Fanfiction a cui è ispirata: "Try Something New" di Happy.
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo.
Pairing: BrianxMatt, BrianxHelena, MattxGaia.
Rating: R - probabile futuro NC-17.
AVVISI: Angst, RPS, Spin-off, Incompleta.
- Un anno è passato dall'ultima volta in cui Matt e Brian si sono visti. Un anno, e sembra non sia cambiato niente. Un anno, e in realtà c'è stata una rivoluzione, dentro di loro. Rivedersi è davvero la cosa giusta? Matt non lo sa. Sa solo che non può fare a meno di vagare per Hyde Park sperando di incontrarlo.
Commento dell'autrice: Se ne parla alla fine è_é
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TRY SOMETHING BETTER
CAPITOLO 2
ETERNALLY MISSED

“Stuck between the do or die
I feel emaciated
Hard to breathe I try and try
I'll get asphyxiated”
Placebo – “Come Home”


- Di tutte le persone che mi sarei aspettato di trovare qui, - disse ironico Dom, incrociando le braccia sul petto e guardandolo come se fosse l’essere più stupido su tutto il pianeta, - tu eri proprio l’ultima.
Irritato dal suo tono e dal suo atteggiamento, Matthew scosse le spalle e guardò altrove, cercando di schiacciarsi il più possibile contro il tronco d’albero sul quale era appoggiato, nella speranza di fondercisi.
- Qualcosa da dire per scusarti del tuo comportamento nell’ultimo anno? – continuò Dom, irritato a sua volte da quell’ostentazione di falso disinteresse, - Perché, visto che oggi sei qui, penso tu me lo debba.
Matt sospirò, socchiudendo gli occhi.
- Mi scuserei se mi sentissi in colpa. – mentì.
Dom ridacchiò, appoggiandosi al tronco accanto a lui.
- Bells, sai? La sincerità non è una cosa deprecabile.
Lo guardò di sbieco.
- Io sono sempre sincero. – obiettò.
- Mh… è piuttosto vero. – ammise Dom, picchiettandosi il mento con l’indice, - Almeno quando non si parla di Brian.
Esasperato, Matt si passò una mano fra i capelli.
- Puoi evitare di chiamarlo per nome…? – chiese, ben consapevole di fare la figura del ragazzino capriccioso ma disinteressandosene totalmente.
Dom rise ancora.
- Allora lo chiameremo Chi-Sai-Tu, da ora in poi. Meglio?
- “Meglio” sarebbe non parlarne affatto. Ma fa’ come vuoi.
- E’ mai possibile che tu sia ancora così scottato da quello che c’è stato fra voi da essere incapace di parlarne dopo un anno, Matt?!
Strinse i pugni, separandosi dal tronco e cominciando a camminare spedito verso un qualsiasi punto fosse lontano da Dom.
- Ehi! – lo inseguì lui, piantandosi al suo fianco, - Era una domanda come un’altra.
- Ti dirò una cosa, per il futuro: nessuna domanda su Brian è una domanda come un’altra.
Dominic si fermò improvvisamente, scoppiando a ridere.
Matthew ebbe la netta sensazione di aver detto troppo.
Si fermò a sua volta, fronteggiandolo.
- Dimenticatelo immediatamente! – ordinò, arrossendo vistosamente.
- Come pensi potrei farlo?! – continuò a ridere Dom, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi, - Hai praticamente fatto una dichiarazione d’amore!
- Non- Non è una dichiarazione d’amore! È una dichiarazione di rifiuto e di fastidio! – protestò lui.
- Appunto. – rispose semplicemente Dominic, raddrizzandosi e sorridendo apertamente.
In quel momento, in lontananza, il gruppo semi-sconosciuto che stava intrattenendo il pubblico terminò la sua esibizione, e un presentatore in uno sgargiante completo rosso e bianco uscì sul palco, attirando l’attenzione su di sé con un urlo allegro.
- Signore e signori, i Placebo! – disse, dopo un’interminabile serie di battute e frasi di circostanza, e fu l’unica cosa che Matt riuscì a capire chiaramente.
