogli intorno, - Qualsiasi sia il posto dove sei stato fino ad adesso, ti ha fatto bene!
Prima ancora di farsi vedere, Alex aveva grugnito qualcosa di incomprensibile. E poi era apparso.
Quanto a robustezza, Gustav non aveva niente da invidiargli. D’altronde, il fisico del batterista è un po’ universale, soprattutto quando suoni da una vita.
Ciononostante, Alexander doveva essere alto almeno un metro e novanta. Almeno.
Cosa che faceva di lui un essere spaventoso.
Gustav non aveva potuto fare a meno di deglutire ed arretrare discretamente di qualche passetto, non appena il gigante s’era fatto strada in cucina.
- Mathieu, - aveva quindi detto, squadrandolo con supponenza dall’alto, - non ricordavo te la facessi con tipi simili. – aveva commentato con distacco.
Era bastato questo per far montare la rabbia.
Gustav aveva aggrottato le sopracciglia, stringendo i pugni e cercando di sostenere lo sguardo glaciale di quell’enorme orso bruno dagli occhi azzurrissimi.
- Io non me la faccio affatto con Mathieu. – aveva precisato, mostrandosi sicuro di sé.
Alex aveva inarcato le sopracciglia, ravviandosi dietro le spalle una ciocca dei lunghi capelli mossi castani.
- Sei un amico di famiglia? – aveva quindi chiesto, - Il terzo fratello spuntato fuori dal nulla? Sospettavo che foste una dinastia maledetta, ma…
- Sono il ragazzo di Annette. – aveva rivelato, interrompendolo prima che potesse dire qualcosa che lo costringesse a fregarsene della differenza d’altezza e saltargli ugualmente al collo per strozzarlo.
Alex aveva spalancato gli occhi, mentre Mathieu ghignava alle sue spalle ed Annette si copriva gli occhi con una mano.
- Il ragazzo di Annette…? – aveva sussurrato, completamente sconvolto. Poi, la sua espressione stupita s’era aperta in un mezzo ghigno, in un sorriso ed infine in una risata genuinamente divertita, e lui s’era piegato sulle ginocchia, come se il peso di tutta quell’ilarità non potesse essere sostenuto su due gambe tese. – Il ragazzo di Annette! – aveva commentato, seguitando a ridere, - Certo che ne sono cambiate di cose, da quando sono andato via! Sorella Anna che porta in casa gli amanti!
A quel punto, Gustav aveva cominciato a considerare seriamente la possibilità di afferrare il pentolino del latte e regalare a quell’essere una doccia che non avrebbe dimenticato tanto facilmente.
L’avrebbe fatto sul serio.
Era stato costretto a fermarsi, però, nel momento in cui Alex si era avvicinato alla ragazza, le aveva lasciato sulla guancia una carezzina più derisoria che tenera ed aveva sfornato l’ultima prova della propria assoluta ed incredibile gemellarità ideologica con Mathieu.
- Non posso credere che, dopo essere stata con me, tu possa stare con qualcosa di così diverso! – aveva scoccato a bruciapelo, ghignando famelico come un predatore.
Fra le migliaia di cose che avrebbe voluto fare Gustav in quel momento, rientravano anche le voci di una lunga lista di torture dolorose ed incredibilmente crudeli.
Rientrava però, anche, il desiderio di stare zitto e fermo. Di prendere atto del fatto che, prima di lui, Annette aveva avuto una vita che non poteva essere cancellata in blocco solo perché dopo l’aveva conosciuto.
Fu quello che fece. Rimase zitto e fermo. Prese atto.
Da qui ad accettarlo, però, temeva che il passo sarebbe stato piuttosto lungo.
*
- Io ti amo. Davvero.
Gustav sollevò lo sguardo su Annette e, per qualche secondo, non solo non seppe che dire, ma neanche che muscolo muovere. Lei sfidò la sua occhiata perplessa con sicurezza. Non stava ostentando presunzione: si limitava a dare forza alla propria affermazione, con calma e pazienza.
Lentamente, Gustav posò le mani sul tavolo e poi intrecciò le dita.
- Lo so. – annuì, - Anche io ti amo.
Lei scosse il capo.
- Sei arrabbiato. – disse. Non era una domanda, era una constatazione. Semplice e lineare. – Per Alex. Hai tutte le ragioni per esserlo.
