Scritta in coppia con Ana.
Genere: Romantico, Commedia, Erotico.
Pairing: Bill/Tom, Bill/Andreas/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Lemon, PWP, Slash, AU, Threesome.
- liz scrive: "questa storia nasce un po' anche per prenderci per i fondelli... e prendere per i fondelli pure miles away XD sappiamo che la amate, ma quella fic aveva un'enorme pecca: non era abbastanza zozza!"
ana scrive: "ed e' per questo che veramente la consigliamo a chi ha una mentalità abbastanza perversa"
liz scrive: "e la sconsigliamo anche a chiunque vorrà trovarle significati profondi: vi assicuriamo che non ce n'è"
ana scrive: "l’unica profondità della quale si parlerà sarà..."
liz scrive: "SMETTILA SUBITOOOOOOOH X’DDDDDD"
Note: A sei mesi dalla sua apertura, quello che doveva essere uno spin-off scemotto per festeggiare il Natale in compagnia di Miles Away è diventato prima un concentrato di porno prolungato e poi una puccioseria random con la quale riappacificarsi col fluff in attesa del seguito angst (Perfect Shade Of Dark Blue, che non vedrete su questo archivio perché opera unica di Ana). Per la verità - e qui mi discosto da quella che pare essere l'opinione comune - io mi associo a Tab nel dire che ho tanto apprezzato lo scrivere le parti pornografiche quando mi ha per certi versi infastidito indulgere nell'introspezione XD Voglio dire: la storia era nata, appunto, per essere un porno senza pretese. Come dicevamo nell'intro, un modo per prendere in giro Miles Away. Ha preso una piega più riflessiva, verso la fine, e non me ne pento del tutto, ma mi pare che si sia un po' snaturata, col proseguire. Che sia un po' invecchiata prematuramente. Insomma. MA non me ne pento mica è_é E comunque la threesome resta una delle scene di sesso migliori che abbia mai scritto <3
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MILES AWAY CHRISTMAS SPECIAL
PORN IS WHAT WE AIM FOR
CAPITOLO 5

Si era riscosso dal sonno già da qualche istante, ma continuava a tenere gli occhi chiusi. Aveva sentito suo fratello abbandonare il letto e voleva aspettare che Bill tornasse per riaprire gli occhi. Era così raro poterlo vedere come prima cosa al mattino, che non voleva perdere nemmeno una possibilità.
Sentì un peso appoggiarsi al materasso e un calore avvicinarsi al proprio corpo.
E un improvviso peso morto ricadere sul suo stomaco, scaldando al tocco la pelle attraverso il lenzuolo leggero.
- Sai, - sbuffò aprendo gli occhi e guardando suo fratello sdraiarsi vicino a lui. – Ho preferito la sveglia precedente. – continuò, spostando lo sguardo sulla borsa dell'acqua calda che suo fratello aveva così gentilmente posato sul suo grembo.
- Guarda che lo faccio per te, - sentenziò Bill, chiudendosi a riccio e stringendo a sua volta una borsa. – Aiuta contro il dolore. –
- Certo ma... – sospirò Tom, scostando l'affare e gettandolo di lato, - Io non sento per niente male... Lo sapevo che eravate tu ed Andreas ad avere i culi delicati... letteralmente. -
Si pentì di quelle parole non appena vide l'espressione scioccata – nonché considerevolmente schifata – di suo fratello.
- No, Bill, non farlo, - si affrettò ad implorarlo, - Non offenderti, non mettere il broncio, non voglio litigare. – disse afferrandolo per un polso e tirandoselo contro. – Lo so, sono il solito cretino cafone, mi dispiace ma mi è scappata. Non lo faccio più. – mormorò contro la fronte del fratello, sfiorando leggermente la pelle con le labbra. Bill si scostò da lui, rigirandosi su se stesso e infilandosi sotto le coperte, avvicinandosi a Tom.
- Dubito fortemente che non lo farai più, - borbottò contro la spalla del biondo, - penso proprio che dovrò abituarmici. –
- Ti amo, - rispose Tom dandogli un bacio a fior di labbra, percependo il sorriso del moro.
- Sei un imbroglione, - s'imbronciò Bill, scostandosi leggermente. – Non vale dirmelo come scusa per farti perdonare. -
Tom sorrise.
- Tu invece puoi dirmelo quando vuoi, - disse sincero, abbracciandolo dietro la schiena e stringendolo a sé, mentre allontanava anche l'altra borsa dell'acqua calda.
- Mi hai preso per un pappagallo? – lo guardò Bill con aria sorpresa.
- Naaaah, - sorrise Tom, rubandogli un bacio a stampo. – I pappagalli non hanno labbra da baciare. –
Il moro lo guardò ulteriormente sorpreso.
