Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 4
BEDROOM ACOUSTICS

“Take off your clothes
I wanna take pictures of you
Boy, I wanna capture you in digital”
Timo Maas ft. Brian Molko – “Pictures”


- Insomma, Alex. – disse Brian, incrociando le braccia sul petto e cercando di trattenersi dal mettersi a gridare come un ossesso riducendo a pezzi la camera della donna, - Stai cercando di dirci che abbiamo due settimane di libertà ma che non possiamo muoverci da questa dannata città?
Lei lo sfidò con lo sguardo, sorridendo; sulle labbra, la solita sfumatura di crudele innocenza che contraddistingueva ogni suo sorriso.
- Esatto Brian.
- Non ci sto! – esplose lui, battendo i pugni sul comodino, mentre Steve e Stefan, sospirando, lasciavano la stanza dopo un veloce saluto, già abbastanza felici di avere del tempo libero per stare lì a cavillare sul luogo in cui passarlo, - Non ci sto, non ci sto e non ci sto!
- Credo di aver capito che la limitazione non ti fa piacere, Bri.
- Piantala di usare eufemismi per far sembrare sciocche le mie incazzature! Voglio andare a New York!
- Non puoi.
- Avevo promesso ad Helena che sarei tornato e avremmo passato un po’ di tempo insieme prima del tour! E voglio vedere Cody!
Alex lo fulminò con lo sguardo, alzandosi dal letto e fissandolo con tutta la sfacciata superiorità dei suoi ragguardevoli centosettantasette centimetri di altezza.
Con le mani sui fianchi e gli occhi ridotti a due fessure brillanti di furore, così com’era in quel momento, sembrava quasi un generale nazista.
- Non sembrava che ti interessasse tanto di Helena né di tuo figlio, quando ieri facevi fare cavalluccio a Matthew Bellamy sulle tue ginocchia, seduto sul tuo letto. – gli disse, sollevando le sopracciglia con disappunto.
Lui si strinse nelle spalle, colto in fallo.
- Questo… è un colpo basso…
- E’ la prima cosa che ho imparato quando ho cominciato a lavorare con te, Bri. Se voglio tenerti a bada, devo sfruttare i tuoi punti deboli.
- …
- E comunque, prova a riflettere un po’. Se do a te il permesso di andartene, dovrò darlo anche a Stefan e Steve. Il tour comincerà prima che tu possa accorgerti del passare dei giorni, e io preferisco avervi tutti sotto controllo. O pensi forse che sarebbe più facile sguinzagliarvi in giro per il mondo e poi dover passare settimane a cercarvi e riportarvi qui? Perché se pensi questo, sono io che non ci sto.
Si fermò, attendendo una qualsiasi reazione da parte di Brian.
Lui sospirò pesantemente e abbassò il capo.
Alex si rilassò, passandosi una mano fra i capelli.
Vittoria.

E scusa, Bri, se non ti dico tutta la verità.
Ma non posso certo uscirmene con un “in realtà spero che tu passi il maggior tempo possibile con Matt, così potrete finalmente litigare furiosamente, capire che questa storia assurda non sta né in cielo né in terra e piantarla, una buona volta”.
Cerca di capirmi.
Ti voglio abbastanza bene da farti una cosa simile, anche se non capiresti se te lo dicessi.


- Guarda che non hai a che fare con dei bambini. – protestò Brian, lasciando la camera, cercando di uscire da quello scontro meno sconfitto di quanto non si sentisse, - Lavori con dei professionisti.
Davvero?, pensò lei, ma lo lasciò uscire senza rispondere. Se non altro perché sapeva che averlo convinto a restare senza venire alle mani era già un grande risultato.
*
- E quindi, in sostanza, - concluse, rigirandosi il filo del telefono fra le dita, - sono obbligato a stare qui a Londra per le prossime due settimane.
- Mmmh. Dal tuo tono sembra che ti dispiaccia… - ridacchiò Matthew, trattenendo l’ignobile e vergognoso impulso di affibbiargli qualche vezzeggiativo idiota e mandargli un bacino, per quanto lo immaginava imbronciato e adorabile in quel momento.
- Non è che mi dispiaccia totalmente… - continuò Brian, sbuffando deluso, - Insomma, voglio dire, in fondo almeno qui ci sei anche tu. Ma avevo tanta voglia di tornare a New York…
- Ooooh, povero tesoro… - lo prese in giro, mentre internamente sprizzava cuoricini da tutti i pori per quell’“almeno qui ci sei anche tu”.
- Non fare ironia facile, Bellamy. Sono serio.
Matt sospirò, riflettendo su cosa avrebbe potuto fare per alleviare un po’ le sue sofferenze.
- Quel che è peggio è che non tollero più di stare in questo albergo. – continuò Brian, una sfumatura di disgusto nella voce, - Perfino la carta da parati mi nausea.