- No, aspetta… - negò lui, massaggiandosi la fronte, - Non sono arrabbiato. Ed anche se lo fossi, non avrei alcuna ragione di-
- È stato un tragico errore. – continuò lei, ignorando le sue proteste, mitigando la durezza del tono con un sorriso dolcissimo ed uno sguardo intenerito. – Io avevo sedici anni. Mathieu me lo presentò ed io persi la testa. Del tutto.
Gustav trattenne il fiato e non commento. Annette lo prese per un invito a continuare.
- Insomma, lo hai visto, no? È… be’, è particolare.
- È veramente identico a tuo fratello… - commentò infine, sorridendo debolmente.
Annette lo imitò, annuendo.
- Infatti insieme stanno benissimo. Molto più di quanto non stesse bene con me.
Gustav prese atto ed annuì a propria volta.
- Ti dispiace che fra voi sia finita?
- No, mi dispiace che fra noi sia cominciata! – rise la ragazza, stringendosi nelle spalle. – È Mathieu quello a cui dispiace che sia finita. Ma non è il tipo da ammetterlo. Né tantomeno da riprovarci.
Proprio in quel momento, come a dare forza alle sue parole, la porta della camera di Mathieu si aprì e si richiuse con uno scatto secco e rumoroso, ed il corridoio si riempì di urla.
- Vaffanculo! – offese Alex, passando come una saetta di fronte alla porta della cucina e dirigendosi spedito all’ingresso, - Neanche ti meriti una risposta civile!
Mathieu lo inseguiva, anche se il suo inseguimento sembrava più mirato a buttarlo fuori di casa che non a trattenerlo.
- Io non torno indietro. – disse, fissando furioso la schiena di Alex in allontanamento, - Serge è il mio batterista. Tu sei il mio ex e tale devi rimanere.
- Eh, e allora che sono tornato a fare?! – sbraitò l’altro, voltandosi repentinamente a guardarlo.
- Non lo so e soprattutto non mi interessa! Trovati un’altra band.
- Io avevo una band!
- No, io ho una band. La mia. Tu ne facevi parte e te ne sei andato. Prendi atto e non fare scenate.
Alex si massaggiò la nuca, sospirando pesantemente e cercando di riprendere il controllo della situazione.
- Ok, lascia perdere la band. – disse alla fine, tornando a guardarlo negli occhi. – Noi due?
Anche Mathieu sospirò, intrecciando le braccia sul petto.
- Te l’ho detto. Tu sei il mio ex e tale devi rimanere.
Alex mormorò un’ultima offesa inintelligibile e poi lasciò l’appartamento come una furia, sbattendo la porta alle proprie spalle.
Mathieu rimase immobile davanti alla porta per qualche secondo, prima di scuotere il capo e tornare in cucina, guardandosi intorno come una belva affamata. Come potesse leggergli nel pensiero, sua sorella lasciò scivolare sul tavolo la tazza colma di latte, cereali e marshmallow, mentre Gustav, non fosse altro che per non interrompere l’assoluta quanto fragilissima calma di quel momento, spostò la sedia per aiutarlo ad accomodarsi. Lui non ringraziò nessuno, ma si sedette e prese a ruminare la propria colazione, fissando dritto il fondo della tazza, la fronte appoggiata sul palmo della mano e le dita fra i capelli, a giocare distrattamente fra le ciocche biondissime in un’espressione di agitazione interiore che stonava davvero, sul suo volto sempre impassibile.
- Odio le persone che intralciano i miei piani perfetti. – disse quindi, lasciando ricadere con un tonfo secco il cucchiaio contro il bordo della tazza, ed allungandosi fino a poggiare la schiena contro la spalliera della sedia, incrociando le braccia sul petto, - La strega qui ti ha già aggiornato? – chiese poi, rivolgendosi a Gustav, come se ritenesse indispensabile informarlo di ciò che gli ingombrava la mente.
- …piantala, una buona volta, di chiamarla così… - fu tutto ciò che Gustav riuscì a rispondere, aggrottando offeso le sopracciglia, mentre Annette si lasciava andare ad un sorriso stanco.
- La chiamo così da quando avevo cinque anni! – ribatté Mathieu, sinceramente sconvolto, - Non puoi impormi di cambiare la mia vita solo perché adesso è la tua ragazza!
- Non sto cercando di importi di cambiare la tua vita, solo di rispettare un po’ di più tua sorella.