- Ma cosa ti sei mangiato ieri a cena? Un libro di poesie? -
Tom sbuffò. – Bill, sto provando a passare una mattinata tra baci, abbracci e coccole. Se non vuoi, dimmelo. Così la smetto di provarci e vado a farmi una nuotata. – sentenziò serio, allontanando il fratello e guardandolo dritto negli occhi, riflettendosi in uno specchio di puro stupore.
- Tom... sei diventato una femminuccia per caso? Capisco che fare il passivo sia una novità, ma non pensavo di scombussolarti così tanto... – si preoccupò Bill, tastando la fronte dell'altro alla ricerca di qualche traccia di febbre.
- Bill, prova ad offendermi un'altra volta e ti faccio vedere io chi è la femminuccia... e lo sai bene che so come convincerti. – lo guardò serio, serrando le labbra.
Bill osservò lo sguardo di suo fratello, strabuzzando gli occhi. Poi scoppiò a ridere e tra una risata e l'altra prese il viso di Tom tra le mani, avvicinandolo e lasciandogli un piccolo bacio sulle labbra.
- Ti amo. – disse in una risata prima di avvicinarlo di nuovo, stringendosi al collo di Tom e approfondire il bacio.
Tom si separò da lui, leggermente indispettito, e lo afferrò per le spalle, girandolo di scatto e sbattendolo sul materasso.
- Non vale dirmelo come scusa per farti perdonare. – sussurrò prima di riscendere a baciarlo con foga. Lo bloccò tra le gambe, facendo aderire i loro petti e non passò molto prima che sentisse le mani di Bill tra i capelli che lo accarezzavano dolcemente. Scese a baciarlo lungo la mascella mentre sentiva che il fratello sospirava di piacere.
- Tomi... - sussurrò il moro in un respiro mozzato.
- Mh? – mugugnò Tom, passando le labbra lungo la linea del collo.
- No. – disse deciso Bill.
Il biondo scattò con la testa e lo guardò.
- Cosa? No? Perché? – borbottò sconcertato, la voce che si faceva sempre più stridula ad ogni parola.
- Tom. – fece Bill serio, specchiandosi negli occhi del gemello. – Dammi tregua. Ho bisogno di una pausa, altrimenti finirai per farmi venire il rigetto. –
A quelle parole Tom scattò seduto, allontanandosi di mezzo metro dal fratello e sbrigandosi a mettere un cuscino tra di loro, come se fosse una barriera.
- Ok, ti lascio in pace. Però non farti venire nessun rigetto, okay? –
Il minore scoppiò a ridere e prese il cuscino stringendoselo al petto.
- No, tranquillo, nessun rigetto. Però ho davvero bisogno di una pausa, non possiamo continuare così... tra due giorni partiamo e siamo più pallidi di quando siamo arrivati! – esclamò fra il malizioso e divertito.
Tom sembrò pensarci qualche secondo prima di alzarsi senza dire una parola e tendere la mano al fratello. Bill lo guardò sorpreso però accettò lo stesso la mano, facendosi aiutare a rimettersi in piedi. Il biondo lo portò verso la portafinestra del bungalow, aprendola. La brezza che saliva dalla spiega fece rabbrividire e sussultare entrambi. Tom lasciò la mano di Bill e andò verso una sedia a sdraio, tirandola verso la parte più soleggiata del terrazzo.
- Vieni? – lo chiamò mentre si sdraiava e chiudeva gli occhi.
Il moro si avvicinò e si distese su un fianco, sorridendo del tepore che la mano di Tom imprimeva sul suo fianco dal momento aveva appoggiato la testa al lettino.
- A cosa pensi? – gli chiese il biondo, risalendo con la mano e allontanando una ciocca di capelli dietro l'orecchio di Bill.
- Tra due giorni partiamo. – sospirò.
- Lo so, - sorrise Tom. – Passeremo capodanno a Boston, con la mamma e Gordon. Non ti piace l'idea? –
Bill sussultò.
- No, al contrario. Non vedo l'ora di riabbracciarla... è solo che dopo... le vacanze finiranno... e torneremo alle nostre vite di prima. – spiegò, abbassando la testa. – Non voglio stare di nuovo lontano da te. – soffiò a bassa voce.
Tom rafforzò la presa sul fianco e lo strinse a sé.
- Sai,- continuò Bill, tirando leggermente su col naso. – C'è una scuola di musica, a Dresden, probabilmente è lì che andrò l'anno prossimo. – spiegò nervoso, iniziando a cerchiare ghirigori sul cuscino sotto di lui. - Stavo pensando... potresti venire anche tu, sai? C'è anche una scuola di arti visive... e tu sei sempre sembrato interessato al lavoro di mamma... e magari potremmo cercare un appartamento, e poi... -
- Bill, - lo interruppe Tom. – Io... – il biondo cercò le parole giuste mentre evitava di incrociare lo sguardo con gli occhi del gemello, curiosi e pieni di speranza. -... non posso. – sospirò appena. – Mi dispiace, è tutta colpa mia... non posso trasferirmi all'estero fino alla maggiore età... –
- Ma noi siamo maggiorenni. – obbiettò Bill, continuando a non capire le parole del fratello.