- Ah, per questo c’è una soluzione molto semplice. – disse Matt, improvvisamente colto da un’illuminazione divina, - Casa mia è abbastanza grande per tutti voi. Certo, il mio bagno non ha la jacuzzi e non ci sono i camerieri, ma se può aiutare…
Brian rimase qualche secondo in silenzio.
- …mi stai invitando a casa tua? – chiese infine, trattenendo a stento una risatina eccitata.
- Be’… sì… - rispose lui, incerto.
- E’ molto audace, da parte tua. – continuò Brian, ridacchiando.
- …perché?
Brian rimase in silenzio ancora per qualche secondo.
- Potrei non essere in grado di trattenermi, standoti così vicino. – spiegò infine, - E con la tua ragazza nei paraggi non so quanto potrebbe essere saggio.
In quel momento, nella testa di Matthew esplose qualcosa.
Fu come sentire suonare una sveglia nel cuore della notte. Spalancò gli occhi, e d’improvviso pensò…
Gaia.
Dio!
- Bellamy? – lo richiamò Brian, stupito dal suo silenzio, - Che c’è? Ritiri l’invito?
- N-No. – si affrettò a rispondere lui.
No, si ripeté, cercando di calmarsi.
Ma non servì a molto.
Il suo cuore continuò a battere furiosamente, mentre Brian lo salutava e interrompeva la conversazione, e anche dopo, quando della sua voce non rimase che un’eco lontana a rimbombare nelle sue orecchie, e al suo posto, forte e fastidioso, fu comparso il ritmico segnale acustico del telefono libero.
Puu, puu.
Gaia.
Puu.
Non ho pensato a lei neanche un secondo.
*
A quanto pareva, era impossibile stare in attesa nella hall di quell’albergo senza lasciarsi rodere il cervello da qualcosa. Il giorno prima era stato il nervosismo. Quel giorno, invece, il senso di colpa.
Che stupido.
Per un secondo – per più di un secondo – aveva innocentemente pensato che non sarebbe mai arrivato. Che, per una volta, la sua mente l’avrebbe lasciato libero di agire come un dissennato senza doverne patire le conseguenze.
Che razza… di stupido illuso.
Eccolo lì, il fedele compagno di ogni bravata, fare capolino fra un pensiero allegro e l’altro. Eccolo, eccolo lì, tutto intento a rovinare la festa.
Si sarebbe voluto mangiare le mani, davvero.
Brian era così bello, stare con lui era così liberatorio…
Per quale assurdo motivo non poteva semplicemente impedirsi di pensare?
Doveva pure esistere, il modo per spegnere quel dannato cervello. Doveva. Perché se non c’era, lui era fregato. Totalmente.
Oddio, Gaia…
Dov’era finita Gaia?
Dov’era lei, mentre lui afferrava furiosamente Brian per il bavero del cappotto in mezzo alla strada – in mezzo alla dannatissima strada – e quasi gli mangiava le labbra? Dov’era, quando gli saliva in groppa come avesse avuto due anni e giocava a sfiorargli le guance e il collo? Dov’era quando lo implorava di considerarlo, almeno un po’?
Dov’era, dove diavolo era il ricordo di Gaia, mentre lui, tutto felice, si aggrappava al corpo di Brian?

La risposta arrivò d’improvviso.
Arrivò d’improvviso, nel momento in cui le porte dell’ascensore dall’altro lato della sala si spalancarono, e Brian ne venne fuori.
Ne vennero fuori anche Steve e Stefan, in realtà, ma per lui era come se i contorni della figura di Brian si fossero espansi. Come se un’onda anomala, leggera come l’aria eppure densa come certa nebbia, si stesse alzando dalla sua pelle, circondandolo e invadendo tutto lo spazio attorno a lui, offuscando il resto.
C’era Brian, solo Brian, non c’era spazio per altro.
Ecco dove andava Gaia, esattamente come tutte le altre figure marginali. Si ritirava in un angolino, si accucciava su sé stessa, braccia conserte e labbra arricciate in un’infantile smorfia di disapprovazione, e attendeva semplicemente che la tempesta passasse, che Brian passasse, che ci fosse ancora posto. Attendeva silenziosa, educata, diligente, che fosse il suo turno di mostrarsi.
Come tutte le brave comparse. Come tutte le brave macchiette, di quelle che gli autori poco bravi o svogliati utilizzano come pretesti per mandare avanti le loro storie.
E mentre Brian si avvicinava, e i suoi occhi si riempivano del suo sorriso piccolo e incerto fino a traboccarne, Matthew d’improvviso vide la sua storia e sé stesso per ciò che erano.
Lui era l’autore poco bravo. Lui era questa sottospecie di scribacchino privo di voglia e talento.
Lui aveva bisogno di un pretesto per mandare avanti la sua sciocca e melodrammatica tragicommedia.
Lui aveva usato Gaia.
*
- Dormi?
In effetti sì, avrebbe voluto rispondere, dal momento che si sentiva proprio come se si fosse appena svegliato, ma si riscosse, si alzò in piedi e cercò di somigliare a una persona normale, mentre salutava Steve e Stefan e si avvicinava a Brian, incerto sul da farsi.