Mathieu agitò una mano disinteressata di fronte a sé, roteando gli occhi.
- Rispondi alla domanda. – soggiunse poi, stringendosi nelle spalle.
- …be’, più o meno. – ammise Gustav, - So che sono stati insieme… e che siete stati insieme.
- Già. – annuì Mathieu, giocando coi pochi cereali rimasti sul fondo della tazza, - Nel complesso, Alex ha frequentato questa casa per… quanti anni?
- Sei e mezzo, circa. – rispose Annette, così fluidamente che Gustav sentì a malapena la differenza fra le loro voci.
- Esatto. – continuò il biondo, - Il problema di Alex è che è abituato a considerare propria qualsiasi cosa su cui mette le mani.
- Mi ricorda qualcuno… - ridacchiò fra sé Gustav, inarcando le sopracciglia.
- Non fare ironia spicciola. – lo rimproverò immediatamente Mathieu, lanciandogli un’occhiataccia, - Io considero mie solo le cose che mi permettono di considerarle tali. E questo è perché pretendo di essere considerato proprietà solo dei pochi a cui lo permetto. – spiegò seriamente, - Non ti sto dicendo tutto questo perché m’interessa entrare in contatto con te, né tantomeno illustrarti il mio modello di ragionamento. – aggiunse poi, atono, - Ti sto avvertendo. Saranno settimane dure, se non mesi. Alex non si arrenderà tanto facilmente. Probabilmente sarò anche costretto a dargli un contentino o due…
- Mathieu! – lo richiamò sua sorella, inorridendo.
- Non dire “Mathieu”! – borbottò lui in risposta, - Lo sai com’è fatto. Se non intendo riammetterlo nella band, dovrò almeno riammetterlo un paio di volte nel mio letto, altrimenti chi se lo scrosta più dalle palle?!
- Mathieu… - deglutì Gustav, cercando di richiamare la sua attenzione, - Mi stai informando delle tue manovre sessuali per i prossimi mesi…?
Mathieu lo fissò disgustato, serrando le braccia sul petto.
- Non riesco davvero a credere di stare facendo tutto questo per te! – commentò astioso, - No, citrullo: - rispose infine, sbuffando come una teiera, - ti sto rassicurando. Tu sei il mio batterista. E continuerai ad esserlo, almeno finché vorrò. Perciò non ti fare strane idee.
Gustav si concesse un breve sorriso sollevato, mentre Annette allungava sul tavolo una mano a stringere la sua.
- Non me ne farò. Promesso.
*
Nessuno aveva mai chiesto il parere di Andreas, durante la breve ma infinita settimana che aveva deciso le sorti di ciò che era rimasto della gloria dei Tokio Hotel dopo i tentativi di rapimento. Jost doveva aver immaginato lui dovesse essere dalla sua parte per principio, e la stessa cosa, probabilmente, era valsa anche per i genitori dei ragazzi. Entrambe le parti, in effetti, avevano motivi più che validi per crederlo. In fondo, Andreas era l’anello di congiunzione fra la sfera pubblica e quella privata dei Tokio Hotel. Era il gestore del fanclub ufficiale, ma era anche un caro e fedelissimo amico di vecchia data.
Non c’era nemmeno bisogno di chiedergli da che parte stesse: era ovvio che sarebbe stato dalla parte di ciò che era bene per i suoi più cari amici.
Solo che non si capiva esattamente dov’è che stesse, questo famigerato “bene”, fra le soluzioni che venivano proposte per risolvere il problema.
Per propria parte, Andreas aveva evitato di esprimere il proprio pensiero, se non altro perché non ci teneva ad essere allontanato dalla vita dei ragazzi – almeno finché quell’allontanamento non sarebbe stato obbligatorio. Peraltro, era a conoscenza della fiducia cieca e totale che i gemelli in primis, ma anche Georg e Gustav, riponevano nel loro manager.
Perciò, era sinceramente spaventato dalla possibilità di dire ciò che pensava veramente.
E ciò che pensava veramente era che il piano di Jost facesse acqua da tutte le parti, suonasse pure vagamente ridicolo e non avesse alcuna possibilità di successo. Sarebbe stato molto più semplice stringersi tutti attorno al gruppo, come un piccolo plotone di difesa, ed impedire sistematicamente a chiunque di avvicinarsi senza permesso.
Magari neanche questa sarebbe stata una soluzione definitiva, ma dannazione, era mille volte più pragmatica e meno scema.