Brian, Stefan e Steve uscirono immediatamente dal backstage, incitando il pubblico a gridare e applaudire.
Brian sorrideva.
Matthew lo guardò afferrare l’asta del microfono e camminare avanti e indietro per il palco, ammiccante, sensuale, frenetico.
Magnetico.
- Che hai? – chiese Dom, una nota di preoccupazione nella voce, osservandolo irrigidirsi e spalancare gli occhi, - Stai male?
Scosse il capo, cercando di respirare normalmente.
- Non li avevo mai visti dal vivo.
- Sul serio? – disse, stupito. – Allora ti sei sempre perso qualcosa di piacevole.
Sollevò un sopracciglio, sbuffando.
Be’, Brian proprio non sapeva suonare.
E la voce esitava a venir fuori, spesso e volentieri.
…ma sì, si era sempre perso qualcosa di piacevole.
Brian era sempre stato in grado di farlo sentire così. Di fargli apprezzare anche le cose che lo infastidivano. Come i litigi, le verità scomode, l’ansia. Tutte cose odiose.
Ma se c’era Brian di mezzo diventava tutto più confuso. I contorni delle cose spiacevoli si sfumavano, si ammorbidivano, e quello era piacevole.
Guardandolo, decise una volta per tutte che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.
E lo colpì in faccia, con violenza, la sensazione che ciò che lui gli faceva provare gli sarebbe mancato per sempre. Non l’avrebbe ritrovato più in nessun altro. Non era un sentimento cui Gaia potesse sopperire, non era neanche un sentimento che Gaia avrebbe potuto capire. Lui non avrebbe saputo spiegarglielo. E lei avrebbe frainteso. Così come fraintendeva Dom.
Il suo bisogno di Brian… non era di tipo sentimentale. Lui… diosanto, no, non l’amava! E non era un desiderio fisico, perché il solo pensiero di fare ancora una volta l’amore con lui lo terrorizzava al punto che avrebbe desiderato poter prendere l’aereo e scappare lontano.
Aveva bisogno di Brian come di una medicina. Era un desiderio fisiologico. Brian era quello che gli permetteva di respirare quando lo prendeva un attacco d’asma, quello che gli permetteva di pensare quando aveva l’emicrania, o di digerire quando mangiava troppo. La sua cura risolutiva e immediata per ogni problema della quotidianità.
Era, o era stato, o avrebbe potuto essere. Perché gli bastava pensarlo per stare male e bene. Gli era sempre bastato, fino a quel momento e per tutto l’anno precedente. E se lo sarebbe fatto bastare in futuro.
Sì. Avrebbe chiuso la porta. Ci avrebbe dato un taglio. Sarebbe tornato a casa.
E quella tortura sarebbe finita.
*
Nervoso e accigliato, si guardò intorno con paura e poi arpionò Dom per un braccio, obbligandolo a distogliere la sua attenzione dalle scale dalle quali scendevano gli artisti, per concentrarsi su di lui.
- Quando arriverà Stefan potrò andarmene, vero? – chiese implorante.
- Sì, sì, come vuoi. – rispose Dom con noncuranza, tornando a fissare le scale con un sorriso ebete sul volto.
Lui ricominciò a torturare il giubbotto con le mani, mordendosi le labbra.
Perché doveva sempre finire così? Perché, anche quando decideva qualcosa, un qualche elemento esterno riusciva sempre a fargli tradire i suoi progetti – causandogli tra l’altro un mare di guai?
Eccolo lì, in attesa dei Placebo per far compagnia a Dom, a sua volta in attesa del suo uomo.
E s’era giurato di non rivedere più Brian appena mezz’ora prima!
- Ah! – gridò Dom, mentre il suo sorriso si apriva in una risata e cominciava a sbracciarsi in direzione di Stef, che chiudeva la breve fila dei Placebo in discesa dalla scaletta sul retro del palco.
Matthew lanciò uno sguardo a Brian che, come sempre, faceva da apripista.
Anche Brian lo guardò, un misto di sorpresa e piacere negli occhi. Probabilmente non si aspettava che sarebbe davvero rimasto fino all’esibizione dei Placebo, né tantomeno che sarebbe andato ad accoglierlo lì.
