Scritta in coppia con Ana.
Genere: Romantico, Commedia, Erotico.
Pairing: Bill/Tom, Bill/Andreas/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Lemon, PWP, Slash, AU, Threesome.
- liz scrive: "questa storia nasce un po' anche per prenderci per i fondelli... e prendere per i fondelli pure miles away XD sappiamo che la amate, ma quella fic aveva un'enorme pecca: non era abbastanza zozza!"
ana scrive: "ed e' per questo che veramente la consigliamo a chi ha una mentalità abbastanza perversa"
liz scrive: "e la sconsigliamo anche a chiunque vorrà trovarle significati profondi: vi assicuriamo che non ce n'è"
ana scrive: "l’unica profondità della quale si parlerà sarà..."
liz scrive: "SMETTILA SUBITOOOOOOOH X’DDDDDD"
Note: A sei mesi dalla sua apertura, quello che doveva essere uno spin-off scemotto per festeggiare il Natale in compagnia di Miles Away è diventato prima un concentrato di porno prolungato e poi una puccioseria random con la quale riappacificarsi col fluff in attesa del seguito angst (Perfect Shade Of Dark Blue, che non vedrete su questo archivio perché opera unica di Ana). Per la verità - e qui mi discosto da quella che pare essere l'opinione comune - io mi associo a Tab nel dire che ho tanto apprezzato lo scrivere le parti pornografiche quando mi ha per certi versi infastidito indulgere nell'introspezione XD Voglio dire: la storia era nata, appunto, per essere un porno senza pretese. Come dicevamo nell'intro, un modo per prendere in giro Miles Away. Ha preso una piega più riflessiva, verso la fine, e non me ne pento del tutto, ma mi pare che si sia un po' snaturata, col proseguire. Che sia un po' invecchiata prematuramente. Insomma. MA non me ne pento mica è_é E comunque la threesome resta una delle scene di sesso migliori che abbia mai scritto <3
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MILES AWAY CHRISTMAS SPECIAL
Porn Is What We Aim For
- Capitolo 3 -

Calore.
Il calore lo circondava.
Uno strano tipo di calore.
Non come quello del sole che ti scalda in spiaggia.
Non come quello del piumone caldo che ti avvolge in pieno inverno.
Era un calore diverso...
eccitante.
Ci si sentiva come intrappolato dentro. Come se lo stesso tipo di calore lo stesse bloccando davanti, dietro, da ogni lato.
Ma non c'era soltanto quello.
C'era qualcos'altro... un tocco?
Un tocco umano...
Percepiva il tepore dello sfregamento della pelle di qualcuno sulla schiena.
Guardò indietro e si vide riflesso in due occhi color nocciola.
Sapeva benissimo a chi appartenevano.
Era quella la persona che lo riscaldava?
Ma c'era un'altra cosa... un altro tocco.
Davanti a lui.
Del calore. Un tocco.
Ne era completamente avvolto.
Girò la testa per identificare l'altra fonte di calore.
Si ritrovò di nuovo nello stesso specchio dalle iridi scure.

- Merda!!! - imprecò Andreas svegliandosi di colpo, mentre sotto il lenzuolo il suo piccolo amico gli faceva notare che pretendeva un po' di sollievo.
Si mise seduto, staccandosi faticosamente di dosso le lenzuola di cotone che il sudore aveva contribuito a rendere appiccicose e sudaticce, e che ora aderivano perfettamente al suo corpo, quasi scolpendone forma sul letto.
Non aveva mai considerato pericolosa l’amicizia che lo univa ai gemelli Kaulitz. Non aveva mai considerato pericoloso l’attaccamento che li univa, né ciò che ultimamente era successo fra loro due – e nemmeno quella strana cosa che era successa fra loro tre, quella volta che Bill l’aveva chiamato e…
…no.
Pensiero sbagliato.
Deglutì.
Sbagliatissimo.
Si sollevò dal materasso, guardandosi intorno con aria smarrita. Dalla spiaggia arrivavano le urla gioiose dei bambini e gli strilli falsamente irritati delle ragazze che si facevano issare sulle braccia dai ragazzi del posto, lasciandosi corteggiare.
Aveva urgentemente bisogno di un caffé.
* * *
Il sole splendeva alto nel cielo. La brezza marina filtrava attraverso la finestra semichiusa, agitando la tendina traforata che la copriva e raggiungendolo fresca al volto, ancora umido dopo il consueto rituale di pulizia del mattino. I gabbiani lanciavano il loro strillo caratteristico nell’azzurro stratosferico che sovrastava la spiaggia e i bambini si rotolavano felici nella sabbia, ricoprendosi di granelli e soffocandosi con le alghe nel tentativo di tramutarle in cibo commestibile e nutrirsene.
Il mondo era meraviglioso.
Ed era reso ancora più meraviglioso dal delizioso ricordo del modo in cui lui e suo fratello avevano passato la notte, e dalla possibilità che la cosa si ripetesse.
Anche se, in assoluto, la cosa migliore era un’altra.
Caldo. Sole. Spiaggia. Mare. Bagno!
- Avanti, Bill! – esordì allegro, irrompendo in soggiorno, - Il mondo ci attende! Andiamo a poltrire su una sedia a sdraio per le prossime dodici ore!
Bill, seduto al tavolo e chino su una piccola montagnola di libri, era il suo esatto opposto. Se lui avrebbe tranquillamente potuto essere la reincarnazione vivente del dio dell’entusiasmo, di Bill al massimo si sarebbe potuto dire che fosse la reincarnazione del dio dell’insonnia.
- Non mi va. – protestò infatti il moro, sollevando appena lo sguardo cerchiato d’occhiaie sul fratello.
- Ma come?! – insistette Tom, sconvolto, - Siamo alle Maldive ed a te non va di andare al mare? Come funziona il tuo cervello?!
- Non è questo… - biascicò Bill, sospirando pesantemente, - Mi fa tremendamente male la pancia.
- Oddio, devi deciderti a dare una regolata alla tua dieta. – considerò saggiamente il biondo, - Probabilmente gli orsetti gommosi arrivati vivi al tuo stomaco si sono organizzati in un piccolo esercito, ed ora meditano di evadere.