- Non negli Stati Uniti... devo aspettare i ventun anni. – spiegò Tom, sfiorando la fronte del moro con le labbra.
- Quindi... dovremo continuare così per altri... tre anni? – chiese Bill, guardandolo con gli occhi quasi lucidi
- Mi dispiace... – ripeté Tom.
Rimasero in silenzio, appena abbracciati, gli sguardi bassi, finché il sole non si trovò ad illuminare quasi l'intero terrazzo.
- Ragazzi, ci siete? – sentirono la voce di loro padre chiamarli e pochi secondo dopo la figura dell'uomo apparve sulla terrazza. – Cosa stavate facendo? – chiese notando le espressioni spente di entrambi i gemelli.
- Nulla. – spiegò Tom. – Cosa si fa oggi? – chiese poi con un sorriso tirato.
- Pensavo di andare a fare un giro in centro, musei, negozi e finiamo con una cena. Che ne dite? –
- Stupendo. – mentì Bill. – Dacci un quarto d'ora che ci vestiamo. – E dicendo così scomparve dentro.
***

Chiaramente era preoccupato. Insomma, era ovvio: da qualche parte dentro di lui era sempre stato convinto di essere stato la causa originaria di ogni sofferenza di Bill; poi poteva chiamarlo come preferiva – senso di colpa, coda di paglia, frustrazione, pentimento – dipendeva dalla situazione e dallo stato d’animo in cui si trovava quando cominciava a pensarci, ma in fondo era sempre la stessa cosa.
Era andato via, e Bill era stato male.
L’aveva baciato, e Bill era stato male, al punto da cominciare a- be’, odio non era, ma insomma, valeva tanto quanto, dal momento che l’aveva comunque costretto a non vederlo più.
Ed anche in quel momento, non riusciva proprio a togliersi dalla mente l’ombra nello sguardo di Bill quando quella mattina avevano parlato del loro cosiddetto futuro.
Futuro, poi.
Chissà che futuro si aspettavano di avere.
In che razza di futuro potevano sperare, loro due? Anche a voler tralasciare il fatto fossero fratelli – e non poteva veramente tralasciarlo, perché… be’, perché dannazione: erano fratelli davvero – dietro di loro, intorno a loro e davanti a loro c’erano una tale quantità d’ostacoli che pure a forzarsi d’ignorarne alcuni ne restavano comunque altrettanti con i quali uscire definitivamente fuori di testa.
E l’ombra negli occhi di Bill lo perseguitava. Anche adesso che sorrideva lievemente, camminando al suo fianco lungo la via principale del minuscolo agglomerato turistico che ingombrava l’esigua parte di superficie non coperta di sabbia dell’isola nella quale si erano stabiliti, anche adesso che ridacchiava sommessamente delle battute di suo padre – divertito un po’ dalle battute in sé ed un po’ dalla ridicola tenerezza di Jörg in modalità “so-di-non-essere-stato-un-buon-padre-ma-da-oggi-in-poi-sarà-tutto-diverso” – Tom non riusciva proprio a togliersi dalla testa che c’era comunque qualcosa che l’avrebbe sempre fatto sentire in difetto nei confronti di Bill.
Una specie di reminiscenza di tristezza, di nostalgia e di dolore che non riusciva mai veramente a lasciarlo distendere i lineamenti del volto.
- Ragazzi, prendiamo qualcosa di fresco?
La voce di suo padre era eccitata ed allegra come quella di un bambino. Non che Tom potesse vantare una gran conoscenza del suo comportamento tipico, ma era abbastanza sicuro quello non fosse esattamente il modo in cui Jörg agiva solitamente. Poteva leggerlo negli occhi di Bill, che – stupiti e vagamente compiaciuti – brillavano di curiosità mentre annuiva e seguiva il padre all’interno di una pittoresca pagoda-bar poco distante.
Mentre Jörg, di spalle rispetto a loro, avanzava all’interno del locale, Tom affrettò il passo, affiancandosi al fratello e sfiorandogli una mano con la propria in un movimento falsamente casuale. Bill lo guardò e gli concesse un sorriso tenero e riconoscente, stringendo le dita in un pugno come volesse trattenere sui polpastrelli il tepore della sua pelle.
Tom si prese un secondo di tempo per adorare ciecamente quel sorriso e poi si gettò alla conquista di uno dei pochissimi tavoli liberi ancora disponibili sotto il tetto di foglie di palma della costruzione in legno.