Comunque, aveva fatto buon viso a cattivo gioco, e quando Bill era andato da lui, qualche giorno prima di partire, spiegandogli tutta la situazione e mormorando sottovoce, quasi se ne vergognasse, un trasognato “Sai, credo che forse potrebbe funzionare…”, non aveva proprio avuto cuore di rispondere “Bill, ti prego, è una follia”, perché in effetti era l’esatto tipo di follia che a Bill potesse suonare convincente. D’altronde, immaginava, era pure una mossa talmente assurda che nessuno se la sarebbe mai aspettata. Quindi, da qualche parte nel fondo del proprio cuore, magari anche lui credeva che avrebbe funzionato.
Ci credeva, o almeno lo sperava.
S’era separato dai propri migliori amici senza un fiato di rimpianto o tristezza. “Quando andrà meglio ci rivedremo”, aveva detto fiducioso, ma “meglio” non era mai arrivato e loro non s’erano più rivisti, così, giorno dopo giorno, s’era messo l’anima in pace. Ed era stato un processo molto meno doloroso di quanto non avesse previsto. Era bastato annullare qualsiasi tipo di sentimento, bloccare sul nascere ogni ricordo molesto e concentrarsi su ogni genere di attività ricreativa, così da distrarsi nel migliore dei modi. Così, secondo dopo secondo, ciò che era successo nella sua vita fino a quel momento, ogni immagine di Bill e Tom e Georg e Gustav, era andata sgretolandosi fino a sparire, depositandosi sul fondo dei suoi ricordi come certi detriti nei letti dei fiumi.
La musica – la loro musica – però, non era proprio riuscito ad abbandonarla. Probabilmente ne aveva solo bisogno.
Posso eliminare i vostri visi e le vostre voci, ma non i vostri sogni.
La musica era il sogno dei gemelli. Per un po’ era stato anche il suo. Poi era cresciuto ed aveva preso atto delle proprie limitate capacità, perciò, come tutti i ragazzini che diventano adulti, aveva lasciato perdere ed era passato avanti, ma quel sottofondo di speranza era sempre rimasto, perché Bill e Tom non avevano mai smesso di coinvolgerlo nel loro mondo, ed il loro mondo era un mondo fatto di musica. Perciò la musica proprio non poteva sparire. Non l’avrebbe mai fatto.
Era ironico – molto ironico – che, alla fine, l’intera faccenda dovesse risolversi proprio grazie al fatto che lui, quel sogno, non l’avesse mai lasciato andare davvero.
Ma questo, mentre organizzava il primo raduno dell’Unendlichkeit, il forum che lui stesso aveva creato in ricordo dei Tokio Hotel, Andreas ancora non lo sapeva.
*
Dire che si sentisse a proprio agio sarebbe stata una menzogna bella e buona.
Sarebbe stato meglio se fosse stato ancora in Germania. La verità, però, era che la maggior parte dei gruppi di fan che fossero rimasti fedeli al ricordo dei Tokio Hotel si trovavano in Francia. Fosse anche solo per il fatto che nessuno è profeta in casa propria, i Tokio Hotel non avevano mai ricevuto particolare gratitudine dalla loro madre patria, e la maggior parte delle ragazzine che fino al duemilasei avevano dichiarato di essere pronte a tutto pur di vedere anche solo una volta nella vita Bill o Tom sembrava essersi volatilizzata nel nulla già dopo il primo anno di silenzio. C’erano stati i pianti, le manifestazioni, l’indignazione pubblica. E poi più niente. Il vuoto. Come sempre.
La Francia, però, aveva conservato il ricordo dei piccoli tedeschi di un tempo con una sorta di dolcezza nostalgica che non s’era lasciata intaccare dall’implacabile passare dei giorni.
La Francia, in qualche modo, era rimasta.
Place de la Concorde, quel giorno, brillava di sole. Era affollata e rumorosa e piacevolissima da stare a guardare così, sulla lunga distanza. Un gruppo piuttosto nutrito di ragazze chioccianti ed allegre si assiepava coloratissimo attorno all’Obelisco fra le due fontane, nel centro della piazza. Poco distanti da loro, alcuni ragazzi – fidanzati in accompagnamento, probabilmente – si accucciavano in qualche metro d’ombra e si scambiavano commenti poco entusiastici e risatine complici. “Che vuoi che ti dica, per amore si fa questo ed altro!”.