- Non è lo stomaco, cretino! – saltò su Bill, inviperito, tirandogli addosso una matita che lui scansò agilmente, - È la pancia! È il tuo stupido uccello che, come sempre, m’ha scombussolato tutto!
Tom roteò gli occhi, esasperato.
- Non so in quante lingue ancora dovrò dirtelo, ma il mio cazzo non ci arriva a scombussolarti gli intestini, Bill. Non ce l’ho di trentacinque centimetri.
- E sei fortunato! Se fosse così lungo, col cavolo che mi lascerei scopare!
- Papà, mamma, grazie per non avermi creato superdotato. – concluse il rasta, giungendo scherzosamente le mani davanti al volto ed esibendosi in un breve inchino di ringraziamento. – Adesso andiamo in spiaggia?
- No. – ripeté Bill, incrociando le braccia sul petto. – E comunque devo studiare.
Tom lo fissò, allibito.
- Devi che?!
- Studiare, Tom. – spiegò Bill, acido, - Mi rendo conto che per te sia una realtà difficile, da concepire, ma alla mia scuola lasciano dei compiti, per le vacanze. Per tenersi in esercizio.
- Be’, scusa se non frequento anche io una scuola per secchioni viziati. – borbottò lui, ugualmente acido. – Che stai facendo? – chiese poi, avvicinandosi con fare circospetto ed aria curiosa.
- Al momento, sto meditando il suicidio. – esalò Bill, sconfortato, ficcandosi le mani fra i capelli. Poi sollevò lo sguardo su quello perplesso di suo fratello e si decise a spiegarsi. – Inglese. Non ci capisco un accidenti.
- Ah. – articolò il rasta, annuendo lentamente. – Cos’è che non capisci? The cat is under the chair and the pen is on the table?
Bill lo squadrò crudelmente e gli tirò addosso una penna.
- Non siamo mica così indietro, col programma. – sbuffò, abbandonandosi tragicamente sul tavolo. – Sono le ipotetiche, il problema… con tutta questa varietà di casi mi confondo, non capisco che tempo devo usare, è un disastro… - si risollevò, lanciandogli un’altra occhiata crudele, - Ma sto solo perdendo tempo, che ne vuoi capire tu…
Tom ghignò, afferrando una sedia e trascinandola per sedersi al fianco del fratello.
- Devo ricordarti chi ha vissuto in America per gli ultimi cinque anni della sua vita?
Bill spalancò gli occhi, guardandolo stupito. Tom sorrideva vincente e si indicava felice.
Era vero, magari Tom avrebbe potuto aiutarlo…
- Forza. – disse infatti il maggiore, sistemando con decisione il cappellino sulla testa e chinandosi a propria volta sull’eserciziario di Bill, - Fammi vedere ‘sta roba. Prima finiamo, prima possiamo andarcene in giro.
Il moro gli lanciò un’occhiata poco convinta.
- …non ti porterò in spiaggia, Bill, tranquillo! Non ho intenzione di farti fare qualcosa che potrebbe turbare ancora di più il tuo equilibrio psicofisico. Solo che è assurdo rimanere tappati qui dentro a studiare quando fuori ci sono le Maldive da esplorare, no?
Bill sospirò.
Con la capacità di concentrazione praticamente nulla di suo fratello, nella migliore delle ipotesi sarebbero riusciti ad uscire di casa solo il giorno dopo.
* * *
Andreas stava fissando il caffé. E il caffé si stava raffreddando.
Non poteva essere vero.
…non che il caffé si stesse raffreddando, ovviamente. Ma averli sognati. Sul serio. Non era possibile.
Non loro due.
Non loro tre.
Sospirò per l'ennesima volta in pochi minuti e decise risolutamente di buttarsi tutto alle spalle.
Dopotutto era solo un sogno, no?
Niente d'importante.
Come quando da piccolo aveva sognato di alzare il coperchio da sopra un pentolino e vedere saltare fuori dal minestrone un enorme serpente. Certo, dopo aveva avuto il terrore dei minestroni per anni e aveva deciso che non avrebbe mai cucinato un piatto in vita sua, ma questi erano dettagli.
Era stato solo un sogno.
Prese il latte dal centro del tavolo e se ne versò un po' nella tazza.
Vide il nero del caffé schiarirsi, diventare marrone scuro... nocciola.
- Eh, ma che palle! – esclamò nervoso, versando dentro anche tutto il resto del latte, schiarendo la bevanda fino a donarle una nauseante tonalità pallidiccia color crema.
- Così va meglio! Almeno la colazione la faccio in pace! – asserì, annuendo a sé stesso, compiaciuto dalla propria genialità.
Proprio in quel momento, due mani si appoggiarono sulle sue spalle.
- Ciao, Andreas!
E il biondo si sentì morire.
Non c'era bisogno di essere un genio per capire a chi appartenessero le due voci che avevano esclamato contemporaneamente il suo nome.
- Buongiorno Tom, buongiorno Bill. – disse con aria monotona, cercando di calmare il sangue che stava risalendo alle sue guance al ricordo del sogno.
Vide i gemelli prendere posto davanti a lui, si erano messi vicini dietro il tavolino rotondo della terrazza del ristorante dove faceva colazione da quando era in vacanza.
Perché diavolo non era rimasto a casa? Perché diavolo non aveva continuato a cercare di ignorarli come aveva fatto con successo fino a quel momento?
- La vostra famiglia mi farà impazzire... – mormorò, massaggiandosi le tempie.
- Perché dici così? – chiese incuriosito Tom.
- Vostro padre è venuto a stare a casa mia, l'ha invitato mio padre. Ha detto di voler lasciare voi due in pace, così avreste potuto fare “le vostre esperienze giovanili”. Scommetto che, se sapesse quali sono le “esperienze” che intendete fare, piuttosto che lasciavi soli preferirebbe appendersi al soffitto a testa in giù.
- Non sapevamo che fosse venuto da voi. – spiegò Bill dietro uno sbadiglio, ignorando la frecciatina dell’amico, - Non ce l'aveva detto...