Ordinarono entrambi una coppa di yogurt con le fragole – che si rivelò poi essere non una coppa bensì un vaso, perché le coppe non sono così grandi – e si piegarono alle richieste di loro padre di nutrirsi anche con della frutta fresca, perciò accettarono due coppette di macedonia mentre lui sospirava pesantemente sulla loro golosità e si accontentava di un caffè freddo.
- Bene. – disse ad un certo punto Jörg, mentre Tom cercava di calcolare brevemente la quantità di yogurt presente nella propria cosiddetta coppa, rinunciando quasi subito e cominciando a rassegnarsi all’idea che non sarebbe mai riuscito a finirlo tutto, - Ho un regalo per voi.
Tom osservò Bill sollevare stupito lo sguardo su di lui. Dalle sue labbra spuntava una macchiolina bianca che Tom avrebbe volentieri spazzato via con un bacio velocissimo, ma non era proprio il caso – proprio no, Tom, che razza di fantasie tiri fuori dal cappello in un momento come questo?! – perciò si limitò a seguire il suo esempio e portare a propria volta lo sguardo su Jörg che, serissimo, intrecciava le dita attorno alla propria tazza e ne fissava il contenuto con aria agitata.
- Un regalo? – borbottò Bill, inarcando un sopracciglio inquisitore.
Jörg annuì.
- Be’, - aggiunse, sollevando uno sguardo un po’ stupito, - in fondo è Natale.
Tom vide gli occhi di Bill spalancarsi e brillare di una luce strana, e ne sorrise intimamente: poteva immaginare con estrema precisione quali dovessero essere i suoi pensieri. Qualcosa tipo “Natale? Ma non avevamo già esaurito la pratica con gli auguri di stanotte?”.
Doveva essere stato un pensiero simile, perché era esattamente ciò che era passato per la mente a lui.
- Grazie. – rispose al suo posto, dandogli così un po’ di tempo per tornare alla realtà mentre Jörg si voltava a guardare lui, - Allora? Cos’è questo regalo?
Jörg sospirò con l’aria di uno che sta pensando “ma perché devono crescere così in fretta senza darti il tempo neanche di capire chi sono?”, e si chinò sullo zainetto da turismo che si trascinava sulle spalle da quella mattina, e che, quando erano arrivati al bar, era finito sul pavimento accanto alla sedia.
Da una tasca esterna tirò fuori due pacchetti e due buste in tutto e per tutto identiche – di un biancore candido e chiusi da un nastro di raso azzurro i primi, gialle ed anonime, sigillate e prive di qualsiasi indicazione scritta le seconde. Posò le buste sul tavolo di fronte a sé ed i pacchetti di fronte ad ognuno dei gemelli, spingendoli verso di loro sulla superficie liscia e levigata del tavolino.
- Apriteli, no? – borbottò poi, visibilmente a disagio.
Tom allungò una mano ad avvolgere il proprio pacchetto ed osservò Bill fare lo stesso, sciogliendo il nastro e scoperchiando la scatola, per poi rovistare brevemente all’interno e tirarne fuori…
- …chiavi? – chiese a propria volta, riportando lo sguardo sull’uomo.
Lui annuì velocemente, abbozzando un sorriso incerto.
- Chiavi di cosa? – cercò d’informarsi Bill, e l’uomo rispose afferrando le buste e consegnandone una per ognuno, restando poi in attesa.
- È in duplice copia. – descrisse sottovoce Jörg, tornando a concedersi lunghe sorsate di caffè refrigerante mentre loro strappavano le buste e ne spiavano il contenuto, - Ovviamente io ho l’originale. Non perché non mi fidi di voi, ma perché non si sa mai, potrebbero pure perdersi o chissà che, e… - sospirò, sorridendo più tranquillamente, - …è importante che resti comunque un documento che attesti che la villa in Bretagna è vostra.
Nelle buste, infatti, c’erano due atti di proprietà intestati a loro, che sancivano l’appartenenza del vecchio maniero che era stato il teatro dei loro primi litigi dopo anni, del loro riavvicinamento, del loro primo vero bacio, di tutto il resto.
Di tutta la loro storia.
Jörg non lo sapeva. Ma aveva fatto loro il miglior regalo possibile.
Tom sollevò lo sguardo su Bill e vide che aveva gli occhi lucidi. Si accorse, senza stupirsene particolarmente, peraltro, di essere a propria volta sull’orlo della commozione, e scosse il capo come a scacciare via quei pensieri, mentre stringeva quel pezzo di carta di fondamentale importanza fra le mani e tornava a guardare suo padre.
- Grazie… - sussurrò Bill, tirando fuori la voce da chissà dove, - Grazie davvero…
- Avanti, non c’è bisogno di farla tanto seria! – cercò di ridacchiare Jörg, palesemente imbarazzato, - Quel posto non si adatta più alla mia età, è troppo umido! – motivò compitamente, - Ogni volta che ci metto piede l’artrosi mi uccide!