L’uomo ridacchiò allegro, piantando una mano sul fianco e divaricando lievemente le gambe.
- Dovremmo smetterla con questi saluti incerti, Bellamy. Avanti, sono qui, dammi un bel bacione! – lo provocò, sporgendo il viso in avanti e mostrando una guancia.
Matthew si trattenne dall’impulso di afferrarla fra i denti e si limitò a pizzicarla con astio.
- Cos’è, ti diverti…? – sibilò perfido, tirando verso il basso tra i gridolini di dolore di Brian che gli intimava di lasciarlo andare o di prepararsi a una citazione in giudizio per oltraggio al patrimonio artistico mondiale.
- Volevamo ringraziarti davvero tanto per l’ospitalità, Matt. – sorrise placido Stefan, ancora in stato di grazia per il recente ingresso nel Mondo delle Vacanze, - Ancora un giorno in quest’hotel e a Brian sarebbe venuto un esaurimento nervoso.
- Io sono già esaurito. – precisò il frontman, liberandosi dalla stretta di Matt e massaggiando la guancia dolorante, - Infatti mi sembra di andare in una casa di cura. Finalmente un luogo in cui non sarò obbligato a vedere il volto di Alex giorno dopo giorno, mentre giorno dopo giorno la sua voce progetta la mia vita anche per le pause da dedicare al cesso.
- Brian… - cercò di richiamarlo Steve, ricevendo in cambio un’occhiata furente e uno sbuffo che sicuramente avrebbe provocato un uragano in Cina.
- “Brian” niente, Steve! – strillò il cantante, gonfiando le guance e preparandosi a sbuffare di nuovo, - Lo sai, adoro quella donna, ma a volte è semplicemente insostenibile!
Mi ricorda qualcuno, pensò Matt con un sorrisetto, mentre osservava divertito il teatrino.
D’un tratto, gli occhi di Brian parvero illuminarsi. Si ficcò le mani in tasca, mentre le labbra si dischiudevano in un gioioso sorriso fremente d’impazienza, e ne tirò fuori un cellulare bianco dalle deliziose decorazioni rosa ai margini; sembrava uscito direttamente dalla confezione di una Barbie ma in realtà, come non mancò di osservare Matthew con misurato disappunto, aveva molte più possibilità di essere il motivo degli allucinanti colori che erano stati scelti per l’artwork del cd di “Meds”.
- Helena? Amore? – esordì, con vocina pigolante, afferrando il telefono con entrambe le mani, come fosse un tesoro da custodire, - Ho delle notizie orribili da darti.
Brian al telefono con Helena utilizzava un tono molto confidenziale e civettuolo. Sembrava quasi una ragazzina chiocciante con un’amica.
Roba di cui vergognarsi.
E roba di cui essere mortalmente gelosi, nonostante tutto, ammise con un sospiro rassegnato.
- Oh, hai già parlato con Alex. – mormorò l’uomo, rattristato, guardando un punto vuoto nell’aria davanti a lui e increspando le labbra in una smorfia di delusione infantile, - Non ho potuto farci niente. E giuro che ci ho provato.
Ah, be’.
Simpatico da dire, proprio lì davanti a lui.
Avanti, Matthew… Matthew! Sarebbe il momento che tu la piantassi con queste idiozie da ragazzo geloso.
Scosse il capo, scacciandone via con forza i pensieri imbarazzanti, e tornò a guardare Brian.
Il quale nel frattempo s’era imbarcato in una surreale conversazione con quello che probabilmente doveva essere suo figlio.
- Cody! Amore di papà! Come? Gu gu ga? Sì! Sei il gu gu ga del suo gugà! Aaaahw, sei così adorabile, è talmente un peccato che tu non te ne renda conto! Oh, sì, certo amorino, cuchi cuchi. Sìììì, quando gugà viene a chacha ti porta un sacco di cuchi cuchi! Promesso! Ooooh! Ma sentitelo! – esplose, facendo volteggiare il cellulare davanti ai visi sconvolti dallo sgomento dei tre uomini che lo fissavano, senza parole, - Canta! – spiegò, con un sorriso ebete che si allargava sempre più di attimo in attimo. – Sì, cantiamo insieme, amore mio! Giku giku poti poti nyaaaaah!
Mentre Stefan e Steve fingevano di non conoscerlo, nascondendo sconsolati il volto fra le mani, Matthew si chiese se magari non fosse il caso di autodenunciarsi per pedofilia, dal momento che era chiaramente in rapporti intimi con un infante.
Poi, con un ultimo sospiro estasiato e innamorato, terminò la conversazione e tornò a guardarlo, incurante delle occhiate disapprovanti dei suoi compagni di gruppo e dell’intera popolazione londinese e non raccolta nella hall dell’albergo.
- Direi che adesso possiamo andare! – cinguettò allegro, incrociando graziosamente le braccia dietro la schiena e inclinando il capo.