- Seh... – biascicò il biondo. – Ho passato la serata e gran parte della nottata a stare ad ascoltare lui e mio padre parlare delle loro esperienze giovanili... una cosa da non rivivere mai più, mi fa fare sogni assurdi.
- Che tipo di sogni? – chiesero all'unisono i gemelli.
Fu allora che Andreas si accorse di stare straparlando. Che c’entravano i trascorsi birichini dei loro genitori folli con il sogno allucinante che aveva fatto?!
- Non sono affari vostri!!! – esclamò, drizzando le spalle, ormai rosso in maniera inquietante.
- Noi invece abbiamo passato una bella seratina, vero Bill? – fece Tom con un sorriso scemo sul viso, guardando il fratello.
- Peccato per la mattinata... - sbuffò il moro. – Andreas, secondo te per quanto altro tempo continuerò a sentire dolore al risveglio? – chiese poi, appoggiando il gomito sul tavolo e posando il mento sulla mano.
- Cristo, Bill! – Andreas buttò la testa all'indietro, disperato, - Almeno a colazione, risparmiami! Non ne posso più, sei diventato monotematico!
- Ma Andy! – piagnucolò il gemello minore, - Tom continua a farmi male!
- Eddai fratellino, - disse Tom avvicinandosi a Bill, - Dopotutto dopo ti faccio stare meglio... – aggiunse, posando uno sguardo ammiccante sul moro.
Andreas vide Bill guardare il fratello, strabuzzando gli occhi dopo un secondo.
Bill si girò verso di lui e disse, - Andreas, potresti gentilmente dire a Tom di non giocare col mio pennarello in pubblico?
Il biondo lo guardò perplesso e dopo pochi istanti capì.
Non riuscì a trattenere un sospiro.
- La vorrei io una ragazza che giocasse col mio pennarello, almeno non sarei così frustrato da fare sogni al limite dell'assurdo. – piagnucolò, sbattendo la testa sul tavolo.
- Su amico, - sentì dire a Tom, - Ci siamo noi due... io dopotutto ho due mani... – poté sentire la mano del rasta posarsi sul proprio ginocchio e il sangue che velocemente scendeva dalla sua testa, diretto in ben altri posti.
Saltò in piedi come fosse stato punto da centinaia di zanzare.
- Eh, no! Questo è troppo! – si lamentò, mentre Bill e Tom si lasciavano andare ad una risatina soddisfatta e compiaciuta, - Va bene di notte, che non sono in possesso delle mie facoltà cerebrali, ma qui NO!
E, così dicendo, corse fuori dal ristorante, lasciando dietro di sé i due gemelli con la stessa espressione interrogativa stampata sul volto.
***
Se avesse tenuto un diario, di quelli che le adolescenti amano impiastricciare di idiozie ed adesivi ad immagine e somiglianza del divo belloccio di turno, avrebbe segnato la data di quel giorno come la peggiore da lui vissuta in assoluto da quando era venuto al mondo. I gemelli gli erano piombati in casa subito prima di pranzo, pretendendo di mettere radici lì – “la tua villa è molto più figa del nostro bungalow, e se non altro ha delle pareti vere!” – e poi avevano continuato ad inquietarlo per tutto il giorno. Non contenti del servizietto che gli avevano reso quella mattina, infatti, e avendo trovato divertenti le sue reazioni esasperate ai loro scherzi, avevano pensato bene di continuare con il giochetto cui avevano dato inizio durante la colazione: stuzzicarlo.
In fondo, era colpa sua. Sapeva che i gemelli Kaulitz erano in realtà l’ottava piaga d’Egitto, appositamente conservata da Dio per affliggerlo durante tutto il corso della sua vita. Sapeva che a quei due bastava fornire un minuscolo pretesto per incitarli ad ideare piani diabolici coi quali rendere la vita di tutti un inferno. Era una cosa provata! Dà loro un dito e si prenderanno tutto il braccio e, se riescono, anche tutto il resto del corpo! Alcuni esempi? Li avevano fatti nascere fratelli, e loro erano diventati amanti! Andreas s’era dimostrato disponibile, e poi era finito a far loro da consulente sessuale! Jörg s’era messo in testa di ricucire il rapporto che aveva con loro, e rischiava costantemente il lastrico per le enormi quantità di denaro che lo costringevano a sborsare per permettersi di vedersi ogni volta che fosse stato possibile, volando come piccioni migratori da un lato all’altro del globo solo per una scopatina e qualche smanceria prima di ripartire!
Eppure, nonostante fosse consapevole di tutte queste fondamentali verità, Andreas aveva concesso loro di entrare di prepotenza anche nell’ultimo angolo di paradiso che ancora gli era possibile frequentare, le Maldive. L’unico posto in cui potesse essere felice. L’unico posto in cui potesse essere lasciato in pace. Rovinato!!!
E, in più, ci si mettevano anche quei due cretini dei loro genitori. Già Jörg era un ottimo esempio di quello che lui avrebbe definito “un imbecille integrale”, ma quando poi la sua potenza distruttiva si sommava a quella di suo padre – il quale, a propria volta, era in grado di raggiungere vette di idiozia da guinness dei primati – allora era la fine.
E infatti tutto era andato nel peggiore dei modi. Dopo un intero pomeriggio passato a subire le scherzose occhiatine finto-languide dei gemelli e lo strano modo in cui ci provavano con lui – Bill sbattendo gli occhioni e somministrandogli sorrisi sensuali ad intervalli regolari di tre secondi e Tom accarezzando con la lingua quel fottuto piercing e continuando a fare volare le mani come un assatanato su ogni punto sensibile del suo corpo – aveva anche dovuto sopportare di osservare gli occhi dei due “adulti di casa” farsi luminosi e commossi, ed aveva dovuto stare a sentire suo padre che esultava un “ma perché non andiamo a cena fuori tutti insieme, visto che ci siamo ritrovati?”.
Non solo aveva dovuto stare attaccato a quei diavoli tentatori per tutto il giorno, no! Non solo gli avevano rovinato la colazione ed il pranzo, no! Doveva tollerarli anche a cena!!!