Tom annuì e ricominciò a ruminare fragole, se non altro per uccidere sul nascere quel groppo in gola che minacciava di soffocarlo di gioia.
- È normale, la vecchiaia avanza per tutti. – commentò distrattamente, mentre suo padre sollevava un sopracciglio e gli dava dell’ingrato, tra le risatine divertite di Bill.
Quando ebbero finito di mangiare, Jörg pretese che ricominciassero a fare il giro della città. “È ancora presto”, spiegò, “Possiamo fare qualche foto!”.
Il luogo in cui scattarle venne scelto presto: al centro di una piccola piazza letteralmente circondata di negozi, si ergeva una splendida fontana in marmo bianco e liscio, che schizzava per un paio di metri in alto ed accoglieva poi il getto in caduta libera fra le braccia di un’ampia vasca circolare, sul bordo della quale si poteva anche star seduti.
Jörg la vide e la trovò bella, perciò spinse i figli sul bordo, li obbligò a sedersi ed afferrò Tom per un braccio, chiedendo a Bill di fare loro una foto. Bill obbedì e scattò a qualche metro di distanza, così in fretta che Tom non ebbe neanche il tempo di prepararsi e venne immortalato in due megabyte di puro delirio, con la bocca semiaperta e gli occhi semichiusi ed un’espressione da scimmia addormentata che costrinse suo padre e suo fratello ad una lunga sessione di risate ai suoi danni.
Dopodiché, Jörg strinse il braccio di Bill e consegnò la fotocamera in mano a Tom.
- Adesso noi due insieme. – suggerì l’uomo, invitando Bill a sedersi al proprio fianco sul bordo.
Tom annuì e sbuffò.
- Farò di tutto per far sembrare due cessi anche voi. – borbottò allontanandosi di qualche passo e sbirciando nello schermo della fotocamera per trovare la posizione giusta dalla quale scattare. Proprio in quel momento, però, scattò il segnale luminoso intermittente della batteria scarica, e Tom allontanò la macchinetta dal viso, squadrandola con aria incerta.
- Maledizione, si sono scaricate le pile. – esclamò, guardandosi intorno. – Uh, lì c'è un negozio, vado a vedere se le vendono. Torno subito. – disse correndo verso il negozietto lontano e lasciando suo padre e Bill di fronte alla fontana.
Il minore si ritrovò a calciare una piccola pietra con un piede. Era grato a Jörg, ma per qualche motivo continuava a non trovarsi a proprio agio con lui.
- Certo che questo posto è proprio bello, - disse suo padre, osservando il mare. – Avete già qualche programma per domani? – chiese guardandolo.
- Umm... no, non penso. – mugugnò, scrollando le spalle, - Probabilmente passeremo la giornata in spiaggia.
- Capisco, - rispose Jörg. – Sai, prima vi stavo osservando...
- Prima quando? – chiese Bill nervosamente, spaventato dalla possibilità che suo padre avesse potuto vedere qualcosa di compromettente.
- Quando ero venuto a chiamarvi. – disse Jörg, dandogli i brividi per la paura, - Vi guardavo sdraiati sul lettino, mi sembravate tristi... potrei saperne la ragione? – domandò incuriosito, guardando il figlio minore.
Bill sospirò. – Ho chiesto a Tom se gli andasse di tornare in Germania per l'università, ma non può trasferirsi prima della maggiore età. – spiegò, sollevando lo sguardo e osservando le nuvole bianche muoversi velocemente per il cielo.
- Già, - rispose l'uomo. – Comunque è bello vedervi di nuovo insieme. Sono felice che abbiate fatto pace. – ammise sincero.
- Sì, - Bill sorrise sincero. – E' bello. –
- Ascolta Bill, - suo padre si avvicinò a lui, - mi dispiace di non averti mai detto nulla riguardo alla situazione di Tom, ma me l'aveva chiesto lui stesso. –
- Lo so, tranquillo. – Bill guardò suo padre. – Comunque Tom mi ha spiegato tutto quest'estate in Bretagna. -
- Uh... okay,... comunque... – continuò Jörg, - Volevo dirti un'altra cosa. Ascoltami Bill, mi dispiace per come mi sono comportato negli ultimi anni, so di averti ignorato un po' troppo e non saprei come farmi perdonare. Ma ti posso promettere che d'ora in poi ci sarò sempre. – e dicendo così sorprese suo figlio, stringendolo in un abbraccio come non aveva fatto da tanto tempo.
Bill rimase sconvolto dal gesto, ma non solo. L'abbraccio di suo padre, per quanto fosse stato assente da anni, gli faceva sentire quel calore familiare, e aveva anche trovato una traccia di Tom in quell'abbraccio. Si ritrovò a ricambiare la stretta senza nemmeno rendersene conto.