- Direi di sì. – annuì Matt, ancora confuso, mentre cercava di risistemare i pezzi della sua caotica vita, almeno all’interno del proprio cervello.
*
Per prima cosa, Gaia aggrottò le sopracciglia.
Poi gonfiò le guance come un criceto, e incrociò le braccia sul petto.
Infine, sollevò una mano, puntò il dito indice verso Brian e dichiarò “E’ davvero più bello di me!”, come se la questione più importante in quel momento fosse quella.
Nello stesso momento, Brian giunse le mani sotto al mento, accese gli occhi e si inarcò tutto verso di lei, arricciando le labbra in un sorriso furbo da gatto che Matthew giudicò spaventoso.
Poi, come se tutte queste assurde movenze non fossero stare abbastanza, eruppe in un singhiozzo commosso e disse “E’ così carina! Oddio, la voglio!”.
- Adesso calmiamoci! – esortò Matt, massaggiandosi le tempie e cercando di ristabilire la pace, - Gaia, Brian è un uomo. La possibilità che sia più bello di te non esiste.
- Ehi! – si lamentò Brian, sollevando bellicoso un pugno, ma Matt lo fermò.
- Brian. Lei è mia. Giù le zampe.
L’uomo aggrottò le sopracciglia – fin troppo seriosamente per i suoi gusti – e incrociò le braccia, stringendosi nelle spalle.
- Come vuoi. – sbuffò, mortalmente offeso, - Ma ho diritto almeno a un peluche che le assomigli?
- Assolutamente no! – si ribellò Gaia, tornando a guardarlo astiosa, - Matt! È troppo bellino, non ce lo voglio in casa! È pericoloso!
- Mmmh, non sai quanto, bimba.
- Brian, taci!
- Matthew! E se decidesse di abusare di me? Io non sarei in grado di resistergli, sappilo!
- Che COSA?!
- Aaah! Sei così adorabile! Abuserò di te il prima possibile!
Matthew abbandonò le braccia lungo i fianchi, stremato.
Tutto questo era troppo per il suo cervello.
Stefan gli si fece vicino, mettendogli una mano sulla spalla e sorridendogli rassicurante.
- Sta’ tranquillo, anche se fa così è innocuo.
- Sì… lo so… - annuì, poco convinto, mentre osservava un altro teatrino fra Gaia – che faceva finta di svenire ma in realtà sembrava divertirsi molto, - e Brian – che coglieva l’occasione per sorreggerla e palparla con navigata grazia un po’ ovunque.
Dio mio, pensò, sentendosi pesante.
Doveva essere completamente pazzo.
O della vita non aveva davvero capito niente, come Dom aveva adorato ripetergli spesso durante l’ultimo anno.
Dom!
Il pensiero lo fulminò in un lampo, rischiarandogli la mente.
Doveva chiamare Dom!
Era tutto così semplice! Lui lo avrebbe aiutato a risolvere quel dannato problema, a capire… qualsiasi cosa ci fosse da capire.
- Be’, andate pure a sistemarvi, ci sono delle camere da letto al piano di sopra.
- Oddio, sono impolveratissime… - sbuffò Gaia arrossendo, anticipandoli sulle scale, - Vi faccio strada, seguitemi.
Matt osservò con un mezzo sorriso la sua fidanzatina diciannovenne comportarsi da perfetta padrona di casa, e poi si catapultò in camera sua, dove afferrò il telefono, si gettò sul letto e compose il numero di Dom con ansia quasi spasmodica e di certo eccessiva.
- Dom! – strillò agitato, ancor prima che lui potesse rispondere “pronto” sollevando la cornetta.
- Matthew? – lo chiamò l’amico, allarmato dal suo tono, - Che succede?
- Credo di avere appena fatto la cazzata più immensa della mia intera esistenza.
Dom si prese un secondo di pausa, probabilmente per riordinare le idee. E poi scoppiò gioiosamente a ridere.
- Dom!
- Sì, sì, lo so, scusa. – disse lui, cercando di trattenersi, - E’ che ho sentito Stef, che mi ha raccontato un po’ di cose, quindi immagino cosa puoi aver combinato e mi viene da ridere…
- …che vuol dire…? Cosa sai?
- Be’, pare che la signorina Weston si sia un po’ sfogata con Steve, convinta che avrebbe tenuto la bocca chiusa…
- …e così non è stato.
- Ovvio. Steve ha detto tutto a Stef, il quale ha detto tutto a me.
Matthew sospirò pesantemente, nascondendo il volto su un cuscino e passandosi una mano fra i capelli.
- E nello specifico sai che…?
- So di strane scene pseudo-infantili tipo cavalluccio, e so del fatto che hai deciso di ospitarli in casa per le prossime due settimane.
- …
- Sinceramente, Matt: hai la segatura in testa?