Andreas sospirò, rise e scosse il capo.
Sarebbe stata una giornata massacrante e probabilmente pure del tutto inutile, ma era bello, in qualche modo, constatare che i Tokio Hotel non fossero davvero stati rimossi proprio da tutti. C’era ancora qualcuno che ci pensava. C’era ancora qualcuno che ci sperava, forse.
Non era lui l’unico pazzo, evidentemente.
*
Quando Annette e Gustav s’erano incontrati, lei postava sull’Unendlichkeit con una regolarità quasi inquietante. Era una di quelle fan da dieci-quindici post al giorno. Quelle che commentavano tutti i topic. Aiutava anche in parte con la moderazione delle cartelle, addirittura.
Poi, poco a poco, Annette aveva semplicemente smesso di postare. Che fosse perché le dispiaceva che, ogni volta che vedeva apparire la schermata biancoazzurra del forum, Gustav si alzasse e cambiasse stanza, o che fosse perché si rendeva conto che avere un pezzo dei Tokio Hotel per fidanzato era comunque molto meglio che non stare a piangere sul resto dei pezzi perduti con altre fanatiche della stessa risma, lui non l’aveva mai capito e neanche gli interessava farlo. D’altronde, il suo rapporto con Annette non si basava sul fanatismo: a lei, prima di conoscerlo, piaceva Bill. Per motivi incomprensibili.
A seguito di tutto questo, né Gustav né Annette avevano avuto modo di scoprire che decidere di andare a comprare il regalo per l’incipiente compleanno di Mathieu proprio al D&G di Place de la Concorde sarebbe stata anche la decisione che avrebbe distrutto la loro vita tranquilla per come la conoscevano – “Perché proprio lì?”. “Li ha già scelti, Gusti, dice che ci sono un paio di jeans con l’esatta gradazione di nero che vuole lui”. “E quindi, fammi indovinare, verrà con noi a comprarli? No, perché altrimenti come facciamo a scoprire qual è, questa esatta gradazione di nero?”. Ed Annette aveva tirato fuori un quadratino di stoffa dal bordo frastagliato. Con l’esatta gradazione di nero di cui sopra. E Gustav aveva capito che ci sarebbe stato poco altro da fare.
In ogni caso, una volta lì, avevano pensato che sarebbe stato davvero stupido ignorare in quel modo la possibilità di passare un altro paio d’ore lontani da maison Saint-Pierre – e, conseguentemente, anche da Madame Mathieu in piena crisi pre-festa-di-compleanno – perciò avevano deciso di fermarsi per un po’ in qualche bar lì vicino per prendere qualcosa.
Ed era stato allora che l’aveva visto.
Impossibile da ignorare: perché Andreas non era cambiato affatto. Stessa incomprensibile massa di capelli biondo platino. Stessi vestiti aderenti strappati e ricuciti secondo uno stile che, più che proprio, era lo stile che Bill aveva imposto ad entrambi fin dai primi anni della loro amicizia. Stessi occhi scuri agitati e nervosi persi in un mare di femmine che non era davvero sicuro di sapere o volere gestire.
Tra l’altro, era la situazione stessa che non poteva in alcun modo essere ignorata: l’Obelisco, le fontane, le decine di ragazze ed Andreas in mezzo a dare indicazioni.
Un’assurdità.
Annette si accorse del suo turbamento e sollevò a propria volta gli occhi nella stessa direzione.
Da brava fanatica, ci mise meno di un battito di ciglia ad identificare il biondissimo gestore dell’ex-fanclub ufficiale dei Tokio Hotel.
- Mio Dio… - bisbigliò ansiosa, portando una mano alle labbra.
- Annette, andiamo? – disse lui. E in tutta onestà neanche se ne accorse. Avrebbe preferito non dirlo. Sarebbe già stato sufficiente alzarsi ed andare via. Annette l’avrebbe comunque seguito.
Se non avessero perso quei due minuti in più, probabilmente Andreas non l’avrebbe visto.
Se, se, se.
Se Mathieu non avesse voluto quegli stupidi pantaloni.
Se Annette non fosse stata così condiscendente con suo fratello.
Se Gustav fosse stato più attento.
Se Andreas fosse stato più distratto.
