Genere: Comico, Demenziale, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: R
AVVERTIMENTI: Slash, Crack, Incest.
- E se il twincest fosse una meravigliosa realtà? Be', non sarebbe poi tanto meravigliosa. Almeno a detta dei protagonisti.
Note: WIP.
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QUANDO L’AMORE BRUCIA I NEURONI
BILL KAULITZ. CRONACA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO

Tutti credono che io non faccia l’amore con Tom per paura. Georg è convinto che io sia una specie di genietto ultrasensibile, perciò nella sua personalissima fanfiction mentale io ho il terrore che Tom mi si scopi e poi capisca tutto ad un tratto che in realtà non mi amava davvero e il suo era solo un modo per esorcizzare certi fantasmi di twincest che le fangirl hanno instillato nella sua fragile mente di fanboy. Gustav, al contrario, ha della mia mente un’idea molto più semplicistica e prosaica, e perciò è convinto che io sia spaventato dall’inevitabile dolore che proverò quando il momento fatidico sarà giunto.
In realtà si sbagliano entrambi.

Ecco, se c’è una cosa sulla quale le fangirl hanno ragione – e, twincest a parte, sono davvero poche le cose sulle quali possono vantare un merito simile… e comunque, Dio mio!, non ringrazierò le fangirl per il twincest, cacchio! – è che io conosco davvero bene mio fratello. Come le mie tasche. Capita che ci si guardi negli occhi e si scoppi a ridere nello stesso momento perché stavamo pensando esattamente la stessa cosa idiota. Capita che io capisca di cosa ha voglia prima ancora che quella stessa voglia nasca in lui. Capita perfino che riesca a sentire perfettamente il suo stato d’animo, se è felice, se è triste, se è incazzato o preoccupato, e che me ne senta contagiato. Sì, ci sono dei giorni particolari in cui poi sembriamo vivere perfino in simbiosi.
A me questa comunicatività del tutto eccezionale e fuori dall’ordinario piace, eh.
Però porta uno svantaggio evidente: ossia, io so perfettamente come si muove la testa di mio fratello. Perché la testa di mio fratello, sfortunatamente per tutti noi, in realtà si muove. Lui non ne sa spiegare i passaggi, quindi si ostina a far credere al mondo che il suo cervello sia una matassa di filamenti aggrovigliati dai quali ogni tanto, per puro caso, esce un pensiero sensato, ma in realtà non è affatto così. In realtà anche lui riflette. E, pure se non ne è pienamente consapevole, anche lui ha dei processi mentali. Purtroppo.

La mente di mio fratello si muove seguendo la legge di Murphy. Ovvero, se qualcosa può andar male, lo farà. Non che a lui piaccia tutto ciò, anzi. Generalmente, tutti i suoi processi mentali sono tesi appunto a cercare di evitare che i disastri si compiano.
Il fatto è che non ci riesce.
O meglio: il giochino viene bene solo quando gioca a Monopoli. L’abbiamo visto risollevarsi da situazioni di bancarotta semplicemente indecorose, e risalire fino ai vertici di quella stramba catena alimentare che è il mondo degli investimenti immobiliari fino a guardarci tutti dall’alto in basso con un ghigno crudele, pronto ad espropriarci perfino le mutande, con David che lo fissava bonario e compiaciuto dalla sua postazione di banchiere nel tavolino accanto.
Per il resto, qualsiasi cosa cominci, non importa come la continui, finirà comunque in un disastro. Soprattutto se ci mette tutta la passione di cui è capace.