- …Dom…
- No, davvero. Io non ho nulla in contrario se decidi di farti l’amante. Voglio dire, d’accordo, non sarà la cosa più onesta che potrai fare nella tua vita, ma le persone hanno dei bisogni e io non sono così ipocrita da dire che cedere al desiderio non è comprensibile. Ma portarti l’amante in casa è…
- …
- E’…
- …
- E’ idiota! E poi è un suicidio.
- Be’, grazie mille, era esattamente quello che avevo bisogno di sentire.
- Non voglio consolarti! Non meriti consolazione. Meriti qualcuno che ti afferri per le orecchie e ti obblighi a spiegare una volta per tutte cosa diavolo ti passa per la testa quando parli!
- Non lo so! Lui… insomma, era giù perché la signorina Weston gli ha impedito di andare a New York, cos’altro avrei potuto fare?
- Perché avresti dovuto fare qualcosa?!
- Perché… p-… oh, vaffanculo, Dom!
- Senti, Matt, se non riesci neanche a dirlo io-
- No! Vaffanculo e basta! Sei una merda! È da un anno che hai deciso che devi farmela pagare per chissà quale motivo! Non ti sei ancora stufato?
- Chissà quale motivo…?
- Non tirare fuori dicembre!
- Come faccio a non tirare fuori dicembre?! Sei stato pessimo!
- Tanto non ci siamo messi a lavorare! Avresti potuto prendere il primo aereo per chissaddove e in due ore saresti stato fra le braccia del tuo adorato Stefan, quindi non dare a me la colpa per la tua pigrizia!
Si fermò, ansante, ritrovandosi a faccia in giù fra un cuscino e l’altro e totalmente a corto di ossigeno. Si voltò a pancia in su con un movimento repentino e immediato, aspirando a pieni polmoni mentre si riempiva gli occhi del grigiore scuro del soffitto della camera.
- Hai finito? – chiese Dom, incerto, dall’altro lato della cornetta.
- Sì. – rispose lui stancamente, socchiudendo gli occhi.
- E ti sei sfogato?
- Sì, sì…
- Allora posso parlare io?
- Mh.
- “Mh” è sì?
- Sì, sì!
- No, perché non si sa mai.
- Dom, piantala e parla.
- Ok. Senti, Bells. Adesso basta capricci da bambino. La verità è che non puoi scegliere. Tu non hai una scelta. Tu hai una ragazza. Hai un rapporto che può darti tanto, e che in fondo è quello che hai sempre voluto, lo so io e lo sai anche tu. Brian è… come posso spiegartelo, è una cosa di cui hai bisogno adesso, e magari però fra due mesi non sarà più così, capisci?
- Sì, so esattamente cos’è Brian.
- Gaia, invece-
- Io l’ho usata.
- …eh?
- L’ho usata. L’ho capito oggi. Brian mi mancava, probabilmente a livello inconscio avevo paura di rivederlo, e mi serviva qualcuno con cui distrarmi. L’ho usata.
- …Matthew. Parli sul serio?
- Sì.
- Che vuol dire “l’ho capito oggi”? Hai ricevuto l’illuminazione divina? Di cosa cazzo stai parlando?
- E’ quello che è successo! Ho guardato Brian che mi veniva incontro in albergo e l’ho realizzato. Così. Semplicemente.
- …
- …che c’è?
- Matt. – rispose Dom, sospirando, - Brian non è il centro del tuo fottuto mondo. Brian è solo una persona.
E quindi non può essere un centro?
Mi sa che ti sbagli.

- Piantala di rivedere tutta la tua vita in sua funzione. Adesso te ne uscirai fuori dicendo che lui è il motivo per cui hai cominciato a suonare. Andiamo, sii serio. Pensare così non è salutare.
Oh, no.
Affatto.

*
Prima di entrare, si trattenne sulla soglia, nascosto dalla porta socchiusa, e lo osservò disfare la valigia.
Brian letteralmente danzava dal letto al cassettone, tirando fuori i vestiti più allucinanti da un borsone che visto dall’esterno sembrava avesse la capacità di contenere appena la metà degli indumenti che giacevano fra cassetti e letto, e sembrava così…
…così felice.
O forse non felice.
Solo stupidamente allegro e gioioso.
Sembrava un bambino. Il suo sorriso era quello di un bambino, e i suoi occhi luccicavano come di fronte a un giocattolo nuovo.
Un passo e fu all’interno della stanza.
Fu silenzioso, ma Brian si accorse subito di lui, e si gettò ridacchiando a sedere sul letto, puntellandosi al materasso con le mani.
- Non sei educato, Matt. Avrei potuto essere nudo!
- Se fossi stato nudo – replicò con un mezzo sorriso, - mi avresti ordinato di darmi una mossa a entrare e probabilmente mi avresti anche chiesto se per caso non avevo un preservativo a portata di mano.
Brian si strinse graziosamente nelle spalle, inclinando il capo.
- E’ vero. – ammise con un enigmatico sorriso da lolita che, stranamente, sul suo viso non risultò ridicolo come avrebbe dovuto esserlo su un normale viso da trentacinquenne. - Volevi qualcosa?