Avrebbe potuto continuare a tormentarsi con gli interrogativi retorici per sempre, la sostanza dei fatti non sarebbe mai cambiata: Andreas aveva sollevato lo sguardo su di lui e l’aveva riconosciuto. Con la stessa immediatezza con la quale riconosci le cose che hanno fatto parte della tua quotidianità per anni, anche se di anni ne sono passati altrettanti pure dall’ultima volta che le hai viste.
I loro occhi s’erano incontrati, le labbra di Andreas s’erano dischiuse, Annette aveva abbassato il capo e s’era mordicchiata silenziosamente l’interno della guancia.
Non c’erano più possibilità di fuga.
*
L’incontro, alla fine, era stato molto meno impacciato di quanto non avrebbe mai potuto pensare. Più che imbarazzato o stupito, Andreas sembrava elettrizzato. Sul suo volto s’era aperto un sorriso entusiasta nel momento stesso in cui gli si era avvicinato ed aveva capito che sì, nonostante quell’incredibile zazzera di boccoli castani da metallaro impunito, quello era proprio Gustav.
L’aveva chiamato apertamente col suo nome – abbastanza a bassa voce da non rappresentare un vero pericolo, ma pure con abbastanza convinzione da infastidirlo un po’.
Per quanto continuasse a farsi chiamare Gustav da Annette – era l’unica, proprio l’unica conservasse ancora un pezzettino della sua vecchia vita – a quel nome non poteva associare niente di quanto chiamava realtà nel suo presente.
Lui era Serge.
Era così che lo chiamava Annette quando lo presentava come il suo ragazzo.
Era così che lo apostrofava Mathieu quando non gli sembrava stesse battendo adeguatamente il ritmo dei mugolii della sua chitarra.
Era così che gli si rivolgeva Jennifer quando aveva bisogno di un pomeriggio libero e gli chiedeva di parlare con il loro leader per combinare, “perché tanto si sa che quel mostro ascolta solo te”. E Mathieu non ascoltava davvero solo lui, Mathieu non ascoltava nessuno, ma Serge era proprio l’unico abbastanza cocciuto da non lasciargliela vinta finché non avesse ceduto. E Mathieu cedeva, perché era un pigrone, al contrario di lui che continuava ad alzarsi ogni giorno alle cinque del mattino per un po’ di jogging prima del lavoro.
Lui con Serge stava bene.
Lui e Serge erano davvero la stessa cosa.
Era Gustav, ma stava meglio.
E poi arrivava Andreas e…
- Vi avevo chiesto per favore di non portare nessuno a casa, visto che qui è un disastro e non ho ancora preparato niente e la festa è domani ed è ancora tutto in alto mare! – strillò Mathieu, acuto come un aquilotto appena nato, agitandosi convulsamente da un lato all’altro della casa, - Ma figurarsi, voi mai che mi diate ascolto, fate sempre il cazzo che vi pare e… oh, mio Dio, e tu chi sei, cherie?
Andreas – cherie, appunto – era entrato in quell’appartamento da meno di due minuti e già poteva vedere il meglio e il peggio di quella che era diventata la quotidianità di Gustav negli ultimi due anni. Il calore della ritualità familiare, i sorrisi timidi e sinceri di Annette che lo invitava ad accomodarsi e gli offriva un’aranciata, e questo era il meglio, ovviamente, perché per il peggio c’era Mathieu che da solo bastava a controbilanciare.
- Scusa la confusione… - borbottò Gustav tirando via da una sedia un mucchio di vestiti tra i quali era quasi certo di avere individuato pure un boa di piume di struzzo di un colore improponibile fra il viola ed il verde mela. Evidentemente a Mathieu piaceva indulgere nel crossdressing, di tanto in tanto. Ma non gli andava di approfondire la questione.
Comunque, quelle erano le prime parole gli rivolgesse da quando s’erano incontrati. Al resto aveva pensato Annette. A tutto il resto. Perfino al “Ti va di venire a casa nostra? Così possiamo parlare un po’ in pace”. Anche se non era un “possiamo”, era un “potete”. Lo dimostrava la velocità con la quale s’era dileguata dopo aver posato un bicchiere d’aranciata gelata di fronte ad ognuno di loro.
- Certo che… fra tutte le possibilità, mai e poi mai avrei immaginato che saresti finito a vivere con tipi simili. – commentò Andreas, trattenendo a stento una risatina divertita.
Gustav annuì lievemente, intenerito.
- Lo so che possono sembrare completamente pazzi, ma… - si fermò un attimo, osservando le pareti del proprio bicchiere riempirsi di brina. - …no, va be’, lo sono. Però sono simpatici.