Era ovvio che sarebbe morto di fame.
- Andy, mi passeresti il sale? – cinguettò gioioso Bill, allungando una manina dalle unghia perfettamente curate nella sua direzione, sorridendo come un bambino innocente.
Andreas digrignò i denti e lo fissò malevolo.
- Seh. – borbottò, afferrando con malagrazia la saliera e facendola rotolare sul tavolo fino a Bill.
- Andreas. – lo richiamò freddamente suo padre, - Sei grande ormai, mi sembra assurdo rimproverarti dicendoti "comportati bene". Con Bill, poi... lo conosci da una vita!
- È esattamente questo, il mio problema. – commentò il biondo con disappunto, trapassando un'innocente patata al forno con tutti e quattro i dentini della forchetta, mentre Bill e Tom si lasciavano sfuggire una risatina sotto i baffi e, quasi contemporaneamente, Tom sollevava un piede fino a sfiorarlo quasi distrattamente fra le gambe. – E allora!!! – strillò lui, inorridito, scattando in piedi, - La finiamo o no?!
- Andreas! – lo richiamò ancora suo padre, alzandosi in piedi al suo seguito. Probabilmente sarebbero piovute punizioni come fiocchi di neve sulla sua testa – motivo per il quale Andreas appuntò mentalmente la nota "uccidere i gemelli Kaulitz alla prima occasione favorevole" – se il telefono di Jörg non avesse deciso di squillare proprio in quel momento.
- Ops. Chiedo scusa. – disse l'uomo, estraendo il cellulare dalla tasca della giacca leggera che indossava e rispondendo istantaneamente alla chiamata. - Oh, Franz! – salutò gioviale, mentre Bill e Tom facevano roteare gli occhi, esasperati, - Ma no che non disturbi, figurati! Anzi, sei fortunato, Markus è proprio qui con me! – rassicurò il proprio interlocutore, lanciando un'occhiata complice all'amico, mentre quest'ultimo annuiva comprensivo. – Ma sì, dimmi tutto. Anzi, aspetta che metto il viva-voce, così ti sente anche lui...
- Papà...! – lo chiamò Bill, inarcando le sopracciglia.
- Cosa? – chiese l'uomo, coprendo per un attimo la cornetta.
- Siamo in un ristorante... – spiegò candidamente Tom, - Non ti sembra eccessivo obbligare l'intera sala ad ascoltare la vostra riunione di lavoro improvvisata...?
- Mh-hm, potresti avere ragione. – annuì lui. – Markus, vieni un attimo fuori? Risolviamo in cinque minuti, promesso.
Markus annuì disponibile ed entrambi gli uomini si sollevarono dalle loro sedie, dirigendosi velocemente verso il cortile sul quale davano le porte-finestre che si aprivano sul fondo della sala in cui stavano cenando.
Bill scosse il capo, riempiendo di sale la propria insalata.
- Quell'uomo è incredibile. – commentò poi, attaccando col coltello una foglia di radicchio troppo grossa, per spezzarla in due.
- Ah, gli uomini di successo! – rise Tom, addentando il proprio hot dog fuori menu, - Se mai dovessi diventarlo, vi prego, sparatemi prima.
- La possibilità non esiste, Tom, tranquillo. – rispose Bill, sarcastico, sorridendo sornione.
Nell'osservarli dialogare e battibeccare con tanta disinvoltura, completamente dimentichi di lui, per un attimo Andreas ebbe l'illusione che il momento di panico fosse passato. Che i gemelli si fossero annoiati – d'altronde, era risaputo anche che avevano le capacità attentive di due bambini di tre anni, cioè praticamente nulle – ed avessero perciò deciso di smetterla di inquietarlo.
Ovviamente si sbagliava.
- Dunque, dov'eravamo rimasti, stamattina...? – chiese infatti Tom, non appena ebbe ingollato l'ultimo morso di pane.
- Eh...? – ritorse Andreas, incapace di fare mente locale.
- Oh, sì! – annuì Bill, posando la forchetta sul bordo del piatto, - Adesso che siamo soli possiamo riprendere il discorso.
Discorso.
Mio Dio.

- Si parlava di sogni strani, stamattina, vero...? – aggiunse il moro, con l'ennesimo sorrisino malizioso della giornata.
Ed a quel punto Andreas pensò...
- Adesso basta.
Pensò.
...l'aveva detto...?
- Uh? – chiese Tom, stupito, sollevando lo sguardo su di lui.
- Basta. – continuò Andreas, incapace di fermarsi, - Mi sono rotto i coglioni. – e così dicendo si alzò in piedi, abbandonando il tovagliolo sul tavolo e dirigendosi con decisione verso l'uscita del locale.
- Andreas, aspetta! – lo richiamò Tom, alzandosi a propria volta in piedi, seguito a ruota dal gemello, - I nostri genitori sono ancora fuori ed io non sono arrivato a mettere le mani sul dessert! Andreas!
- Mi sa che fa finta di non sentirci... – considerò saggiamente Bill, osservando l'amico procedere nella propria avanzata verso la porta, - Converrà seguirlo.
Ed infatti lo seguirono. E, complici quelle terrificanti pertiche che ancora osavano spacciare per gambe normali, lo raggiunsero quasi subito, ricominciando immediatamente a ruotargli intorno come enormi avvoltoi affamati.
Solo che non volevano mangiare la sua carne, no.
Quello che chiedevano era qualcosa di peggio.
Qualcosa che Andreas non voleva e non poteva dargli, perché se solo avesse fatto come chiedevano, se solo avesse parlato...
Ossignore, non riusciva neanche ad immaginare il disastro enorme che avrebbe avuto luogo se avesse confessato tutto.
- Andreaaaas... – lo chiamò Tom per la millesima volta in dieci minuti, arpionandolo per una spalla e costringendolo a voltarsi e guardarlo proprio nel mezzo del vialetto che stavano percorrendo, e che l'avrebbe portato al sicuro fra le mura di casa propria, lasciando i gemelli fuori, - Vuoi piantarla di fare il ragazzino isterico, fermarti e spiegarci cos'hai?!
