Genere: Comico, Demenziale, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, Crack, Incest.
- E se il twincest fosse una meravigliosa realtà? Be', non sarebbe poi tanto meravigliosa. Almeno a detta dei protagonisti.
Note: WIP.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, Crack, Incest.
- E se il twincest fosse una meravigliosa realtà? Be', non sarebbe poi tanto meravigliosa. Almeno a detta dei protagonisti.
Note: WIP.
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QUANDO L’AMORE BRUCIA I NEURONI
DAVID JOST E LA TRAGICA INELUTTABILITÀ DELLA LEMON
Non mi sembrava, sinceramente, di essermi comportato da cattivo manager.
Voglio dire, può capitare a tutti di arrivare al proprio punto di rottura, no? Di guardare le persone che ti circondano e capire senza nessun rancore che a stare con loro anche solo per un altro singolo minuto si potrebbe pure impazzire, giusto?
Ecco.
Non mi potete veramente biasimare se, estenuato dal twincest, ho deciso di prendermi una-settimana-una di ferie da questo delirio. Solo una. Insignificante. Innocua.
E non sono neanche stato un manager trascurante! Ho chiamato ogni sera! Salutavo chiunque mi rispondesse, mi informavo sullo stato di salute di tutti, dopodichè mi facevo passare Georg o Gustav e ponevo La Domanda. Quella la cui risposta, lo sapevo, avrebbe cambiato per sempre l’intero corso della nostra esistenza.
“L’hanno fatto?”
Fangirl, credetemi: il sesso cambia tutto. Il sesso, in realtà, è una piaga. L’affetto e l’amore sono molto più belli senza. Sono molto più semplici. Più gestibili. In genere, nelle fanfiction si descrive l’atto sessuale come il culmine della storia d’amore. Soprattutto le prime volte. Sono i momenti in cui gli impavidi protagonisti – per quanto né Bill né Tom, che notoriamente hanno paura pure delle loro ombre, possano essere considerati impavidi – ottengono finalmente ciò per cui hanno sospirato per tutta la durata del drammone emo da quaranta capitoli che li ha visti prima scoprire di amarsi, poi avvicinarsi timidamente, quindi superare una quantità indefinita di ostacoli ed infine riunirsi per non lasciarsi mai più.
Tutte balle.
Il problema è che nelle fanfiction non si affronta mai il dopo. I protagonisti scopano, ok. E poi? “Vissero per sempre felici e contenti”. “Fine”. E magari dieci o quindici righe di strampalate note dell’autrice. Quando va bene.
Fangirl, quando terminate una storia, cercate di parlare coi vostri personaggi. Entrate in contatto con loro a livello psichico – so che potete farlo: so esattamente quali sono le vostre capacità – e chiedetegli “Siete felici? Il sesso ha risolto i vostri problemi? Adesso vi sentite più uniti che mai?”.
Fidatevi di me: la risposta sarà un secchissimo e scazzato no.
Comunque sia, perché non si pensi che magari io abbia disertato il mio dovere solo per una volta e la sfiga abbia deciso di colpirmi proprio allora, vi rassicuro: non ho disertato nessun dovere, ho chiamato fino a ieri mattina. Poi, chiaramente, ho pure dovuto prendere un aereo. E insomma, non posso stare attaccato al cellulare ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni su sette solo per assicurarmi che non succeda niente che superi il rating R in camera dei gemelli! E che diamine!
Ma io sono un uomo paranoico – lavorare coi mocciosi mi ha messo addosso una paranoia inesauribile – ed ho chiamato lo stesso, anche se non sarei stato tenuto a farlo. E l’ho chiesto. L’ho chiesto a Gustav. “L’hanno fatto?”. La risposta? “No”.
Il mondo mi sorrideva. Il sole delle Maldive mi stava salutando con un sorriso felice neanche stessi lasciando l’universo parallelo dei Teletubbies e conservavo in tasca il numero di una tedesca incontrata del tutto casualmente e che, oltre ad essere gnocca come una Mary Sue ma decisamente meno melensa, sarebbe rimpatriata entro la prossima settimana.
Sono salito sull’aereo con un gioioso sorriso sulle labbra. Mi sono calato una mascherina sugli occhi ed ho dormito placidamente per tutto il viaggio. Ho sorriso perfino mentre tornavo all’appartamento, malgrado in genere il solo riavvicinarmi a quei ragazzini mi dia l’orticaria, ed è stato sempre con un enorme sorriso che ho aperto la porta, salutato tutti e fatto il mio trionfante ingresso in casa.