Per dire. Mio fratello è ormai perdutamente un fanboy. Quando siamo liberi passa interi pomeriggi davanti al computer a rispondere alle recensioni delle sue fanfiction o a recensire a propria volta. Per non parlare di quando va alla ricerca di fotomontaggi twincest in giro per il web – l’articolo di Yam!, presente? Ritagliato e incollato alla parete. – oppure decide che è il momento di “scrivere qualcosa di nuovo”, apre word e resta in ammirata contemplazione del foglio bianco finché non lo riempie di vaccate.
Una o due settimane fa, perciò, quando l’ho visto irrompere in camera mia con un plico di fogli già spiegazzati stretto fra le braccia come fosse stato un bambino, non mi sono stupito più di tanto. Mi sono limitato a sollevare lo sguardo da Vogue ed inarcare un sopracciglio indagatore.
Lui è zompato felice sul mio letto, con un sorriso che partiva da un orecchio ed arrivava all’altro dividendo in due la sua intera faccia.
- L’ho finita!!! – ha esultato, sventolandomi i fogli davanti alla faccia.
Io ho posato Vogue riverso sul letto e gli ho dedicato tutta la mia attenzione.
- Finita cosa? – ho chiesto interessato, incrociando le braccia sul petto.
Lui ha ghignato felice. E poi ha strillato.
- Ma Miss, ovviamente!!!
“Miss” è il nickname con cui in famiglia è conosciuta I Don’t Wanna Miss A Thing. Che è la longstory deathfic kaulitzest emoangst di Tom.
Inutile dire che non c’è un’anima in questa casa che approvi questa sua fissazione per le fanfiction. Ma lui persiste a scriverle lo stesso, non lo si riesce a fermare, è una specie di fiume in piena! Ogni tanto David gli dice che avrebbe dovuto scrivere Harmony. Secondo lui sarebbe diventato una specie di guru del genere (David è fermamente convinto che Tom sia un genio incompreso, anche se non glielo dice molto spesso). Però, ogni volta, mio fratello argomenta seriamente che gli Harmony li devono scrivere le donne, perché gli uomini sono troppo insensibili. E poi aggiunge che “lui stesso a volte non si sente abbastanza sensibile da scrivere di noi due, figuriamoci di una donna che trova l’amore in uno stalliere di origini indiane, sudato e ricoperto di paglia”, ragion per cui un Harmony non potrebbe scriverlo proprio mai.
Fosse vero che non si sente in grado di scrivere nemmeno kaulitzest, dico io. Almeno smetterebbe di pubblicare idiozie.
Comunque, Tom è più il tipo da oneshot. Nel senso che si mette lì un pomeriggio e ti butta giù cinque o sei pagine di PWP bondage come niente. È quasi strabiliante – lo sarebbe, se non fosse disgustoso e folle.
Invece, il giorno in cui ci siamo messi insieme, un mese e mezzo fa, mentre poltrivamo felici sul suo letto dopo esserci dichiarati reciproco amore, lui a un certo punto s’è messo seduto e ha detto che voleva scrivere questa fanfiction terrificante in cui lui si ammalava di cancro e io poi gli badavo fino alla fine dei suoi giorni, diventando sempre più emo fra una scopata e l’altra.
Al che, ovviamente, io sono scattato a sedere affianco a lui e gli ho detto “Ma che stronzo sei? Ci mettiamo finalmente insieme e tu parti a scrivere robe in cui muori?!”. E lui ha candidamente risposto che nelle fanfiction muoio sempre io – in genere perché mi suicido, per un motivo o per l’altro – e che quindi gli sembrava giusto bilanciare.
Rendetevi conto. Di fronte a una motivazione simile, come si può controbattere?
Comunque, lo stesso pomeriggio s’era messo a scrivere questa fanfiction. E, giuro, mai visto Tom dedicarsi a qualcosa con tanta cura e tanta passione. L’ultima volta che era successo era stato per la chitarra. Ma la chitarra era anche stata una cosa che gli si era attaccata addosso in modo del tutto naturale, come succede in certi cartoni animati quando il protagonista perde un arto e se lo riattacca addosso senza problemi, tipo Dragon Ball. Le fanfiction no, le fanfiction erano un’altra cosa: per lui non era “naturale” mettersi lì da bravo bambino e macinare capitoli uno dopo l’altro come non ci fosse stato un domani, portandosi dietro perfino un’agendina per scrivere le scene che immaginava nei ritagli di tempo fra un’intervista ed un’esibizione!
A cominciare da me, per proseguire con David, per concludere arrivando fino alla donna delle pulizie, eravamo tutti molto preoccupati per l’inclinazione folle che stava prendendo l’hobby di Tomi. Perciò io stesso ho salutato con molto entusiasmo la sua conclusione, nel momento in cui, sorridendo felice come un bimbo, Tom mi ha confessato di aver posto la parola “fine” in fondo al suo drammone twincest.
- Buon per te! – ho detto entusiasta, - Sono felice! – e mi sono chinato ad abbracciarlo e baciarlo, mentre lui faceva le fusa contro il mio collo. – Adesso la pubblicherai…? – ho chiesto poi, con una sottile nota di paura nella voce.
- Ma certo! – ha risposto lui, senza coglierla o ignorandola del tutto, - Però prima ha bisogno di un betaggio.
E mi ha guardato.
E io ho guardato lui.
E ci siamo guardati insieme.
E… ricordate la telepatia di cui parlavo prima?
Ecco.
- Io non ti beterò la fanfiction, Tom!!! – ho strillato, inorridendo e ritirandomi sul letto, appallottolandomi come un riccio.
- Ma… Biiiiill!!! – ha implorato lui, lamentoso, scattando ad abbracciarmi e prendendo a rotolare sul materasso, trascinando anche me in quella giravolta impazzita, - Ho bisogno di consigli!!! Tu sei molto più bravo a scrivere di me!!! Ti prego ti prego ti prego, almeno leggila! Dammi un parere! Per me è importante! – mi ha affettato saldamente per i fianchi, rovesciandomi sul letto e costringendomi sotto di lui, fissandomi seriamente negli occhi a due millimetri di distanza dal mio viso. – Per me è importante sapere cosa pensi. – ha concluso, inclinando appena le sopracciglia.