Matthew sospirò e si mosse lento e incerto verso di lui, sedendosi al suo fianco.
- E’… difficile dirti quello che devo dirti. – cominciò sospirando e intrecciando le dita all’altezza delle ginocchia, - Soprattutto dopo essere stato io a invitarti qui.
L’espressione di Brian cambiò con una tale rapidità che gli si formarono delle rughette terribili agli angoli della bocca. Se si fosse visto riflesso in uno specchio, in quel momento, probabilmente si sarebbe odiato.
- Di cosa stai parlando, Bellamy? – chiese, glaciale, - Mi stai buttando fuori?
- No! – si affrettò a dire lui, poggiandogli una mano sulla spalla, - Non ne ho la minima intenzione!
- No, perché io non ci torno in quel merdoso albergo.
- Ho capito, Bri, non intendo-
- Bri il cazzo, Bellamy. Parla.
Matthew sospirò ancora, profondamente, e l’aria nei polmoni gli fece male.
Gli sembrò di essere sul punto di esplodere dall’interno.
- Brian, io voglio che tu rimanga qui. Ma non possiamo mandare avanti questa storia. Io ho una ragazza e la amo, e anche tu hai una compagna e un figlio, e li ami. Rimani… come amico.
- Amico?
- Amico. – annuì, - Lasciamo da parte tutto il resto e ricominciamo pacificamente come semplici amici. Vuoi?
Brian si grattò distrattamente un sopracciglio, appoggiando poi la fronte alla mano e il gomito sul ginocchio.
- Fammi capire bene, Bellamy. Tu – disse, indicandolo minaccioso con un dito, - mi vieni a cercare. Tu mi baci. Tu mi dici che vuoi rivedermi. Tu mi chiedi perdono e mi preghi, Cristo, mi implori di darti una seconda possibilità, anche se non te la meriti. Tu mi inviti a casa tua. E ora mi vieni a chiedere di fare l’amicone come se non fosse successo nulla?
- Brian-
- “Vuoi”, mi dici? Voglio? Secondo te voglio?
- Ok, scusami, non-
- Te lo dico io cosa voglio. Vorrei essere a mille miglia da qui, fra le braccia di Helena o accanto al lettino di Cody. In mancanza di questo, vorrei stare scopando, o sbronzarmi da qualche parte. Come ultima spiaggia, preferirei dormire. Ora, ti sembra che fra i miei desideri esista quello di essere tuo “amico”?
- …no.
- E sai perché, Bellamy?
- …perché non lo sei.
- Esatto, tesorino. Io non sono un tuo compagno di classe, non sono Dom e non sono Chris. Io non sono un tuo fottuto amico. Lo capisci, cosa voglio dire?
Annuì, incapace di parlare.
- E lo capisci sul serio? Lo capisci perché non possiamo essere amici?
- Perché… - sputò a fatica, - Perché tu per me non provi niente…?
- Perché sei un idiota, ecco perché. No, Matthew, non hai capito proprio un bel niente. Non possiamo essere amici per il motivo opposto. Non possiamo essere amici perché la tua amicizia non mi basta e non è niente. Ora lo capisci perché?
Strinse i pugni fino a vedere le nocche imbiancarsi, e si morse le labbra fino a potersi illudere che il bruciore agli occhi potesse essere causato dal dolore fisico e non da tutto il resto del casino che gli prendeva a calci il cervello.
- Vai fuori di qui. – sentenziò Brian, scattando in piedi e tornando ad occuparsi dei suoi vestiti, - Togliti di torno.
Ubbidì silenziosamente, perché gli sembrava fosse l’unica cosa che potesse fare senza peggiorare la situazione.
*
Quella fu una cena orrenda.
Non dubitava che le pietanze preparate da Gaia potessero essere ottime – almeno, in quasi un anno di convivenza non l’aveva mai avvelenato – ma nella sua bocca qualsiasi cosa assumeva un sapore amaro e irritante che quasi gli impediva di mandare giù il boccone. Perfino l’acqua era indigesta.
Brian mangiava di malavoglia dall’altro lato del tavolo, e Stefan e Steve, tesi come due spilli, non osavano sollevare gli sguardi dai piatti.
Gaia non capiva, o non le interessava capire, e si limitava a guardarsi attorno con aria smarrita, alla ricerca del suo sguardo.
Ma il suo sguardo fuggiva.
Il suo sguardo avrebbe tanto avuto bisogno di un porto franco nel quale riposare, ma non c’era niente del genere a quel tavolo. C’erano domande, tensioni, rimproveri e imbarazzi ovunque, da ogni lato.
Non si poteva salvare.
- Allora… - cominciò la ragazza, ormai a disagio per il lungo silenzio, - Come mai… come mai avete deciso di venire a stare qui?
Brian sollevò repentino lo sguardo.
- Ci ha invitati il tuo uomo. – disse gelido, guardando Matt e mettendolo terribilmente in imbarazzo, - Non lo sapevi?