Ed allora spiegatemi. Spiegatemi perché.
Io non ho tralasciato niente. Sono stato premuroso e bravissimo. Mi sono preso cura di loro da quando sapevano a stento reggersi in piedi – be’, quasi – ed ho dedicato loro gli anni migliori della mia vita, fregandomene di ciò che sacrificavo perché sapevo che sarei stato ripagato.
Perché mi ripagano così?
Il quadro è angosciante: Tom è riverso sul divano, ha la faccia completamente affondata in un cuscino e mugola di dolore come avesse le mestruazioni. E dire che in genere il gemello col ciclo è l’altro. Georg gioca alla playstation, seduto per terra perché il metro e ottanta in espansione di Tom gli impedisce di sedere come una persona civile, ed usa il joystick con una sola mano, perché l’altra è impegnata a battere pateticamente sulla spalla del chitarrista evidentemente depresso, in un blando tentativo di rincuorarlo, di qualsiasi tipo sia il dramma interiore che sta vivendo.
Anche questa è colpa delle fangirl.
Tom non aveva un’interiorità, prima di scoprirlo dalle fanfiction. Era stupido e avventato e infoiato e adorabile come tutti i ragazzini privi di cervello.
Avete rovinato una quantità infinita di vite!
- Cosa…? – mormoro preoccupato, deglutendo pesantemente quando l’aura di depressione da angst NC-17 si deposita sul mio ormai non più radioso viso, - Che diamine sta succedendo…?
Gustav sceglie questo momento per uscire dalla cucina con un’enorme tazza di cioccolata calda fra le mani. Io torno ad illuminarmi un po’ e lo afferro per una spalla, chiedendo spiegazioni sulla situazione in corso.
Tutto ciò che fa lui è scuotere il capo come se fossi la madre del bambino che ha appena operato d’urgenza e che purtroppo non ce l’ha fatta.
Poi si libera dalla mia stretta e ricomincia a trottare verso il divano, scuotendo piano Tom per un braccio e costringendolo a rimettersi seduto e prendere la tazza fra le mani, per attingere al consolante contenuto.
- Non ditemelo! – mi lamento, passandomi una mano sulla fronte e lasciando cadere la valigia sul pavimento, - Non può essere successo!
Georg sospira e si rassegna a spegnere la playstation, voltandosi a guardarmi e scrollando le spalle.
- Tom! – riprendo, incedendo sicuro verso il divano e prendendo posto sui cuscini che ha lasciato liberi quando s’è messo seduto, - Ti prego, dì qualcosa!
Ma Tom affonda il naso nella tazza e beve silenzioso. Non dice una parola ed io sono terrorizzato.
Mi terrorizzo ancora di più quando metto a fuoco un altro piccolo ma affatto insignificante particolare.
- Dov’è Bill? – domando, la voce tremante e ansiosa di chi sa che riceverà in risposta una brutta notizia.
Le successive, sono le prime parole oltre alle mie che sento, da quando sono tornato.
E sono proprio parole che avrei fatto volentieri a meno di ascoltare.
- In camera sua. Non vuole uscire. – dice Gustav a mezza voce.
Non ha neanche il coraggio di guardarmi – giustamente! Perché sa che avevo lasciato quei due imbecilli nelle mani sue e in quelle di Georg! Sa di aver tradito irrimediabilmente la mia fiducia! Sa pure che potrà sognarsi qualsiasi tipo di concerto dei Metallica possa passare per questi lidi o per lidi vicini per i prossimi – facciamo – vent’anni, come minimo!
…non so neanche perché me la prendo con lui.
Io so perfettamente di chi è la colpa di tutto questo.
Dannate fangirl.
Avessi saputo che eravate così pericolose, altro che fanservice: i gemelli li facevo esibire solo ad almeno dieci metri di distanza l’uno dall’altro!
- Ma come è potuto succedere? – comincio a mugugnare, mentre mi riempio di crampi di tensione, - Fino a ieri mattina era tutto a posto… come è potuto succedere?!
Gustav aggrotta le sopracciglia con fare accusatorio.