- Lasciami stare!!! – protestò lui, isterico proprio quanto Tom lo descriveva, - Non ho niente da dire a voi due!
- Il che dimostra che invece hai proprio qualcosa da dirci. – commentò Bill, girandogli attorno e bloccandogli ogni via di fuga.
Era in trappola. Dannatamente in trappola. Proprio come nel sogno. Se respirava un po' più piano poteva perfino sentirsi addosso i respiri di Bill e Tom... davanti e dietro di lui...
...e anche in qualsiasi altro posto.
- Tornatevene a casa. – cercò di scacciarli. Ma non ottenne nessun risultato, perché Bill e Tom rimasero fermi nelle loro posizioni, squadrandolo dall'alto in basso. Non dissero niente, ma i loro occhi parlavano chiaro. Confessa. Confessa. - E' tutta colpa vostra... – cominciò a balbettare, arrossendo ed abbassando lo sguardo, - Se voi non foste... se voi non aveste lasciato il telefono acceso, quella fottuta mattina, io non avrei mai... io non avevo mai pensato cose del genere, non avevo mai pensato di poter immaginare... sognare... oddio... e che potesse anche piacermi, poi...!
- Ehi, Andreas, frena, cosa diavolo- - provò ad interloquire Bill, posandogli una mano sulla spalla, ma lui la scacciò con un gesto violento, voltandosi repentinamente a guardarlo.
- Scopare. – sputò fuori alla fine, lottando contro se stesso per non cedere all'impulso di serrare gli occhi e scappare saltando i cespugli fino alla spiaggia. – Ecco cosa diavolo sto dicendo. Ecco cosa ho sognato. Scopare. Con voi. – si interruppe, leggendo lo stupore negli occhi di Tom, alle sue spalle, riflesso in quelli di Bill, davanti a lui. – Con entrambi. – precisò poi, - Insieme.
Su di loro calò un silenzio fitto e denso, del tutto irreale. Perfino la brezza sembrava essersi fermata del tutto. Le foglie non crepitavano, agitate dal vento, e le risate delle persone che affollavano la via principale, costellata di bar e locali all'aperto, neanche li raggiungevano.
Ecco. Il disastro.
Andreas si voltò lentamente, cercando lo sguardo di Tom. In quello di Bill aveva già visto abbastanza stupore, non credeva di avere coraggio per subirne ancora.
Per certi versi, lo sguardo di Tom fu misericordioso, con lui. Perché non lo caricò di altro stupore.
Per altri versi, però, lo sguardo di Tom lo condannò a morte. Perché Tom stava lì, una mano a sfiorare pensosa il mento, la lingua a giocherellare disinteressata con l'anello e le sfere metalliche del piercing, e le sopracciglia lievemente aggrottate nello sforzo meditativo.
- Sai che non è una cattiva idea?
- ...cosa?! – ansimò in un gridolino strozzato, stringendo i pugni lungo i fianchi, - Tom, cosa cazzo-
- No, ha ragione. – aggiunse Bill, avvicinandoglisi lievemente e dandogli i brividi, - Potrebbe essere un giochino interessante, in fondo. Voglio dire, non sei mica innamorato di noi o chissà che... giusto?
- Ma mi pare ovvio! – strillò lui, sempre più isterico, - Non potrei odiarvi più di quanto vi stia odiando adesso!
- Adesso non esagerare. – lo ammonì Tom, incrociando le braccia sul petto, - Hai appena detto di volerci scopare, "odio" mi sembra una parola grossa...
- Non ho detto di-... oddio, voglio morire...
- Coraggio Andy! – ridacchiò Bill, battendogli un'amichevole pacca sulla spalla, - In fondo sono solo esperienze! E poi sei stato un buon amico per noi, in tutto quest'ultimo periodo. Te la meriti, un po' di soddisfazione!
- ...ok, ho già detto che voglio morire...?
Tom rise divertito, afferrandolo per il collo e fingendo di volerlo soffocare.
- Allora? Si fa da te o da noi?
***
S'era deciso di "farlo da lui". Non che lui, ovviamente, avesse avuto una parte, in quella decisione. Figurarsi. Come s'era azzardato ad aprire la bocca per protestare, Bill e Tom avevano preso a spintonarlo verso la villa, incitandolo a tirare fuori le chiavi "prima che qualcuno si insospettisse". Era vagamente paranoico preoccuparsi che qualcuno potesse pensar male di loro, solo dopo aver visto tre adolescenti camminare felicemente verso una villa, ma evidentemente i gemelli dovevano essere diventati ipersensibili all'opinione pubblica, nell'ultimo periodo.
La cosa non lo meravigliava, vista la relazione che li legava.
Ma dannazione.
Quello che stava succedendo non aveva il benché minimo senso. E lui avrebbe dovuto riprendere il controllo della situazione, afferrare quei due pervertiti per le rispettive collottole e buttarli fuori da casa sua. Poi avrebbe dovuto afferrare anche il terzo pervertito, per la collottola, e ficcarlo sotto un getto insistente d'acqua gelata perché gli si calmassero i bollenti spiriti.
Ed ovviamente il terzo pervertito era lui.
Lui che, nonostante quanto tutta quella situazione fosse drammaticamente sbagliata, non riusciva a fare a meno di trovarla eccitante.
Non gli era capitato spesso, di vedere realizzata una propria fantasia erotica. Anzi, per essere proprio completamente sinceri, non gli era mai capitato. E ne aveva pensate di tutti i colori. Hawaiane completamente nude sulla spiaggia, splendide tedesche col gusto della dominazione, donne in carriera statunitensi dai capelli corti e dal sorriso bianchissimo... di ogni tipo. Mai niente.
Poi sognava quei due, e d'improvviso la grande volontà dell'universo decideva che era arrivato il momento di dargli un po' di soddisfazione.
Se non era crudele ironia quella, non poteva esserlo nient'altro.
- Andreas, ti converrà rilassarti... – mormorò Bill, direttamente al suo orecchio, gattonando sul materasso verso di lui.