- Grazie papà, - sorrise Bill.
- Grazie a te... e ho già detto a Sandra di tenermi libero il giorno del tuo diploma, insieme a quelle precedente e quello dopo, così evito di venire contattato per qualche strana emergenza. Magari vedo se riesco a far venire anche Tom, che ne dici? –
- Sarebbe stupendo. – rispose sincero Bill, scoppiando in una risata.
- Cosa sarebbe stupendo? – chiese Tom raggiungendoli.
- Fare una foto tutti insieme davanti a questa fontana. – disse Jörg, sorprendendo Bill che rimase a bocca aperta di fronte alla scioltezza con la quale l'uomo aveva mentito.
- Uh, certo. – disse Tom, avvicinandosi a un venditore di gelati e chiedendogli se poteva fare loro una foto. Quando il venditore prese la macchinetta Tom corse verso la fontana, mettendosi vicino a suo padre e circondandolo con un braccio. Suo padre aveva messo un braccio intorno alle spalle di entrambi i figli e Tom poté sentire la mano di Bill poggiarsi sulla propria oltre la schiena di Jörg.
- Ora una con voi due. – esclamò suo padre, andando a riprendere la macchinetta dal gelataio.
Bill e Tom si sorrisero e si strinsero a vicenda, sul marmo fresco e lievemente umido di quella fontana un po’ inutile nel centro di una piazza altrettanto anonima.
Jörg scattò la foto e poi rimirò la propria opera nello schermo della macchina.
- Fantastica! – commentò, mostrandola orgoglioso ai gemelli, - Io si che ci so fare.
No, papà. Siamo noi che siamo nati per stare insieme.
Ma questo nessuno deve saperlo.

***
Jörg li aveva lasciati liberi di andare dove volessero verso le sette di sera. A quel punto, fossero ancora entrambi bianchi come mozzarelle o meno, il solo pensiero di indossare il costume, prendere l’ombrellone e le sedie a sdraio e rifugiarsi in spiaggia per prendere un po’ di sole, sembrava assurdo anche solo a prospettarselo davanti, figurarsi metterlo in atto.
Chiavi e documenti gelosamente custoditi nell’enorme borsone bianco cui Bill sembrava del tutto incapace di rinunciare, si rassegnarono a concludere la giornata in giro con una passeggiata sulla spiaggia. La sabbia, bianchissima, sul calare della sera si tingeva d’azzurro e sembrava richiamare tono su tono il colore del mare e del cielo, al punto che, socchiudendo gli occhi e spiando il panorama attraverso le ciglia lievemente umide di stanchezza, non si sapeva più bene se ci si trovasse ancora su una spiaggia esotica o in uno strano universo fatto solo di morbida e rassicurante lucentezza cerulea. Le urla dei gabbiani in lontananza tessevano la trama della stranissima colonna sonora di quel tramonto già pronto a tuffarsi nella notte, e s’intricavano melodiose con le risate dei ragazzi ed i richiami dei genitori tutto attorno, riempiendo l’aria fresca di tepore umano.
Bill e Tom sorridevano.
Sorridevano e basta.
- Be’, almeno non dovremo più preoccuparci di dove andare a farlo, in vacanza! – irruppe la sempre delicata voce di Tom, schiantandosi contro la tranquillità del posto e devastandola.
Bill gli lanciò un’occhiataccia disgustata, stringendosi alla borsa come se avesse appena cercato di rubargliela.
- Sei un essere inqualificabile! – lo rimproverò aspramente, - È tutto quello a cui riesci a pensare?
Tom sorrise enigmatico, intrecciando le dita con le sue e sfiorandogli lentamente la spalla con la propria.
No, non riesci a pensare solo a questo, pensò Bill, sorridendo a propria volta. Ma la voglia di rimanere lì semplicemente a prendersi in giro e scherzare di tutto e di niente, dopo la mattinata tremenda che aveva passato – a ripetersi continuamente di non sperarci troppo, di non sognare troppo, di non crederci troppo, perché sarebbe stato sempre tutto troppo difficile, per loro due – era troppo forte per resistere.
Perciò aggrottò le sopracciglia e ricominciò a borbottare.
- Insomma, non è possibile! Con tutti i momenti romantici che abbiamo passato in quella villa, tu la usi come una stanza d’albergo qualsiasi.
Tom sorrise e stette al gioco, scrollando le spalle.
- Insomma, non è che ci sia poi molto da prendere in Bretagna. Voglio dire, - cominciò ad elencare, - il clima fa schifo, non c’è mai un cane, la casa è piena di spifferi…
- E tu sei uno stronzo da manuale! – rise Bill, spintonandolo in là e lasciandolo cadere con malagrazia a mollo, nell’acqua bassa della riva a due passi della quale passeggiavano.