- È stata colpa di Georg! – sbotta d’improvviso. E giuro che è la prima volta che lo vedo infuriarsi così, se non contiamo quella in cui i gemelli rischiarono di fare rottami della sua amata batteria, provando a suonarla. – Bill era bene intenzionato a rimanere vergine a vita, - mi spiega, gesticolando animatamente, - Ma Georg no, lui non poteva lasciare che le cose rimanessero così!
- Oh, insomma! – interloquisce a quel punto l’accusato, - Erano diventati entrambi due lagne! Tom non faceva che piagnucolare, mugugnando che Bill non gliel’avrebbe mai dato, e Bill aveva ricominciato a scrivere ballate deprimenti da disadattato, che mi sarebbe pure stato bene se non avesse preteso di cantarmele una ad una per ottenere un parere su ogni dannatissimo verso! – si ferma un attimo, le guance rosse di rabbia e i capelli elettrici per la tensione che immagino si respiri in questa casa da quando Tom è uscito dalla stanza di suo fratello. O da qualunque altro dei luoghi nel quale si siano ritrovati a consumare.
Consumare.
Sentite come suona male?
Dio mio.
Hanno consumato loro, e ora siamo consumati anche noi.
- Insomma. – riprende, una volta tornato in sé, - Dovevano fare questo passo. Piano piano andrà meglio.
- Piano piano andrà meglio. – gli faccio il verso io, mugolando come un povero depresso – cosa che in effetti sono – Nel frattempo, però, io sono appena tornato dalle vacanze e mi trovo già una crisi da fronteggiare. Se non è sfiga questa!
Sento Tom esprimersi in una specie di singhiozzo al mio fianco, e mi volto a guardarlo con aria dispiaciuta, stringendolo in un goffissimo abbraccio paterno – ma quando ci vuole, ci vuole.
- È stata tutta colpa mia… - sussurra lui, senza sollevare lo sguardo dalla tazza ormai vuota che ancora stringe fra le mani, - Io non sono stato… all’altezza.
E, per un momento, il coro degli angeli esplode intorno a me.
Magari ha fatto cilecca! Magari, per la prima ed unica volta nella sua vita, il Sex Gott è stato sopraffatto da un’affatto divina ansia da prestazione e non ha raggiunto la condizione minima per garantire il regolare svolgimento delle operazioni!
Oddio! Il mondo è salvo!
- Non l’avete fatto, Tom? – chiedo, con aria visibilmente sollevata, atteggiando già le labbra in un sorriso conciliante e consolatorio e preparandomi ad un’innocua lezioncina su quanto sia poco importante un imprevisto del genere nell’arco di un rapporto affettuoso e di lunga durata e tutta un’altra serie di balle in cui ovviamente non credo, perché tutto ciò che spero è che Tom abbia fatto una figura talmente meschina da farsi pure scaricare.
Lui mi solleva addosso un’occhiata perplessa, inarcando le sopracciglia.
- Certo che l’abbiamo fatto. – mi spara addosso, uccidendo quel che resta delle mie speranze, - Solo che è stato un disastro!
Mi affloscio come un palloncino sgonfio.
Come ho potuto anche solo sperare che una volta – una sola! – il fato potesse essere dalla mia?
Che vita ingiusta.
Tom indovina la mia disperazione e si affloscia a propria volta, incassando la testa fra le spalle e leccando la cioccolata rimasta dai bordi della tazza.
Oh, insomma. Dovremo pure uscire da questo terrificante momento di stallo. Ed è compito mio risolvere questa situazione. Io che sono così figo e pieno d’esperienza e saggio eppure ancora incredibilmente vicino al mondo dei giovani, sono l’unico a poter salvare Tom dalla depressione post-coito, se mai è stato diagnosticato un disturbo simile.
- Monopoli? – propongo distrattamente, afferrando per le rispettive collottole Georg e Gustav che, al solo sentire la parola, stavano già provvedendo a scappare in camera propria.
Tom mi guarda con immensa gratitudine, e mi fa quasi pena, perché sembra proprio stia per mettersi a piangere.
Un disastro.
Prendiamo tutti posto attorno al tavolo del soggiorno – be’, tutti tranne Bill, probabilmente ancora disperso da qualche parte in emolandia, a riempirsi la testa di seghe mentali dandosi tutta la colpa per l’orrore totale che sembra essere stata la loro leggendaria prima volta. Ma non posso pensare a lui, al momento. Un demente per volta. Ho dei limiti anche io, per quanto possa essere difficile a credersi.