- Ma… sì, certo che lo sapevo… - si sforzò di sorridere Gaia, sempre più a disagio, - Solo mi chiedevo come mai non… oh, basta. Volevo solo fare conversazione, ma a quanto pare ho cominciato male… - si scusò con un sorrisino, stringendosi nelle spalle.
Brian le sorrise lievemente di rimando, mentre Stefan le sorrideva più apertamente ringraziandola una volta di più per l’ospitalità.
Certo, capiva tutto, ma Brian avrebbe potuto essere un attimino più… morbido. Conciliante. Meno stronzo, e che diamine.
Oltretutto, Gaia non aveva alcuna colpa. Non c’era nessun motivo per prendersela con lei solo perché lui aveva combinato un casino senza starci troppo a pensare e ora non era più in grado di gestirlo.
Era con lui che Brian avrebbe dovuto essere freddo.
Era con lui che avrebbe dovuto essere crudele.
Il problema era che si stava già comportando freddamente e crudelmente con lui.
E probabilmente ancora non gli bastava.
Il che metteva la sua vita e quella di Gaia quantomeno in pericolo.
Sospirò pesantemente, giocando con una foglia di lattuga un po’ troppo grande, e desiderò non avere nessuno fra i piedi e potersi fare un bel sonnellino ristoratore.
Per qualche secondo riuscì a illudersi che avrebbe potuto continuare a far rotolare la lattuga con la forchetta da un lato all’altro del piatto, mandando il cervello in stand-by e godendo dell’adorabile sensazione di essere incapace di pensare.
Ma Brian, ovviamente, sembrava avere altri progetti.
- Che c’è, Bellamy? Già stanco?
Sorrise lievemente, facendosi forza mentre cercava di nascondere il tremore irritato delle mani.
- Un po’. È stata una giornata faticosa, in fondo.
- Non puoi neanche immaginare quanto. – rimbeccò Brian seccamente.
Matthew si passò una mano sugli occhi.
- Hai ragione tu, Brian. – esalò in un sospiro, sperando di placarlo.
Trovò l’oscurità che la sua mano gli regalava veramente preziosa, e perciò rimase immobile a fissare il buio oltre le palpebre, anche quando sentì il rumore stridente di una sedia che veniva allontanata dal tavolo strisciando sul pavimento, e quello più sordo e forte di un paio di mani che si abbattevano con improvvisa furia contro la superficie in legno.
- Stai facendo il condiscendente con me, Bellamy? – chiese Brian con una nota di astio quasi isterico nella voce.
Lui spostò la mano e lo guardò di sbieco, distrattamente.
- Come dici…?
- E ora fai il finto tonto?! Ma chi ti credi di essere?!
Stupito dall’improvvisa impennata del suo tono di voce, guardò prima Steve e poi Stefan alla ricerca di una spiegazione plausibile, ma entrambi si limitarono a scrollare le spalle e far finta di niente, sperando che la bufera passasse da sola.
- Bellamy! – strillò Brian, - Non provare a ignorarmi!
- Scusami, Brian, - azzardò lui, cercando di riportare la situazione a livelli meno agitati prima che qualcuno si facesse seriamente male, - ma non capisco cosa ti ho fatto…
Brian spalancò gli occhi come se le sue ultime parole l’avessero offeso fisicamente nell’orgoglio.
E probabilmente era anche così.
- Tu… non capisci…?
No, non capiva.
Non capiva affatto.
E non capiva soprattutto per quale assurdo motivo adesso l’insalatiera si trovasse sulla sua testa, le foglie di lattuga e radicchio cadessero sul tavolo tutt’intorno a lui e un rivolino d’olio salato gli scivolasse dietro l’orecchio, giù per il collo e nella scollatura della maglietta.
Guardò Brian come inebetito, senza riuscire a spiccicare una parola.
Lui sembrò rendersi conto tutto d’un tratto di quello che aveva fatto, e ripetersi mentalmente “Dio, gli ho messo l’insalatiera per cappello!”, senza neanche riuscire a crederci.
Poi, il suo orgoglio e la sua testardaggine riuscirono a battere l’imbarazzo e la sensazione di essere impazzito e, dopo la scenata, Brian mormorò uno “scusatemi” sommesso e si diresse a passo di carica verso la sua camera, sbattendosi la porta alle spalle.
Anche quando lui fu scomparso da tanto tempo che perfino dell’odore del suo profumo non rimaneva neanche la più flebile traccia, Matt non riuscì a muoversi di un millimetro.
Dovette ripulirlo Gaia.
*
Avrebbe dovuto odiarlo. Oh, sì, avrebbe proprio dovuto detestarlo.
Lui non capiva niente di tutto quello che stava succedendo, era proprio vero, ma Brian non aveva alcun diritto di ostentare una superiorità che nel modo più assoluto non possedeva. Si credeva forse l’unico depositario della verità universale? Credeva di aver capito tutto dei sentimenti degli uomini, delle loro azioni, dei loro desideri?