Andreas si lasciò andare ad una risata più aperta e liberatoria, gettando indietro il capo.
- Sì, non ne dubito. Hai sempre avuto buon gusto per gli amici.
Gustav annuì e sorrise brevemente, rigirandosi il bicchiere fra le mani e cercando di ignorare la fastidiosa sensazione di bagnato un po’ appiccicaticcio sulla pelle.
- Allora… - borbottò, imbarazzato dal lungo silenzio che era calato su di loro, - Che ci fai qui?
Andreas rise, arrossendo impetuosamente.
- Ti sembrerà assurdo, ma gestisco un forum di fangirl.
- …ma dai. – rise a propria volta Gustav, spalancando gli occhi, - L’amministratore dell’Unendlichkeit sei tu?!
Il biondo annuì e rise di gusto, intrecciando le dita sulla superficie del tavolo.
- Quindi ti sei fatto una nuova vita… - cominciò ad elencare con aria assente, quasi sofferta, - Una bella ragazza, degli amici… - gli lanciò addosso un’occhiata più divertita delle altre, - il parrucchino!
- Ehi, guarda che è tutta roba mia! – protestò il batterista, tenendogli il gioco, - Tranne il colore. Quella è roba di Annette.
- Sai che non sembri nemmeno più tedesco? – buttò lì Andreas, quasi soprapensiero, abbassando lo sguardo.
Gustav lo imitò, stirandosi indietro sulla sedia fino a sfiorare con le scapole il legno ruvido della spalliera.
- Gustav, senti… ma tu non hai proprio mai pensato di-
- Siamo seri, cherie, sei carino ma non posso certo permetterti di venire qui in casa mia a rubarmi il batterista come niente fosse. – s’intromise la voce squillante di Mathieu, mentre quella più discreta e sottile di Annette la inseguiva in un coro di “fatti i fatti tuoi, impiccione!”. – Per giunta a ridosso del mio compleanno! Non non, non posso proprio permetterlo.
Andreas si voltò verso il nuovo arrivato, riservandogli lo stesso identico sguardo di poco prima. Non sembrava tanto infastidito dal suo atteggiamento, quanto perplesso in linea più generale.
- Non hai neanche idea di cosa stavo per dirgli. – ribatté pacatamente, stringendosi nelle spalle mentre Annette scuoteva il capo e si massaggiava stancamente la radice del naso e Mathieu cominciava ad arruffare le penne da brava oca starnazzante qual era.
- Vi conosco, voi ex ragazzi! – borbottò appunto l’oca platinata, - Tornate e pretendete! Tutti uguali! – concluse, sedendosi di scatto a capotavola, fra Andreas e Gustav.
Quest’ultimo sospirò, imitando la propria ragazza nel rituale di massaggio e scuotimento del capo che andava ripetendosi sempre molto spesso, quando c’era di mezzo il maggiore dei Saint-Pierre.
- Non badargli, Andi. – cercò di giustificarlo, sorridendo timidamente, - È che il suo ex ragazzo è recentemente tornato a pretendere. Ecco perché fa così.
- Ah-ha. – sorrise il biondo, lanciando a Mathieu un’occhiata maliziosa alla quale il cantante rispose con uno sguardo gemello e altrettanto intrigato, - Cercherò di ignorarlo. E, Gustav-
- Guarda, Andreas. – si affrettò a rispondere il batterista, scuotendo il capo, - Non mi pare il caso. – mugugnò incerto, - Voglio dire, non so esattamente cos’hai in mente, ma non è un bel periodo, e-
- Non ti chiedo tanto! – lo interruppe ansioso Andreas, sporgendosi verso di lui, Io non torno a Loitsche da due anni, potremmo semplicemente-
- Non lo so, Andi, è un casino, c’è qui questo tizio che-
- Ma sarebbe solo per pochi giorni, intendo, andiamo giusto a trovare Simone, magari lei sa qualcosa, e poi-
- Andi, non-
- Insomma. – li interruppe Mathieu per l’ennesima volta, il tono stizzito e indolente con il quale sputava improperi su chiunque lo svegliasse prima delle sette di sera, - Se continuate così non risolverete un cazzo.
- Mathieu. – cercò di richiamarlo sua sorella, tirandolo lievemente per la spallina della giacca, - Fatti i fatti tuoi, una buona volta.