- Stef!- continuò a gridare Dom, entusiasta, saltandogli in braccio quando lo vide abbastanza vicino, - Siete stati grandiosi come al solito!
- Non dire balle! – rise Stefan, stringendolo forte in vita, - Brian ha sbagliato un mucchio di cose, come al solito.
Brian sbuffò, guardando altrove.
- Il mio pubblico mi ama e questo mi basta.
- Il tuo pubblico ti ama perché sei carino. – puntualizzò Steve, ridacchiando divertito.
- In realtà… - s’intromise titubante Matthew, fissando per terra, - è stato meno insopportabile delle altre volte.
Poco importava se lo era stato per la sua testa e non per le sue orecchie.
Soddisfatto, Brian sorrise.
- Bene! – disse Stefan d’improvviso, rompendo il silenzio, - Adesso io e Dom penso si andrà da qualche parte per stare un po’ tranquilli. Per voi va bene, ragazzi?
- Come se ti interessasse davvero! – rise Steve.
- …stavo solo facendo la persona educata! Sono profondamente ferito dal tuo commento! – si lamentò Stef, ironico, prima di scoppiare a ridere un’ultima volta e salutare i suoi compagni, dirigendosi verso una qualche imprecisata parte di Londra con Dominic trotterellante al suo fianco.
- Dal momento che detesto reggere il moccolo, - disse subito Steve, mettendo le mani avanti, - qualsiasi cosa abbiate intenzione di fare, che sia picchiarvi o che sia altro, vi dico subito arrivederci.
Brian rise, dandogli una pacca sulla spalla e trattenendolo per un lembo della camicia.
- Puoi anche rimanere, tanto credo che Matt stia andando via.
E Matthew sapeva che avrebbe dovuto annuire, voltarsi e andarsene.
Invece tacque, continuando a guardarsi la punta delle scarpe, spiegazzando fra le dita l’orlo del giubbotto.
- …forse non sei bravo a leggere nelle intenzioni di Matt. – commentò Steve, guardando con curiosità mista a divertimento il povero frontman dei Muse in chiara difficoltà emotiva.
- Forse no. – ridacchiò Brian, incrociando le braccia sul petto. – Ci vediamo in albergo?
Steve sorrise e si dileguò, e solo allora Matt osò sollevare lo sguardo.
Brian lo fissava, e sembrava estremamente divertito dalla situazione.
- Bellamy, sei troppo carino. – disse infine, sospirando e chiudendo gli occhi come si stesse arrendendo a qualcosa di più forte di lui.
- Cosa?! – scattò Matt, imbarazzato, stringendo i pugni, - Che vuol dire?
- Ma guardati! Tutto timoroso e imbarazzato… - disse, facendogli il verso e giungendo le mani come in preghiera sul petto, - Mi stai tentando?
Spaventato, Matt fece un mezzo passo indietro, stringendosi di più nel giubbotto.
- Non-
- Lo so. – lo tranquillizzò Brian, - Stavo scherzando.
Lui si rilassò, tornando a guardarlo negli occhi.
- Che… che programmi avevi, per ora? – chiese titubante, sperando lui lo prendesse per un semplice tentativo di fare conversazione.
- Chiamare Helena, parlare con lei e Cody, assicurarmi che stessero entrambi bene e poi andare in albergo.
- Helena è… tua moglie, vero?
- Falso. – rise lui, - Non siamo sposati.
- E Cody è tuo figlio.
Immediatamente, gli occhi di Brian si riempirono di luce, mentre di nuovo giungeva le mani, stavolta sotto al mento, e gli si avvicinava con fare minaccioso.
- Cody è il mio unico e vero amore! – disse, entusiasta, sprizzando gioia da tutti i pori, - Vuoi vedere una foto?
Matthew annuì, stupito da tutto quell’entusiasmo, e Brian immediatamente tirò fuori dalla tasca una foto dalle dimensioni di una fototessera, sulla quale appariva il volto di un bimbo paffuto dalla pelle lievemente arrossata sulle guance e gli occhi di un indefinibile colore fra il blu e il grigio. Un rivolino di saliva gli pendeva dalle labbra, scendendo lungo tutto il mento, e il bambino sembrava guardare l’obiettivo come chiedendosi “sarà esteticamente poco piacevole, tutto questo colare di bava?”.