Ecco, sesso a parte, io sono di una debolezza assoluta nei confronti di mio fratello. Vale a dire che qualsiasi cosa gli esca dalle labbra, perfino la più idiota, dentro le mie orecchie diventa automaticamente, tipo, un comandamento.
E quindi, come potevo umanamente ignorare quella sua accorata richiesta di aiuto e mandarlo a fanculo come avrebbe meritato?

- E vediamo ‘sta cosa… - ho concesso dunque, per quanto contrariato, lanciandolo lontano con una manata ed afferrando i fogli con malagrazia.
Ho cercato di farmi coraggio dicendomi che se ci aveva lavorato tanto a lungo e con tanta cura non avrebbe potuto essere così orribile. Cioè, magari la trama sarebbe stata comunque improponibile, offensiva, inutilmente deprimente, eccessiva e fuori da ogni universo possibile, ma almeno sarebbe stata scritta bene. Espressa correttamente. Avrebbe almeno avuto un carico emotivo.

Zero tagliato. Ebbene sì.

Sollevai lo sguardo già con l’incipit del secondo capitolo. Qualcosa del tipo “Egli non sapeva per quale motivo il suo cuore piangesse tanto, ma la sola visione dell’amato fratello steso sul lettino dell’ospedale era in grado di fargli provare tanto dolore che avrebbe voluto trovarsi accanto a lui a soffrire al suo posto, piangendo lacrime di sangue e riflettendosi nel vetro che li separava come su uno specchio in frantumi, in frantumi come il suo cuore!”. Sollevai lo sguardo e glielo piantai addosso ed io amo, veramente, amo Tomi, e lo amavo anche allora, ma non potei trattenermi.
- Fa schifo. – dissi sinceramente, fissandolo quasi sgomento.