- Insomma. – comincia Tom dopo aver tirato i dadi. È incredibile come faccia: il Monopoli scatena in lui una logorrea praticamente inesauribile. Se ha qualche scazzo, se ha qualche problema, se ha qualche fastidio, l’unico modo per convincerlo a confidarsi è affidargli Parco della Vittoria e spingerlo a farne la prima potenza turistica dello stato. Questo ragazzo ha decisamente un mucchio di talenti nascosti. Il problema è che li spreca in attività idiote. – Tutto sembrava perfetto! – borbotta, fermandosi alla Stazione Sud e pagando a Gustav il dazio che gli deve, - Georg e Gustav erano usciti, io e Bill eravamo soli in casa, non avevamo litigato e stavamo guardando le repliche dei Puffi in tv. Mi sentivo in paradiso!
- Sarà una lunga partita… - mugugna Georg, tirando i dati subito dopo di lui ed incassando l’eredità di una vecchia zia nella casella delle probabilità.
Tom sbuffa e si stringe nelle spalle.
- In un modo o nell’altro, abbiamo cominciato a pomiciare. – continua, come fosse cosa di minima importanza.
Georg fa per alzarsi con un lamento da bue frustrato, ma Gustav lo arpiona per un braccio e lo trattiene seduto, mentre con l’altra mano tira i dadi, finisce sui Bastioni Gran Sasso e comincia a edificare.
- Io ero pure pieno di belle speranze. – riprende lui, imperterrito, - Nel senso, Bill non stava facendo la stronza, si lasciava accarezzare, si lasciava toccare…
- …risparmiamoci i dettagli più sconci, già che ci siamo. – lo interrompo infastidito, reclamando i dadi e finendo in prigione. La vita cerca di prendermi per il culo pure con le metafore, vedo.
Tom aggrotta le sopracciglia.
- Praticamente a un certo punto mi rendo conto che siamo mezzi nudi! – riprende a narrare con enfasi, pagando una tassa di successione imprevista con una smorfia davvero poco compiaciuta, - Perciò faccio il figo e lo trascino in camera sua. E lì cominciamo a darci dentro.
- Tom, ti prego… - mugugna Georg, passandosi una mano sugli occhi, - Abbi pietà…
- Ma che ho detto?! Sto solo raccontando i fatti!
- Sì, ma evita di insistere su dettagli da fanboy, per favore! E dammi quei dadi! – conclude, per poi riprendere a lamentarsi nel momento in cui gli tocca pagare venticinque euro per essere capitato sulla casetta di Gustav.
- Comunque. – scrolla le spalle Tom, - A me, sinceramente, sembrava stesse andando tutto bene. Voglio dire, eravamo entrambi-
- Sì, Tom. – lo fermo, prima che Georg esploda.
- Ecco. Ed eravamo pure senza mutande. Ed io avevo anche usato il-
- Sì, Tom! – rimarco più decisamente, spalancando gli occhi di fronte alla sua insistenza.
- Eh! – riprende lui, sordo ai miei richiami, - E quindi io ero già entr-
- Dio santo, Tom! – mi infurio a quel punto, mentre Gustav mette un’altra casetta su Viale Vesuvio e comincia ad accarezzare l’opportunità di essere lui a vincere per la prima volta da quando abbiamo cominciato a giocare a Monopoli. – Ho capito! Eravate felici! Eravate arrivati alla lemon! Cos’è che è successo, dopo?!
Tom si incupisce di nuovo, mentre per ingannare l’ansia io provo a convincere Georg della necessità assoluta che ha di vendermi la Stazione Ovest e lo informo sui meravigliosi guadagni che questa transazione potrebbe fruttargli.
- Non ne ho la più pallida idea. – biascica il nostro povero chitarrista frustrato, - Se lo sapessi, probabilmente non sarei così giù. – considera seriamente, mentre, dopo aver convinto Georg, io gli cedo i dadi e lo invito a giocare. – So solo che, dopo aver concluso, Bill mi ha buttato giù dal letto. E poi fuori dalla stanza. E non ha più voluto vedermi.