Divertito dall’immagine, Matthew sorrise.
- E’ molto carino.
- E’ bellissimo. E infatti mi somiglia un sacco.
Era vero. In quel pupetto non c’era la minima traccia dei lineamenti duri e della pelle scura di Helena.
Odiava essere stato tanto affamato di gossip da ricercare in tutto il web immagini di quella donna, per farsi un’idea di chi fosse la fortunata che Brian avrebbe scelto per passarci insieme tutto il resto della sua vita; ma ora era in qualche modo contento che il fatto lo rendesse in grado di riconoscere che quel bambino… era il dannato ritratto di Brian.
- Sì, certo. – ridacchiò, rabbrividendo per il freddo e stringendosi nelle spalle.
Brian tirò fuori la lingua, offeso, strappandogli la foto dalle mani e riponendola in tasca.
- Dunque… - gli disse dopo un po’, stringendosi anche lui nelle braccia scoperte dalla maglia senza maniche, e pentendosi mille volte di non essersi rimesso il cappotto prima di uscire, - Adesso promettimi che se vado dentro un secondo a recuperare una giacca per evitare di congelare… tu non scompari.
Stupito e lievemente… onorato, sì, del sorriso enigmatico e affascinante che Brian gli stava riservando in quel momento, Matthew annuì lentamente.
- E ovviamente dopo andremo a bere qualcosa insieme.
- Di nuovo…? Non hai avuto abbastanza alcool, per oggi?
- Non si ha mai abbastanza alcool. Ma se non ti va possiamo andare a cena da qualche parte.
- Ecco io… - azzardò, ficcandosi le mani in tasca, - mi chiedevo, sarebbe possibile qualcosa di… di meno… impegnativo…?
- …ehi, adesso, non ti sto chiedendo di sposarmi, è solo una cena…
- Potremmo… potremmo comunque fare solo una passeggiata? Ti accompagno fino all’hotel. Per me sarebbe meglio così.
Guardandolo come fosse un mistero ambulante, Brian annuì, per poi risalire la scaletta metallica e scomparire nel backstage, gridandogli “Due minuti! Guai a te se ti azzardi a sparire!”.
*
Che cosa diavolo sto combinando?
- Dunque tu e Gaia non avete ancora progettato il matrimonio?
Perché diamine gli faccio domande simili? Non mi interessa!
- No… lei è ancora molto giovane. E poi, accidenti, anche io lo sono! E col mestiere che faccio, lo sai, non è facile stare lì a pianificare il resto della mia vita come se non mi aspettassi di essere costretto a volare in Australia da un giorno all’altro…
Ma meglio così!
- Però convivete, vero?
- Sì. È divertente. Credevo che sarebbe stato più fastidioso dover dividere appartamento e abitudini con qualcun altro, ma non è affatto così.
Dipende sempre da chi è il qualcun altro.
- Be’, sì, poi in realtà la convivenza è molto meno impegnativa di quanto si creda.
Anche se lo so che non è che una promessa di matrimonio, in un modo o nell’altro. È solo che la semplice idea di sapere che questa promessa la stai facendo tu a qualcuno che non sono io, anche se non dovrebbe, mi irrita.
…Dio, che cosa diavolo sto combinando?

- Siamo arrivati. Alloggi qui all’Enrico Ottavo, vero?
Si era totalmente dimenticato del fatto che il suo albergo distasse da Hyde Park la bellezza di qualcosa come duecento metri.
Guardò Matthew, complimentandosi interiormente con la sua furbizia e desiderando fustigarsi per non avere insistito più a lungo per portarlo a cena fuori.
- Sì, sto qui. – disse, sorridendo stentatamente.
E dunque quello era il momento dei saluti.
Detestava quando, nelle storie d’amore, soprattutto in quelle tormentate, quel momento assumeva toni mistici. Un bacio sulla guancia, una stretta di mano o una semplice pacca sulla spalla diventavano Metafora dell’Addio. Agitare la mano da lontano, sorridendo, sottendeva per forza un conflitto interiore da non manifestare per non far del male all’altro.