Tomi non si lamentò ed io non aggiunsi altro. Lo osservai tendere le labbra ed abbassare gli occhi, per poi mugugnare qualcosa tipo “Vado di là a rivederla…” strappandomi ansiosamente i fogli di mano e fuggendo in camera propria.
A me dispiace di avergli fatto tanto male, mi dispiace davvero… ma ciò che sto tentando di dire è: quando Tom mette tanta passione in qualcosa, sai per certo che verrà fuori male. Riesce a fare cose straordinarie senza starci a pensare su, ma quando lo vedi impegnarsi allora è come una condanna: sarà un disastro.
È esattamente questo ciò di cui ho paura.
Perché se c’è una cosa, una sola, nella quale so per certo Tom impiegherebbe tutta la propria attenzione, tutto il proprio affetto, tutta la propria capacità e tutta la propria passione, è proprio questo: fare l’amore con me.
Ed io so perfettamente che non potrò scappare per sempre, non potrò tenerlo in astinenza fino alla fine dei suoi giorni e non potrò continuare ad accampare scuse una sull’altra fino a esaurimento – mio, suo o di entrambi.
È solo che… insomma… sto solo cercando di rimandare la catastrofe, ecco.
*
Ho seriamente bisogno di un consulto.
Devo parlare di tutto questo con qualcuno e lasciarmi aiutare, perché è evidente che ho un problema e questo problema va risolto.
Normalmente, in una situazione simile andrei da David. Lui ha questo potere incredibile di rendere semplicissimi problemi enormi… come quando ci trovammo ad avere a che fare col twincest per la prima volta e la cosa ci lasciò comprensibilmente basiti. Allora Tom non era ancora del tutto pazzo. Sì, dimostrava già una strana curiosità per il fandom, ma niente di patologico. Niente di vagamente rassomigliante al mostro che è oggi.
Comunque, ci trovammo fra le mani questa breve storiella in inglese in cui io lo sodomizzavo sui sedili posteriori di una limousine – e senza neanche preservativo e lubrificante, per darvi un’idea della sconcezza – e, presi dal terrore, ci fiondammo da David. Tenete presente che allora non sapevamo nemmeno di essere conosciuti da qualcuno in posti che non fossero la Germania, e che quindi eravamo divisi tra la gioia dell’evento in sé e l’angoscia che ci dava il contenuto di ciò che avevamo trovato.
David, con aria serafica, ci fece sedere tranquillamente davanti a lui e cominciò a spiegare.
“Le fangirl”, disse, con aria competente, “sono una bizzarra specie che si differenzia dall’uomo per l’assenza di pensieri razionali. Le loro abitudini sono strane e piuttosto morbose, e fra di esse rientra la scrittura di storielle pornografiche omosessuali prive di basi veritiere delle quali si vantano in giro. Mi rendo conto che possano fare paura, visto che tendono a raggrupparsi, stabilire gerarchie ed eleggere capi che poi in genere diventano piuttosto potenti, ma in realtà sono del tutto innocue. Perciò, lasciate che si sfoghino come vogliono e fate loro qualche regalino ogni tanto e saremo tutti contenti”.
Punto.
Semplicissimo, no? Se ci avessero posto la questione del fangirling in questi termini prima di traumatizzarci con quella fanfiction, sono convinto che anche io l’avrei presa meglio, ecco.
Comunque in questo momento David non c’è. I recenti avvenimenti che hanno coinvolto me e mio fratello l’hanno convinto che un po’ di tempo lontano da noi non avrebbe potuto che giovargli, e perciò, utilizzando come scusa il Natale, è partito alla volta di una qualche isola caraibica non meglio identificata. Ragion per cui non posso raggiungerlo.
Potrei optare per Georg, ma ieri l’ho visto parecchio irritato per le nostre effusioni… corro il rischio di farmi male, se chiedo a lui.
Uff.
Mi sa che ripiegherò su Gustav.