Solo perché affrontava la vita con un pizzico di sincerità in più rispetto a lui, si sentiva in diritto di…
…di tirargli una dannata insalatiera sulla testa e uscire dal soggiorno con una sceneggiata da perfetta drama queen che neanche in Santa Barbara s’era mai vista, accidenti a lui?!
Rotolò fra le lenzuola, sperando che Gaia fosse ancora sveglia e potesse ascoltare le sue lamentele per l’ennesima volta quella notte. Ma Gaia dormiva profondamente con un’espressione molto soddisfatta sul volto, e lui non ebbe proprio cuore di svegliarla. Perciò rotolò nuovamente su sé stesso e lanciò un’occhiata incerta al cellulare, che lampeggiava tranquillo sul suo comodino.
Avrebbe potuto chiamare Dom.
Di nuovo.
…e magari lui gli avrebbe staccato la testa, cosa che avrebbe risolto una quantità infinita di problemi.
Pensò di rotolare ancora, magari l’ennesimo smottamento avrebbe messo in moto i meccanismi inceppati del suo cervello, e gli avrebbe permesso di trovare una soluzione, ma Gaia mugugnò qualcosa come “Dormiiii”, sbuffando e tirandogli addosso uno dei peluche dei quali si circondava quando andava a dormire – perché diamine si innamorava sempre di mocciosi? – e allora decise di rimanere fermo.
E il suo sguardo scivolò sulla porta.
Entrando in camera l’aveva lasciata accostata, e ora che se ne rendeva conto cominciava a domandarsi perché.
Ah, Dom glielo ripeteva spesso.
Tu pensi troppo.
Pensi troppo e non agisci abbastanza.

Strinse le dita attorno al lenzuolo.
E capì che la freschezza del cotone non era quello che voleva sentire in quel momento.
Aveva bisogno del calore della pelle. Della sua morbidezza. Del suo buon odore, e del sapore che non riusciva a saziarlo.
Di Brian.
Ora.
Subito.
*
Stava ancora guardando il soffitto, alla disperata ricerca di sonno, quando Matt fece capolino dalla porta, incerto e imbarazzato come un bambino. Poteva quasi vedere il rossore delle sue guance risplendere nella luce opaca che invadeva la stanza. La sua espressione agitata e tenerissima lo fece sogghignare, ma Matt probabilmente non se ne accorse, grazie al cielo.
Brian rimase immobile, le braccia incrociate dietro la nuca, aspettando che fosse lui a decidere cosa fare di quel momento. D’altronde, era il minimo che potesse concedergli, dopo essersi comportato a quel modo durante la cena.
Matt si richiuse accuratamente la porta alle spalle, e si avvicinò al letto con cautela, inginocchiandosi al suo fianco. Brian voltò impercettibilmente il capo e lo guardò.
Lo sguardo smarrito, le labbra dischiuse.
Non faticava, non aveva mai faticato a capire per quale motivo si fosse fissato a quel punto su di lui.
Matt cercava, per quanto possibile, di trattenere il respiro, come avesse paura che un sospiro più profondo potesse fare troppo rumore e infastidirlo. I pochi, lentissimi, sporadici ansiti che gli uscivano dalle labbra erano affaticati e pesanti.
Brian Molko, ti presento la Voglia di Matthew Bellamy.
Si sollevò sui gomiti, schiudendo le labbra per chiedergli una cosa qualunque, ma Matt fu più veloce di lui. Lo zittì, pressandoglisi contro, in una confusione di labbra avide, lingue ansiose e mani contratte nello sforzo di afferrare i capelli e tirarli con rabbia affamata.
Non ebbe neanche il tempo di stupirsi. Il desiderio di Matt lo investì troppo velocemente per lasciargli modo di pensare razionalmente.
E in realtà probabilmente smettere di pensare razionalmente era esattamente ciò che voleva.
Matt si arrampicò sul letto, gettandoglisi addosso. Si separò da lui un attimo, lo guardò negli occhi. Senza dire niente, lo implorò di non parlare. Dopodiché, le sue labbra lo cercarono ancora. E lo trovarono. Si trovarono. Nel buio azzurro della stanza, si trovarono, e si sarebbero trovati comunque, anche se fossero stati sepolti da oceani d’acqua, piantati sui fondali dei due poli opposti della terra; si sarebbero trovati comunque, perché trovarsi era l’unica cosa che si sentivano in grado di poter fare senza confondersi, trovarsi era l’unica via di fuga all’assurdo di quei giorni, trovarsi era l’unica valvola di sfogo al desiderio che li stava rendendo pazzi, trovarsi era l’unico modo che avevano per risolvere la loro storia incompiuta, e perciò si trovarono, una volta, e ancora, e ancora.
E poi era l’alba.
E c’era una nuova giornata da affrontare.
Ancora stretto fra le sue braccia, Matthew guardò il sole sorgente oltre il vetro della finestra e, trattenendo a stento i gemiti, scoppiò a piangere.

back to poly

Vuoi commentare? »

your_ip_is_blacklisted_by sbl.spamhaus.org