Ecco. Ecco che tutti i suoi sforzi per disinteressarsi di ciò che stava succedendo attorno a lui andavano a farsi benedire.
Tom, alle sue spalle, ridacchiò lievemente e gli si avvicinò un po' di più, pressandosi contro la sua schiena.
Merda.
Era eccitato sul serio.
- Ragazzi, non so se è la cosa più giusta da fare... – cercò di dire, per riportare tutto alla normalità, ma Bill lo fermò, poggiandogli un dito sulle labbra.
- Ne abbiamo già parlato... – disse il moro, sensuale, strizzando un po' gli occhi, - Abbiamo deciso di giocare un po'...
- No, non ne abbiamo parlato, Bill... – insistette lui, mentre Tom mandava una mano in avanscoperta, ad esplorare la sua pelle accaldata e sudata sotto la polo, - E non abbiamo deciso niente, e... Tom, ti prego!
- Sta' un po' zitto, Andreas... – soffiò il rasta sulla pelle del suo collo, - A letto sono un uomo paziente, ma anche io ho i miei limiti... – mormorò, leccando lievemente il punto sensibile sotto il suo orecchio, - Mmmh, sei salato...
- Bill! – chiamò Andreas, rabbrividendo e socchiudendo gli occhi, mentre sentiva ogni forza abbandonarlo, - Dio mio, fermalo, per carità! – implorò, cogliendo nello sguardo del moro una strana luce brillante, che non faticò ad identificare come gelosia, - Ecco, lo sapevo... – si lamentò quindi, - A te non sta piacendo affatto, tu non vuoi che-
- Zitto, Andy. – lo fermò Bill, scivolando a propria volta con una mano lungo il suo petto, fino al suo inguine, - So distinguere perfettamente quello che mi piace da quello che non mi piace. – lo rassicurò quindi, sorridendo appena. Ed Andreas sapeva che stava parlando con lui, ma gli occhi di Bill non si staccavano neanche per un secondo dal corpo di Tom. Neanche per sbaglio. – Quello che vedo mi piace... – concluse infine il ragazzo, allargando il sorriso mentre Tom ghignava compiaciuto e si separava da Andreas, giusto il tempo di sfilarsi dalla testa la maglietta che, per quanto larga, continuava ad appiccicarglisi sul petto e sulla schiena. Bill sollevò un braccio, afferrandolo per il mento e costringendolo, per quanto possibile, a voltarsi. Per guardare Tom. – A te non piace...?
E, se ancora aveva dei neuroni funzionanti, esplosero tutti in quel momento. Quando i suoi occhi si poggiarono sul corpo di Tom. Lievemente ricoperto da uno strato di sudore che gli rendeva la pelle lucida. La linea definita ma non eccessiva dei pettorali, sulla quale gli sarebbe piaciuto far scorrere le dita, seguendola con devozione per scivolare giù lungo quella degli addominali, sui quali far aderire il palmo aperto. Per sentirli forti e palpitanti sotto la pelle. E poi risalire lungo le braccia ancora troppo magre e raggiungere le spalle, che invece di magro non avevano più niente. Che avevano forma e consistenza d'adulto. Che ne avevano la forza. La potenza.
E quel sorriso perfettamente padrone e sostenuto a decorargli il viso.
Sì, capiva perché a Bill potesse piacere lo spettacolo.
Tom era uno spettacolo da guardare.
- Allora, ti piace...? – insistette Bill, lasciandolo finalmente andare per tornare ad occuparsi della fibbia dei suoi pantaloni mentre, dopo un'ennesima risatina compiaciuta, Tom tornava ad afferrare la sua maglietta per l'orlo inferiore, aiutandolo a liberarsene.
Quando la sua testa riemerse dal tessuto, i capelli arruffati e gli occhi lievemente appannati dall'eccitazione e dall'ansia, Bill era chino su di lui, e stava liberando la sua eccitazione pulsante dalla gabbia di cotone in cui era costretta. Ed Andreas si ritrovò a pensare che no, s'era sbagliato. Che non era solo Tom, lo spettacolo. E che non era neanche Bill da solo – i suoi gesti lenti, misurati, consapevoli, sempre sensuali. Le sue carezze delicate eppure sconvolgenti, la stretta decisa alla base del suo sesso, la premura con la quale scorreva – il palmo bene aderente, le dita ben chiuse – attorno tutta la sua lunghezza. Erano loro due. Insieme. Lo spettacolo erano Bill e Tom. La sincronia dei movimenti, anche quando, invece che darsi piacere a vicenda, erano impegnati a dare piacere a lui. Era impossibile non considerarli come un'unica entità. Perché Bill e Tom si muovevano allo stesso modo. Pensavano le stesse cose. Erano lo stesso fottutissimo concentrato di sensualità e desiderio. A dimostrarlo c'era, come sempre, il contatto dei loro occhi. I loro occhi non si separavano mai.
Il sesso di Tom scivolava lentamente fra le sue natiche, stuzzicandolo senza infastidirlo – non pensava che un punto come quello potesse essere così sensibile, non pensava che una stimolazione simile potesse essere così piacevole, e scoprirlo in quel momento lo riempiva di imbarazzo, ma questo non gli impediva di godere a pieno delle sensazioni che stava provando – e la mano di Bill continuava a muoversi attorno al suo pene, lenta ma inesorabile. Si chinò, cercando le sue labbra, più che altro perché gli sembrava incredibile restare lì ad ansimare, a fiato corto, senza ottenere neanche un bacio in cambio. Ma Bill lo fermò, posandogli ancora una volta l'indice della mano libera sulle labbra, mentre con l'altra continuava a torturarlo.
- Niente baci. – affermò il moro con decisione, sorridendo felino a Tom, che gli rispose con un sorriso identico, alle sue spalle.
Andreas si ritrasse, un po' deluso. Ma la delusione non durò che il tempo di un respiro, perché la mano di Bill riprese a muoversi incessantemente attorno al suo sesso ed un'altra mano si posò su di lui, quella più ampia, più forte di Tom, che gli accarezzò il collo, fermandosi poi sulla nuca e pressando leggermente in avanti.