- Gustiiiii! – cinguetto felice, irrompendo in camera sua e cercando di prenderlo con le buone.
Lui però non sembra molto d’accordo riguardo al farsi prendere, buone o cattive che siano, perciò rotea gli occhi, si alza dalla sedia, si infila gli auricolari più profondamente nelle orecchie e prova ad abbandonare la stanza evitandomi come un ostacolo di poco conto.
Io non mi faccio mai evitare come un ostacolo di poco conto.
Lo afferro per i fili e gli strappo gli auricolari di dosso, sorridendo come un innocente fringuello. Anche se non credo che i fringuelli possano davvero sorridere…
…comunque!
- Schäfer! – lo apostrofo rudemente, - Starai mica scappando?
Lui sospira rassegnato, incurvando le spalle e tornando mogio mogio alla sua sedia. Non capisco perché faccia così, io mica lo assillo come fa mio fratello!
- Non sia mai. – mugugna senza guardarmi negli occhi, - Piuttosto, sono qui solo per aiutarti. Dimmi tutto.
Mi seggo sul suo letto e lui ruota la poltroncina girevole fino a potermi guardare. E forse si accorge che ho davvero un problema grave, perché qualcosa nei suoi occhi cambia e le sue sopracciglia si inarcano verso il basso. Lo osservo alzarsi e venire ad accomodarsi al mio fianco, per poi mettermi una mano sulla spalla.
- Bill, stai bene?
- Ma sì che sto bene… - borbotto, un po’ imbarazzato, voltando lo sguardo.
- Ma sei sicuro che sia tutto a posto? – insiste lui, sempre più preoccupato, cercando i miei occhi coi suoi.
- Be’… - ammetto io, - se fosse stato tutto a posto non sarei venuto a rompere le palle, mi pare ovvio…
Lui annuisce compitamente. Sa che non faccio dell’angosciare il mio prossimo uno sport come mio fratello, e sa anche che quando chiedo aiuto è solo perché ne ho veramente bisogno. Perciò si mette tranquillo in ascolto, cercando di rassicurarmi stringendo la mano attorno alla mia spalla e trasmettendomi tutto il calore e l’affetto di cui è capace.
Ora, mi pare di averlo già detto, io non sono mica come Tom. Tom – e io lo amo e tutto, ma come ho detto anche prima lo conosco abbastanza da giudicarlo con precisione – è il genere di persona che quando vede qualcuno così disponibile si butta a pesce e comincia a ricoprirlo con la cronistoria di tutti i propri guai, fino a sommergerlo.
Ma io voglio bene al mio batterista, ci tengo alla sua sanità mentale.
Lo so che il twincest non rientra fra le sue preferenze e che avrebbe preferito di gran lunga continuare a vivere la propria vita, invece di ritrovarsi catapultato d’improvviso nel bel mezzo di una fanfiction.
Perciò mi mordicchio un labbro e cerco di mettere la situazione in un modo che lui non debba necessariamente trovare vomitevole.
- Sai quando devi fare qualcosa… e sai che sarà un disastro, però contemporaneamente sai anche di non poterti tirare indietro perché magari causeresti un disastro ancora maggiore…?
- Uhm… come quando ti duole un dente e sai di dover andare dal dentista per evitare di trovarti prematuramente sdentato, anche se il solo pensiero del dolore che ti causerà il trapano ti uccide?
- Ecco, sì! – gioisco io, battendomi un pugno sul palmo aperto, - Hai afferrato. Il dentista!
- Hai un dente cariato, Bill?
- Esattamente! Ho un dente cariato e so di dovermelo togliere! Solo che sono terrorizzato dal dolore che proverò… e poi i dentisti mi spaventano…!
Lui mi fissa, inarcando le sopracciglia. Io mi chiedo se sono stato abbastanza convincente. Dove accidenti sono finite le doti da grande attore di cui David si compiace sempre, quando parla di me?!
- Ma adesso ti fa male comunque, no…? – borbotta infine lui, più confuso che persuaso, incrociando le braccia sul petto, - Il mio motto è: via il dente, via il dolore! È meglio così, credimi.