Tom si accasciò sulla rena bagnata, morbidissima appena sotto al livello dell’acqua, con un sonoro splash ed un altrettanto sonoro urlo di stupore, paura e dolore, che si esaurì nel momento in cui si ritrovò, fradicio come un pulcino, a cercare di non affogare in dieci centimetri di profondità.
- …tu!!! – strillò, scattando in piedi ed allacciandolo alla vita, placcandolo come un giocatore di football per costringerlo a terra e coinvolgerlo in un rollio irregolare e un po’ confuso lungo tutta la spiaggia, - Sei completamente pazzo!!!
Bill rise di cuore, riuscendo appena a liberarsi dell’impaccio della borsa prima di cominciare a rotolare. Non gli importava della sabbia che lo impiastricciava tutto, non gli importava dei vestiti bagnati di Tom che gocciolavano sui suoi, bagnandolo a propria volta, non gli importava di chi li stesse a guardare – che pensassero quello che volevano, a lui non interessava minimamente – e non gli importava neanche del passato o del futuro. Il presente che stava vivendo era talmente bello che si sarebbe sentito colpevole ad imbrattarlo con le sfumature cupe delle sue incertezze.
Il presente era lì. Fisico. Lo toccava.
Il presente era Tom. La sabbia fra le mani. Prenderne una manciata ed infilarla nella sua maglietta. Ascoltarlo urlare inorridito e ridere di gusto. Rotolare sul bagnasciuga fino a ritrovarsi zuppi e sporchi come mai prima.
Il presente era quello.
Il presente era solo quello.
Il presente erano loro.
***
Quando rientrarono al loro bungalow, trovarono Jörg ad aspettarli sulla soglia. Li fissò a lungo come se li vedesse per la prima volta. Ed era anche abbastanza allucinato e sconvolto da far pensare che sì, avrebbe pure preferito farne a meno.
- Ma che avete combinato?! – sbottò esasperato, gesticolando animatamente all’indirizzo delle loro magliette fradice e dei jeans letteralmente ricoperti di sabbia, nonché dei loro capelli semplicemente inguardabili.
Per tutta risposta, Bill e Tom si lasciarono andare ad una risatina e ad uno sguardo complice, senza aggiungere una parola.
Jörg si passò una mano sugli occhi e scosse il capo, esasperato.
- Incredibile. Non crescerete mai davvero. – mugugnò cupamente, - Ma adesso andatevi a fare una doccia e rendetevi presentabili, Markus ci aspetta al ristorante fra tre quarti d’ora.
Venne fuori che Jörg, durante il loro periodo di spensierata assenza dal bungalow, aveva pensato fosse opportuno organizzare una bella cena natalizia di gruppo per festeggiare, ed aveva perciò fatto un breve giro di telefonate per stabilire i dettagli dell’evento – che finì col coinvolgere non solo la famiglia di Andreas, ma anche alcuni amici del posto ed un buon numero di sconosciuti imbucati e spuntati letteralmente dal nulla – convinto che questo sarebbe stato esattamente ciò che i suoi due figli avrebbero preferito per svagarsi un po’.
Bill e Tom si diressero verso il bagno con aria evidentemente contrita, infilandosi oltre la porta in legno chiaro dopo essersi accertati che Jörg non fosse nei paraggi, e cominciarono a spolverarsi di dosso la sabbia, sbuffando disapprovazione.
- Quell’uomo i brutti vizi non li perde mai, comunque. – si lamentò infatti Bill, calciando lontano le scarpe e prendendo a litigare con la maglietta zuppa e stropicciata per sfilarsela di dosso e contemporaneamente avviarsi verso la vasca.
- Ehi, ehi, ehi… - lo richiamò suo fratello, spogliandosi velocemente di tutto ciò che indossava per precederlo, - Vado prima io.
- No! – si lamentò Bill, intrecciando le braccia sul petto, - Ho freddo!
- Ma mi hai spinto tu in acqua per primo!
- Mi pare che tu ti sia ampiamente vendicato per questo!
Rimasero a fissarsi negli occhi per qualche secondo, come se in quel modo dovessero stabilire chi dei due avesse la supremazia sull’altro. Dopodiché, molto semplicemente, cominciarono a correre e spintonarsi verso la vasca allo stesso identico modo, ringhiando e scalciando e sgomitando in sincrono, al punto che non si stupirono poi moltissimo quando, nella vasca, ci si ritrovarono insieme.
- E ora che si fa? – ansimò Tom, senza fiato per la fatica.
Bill scrollò le spalle, cercando di darsi un contegno.
- Be’, la vasca è abbastanza grande per tutti e due. – sorrise poi malizioso, scivolando lento oltre il corpo del fratello, per raggiungere i rubinetti e cominciare a miscelare l’acqua. – L’abbiamo già provato, no…?