- Tom... – provò a chiamarlo, ma lui lo zittì, stringendogli rassicurante una spalla.
- Devi chinarti un po', Andy... – disse dolcemente, sorridendo, - Questa posizione non è delle più comode...
Andreas arrossì istantaneamente, tornando a guardare Bill, che non aveva ancora smesso di fissare Tom e che approfittò di quel momento per scoppiare in una risatina estremamente divertita. Il biondo chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore. Ormai non poteva più tirarsi indietro. Neanche voleva, in fondo. Annuì brevemente e si chinò, appoggiandosi contro Bill, che lo sostenne con sicurezza, senza smettere di accarezzarlo.
La prima cosa che sentì fu un tocco lieve ed umido, appena percettibile attorno alla sua apertura. Poi un dito di Tom forzò il passaggio, introducendosi all'interno del suo corpo. Andreas spalancò gli occhi e si gettò con ansia addosso a Bill, nascondendo il viso sulla sua spalla, assaporando il suo profumo come per distrarsi. Provava una sorta di fastidio sordo, ma non era assolutamente dolore. Più che altro, immaginava fosse normale trovare così strana un'invasione simile. Ma le dolci carezze di Bill lo anestetizzavano con efficacia, e se si concentrava solo su quelle allora il fastidio cominciava a diminuire, fino a sparire del tutto.
- Andreas, vado con il secondo... – lo avvisò Tom, lasciandogli lievi baci lungo la spina dorsale, mentre Bill lo rassicurava accarezzandogli il collo, senza mai fermare la mano attorno al suo sesso.
Quello lo sentì. Decisamente lo sentì. Non era ancora dolore – anche se ci assomigliava molto, soprattutto quando Tom allargava le dita per farsi spazio dentro di lui – ma le carezze di Bill, il suo profumo e il calore del suo fiato non erano abbastanza per nascondere quella presenza.
Schiuse le labbra come per lamentarsi, ma poi le richiuse attorno alla spalla di Bill, quasi contro la propria volontà. Le richiuse e prese a succhiare la pelle, tenera nonostante la spigolosità delle ossa del moro, e trovò quel modo di protestare decisamente migliore che una sterile sequela di parole ansiose. La pelle di Bill lo consolava. Ed anche i suoi mugugni compiaciuti.
Poi Tom disse ancora qualcosa. Ma lui non lo sentì.
Sapeva una sola cosa, con assoluta certezza: che ciò che si stava facendo spazio dentro di lui non erano più dita. Che era qualcosa di molto più caldo, duro e pulsante.
Qualcosa che, in modo del tutto incomprensibile, gli piaceva.
Forse dipendeva dalle carezze di Bill, che si facevano sempre più veloci e ritmate, competenti nel portarlo verso l'apice del piacere, ma c'era un punto, qualcosa che Tom sembrava arrivare a toccare con ogni spinta, che gli dava un piacere immenso.
- Tom... – mormorò confuso, separandosi solo un attimo dalla pelle di Bill, prima di tornare ad avventarsi su di lui, più famelico di prima, mordicchiandolo con insistenza.
- Ti faccio male...? – chiese il rasta, premuroso, continuando ad affondare inesorabile dentro di lui, reggendolo saldamente per i fianchi.
- Mmhno... – grugnì lui, strizzando gli occhi, ormai completamente fuori controllo, - Continua...
Tom sorrise, ed Andreas se ne accorse perché sorrise anche Bill. Perché percepì l'ennesima occhiata d'intesa che s'erano lanciati. L'ennesima prova di quel legame incredibile che li rendeva perfetti e giustissimi anche in una situazione come quella. Sollevò lo sguardo e lesse negli occhi di Bill una comprensione tutta nuova. Una enorme tranquillità, derivante dall'estrema fiducia che aveva nei confronti suoi ma soprattutto di Tom. Dall'estrema fiducia che riponeva nel loro amore. E nella loro amicizia.
Un'amicizia in cui, sì, potevano anche giocare. E trovarlo piacevole. Una volta.
Un'amicizia in cui, però, nessuno perdeva mai di vista la verità fondamentale attorno alla quale ruotava quella fragilissima giostra di rapporti.
Tom era di Bill. E Bill era di Tom.
Gli altri erano solo intrusi – bene accetti o meno – e spettatori.
Non lo dimostravano solo i marchi sulla pelle di Bill. Erano i loro gesti, i loro occhi, perfino i loro respiri a testimoniarlo.
Tutto, ogni cosa.
E nel momento in cui Tom spinse con più forza dentro di lui, colpendo per l'ultima volta quel punto speciale, prima di raggiungere l'orgasmo, e Bill si liberò dalla stretta dei suoi denti per sporgersi oltre la sua spalla, raggiungendo il viso di Tom ed unendo le loro bocche in un bacio umido ed affamato, talmente appassionato da far pensare che non avessero aspettato altro fin dall'inizio di quell'innocuo gioco, ne ebbe la certezza. Bill lo accarezzò ancora, e lui gli venne fra le mani, aggrappandosi con forza alle sue braccia per non cadere esausto ed affannato sul materasso.
I minuti successivi non riuscì proprio a coglierli pienamente. Ancora stordito dalla potenza dell’orgasmo che aveva provato, rimase con gli occhi chiusi ad ansimare contro la pelle di Bill, e percepì solo distrattamente Tom separarsi da lui e lasciarsi andare soddisfatto sul letto, braccia e gambe divaricate.
- Così non c’è spazio per noi… - mugugnò Bill con tono lamentoso, e bastò questa frase perché Tom si girasse su un fianco, appoggiando una guancia al palmo aperto ed affondando il gomito sul cuscino, lasciando anche a loro lo spazio per distendersi.
- Voi due non siete normali. – furono le prime parole di Andreas, quando ripescò abbastanza fiato e neuroni da esprimersi in una frase di senso compiuto.
Bill ridacchiò tranquillo, battendogli una pacca sulla schiena mentre lui affondava imbarazzato il volto fra le coperte.