- E piantala, strega. – rispose lui, sempre più infastidito, - Questa cosa riguarda anche noi. Gustav. – lo chiamò, voltandosi a guardarlo. Era la prima volta si riferisse a lui col suo vero nome, - Qual è il punto?
Il punto è che per i primi diciott’anni della mia vita sono stato una persona che mi piaceva moltissimo essere, e per i restanti due fino ad adesso sono stato qualcun altro, un qualcun altro completamente diverso al quale però mi sono affezionato in maniera quasi dolorosa.
Il punto è- che faccio? Torno indietro e perdo tutto? Oppure qualcosa posso ancora guadagnarla, da questa storia?

- Gusti… - lo richiamò la voce sempre sommessa e melodiosa di Annette, vicinissima. Gustav sollevò lo sguardo e se la ritrovò a pochi centimetri. Sul volto l’incertezza e l’accennata tristezza che immaginava dovessero appartenere alle spose di guerra. – Io credo di aver capito quale sia la situazione…
…solo che le spose di guerra non fanno mai niente di avventato.
Piangono, si struggono, ti dichiarano il loro amore.
Ma non ti stupiscono.
Annette, invece, lo stupì.
- Se decidi di partire, io vengo con te.
Gustav dischiuse le labbra.
E poi le richiuse, perché si rese conto che non sarebbe mai stato in grado di trovare niente di altrettanto bello da dirle.
- Tra l’altro, - ci tenne a rimarcare Mathieu, rubando ad Andreas il suo bicchiere d’aranciata mentre lui sorrideva, estremamente divertito da quella sua sfacciataggine da flirt appena accennato ma ugualmente consistente, - non ti fare venire strane idee in testa. Io non mento mai, e la mia parola è unica. – si interruppe e lo guardò dritto negli occhi. – Il mio batterista sei tu. Fino a quando non tornerai, gli Anal Prolaps si prenderanno una bella pausa.
*
- Cerca di tornare solo quando sarai pronto a sposarti la strega. – consigliò Mathieu consegnandogli il suo borsone, - Così sarà la volta buona che rimarrai per sempre.
Gustav sorrise e chinò il capo, ma non rispose, anche perché in tutta onestà non riusciva proprio a scorgere l’orizzonte dell’avventura in cui si stava gettando.
Entusiasta, Annette saltellava al suo fianco, dando finalmente sfogo al proprio animo di fangirl repressa, tormentando Andreas con una sfilza di domande più che indiscrete alle quali lui cercava di rispondere con gentilezza per mezzo di un evasivo “non so, non sento i gemelli da tantissimo tempo”. Cosa che, ovviamente, non la inibiva dal fare domande sul loro passato.
Ma era un po’ lo scotto da pagare. A lui andava bene così.
Allungò una mano ed Annette la strinse automaticamente fra le proprie, interrompendo il flusso di domande per arrotolarglisi addosso in un tripudio di fusa da cucciolo viziato.
- Sono tanto felice per te, Gusti. – gli sussurrò ad un orecchiò, sotto lo sguardo bonario di Andreas e quello disgustato di Mathieu.
- Sto per avere un conato di vomito. – ci tenne ad annunciare il cantante, sollevando una mano ed agitandola davanti al viso con fare annoiato, - In ogni caso, - precisò, voltandosi a guardare Andreas con lo stesso atteggiamento famelico di un gatto in calore, - Per quanto riguarda te, cherie, vedi di tornare assieme a lui. Non sono solito lasciarmi sfuggire una preda. Mai.
Andreas rise divertito e si sistemò meglio lo zaino sulle spalle.
- Dovrai prima quantomeno imparare il mio nome. – ribatté con decisione, incamminandosi poi senza un fiato di più verso la stazione ferroviaria.
- Dio mio, è veramente uno zuccherino. – commentò in conclusione Mathieu, avviandosi a sua volta verso la propria macchina con un ultimo cenno di saluto.
Ancora un po’ scioccato da quell’ultimo scambio, Gustav raggiunse Andreas e si premurò d’informarlo a riguardo della serietà di Mathieu.
- Guarda che quello è pericoloso. – lo avvertì, mentre Annette annuiva freneticamente al suo fianco nel tentativo di rafforzare la sua teoria, - Sta’ attento.
Andreas, per tutta risposta, gli regalò un ghigno davvero inquietante. E non aggiunse altro.

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