Il gioco s’interrompe. Tom non ha voglia di tirare i dadi ed io non mi sento proprio di biasimarlo. Lo osservo rigirarsi i cubetti bianchi fra le dita e d’improvviso mi sento stretto in una morsa di autentica compassione: dev’essere stato devastante per lui, abituato com’è al deliquio in cui vanno le fan quando se ne porta a letto qualcuna, ritrovarsi sbattuto fuori da una camera senza neanche un complimento forzato.
Sospiro pesantemente.
- Facciamo così. – mugugno, distribuendo equamente le mie proprietà tra quelli fra i miei protetti che non sono entrati in clausura, - Io adesso vado a parlare con Bill. Voi restate qui, non pensate a niente e finite la partita. Siamo d’accordo?
Annuiscono tutti, e Tom si decide finalmente a tirare i dadi e cominciare a costruire casette in Via Accademia.
Io mi alzo e mi dirigo lentamente verso la camera di Bill.
La nostra vita in quest’appartamento, molto spesso, somiglia davvero ad una fanfiction. Soprattutto nei momenti più demenziali.
Speriamo solo che Bill abbia scelto di trovarsi in una PWP lol e non in una menata emo delle sue.
- Lasciami stare… - pigola la voce fievolissima del mio povero cantante, oltre la porta.
Ecco che mi si stringe di nuovo il cuore.
Sono decisamente un uomo troppo tenero.
- Bill. Sono io.
Per qualche attimo, non sento nulla. Poi, un lievissimo battere di piedi nudi contro la moquette mi annuncia l’avvicinarsi di Bill. Qualche istante dopo, la chiave gira nella serratura e la porta si dischiude.
Il visino di Bill fa la propria apparizione.
…devo dire la verità: non mi sembra molto provato.
- David! – esclama festoso, afferrandomi per un braccio e trascinandomi in camera, per poi richiudersi la porta alle spalle, - Sei tornato!
- Bill! – lo chiamo a mia volta, mentre lui mi scaraventa sul letto ed io segno un appunto mentale sul perquisire l’appartamento alla ricerca delle Red Bull di contrabbando che devono essere state portate in questa casa, altrimenti non si spiegherebbe la presenza di tutta questa forza in un corpo che è quanto di più simile a un fuscello esista in natura, - Che è successo?! C’è tuo fratello che è così depresso che ho paura possa tentare il suicidio da un momento all’altro! E dubito che sia perché vuole provare sulla propria pelle la credibilità della trama della sua prossima fanfiction!
Bill si lascia andare ad una smorfia incerta, sedendosi al mio fianco e mordicchiandosi ansiosamente le labbra.
- Sospettavo che sarebbe successa una cosa simile…
- Sospettavi?! – ritorco io, sempre più isterico e stridulo, - L’hai buttato fuori dalla stanza! Ma perché ti ricordi di essere maschio solo quando si tratta di prendere a calci nelle palle le persone?!
- Non l’ho preso a calci nelle palle!!! – si difende blandamente, agitandosi con aria offesa.
- Era un modo di dire. – spiego, cercando di recuperare la pazienza perduta, - Il punto è che gli uomini hanno bisogno di essere rassicurati sulla loro prestazione, Bill. Non puoi usarli e poi gettarli via come niente fosse! Si finisce in analisi, per cose come questa! Devi far capire loro che-
- David, se mi rivolgi anche solo un’altra parola con lo stesso tono che useresti per una ragazzina, giuro che a calci nelle palle ci prendo te. E non metaforicamente parlando! – sbotta alterato, incrociando le braccia sul petto.
- Ok. – annuisco io, massaggiandomi la radice del naso, - Hai ragione, ho esagerato. Ma la sostanza non cambia: tuo fratello è molto ferito.
Bill non risponde. Riprende a mordicchiarsi il labbro e guarda altrove, strofinandosi le braccia con le mani come sentisse freddo.
Io sospiro e gli arruffo i capelli con una carezza un po’ rude, ma che lui accoglie con un mugolio a metà fra il sollievo e la disperazione.
- Mi dici cosa è successo di tanto orribile? – borbotto dolcemente, incitandolo a sfogarsi. Con Bill il Monopoli non funziona, ci si deve per forza mostrare interessati.
E infatti lui solleva quegli enormi occhioni castani che si ritrova e mi fissa con aria sconvolta.
- Orribile…? – accenna a bassa voce.
Ecco.
