Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico.
Pairing: Bill/Tom, Georg/OFC, Gustav/OFC, Andreas/OMC, Bill/OMC.
Rating: R.
AVVERTIMENTI: Slash, Incest, Het, What If?, OC, WIP.
- I protagonisti di questa storia non sono i Tokio Hotel, o forse sì. Non stiamo parlando del gruppo che conosciamo, o forse sì. Le relazioni che li legano non sono le solite, o forse sì. Forse sì, dopotutto. Perché i protagonisti di questa storia sono Timothy e Frank Duncan, Britney Kemp e Serge Monod. Che non sono i Tokio Hotel. Ma forse sì.
Note: WIP.
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PROLOGUE
ANYPLACE, ANYWHERE, ANYTIME

If we belong to each other
We belong anyplace, anywhere, anytime

Erano stati il gruppo tedesco più famoso di tutta l’Europa. Di tutti i tempi. Nel bene e nel male, erano stati uno dei gruppi più famosi dell’intero vecchio continente. Ed erano conosciuti perfino negli Stati Uniti. Avevano fan dalla Russia al Messico, dall’Australia alla Norvegia.
Erano i Tokio Hotel.

“Poco prima della conclusione di quella che doveva essere l’ultima data dello Schrei Tour del 2006, la sicurezza è riuscita miracolosamente a sventare un tentativo di rapimento ai danni di Tom Kaulitz, chitarrista dei Tokio Hotel, band pop-rock famosa a livello internazionale. Si è trattato del terzo attentato ai danni del gruppo in due mesi. Ricordiamo i precedenti episodi, a Nizza ai danni di Bill Kaulitz ed a Lione ai danni di Georg Listing, rispettivamente cantante e bassista all’interno della formazione tedesca.
«A questo punto, non possiamo più ignorare l’ipotesi per la quale ci sarebbe un piano specifico ed articolato, mirante alla distruzione fisica dei componenti di questo gruppo.», ha dichiarato oggi David Jost, manager della band, durante la conferenza stampa indetta questa mattina per spiegare quali sarebbero state le misure da prendere per cercare di risolvere la situazione, «Non siamo più in grado di proteggere questi ragazzi come meritano. È per questo motivo che dichiaro ufficialmente i Tokio Hotel sciolti. I componenti si ritireranno a vita privata. Speriamo in tal modo di preservare la loro sicurezza, che naturalmente viene prima di qualsiasi contratto».
Le reazioni non hanno tardato a farsi sentire. La Universal, casa discografica per la quale i Tokio Hotel lavorano, si è dichiarata contraria a quanto stabilito da Jost, ma disposta a trovare un accordo che soddisfi entrambe le parti. La reazione più violenta è stata sicuramente quella delle giovanissime fan della band, che già da qualche ora assediano gli edifici della casa discografica ad Amburgo, piangendo e mostrando il proprio affetto tramite cartelloni che implorano i ragazzi di ripensarci e non mollare.
Curiosamente, ma comprensibilmente, è proprio dai ragazzi che non si è ricevuto alcun commento. Nessuno dei componenti del gruppo ha ancora detto una parola a riguardo della drammatica situazione della quale è protagonista, e il silenzio stampa che David Jost ricorda continuamente ai giornalisti di aver imposto ai propri protetti sembra destinato a non sciogliersi tanto presto.
Continuate a seguirci per nuovi sviluppi della vicenda.”