Be’.
Gustav è un genio!
Questo è ovvio.
Io so che in un modo o nell’altro sarà un disastro, ma so anche che questa realtà incontestabile non cambierà se posticipo di qualche giorno o qualche settimana! Perciò, tanto vale farmi investire dal camion adesso che sono forte e lucido e potrò reggere l’impatto!

- Hai ragione! – annuncio trionfante, saltando in piedi, - Gusti: ti adoro.
- L’ho già detto a tuo fratello, - biascica lui, inorridendo, - lo ripeto anche a te: io non sono imparentato con voi, se t’innamorassi di me non sarebbe incesto, quindi gira al largo!
- …ti ho appena detto che ti adoro, - sbuffo io, contrariato, - potevi almeno aspettare fino a domani per darmi una ragione per dirti che sei un cretino.
*
- Tom. – annuncio seriamente, strappandolo dalla sessione di Metal Gear alla quale si sta sottoponendo in salotto con Georg, - Devo parlarti.
Lui solleva lo sguardo e mi fissa come un pesce lesso.
- Ma… il gioco… - balbetta incerto.
Perfetto, ora è anche in stato confusionale. Colpa mia, lo ammetto. Ogni volta che gli parlo devo prestare più attenzione al fatto che mio fratello non solo è dotato di un cervello maschile standard – quindi già non particolarmente brillante – ma presenta pure parecchie imperfezioni a livello funzionale. Quindi è ovvio che, quando è particolarmente impegnato in qualcosa, non gli riesce facile spostare il centro della propria attenzione ed adattarsi in fretta al nuovo argomento.
Se ve lo state chiedendo, io ovviamente sono dotato di un cervello maschile superiore. Ho l’arte dalla mia. E questo è quanto.
Sospiro stremato, già pentendomi della mia scelta – come posso effettivamente stare con un tipo simile? Non fosse stato il mio gemello, probabilmente non l’avrei neanche mai notato! C’è decisamente qualcosa di sbagliato, nel nostro rapporto – e ribadisco il concetto.
- Ho bisogno di parlarti. – mi interrompo e sorrido forzatamente, - Ti dispiacerebbe seguirmi in camera mia?
Il modo in cui ho sottolineato la frase, condendola con un altro sorrisino stupido e con tutta una serie di ammiccamenti tali da darmi il voltastomaco da solo, toglierebbe qualsiasi dubbio perfino al più cretino degli uomini. Infatti Georg fa una smorfia disgustata e getta il joystick sul pavimento, scattando in piedi.
- Diosanto…! – mormora, trascinandosi stancamente in cucina.
Mio fratello, invece, dall’alto della sua colossale idiozia, continua a fissarmi con aria smarrita.

Che vi avevo detto?
Sarà un disastro!

- Scusa, non puoi dirmela qui, qualsiasi cosa sia?
Sospiro, mentre percepisco un tic nervoso cominciare a farsi strada sul mio viso, coinvolgendo guance e sopracciglia.
- Se avessi potuto parlartene qui, l’avrei fatto, non credi?
- Ma non posso interrompere il gioco! – protesta, agitandosi animatamente, - Sono stato catturato dal nemico e adesso devo resistere a una tortura di shock elettrici e non svelare chi sono i miei mandanti!
- Puoi farlo dopo! – insisto, - Metti pausa e vieni di là, avanti!
- Ma se mi interrompo adesso, - continua lui, per niente consapevole di ciò che sta effettivamente dicendo, - quando tornerò poi non avrò più lo stesso spirito combattivo di adesso! Magari non mi andrà di resistere alla tortura! Combinerò un casino!
Georg fa capolino dalla cucina. Sul suo viso è dipinta la stessa espressione sconvolta che immagino decori in questo momento anche la mia faccia. Ci scambiamo uno sguardo ugualmente inebetito e poi il mio bassista scuote il capo, rischiando di farsi cavare un occhio da un ciuffo ribelle ma resistendo stoicamente al tentativo dei suoi capelli di renderlo cieco, e si muove di fretta, raggiungendo a grandi falcate mio fratello, strappandogli il joystick di mano e costringendolo ad alzarsi in piedi afferrandolo per le spalle e tirandolo su.
- Povero coglione. – dice impietoso, fissandolo negli occhi, - Tuo fratello sta cercando di farti capire che il tuo periodo d’astinenza è terminato.
- …eh? – sillaba Tom, allibito, lanciando sguardi obliqui alternativamente a lui ed a me.
Georg lo fissa, incredulo.
- Dico, ma quel po’ di cervello che avevi te lo sei mangiato con le seghe solitarie?! – strilla inviperito, scuotendolo per le spalle come un esile rametto, - Sto parlando di sesso! E anche Bill, da una decina di minuti, sta parlando di sesso, anche se tu sei tanto idiota che non l’hai capito! Ti ha invitato ad andare in camera sua! Per una ragazza…
- Ehi!!! – protesto, - Non mi piace la piega che sta prendendo la cosa!
Georg sospira e torna in sé.
- È il suo modo per dirti che s’è convinto. L’astinenza è finita. – cerca di sorridere, mentre gli occhi di Tom si schiudono e cominciano a brillare gioiosi, - Finalmente potrai farti una sana scopata!