Se ora mi dice “orribile è riduttivo”, giuro che mando a fanculo l’autocontrollo e li picchio. Tutti.
- Ma non è successo niente di orribile, David. – confessa poco dopo, inclinando il capo come un cagnetto curioso e continuando a guardarmi con quell’aria da cucciolo imbranato, - È stato bello! Certo, doloroso, ma sono anche ve-
- Bill!!! – strillo io a quel punto.
E non potete biasimarmi se lo faccio.
Non potete proprio.
Perché non l’ho chiesto io, di diventare un comprimario di una stupida twincest. Mi ci hanno trascinato loro. Le uniche cui si debba riconoscere responsabilità per questo abominio: le fangirl.
- Che vuol dire “è stato bello”?! – comincio a strillare, ormai del tutto fuori di testa. Il fatto che mi renda conto di essere impazzito, non fa di me una persona più lucida. Fa di me una persona schizofrenica. – Per poco non trovavo tuo fratello agonizzante fra le lacrime perché tu l’hai trattato come il peggiore degli amanti, e ora mi dici che è stato bello?! – scuoto il capo, cerco di spazzare via almeno un po’ di rabbia. Chiaramente non ci riesco. – Mi spieghi perché non gliel’hai detto?!
Bill aggrotta le sopracciglia e stringe le labbra in una smorfia infantile che le fa somigliare ad un cuoricino.
- Non potevo dirglielo, David! – esclama, come fosse ovvio, - Poi si sarebbe montato troppo la testa! E chissà che fanfiction ne sarebbe venuta fuori!
Insomma.
No, dico, insomma.
Uno va via una settimana, torna a casa bisognoso d’affetto e va incontro a una crisi isterica del tutto priva di valido fondamento.
È un’ingiustizia.
Bill ha provato a chiamarmi con aria incerta, ma io l’ho zittito e mi sono alzato in piedi, abbandonando la stanza senza una parola di più.
Ora sono davanti al tavolo del Monopoli. La partita s’è appena chiusa.
- Chi ha vinto? – chiedo, ancora un po’ trasognato, passandomi una mano fra i capelli.
Gustav si incupisce e Georg riesce a trovare da qualche parte la forza d’animo per ridacchiare, mentre risponde un più che ovvio “Tom”. Sono fiero di loro. Di Georg e Gustav, ovviamente. Non di Tom. Tom è il male. Tom e Bill sono il male. E se la giustizia è talmente dura con gli incesti, qui in Germania, deve essere perché qualcuno aveva previsto il loro arrivo, decenni e decenni fa.
Sospiro pesantemente, abbattendomi su una sedia.
- Tom. – mugugno affranto, - Va’ da tuo fratello.
Il viso del mio chitarrista idiota si illumina, mentre un minuscolo sorriso si apre sulle sue labbra.
- Vuoi dire che l’hai convinto a non odiarmi? – mi chiede, pieno di gratitudine.
- Non ti ho mai odiato, Tomi… - interviene a bassa voce suo fratello, apparendo dalla porta del soggiorno ad occhi bassi, - Volevo soltanto evitare che la nostra prima volta finisse sbattuta su una community qualsiasi senza il minimo riguardo…
Sentitelo. Sembra di stare fra i pazzi.
Le sopracciglia di Tom si inclinano verso il basso. Io roteo gli occhi. Georg abbandona la stanza con un lamento disperato e Gustav non ha il cuore di fermarlo, ma resta fermo al suo posto.
- Bill… - sussurra Tom, avvicinandosi a lui e stringendolo teneramente fra le braccia, - Non potrei mai parlare della nostra prima volta in una fanfiction… - lo rassicura, cullandolo lentamente.
Bill socchiude gli occhi e schiude un sorriso.
Be’.
Insomma.
Sono ridicoli, ma…
- …siete così incredibilmente canon… - ridacchia Gustav, dondolandosi divertito sulla sedia.
I gemelli ridono con lui, Georg fa capolino dalla cucina con un’espressione ridicola a metà fra il divertimento e l’incredulità e perfino io non posso che lasciarmi andare ad un sorriso sincero.
- Bene. – considera Tom poco dopo, cominciando a spingere il proprio fratello a ritroso lungo il corridoio, verso la camera da letto, - Allora possiamo riprovarci.
…la nostra vita diventerà molto, molto difficile.
Dannate fangirl.