Ma non era mai venuto fuori nessuno sviluppo. Il silenzio stampa si era protratto tanto a lungo da diventare per sempre. I giornali avevano parlato di loro ancora per un po’ di tempo, quasi un anno, in effetti, ma dagli articoli pieni di domande di giornalisti sempre più increduli di fronte alla verità dei fatti, non veniva fuori nessuna risposta.
La verità dei fatti era molto semplice: ogni membro dei Tokio Hotel sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Gli sforzi che s’erano fatti per ritrovarne qualcuno s’erano dimostrati del tutto vani. Neanche i membri delle loro famiglie ne sapevano niente – e, se sapevano qualcosa, la nascondevano davvero bene.
Nessuna risposta. Perché non era rimasto nessuno.
Alla fine, dopo due anni trascorsi pigri e lenti sulla Germania e sul mondo intero, dei Tokio Hotel non restava che qualche poster su Bravo e un trafiletto su qualche rivista per teenager, di tanto in tanto. Qualcosa di troppo simile ad un memoriale per non terrorizzare a morte.
Ed era per questo che Tom Kaulitz aveva smesso di leggerli.
- Blitz. Sitz.
L’enorme pastore tedesco si accucciò ai piedi del giovane padrone, protendendo il collo per offrire il capo alle sue carezze distratte. Il ragazzo, magro, alto, avvolto in una pesante tuta in pile di un anonimo grigio scuro e scompostamente seduto sulle scale che, dalla cucina, portavano al giardino sul retro della villetta bifamiliare all’estrema periferia di Londra in cui viveva con “suo fratello”, guardava distratto l’orizzonte, cercando di scorgere il sole tramontare fra gli alberi e le colline della campagna poco distante.
- Dovresti smetterla di parlare in tedesco. – disse appunto quel fratello, raggiungendolo alle spalle e sedendosi al suo fianco, mentre Blitz scioglieva la posa plastica alla quale l’ordine di Tom l’aveva costretto, per corrergli incontro e tentare di rubargli a mezz’aria il panino che stava cercando di passargli.
- Georg. – borbottò Tom, afferrando il panino prima che il suo cane riuscisse ad addentarlo, e lasciandolo perciò con un palmo di naso ad aspettare gli avanzi, lingua penzoloni e sguardo vigile, - Non puoi dirmi di smetterla di parlare in tedesco parlando in tedesco.
- Mi chiamo Frank, Timothy. Ormai dovresti saperlo.
- Certamente, Georg. – annuì Tom, lanciando un pezzo d’hamburger al cane, che corse a ripescarlo dal cespuglio nel quale era finito e poi tornò indietro, accucciandosi nuovamente ai piedi del padrone per sbranare in tutta tranquillità la propria cena. – Comunque sia, non stavo parlando in tedesco. Lo sai che Blitz segue solo un certo tipo di ordini.
- Era ovvio che succedesse. L’hai addestrato in tedesco! Oppure vuoi darmi a bere che le sue orecchie fossero naturalmente predisposte per questo tipo di linguaggio?
- Be’, è un pastore tedesco, in fondo, non un pechinese.
- E se lo fosse stato lo avresti addestrato in cinese, Tom?
Il biondo sorrise, ingurgitando l’ultimo morso del panino e regalando al cane il resto della carne.
Si alzò in piedi, sistemando la tuta perché non cadesse lungo le gambe, ampia com’era, e stringendo il laccio elastico alla vita.
- Tim, Georg, non ti confondere. Stasera siamo a cena dai vicini.
Georg roteò gli occhi, allargando le braccia ai lati del corpo in un gesto rassegnato.
- Sei del tutto impossibile. – commentò infine, alzandosi in piedi a propria volta, - Sono passati due anni, Tom. Abbiamo cambiato cognome. Stato di famiglia. Nazionalità. Lingua. Vita. Non credi che sia arrivato il momento di passare avanti e cercare di dare un valore ai sacrifici che tutti abbiamo fatto, cominciando a vivere sul serio?
Tom sorrise appena, lasciando una carezza affettuosa sulla testa del cane, che subito scattò sulle quattro zampe al suo fianco.
- Dopo tutto questo tempo, Frank, mi rifiuto di credere tu non abbia ancora capito.
Georg sospirò infastidito. Tanto infastidito che il suo sospiro ricordò a Tom più un grugnito che altro.
- Cosa c’è da capire, Kaulitz?
- Blitz. – chiamò il ragazzo, battendo una mano sulla coscia ed osservando soddisfatto il cane avvicinarsi, in perfetta posa di condotta, - Fuss. – ordinò dunque, ed insieme all’animale prese a fare il giro del giardino, senza più degnare Georg di uno sguardo.
- Sai cosa, fratellino? – sibilò quindi lui, a corto di pazienza, - Vai a cagare. – concluse, voltandosi verso la casa e risalendo lentamente i gradini per tornare in cucina.
- Io non ho rinunciato, Georg.
La voce di Tom riecheggiò nel silenzio del tardo pomeriggio primaverile, e quando Georg si voltò a guardarlo lo vide di nuovo immobile a fissare l’orizzonte, il cane seduto sull’erba al suo fianco.
- Ho compiuto diciott’anni senza mio fratello. Senza la mia famiglia. E, di tutte le persone che consideravo amiche, mi sei rimasto solo tu. – si lasciò ricadere a terra, incrociando le gambe per lasciare che il cane potesse accucciarsi fra le sue cosce per una sana dose di coccole. – Ma io non ho affatto rinunciato a riavere tutto. La mia famiglia, il mio lavoro, la mia vita. Perché era quella, la mia vita, Georg. Non questa. – sollevò lo sguardo su di lui, e Georg vi lesse con rammarico la solita deprimente e fastidiosa dose di ostinazione e fiducia in se stesso. – Io non mi fermerò fino a quando non avrò ottenuto quello che voglio. L’unico modo che possa concepire, per non rendere vani i sacrifici che abbiamo fatto fino ad ora, è utilizzare questa opportunità di anonimato per trovare un modo per uscire da quest’incubo. E quando ci sarò riuscito, Georg, i Tokio Hotel torneranno. E stavolta saranno imbattibili.
Georg si passò una mano sugli occhi, sospirando pesantemente.
- Va bene, Tom. – concesse infine, risalendo di un altro gradino verso la protezione offerta dalla propria casa, - La cosa spaventosa è che ti credo sul serio. – Tom si lasciò andare ad una risatina che Georg si forzò ad ignorare, mentre Blitz gli si agitava fra le gambe alla ricerca di un altro po’ di cibo. – Ora, saresti così gentile da tornare al tuo alter-ego inglese e risparmiarmi l’ennesimo rimprovero della vecchia Marge per essere arrivati in ritardo a cena per la milionesima volta, Timmy?
Tom rise ancora, alzandosi in piedi con uno scatto che costrinse Blitz a saltare via ad un paio di metri da lui.
- D’accordo, d’accordo. – annuì, - Dammi il tempo di mettere addosso qualcosa che non puzzi di cane bagnato, e poi ci consegniamo alla sposa di Satana.
- Piantala di parlare così di Marge! – lo rimproverò lui, inorridendo ed osservandolo caracollare allegramente verso la porta dopo aver intimato al cane di restare seduto sul prato senza azzardarsi ad entrare in casa, - È sempre stata buona, con noi! E comunque dovresti smetterla di lasciare questa povera bestia al freddo e al gelo.
- Se permettessi a Blitz di entrare in casa, ci ritroveremmo in due ore in un posto molto simile all’inferno.
- Il che dimostra che sei un pessimo addestratore, Timmy. Pessimo davvero.
- Blitz! Beißt!

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