Signore santo, cosa non si è costretti a fare…

Tom si libera dalla sua stretta e si volta a guardarmi. Lo indica.
- È vero?
Annuisco controvoglia, guardando altrove, e poi lo sento afferrarmi a propria volta per le spalle e scuotermi, perciò torno a guardarlo.
- Sì, è vero, è vero! – confermo, stavolta ad alta voce, strillando, lo ammetto, come una gallina.
Gli occhi di Tom si fanno, se possibile, ancora più grandi, e sul suo volto si apre un sorriso luminoso.
- Mi devi un favore. – borbotta Georg, accucciandosi sul pavimento, dove fino a poco prima era seduto Tom, e prendendo il joystick fra le mani per riprendere il gioco dove lui s’era interrotto. – E adesso sparite.
Tom sorride ed annuisce e, mentre io mormoro una protesta a casaccio, mi afferra per un polso e comincia a trascinarmi velocemente verso la mia camera. Comincia a baciarmi subito dopo essersi richiuso la porta alle spalle. Non mi lascia neanche il tempo di prendere fiato, si avventa sulle mie labbra e le divora famelico, accarezzandomi i capelli, il collo, le spalle, stringendomi alla vita ed avanzando risoluto verso il letto. Io mi lascio condurre, mi lascio trascinare, mi lascio cullare dalla sua voce bassa e sensuale, dal ritmo frenetico dei suoi respiri contro la mia pelle, mentre balbetta che non riesce quasi a crederci, che sono bellissimo, che non vedeva l’ora di potermi toccare così, ed insinua le mani sotto la mia maglietta, sfiorandomi con ansia e devozione. Io sorrido e biascico che dovremmo chiudere la porta, prima. Mi tendo, cercando di raggiungere la serratura, ma Tomi mugugna e borbotta che non c’è bisogno, nessuno ci disturberà, ed io lo stringo a me, mi faccio rassicurare, mi lascio ricadere assieme a lui sul materasso, e per un secondo il pensiero che, contrariamente a tutte le mie previsioni, ogni cosa possa andare bene, e questo momento possa essere splendido e magico come ho sempre desiderato fosse, riesce quasi a diventare una realtà tangibile nella mia mente.

Ma l’ho già detto.
Più passione ci si mette, più enorme è il disastro che si consuma sotto i nostri occhi.

- Bill? A proposito dei tuoi denti, conosco un dentista che fa lavori fantastici senza far troppo male. Se vuoi ti do il numero! – suggerisce preoccupato Gustav, entrando senza pensieri in camera mentre, in lontananza, si sente Georg strillare un disperato “non farlo!!!” che, purtroppo, arriva qualche minuto più in ritardo di quanto avrebbe dovuto.
Lo spettacolo che prende vita di fronte agli occhi del mio povero, innocente batterista non dev’essere dei migliori. Due gemelli seminudi che si rotolano fra le coperte, interrotti proprio mentre stanno per passare alla “fase successiva” della loro intesa sessuale, possono essere considerati “una bella visione” solo da un gruppo di fangirl infoiate. E decisamente Gustav non è una fangirl infoiata.
Sento nuovamente il tic farsi strada sul mio viso, mentre Tom, che ovviamente ha un cervello del tutto idiota, trova questo sia il momento più adatto per spostare la propria attenzione dal fatto che stavamo per fare sesso alla frase appena pronunciata da Gustav.
- Denti? Hai problemi coi denti? Non me ne hai parlato! – borbotta incredulo, sollevandosi dal materasso e mettendosi seduto, - Fammi vedere!
- I miei denti sono sanissimi. – dico, digrignandoli, come a dar prova della loro perfetta salute.
Gustav rimane lì immobile sulla soglia.
E, per quanto mi piacerebbe dare la colpa di tutto ciò alla tontaggine che ha appena dimostrato, io so perfettamente di chi è la colpa di tutto questo.
- Tom, sei un cretino. – accuso perentorio, - Dovevi lasciarmi chiudere la porta!
Lui prova a protestare – qualcosa sul fatto che non rientrava nei suoi doveri preoccuparsi della possibilità che Gustav avesse il permesso di irrompere in camera mia per consigliarmi dentisti ad ogni ora del giorno e della notte – ma io non lo lascio fare.
- Non me ne frega un accidenti. – concludo. – E, se speri che dimenticherò tutto questo, sappi una cosa: se continua di questo passo, io e te non lo faremo mai.

Penso che l’urlo di dolore che ha lanciato si sia sentito fino all’isola caraibica di David.
Almeno lo spero.
Così impara, a mollarmi quando ho chiaramente bisogno di essere dissuaso.

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