Tom non nascose il brivido di aspettativa che gli corse sulla pelle a causa della vicinanza di Bill, ma cercò di sorridere tranquillamente, aspettando la sua prossima mossa. Bill non lo fece attendere: colse subito il suo desiderio e sorrise malizioso, sospingendolo dolcemente sotto il getto d’acqua e facendo in modo di bagnarsi assieme a lui.
- Chissà, - sussurrò sensuale, - magari ti permetto perfino di lavarmi la schiena.
- Oh. – rise Tom, imitando la sua espressione, - Ma non eri tu che stamattina volevi tregua?
Bill strinse le palpebre come un gatto, arricciando il naso divertito e scivolando con una mano sul petto di Tom, seguendo la linea dei suoi pettorali fino al ventre.
- Quello era stamattina. – concluse spiccio, sporgendosi a sfiorare le labbra del biondo, - Sono passate un sacco di ore, da allora.
Tom gli mugolò addosso un assenso inarticolato, spingendosi verso di lui e schiacciandolo delicatamente contro la parete piastrellata coperta dalla tenda in plastica che girava tutt’attorno alla vasca. Al contatto con le mattonelle fredde, reso ancora più fastidioso dalle gocce d’acqua ormai ghiacciate che riposavano contro la superficie, Bill rabbrividì ed inarcò la schiena, spingendosi contro il corpo del fratello come in cerca di protezione.
Tom mugolò ancora, evidentemente soddisfatto, e lo strinse alla vita, tirandoselo contro di modo che tutti i loro angoli e le loro curve aderissero perfettamente, godendo del contatto ora lieve ora più marcato delle loro erezioni, che s’incontravano, si separavano e si scontravano ancora al ritmo dei loro movimenti lenti e cadenzati.
- Tomi, non abbiamo tempo… - fece finta di protestare Bill, ma in realtà lo disse solo perché adorava il modo tutto speciale in cui Tom metteva a tacere le sue lamentele – baciandolo con forza sulle labbra, facendosi strada di prepotenza all’interno della sua bocca con la lingua, come se pretenderlo e prenderlo lì fossero una priorità immancabile…
Si lasciò andare contro di lui, sollevando le braccia a cingergli il collo ed allargando le gambe perché i loro bacini si sfiorassero con maggiore intensità. Tom non ebbe bisogno di sentir ripetere l’invito, perché si schiacciò contro di lui con tanta furia che a Bill, per un attimo, sembrò proprio di sentire annullarsi tutti i confini dei loro corpi. Davvero, per un secondo, fu come essere tornati una cosa sola anche nel corpo, oltre che nella mente.
Si aggrappò con forza alle sue spalle, sollevando il bacino perché Tom capisse che aveva voglia di essere tirato su. E Tom lo capì: lo strinse ai fianchi e lasciò scivolare le mani in una carezza lentissima fino alle natiche, che afferrò con prepotenza prima di scendere appena sotto di esse, poco prima della coscia, ed issarlo contro la parete, mentre lui incrociava le gambe dietro la sua schiena per reggersi senza cadere.
E poi i contorni delle cose si fecero sfumati e confusi, e tutto cominciò a perdere senso e motivo d’esistere, tutto a parte, ovviamente, il corpo di Tom, così vicino e fremente e caldo e bagnato e-
- Ragazzi, io non vorrei disturbare, - borbottò mestamente la voce di Andreas oltre la porta, dopo aver bussato un paio di volte senza mostrare neanche particolare delicatezza, - ma vostro padre comincia ad avere paura che siate scivolati nello scarico anche voi assieme a tutto il resto. Solo per avvertire, eh. – s’interruppe e ridacchiò brevemente, per poi aggiungere – Comunque fate, eh, fate pure con comodo: non ci tengo a ripetere l’esperienza della cena di ieri! – e si allontanò, ridendo compiaciuto come se la sua fosse stata la battuta del secolo.
Interrotti sul più bello – ed improvvisamente raggelati da tutto quello sfoggio di ilarità fuori luogo – i gemelli rimasero immobili, aggrappati per com’erano, a fissarsi negli occhi per un lasso di tempo imprecisato.
Poi Bill si riscosse, sospirando e rimettendo i piedi sul pavimento in ceramica della vasca, stando attento a non scivolare.
- Ma… Bill…! – mugolò disperato Tom, allungano le mani come a volerlo afferrare per riportarselo vicino.
Bill evitò i suoi attacchi con navigata grazia, atterrando elegantemente sul tappetino peloso appena fuori dalla vasca e scrollando le spalle.
- Che ci vuoi fare? – commentò, sorridendo sarcastico, - Vorrà dire che la tregua dovremo concedercela per forza!
E, così dicendo, si avvolse disinvoltamente un asciugamano attorno alla vita e saltellò tranquillamente verso l’asciugacapelli.
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