- Almeno mi sembra che tu l’abbia presa bene! – commentò il rasta, ridendo a propria volta.
- Che diavolo vorrebbe dire?! – strillò Andreas, sollevando il viso e fissandolo con rabbia, - Mi stai dicendo che ho un talento particolare per prenderlo nel culo, Kaulitz?!
- Be’, se proprio vuoi metterla in questi termini…
- Tom, avanti, lascialo in pace… - lo rimproverò Bill, aggrottando le sopracciglia, - Mi sembra che per oggi l’abbiamo già torturato abbastanza, no?
- Decisamente. – annuì Andreas. – E, proprio a questo proposito, vi saluto. Me ne vado in bagno. Fate in modo di non esserci, quando tornerò, così potrò illudermi che questo sia stato solo un altro stupido sogno e dimenticarlo.
Si puntellò con le mani sul materasso, facendo scattare i gomiti per sollevarsi.
E lo sentì.
- Oddio! – strillò, lasciandosi ricadere a pancia sotto sul letto e stringendosi il ventre in un abbraccio preoccupato, - Tom! Che diavolo mi hai fatto?!
- Adesso puoi capire cosa significhi sentirsi sventrato come un capretto. – argomentò seriamente Bill, sistemandosi il cuscino dietro la testa.
Tom roteò gli occhi e si voltò supino, sospirando pesantemente.
- La vogliamo smettere, con questa storia degli sventramenti? Se continuate così comincerò a credere che il mio pisello sia in realtà un’arma di distruzione di massa!
- Be’, non si può mai sapere! – continuò a lamentarsi il biondo, rotolando sul materasso, - Magari non sei portato per scopare, tu!
- Dire a me che non sono portato per scopare è come dire al sole che non è portato per splendere! – corresse Tom, vagamente infastidito, - E ora piantala. Se è passata a Bill, passerà anche a te. E poi, tu sei fortunato! Non sarai costretto a subirlo ancora!
- Neanche io sono esattamente “costretto”, sai Tom…? – lo prese in giro Bill, sorridendo crudelmente.
- Non farti venire strane idee in testa. – lo ammonì il fratello maggiore, agitandogli un dito saccente davanti alla faccia, - Per oggi, abbiamo già visto abbastanza stravaganze!
***
L’intera natura sembrava tornata alla vita, lungo il viale ghiaioso e riparato che stavano percorrendo per tornare dalla villa di Andreas al lungomare e, da lì, al bungalow. Luna e stelle puntellavano il cielo rendendo la notte luminosa, le risate della gente avevano ricominciato a riempire l’aria e la brezza aveva ripreso a spirare attorno a loro, alleviando la sensazione fastidiosa del caldo umido che si attaccava loro alla pelle per via della vicinanza del mare.
S’erano guardati un po’ attorno e, quando avevano capito di essere completamente soli, s’erano sfiorati l’un l’altro con due dita e s’erano stretti le mani a vicenda. Ed era così che camminavano, già da un po’, godendo della vicinanza l’uno dell’altro.
- Sai – ridacchiò Bill, stringendo appena la presa delle dita attorno a quelle di Tom, - quando ti muovi i tuoi vestiti sventolano e mi fanno da ventaglio…
- Dev’essere una cosa ridicola! – commentò Tom, ridendo a propria volta, - Mi fai venir voglia di spogliarmi…
- Non t’è ancora bastato? – sbottò il moro, fissandolo sconvolto.
- A me? Mai.
Bill scosse il capo, sbuffando una risatina divertita.
- Sei impossibile…
- Ed è per questo che mi ami, sì. – disse Tom con immodestia, scrollando le spalle. Poi si fermò, e lanciò un’occhiata al fratello. Lui la colse, e la tradusse. Perché è vero, che mi ami, no, Bill? Ma Bill non disse niente, e perciò Tom guardò altrove e continuò. - Piuttosto… poco fa, mentre lo facevo con Andreas… eri geloso?
La presa delle dita di Bill si strinse ancora di più, mentre lui voltava repentinamente altrove lo sguardo.
- Assolutamente no! – protestò animatamente.
- …lo eri! – rise Tom, soddisfatto, - Guardati! Lo eri! Lo sapevo!
- Non ero affatto geloso! – insistette Bill, - Insomma, lui è Andreas! Come potrei mai essere geloso di Andreas?!
Tom ghignò apertamente, avvicinandosi a lui e lasciandogli un bacio umido sulla guancia.
- Perché avresti preferito essere tu al suo posto, ecco tutto…
- Come osi?! – strillò il moro, fermandosi d’improvviso in mezzo al vialetto ed agitandosi per liberarsi dalla stretta di Tom che, per tutta risposta, lo strinse più forte, agitando il braccio a ritmo delle sue scosse.
Il cellulare di Bill squillò in quel momento e, sorpreso dalla suoneria, Tom lasciò andare il fratello, per permettergli di rispondere.
- Pronto? – disse Bill, dopo aver azionato direttamente il viva-voce, tenendo il telefono sospeso a mezz’aria fra sé e suo fratello, - Papà?
- …pazzi criminali!!! – strillò Jörg, quasi ansimando, mentre dalla cornetta giungevano chiari suoni tipici di una mano sbattuta con forza contro un piano, - Dove diavolo siete spariti?!
- Ahi… - borbottò Tom, provando ad allontanarsi con un sospiro esasperato, mentre Bill allungava una mano, afferrandolo per la collottola e trattenendolo al suo fianco.
- Siamo andati a casa di Andreas, papà… ci siamo dimenticati di avvertire, scusa…
- Scusa un corno! – strillò l’uomo, battendo ancora la mano contro il tavolo, - Io e Markus abbiamo pensato tutto e il contrario di tutto!!! Siete pazzi!!!
- …sì, questo l’hai già detto, vecchio mio. – sbuffò Tom, stringendosi nelle spalle.
- Modera il linguaggio, ragazzino! – sbraitò suo padre, - E adesso filate al bungalow! Sto andando lì anche io, e giuro che non me ne andrò fino a quando non vi avrò visti al sicuro fra le coperte! Avanti! Di! Corsa!
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