Avrebbe preferito che la vita fosse più sincera.
Avrebbe preferito che il suo corpo fosse più sincero.
E soprattutto, avrebbe preferito che lo fosse Matt.
Ma questo era impossibile, lo sapeva.
Anche se la cosa non lo risollevava. La cosa non rendeva tutto più semplice. La cosa lo rendeva solo più frustrato, più represso e più triste che mai.
Averlo là davanti, e non avere la più pallida idea di quale fosse il giusto atteggiamento da adottare…
…sapendo perfettamente di volere un’unica cosa.
Le sue labbra.
Lo faccio?
…era da folli anche solo pensarlo.
Lo faccio?
Le labbra di Matt… erano dischiuse… sembrava che fosse così naturale che lo fossero… non sembrava un invito esplicito, eppure era così che il suo corpo lo percepiva…
Lo… lo faccio.
Sorrise candidamente, avvicinandoglisi.
Dio, no, non posso farlo. Non ce la faccio, non voglio, non è salutare, no, no, no.
Cercò di mirare alla guancia. Percepì Matt irrigidirsi e tendersi, e l’aria fra i loro corpi farsi elettrica.
Al diavolo.
Al diavolo tutto.
Helena, troverò un modo per farmi perdonare.

Si voltò di scatto, all’improvviso, catturandogli la labbra con la bocca aperta, pregando in tutte le lingue qualsiasi Dio perché facesse in modo che Matt non si scostasse.
E Matt non si scostò.
Tutto il contrario. Gli si pressò contro con urgenza, come non avesse aspettato altro per tutto il tempo, afferrandogli il bavero del cappotto con entrambe le mani e attirandolo verso di sé, schiudendo le labbra, accarezzandolo ovunque con la lingua, frenetico, dolcissimo, insaziabile.
Quando si separarono, lo circondò con le braccia e nascose il viso nell’incavo del suo collo, respirandone il profumo a pieni polmoni, godendo del calore che si irradiava dalla sua pelle.
Non aveva la forza di dire niente. Sperò di trovarla in pochi secondi, ma non avvenne, e quando cominciò a percepire il fastidio di Matt crescere per quel contatto inutilmente e dolorosamente prolungato, semplicemente si separò da lui e lo lasciò andare.
Si incamminò verso l’albergo, facendo appello all’ultimo briciolo di forza rimastagli in corpo per non voltarsi e non scoppiare a piangere come un demente prima di essere al sicuro in camera sua, ma…
Matt lo afferrò per una manica. E lo costrinse a voltarsi.
- Devo rivederti! – gli disse, tutto d’un fiato, fissandolo disperato negli occhi.
Brian dischiuse le labbra, cercando una qualche buona ragione per dissuaderlo da quel malsano proposito.
Cominciava a pentirsi di quello che aveva fatto. Non era stato saggio, non era stato furbo, s’era ributtato nel pozzo senza fondo senza valutare le conseguenze, anzi, peggio, ignorandole di proposito.
Matt strinse di più la presa attorno al suo braccio, facendogli quasi male.
- Davvero. Devo rivederti. Ti prego.
Oddio, se me lo dici così…
- …ti chiamo io. – rispose a stento.
- Sì, ma fallo! – disse Matthew, per nulla intenzionato a lasciarlo andare, - Giuro che risponderò!
- Ok, ok! Ho capito!
- Non te lo dimenticare!
Nell’osservarlo così, pieno di desiderio, e paura, e nostalgia, circondato di dolcezza come un ragazzino alla prima dichiarazione d’amore, non poté fare a meno di sorridere.
- Prometto. – disse.
Solo allora Matt lo lasciò andare. Abbozzò un sorriso e un saluto con la mano, e si voltò, cominciando a correre per strada, a rischio di urtare tutti gli esponenti della popolazione londinese che gli si fossero parati davanti.
Brian sorrise ancora.
Quello era un suicidio, ma meglio morire così che d’asfissia.

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