Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine (accennato).
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Angst, Violence, What If?.
- "Kurt stabilisce che la rabbia è un sentimento piacevole."
Note: ...dunque :D Suppongo che dovrei dare una qualche giustificazione per l'esistenza in vita di questa storia, ma la verità è che non voglio darla XD Sarò dannata il giorno in cui mi sentirò in dovere di giustificare per quale motivo shippo una determinata coppia piuttosto che un'altra. Dirò dunque soltanto che l'idea di un'interazione più approfondita fra Kurt e Karofsky mi ha affascinata al punto che alla fine ne è venuta fuori una storia piuttosto corposa, motivo per il quale la posterò in quattro parti, ciascuna formata da sei ficlet, ognuna ispirata da un tema dei set Varie A e Varie B per Dieci&Lode. Tenete ben presenti i warning là sopra, la coppia principale e leggete solo se è quello che volete davvero ^O^ E andremo tutti d'accordo.
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WE’RE FUCKED UP LIKE THAT

#01 – Rabbia
Kurt stabilisce che la rabbia è un sentimento piacevole.
Ok, forse no. Non è propriamente piacevole, quanto più necessario. Sì, è così che la descriverebbe se qualcuno si azzardasse a chiederglielo proprio in questo momento. Forse prima gli staccherebbe la testa dal collo a morsi, ma poi risponderebbe che ciò che sta provando in questo momento non è esattamente piacevole, perché brucia troppo, gli stringe lo stomaco in una morsa asfissiante e gli comprime i polmoni lasciandogli appena lo spazio per respirare a fatica, però è necessario, ne sente proprio il bisogno. Avverte il desiderio spasmodico di sentirsi esattamente così, preda di qualcosa che non riesce a comprendere né in tutto né in parte e preoccupantemente senza scampo.
Si lascia guidare dalla sensazione, se ne lascia trasportare, vi si affida, la rincorre perfino. Si affretta per starle al passo, e quando, dopo averlo spinto contro gli armadietti per l’ennesima volta, per l’ennesima volta Karofsky si infila nello spogliatoio senza degnarlo di un altro sguardo, lui lo insegue.
La rabbia di Kurt Hummel è qualcosa di molto fisico, perlomeno in questo momento. È come se, toccandolo per mandarlo a sbattere, Karofsky gli avesse lasciato addosso qualcosa, un arpione, un amo, e poi avesse continuato per la propria strada senza nemmeno accorgersene, ma la lenza è ancora lì, ben stretta attorno al suo polso da un lato e al gancio dell’amo conficcato nel petto di Kurt dall’altro. È quello che lo attira, è quella la misura fisica della sua rabbia. Kurt riesce quasi a vederne i riflessi brillare nella luce al neon biancastra del corridoio prima, e in quella più calda dello spogliatoio dopo.
- Devi piantarla. – dice tutto d’un fiato. La sua mente è annebbiata, confusa. La figura di Karofsky è una macchia rossa e gialla dai contorni indistinti. Kurt si sente bene. – Dirò a tutti che mi hai baciato. Se non la smetti— Karofsky, - esita un attimo, e gli trema la voce, ma non per paura, bensì per l’emozione, - Karofsky, ti giuro che se non la smetti te la farò pagare cara. Più cara di quanto immagini.
Karofsky fa per ribattere. Schiude le labbra, lo fissa incredulo. Gli occhi di Kurt tornano lucidi in tempo per permettergli di osservare quella sua patetica espressione smarrita, e goderne intimamente.

#05 – Desiderio
Non prova neanche un po’ di paura quando Karofsky gli si avvicina. È minaccioso, lo è nel modo in cui avanza, nel modo in cui lo guarda, nel modo in cui le sue labbra si piegano, distorte dal disgusto e dal fastidio, e Kurt sa che, se fosse solo appena più presente a se stesso, sarebbe terrorizzato, forse addirittura scapperebbe, anche se ha come l’impressione che non sarebbero le botte a preoccuparlo, e nemmeno il dolore. Forse solo l’incertezza, il buio imperscrutabile che scorge nelle pupille scure di Karofsky, la tensione agitata e ansiosa che avverte attorno a loro, quel silenzio surreale che li avvolge.
Karofsky lo afferra per le spalle, lo sposta come non pesasse niente e lo scaraventa contro un armadietto. La botta è forte, un brivido di dolore puro scivola lungo tutta la schiena di Kurt, parte dalla nuca e si propaga lungo tutta la sua spina dorsale. Lui fa una smorfia, soffia infastidito, chiude gli occhi e la sua testa rimbalza un po’ avanti e indietro per il modo oggettivamente increscioso in cui il bullo lo sta maneggiando. Senza il minimo riguardo. Ma d’altronde, non è che si aspettasse niente di diverso.
Il pugno di Karofsky si solleva, alto fin sopra la sua testa. Kurt lo fissa, sembra che lo stia puntando proprio in mezzo agli occhi. Adesso sì che la paura monta, comincia a farsi sentire e gli brucia lo stomaco e i polmoni, ma c’è qualcosa nel fondo della sua pancia che invece semplicemente si annoda e stringe, e non si scioglie nemmeno quando il pugno di Karofsky va a scaraventarsi contro l’armadietto a due centimetri dalla sua tempia, mentre le sue labbra, invece, si scaraventano contro le proprie.
Kurt si dice che non si sta tirando indietro solo perché non può, perché è schiacciato fra il suo corpo e l’armadietto, ma nel momento esatto in cui la lingua di Karofsky si fa avanti ad accarezzare la sua – e lui glielo lascia fare – il nodo sul fondo della pancia si stringe ancora e tira tira tira, tira così tanto che Kurt si sente mancare il fiato, perciò lo ruba dalla bocca dello stronzo che lo sta baciando, perché almeno così pareggia il conto, o almeno crede, ed anche se così non fosse, chi se ne frega.

#10 – Dovere
Si separa da lui solo perché deve, e non sa quanto tempo sia passato da quando hanno cominciato a baciarsi. Il pugno di Karofsky non è più piantato contro l’armadietto, ma appoggiato mollemente sulla sua spalla, mentre l’altra sua mano si è poggiata sulla guancia di Kurt quasi subito, e lì è rimasta per tutto il tempo, fino ad adesso.
Kurt è senza fiato. Non ricorda più come si fa a respirare, e ha i polmoni talmente compressi che se prova a riempirli d’aria gli fanno male, al punto da convincersi che la procedura giusta non dev’essere quella. Ha sicuramente dimenticato come si fa.
Karofsky si allontana di qualche centimetro e lo guarda come fosse assurdo, come se fino a due secondi prima fosse convinto di stare sognando ed avesse aperto gli occhi per accorgersi troppo tardi che invece no. Kurt deglutisce a vuoto un paio di volte e per qualche secondo si chiede se tornerà a farsi avanti un’altra volta per provare a baciarlo ancora come ha fatto qualche giorno fa, ma Karofsky non si muove. Forse questo gli è sembrato molto più reale, forse ne ha avuto abbastanza della sua bocca.
Kurt non riesce a fare a meno di passarsi la lingua sulle labbra gonfie e accaldate. La sensazione è piacevole, gli sfregamenti continui con quelle di Karofsky le hanno rese incredibilmente sensibili. Lecca via quell’ultimo residuo di piacere in un gesto lento, in qualche modo volutamente provocatorio. Gli occhi di Karofsky gli scorrono addosso e si fermano lì per molto tempo. Una delle sue mani è ancora poggiata mollemente sulla sua spalla, l’altra pressa ancora il pollice nella sua guancia, proprio sopra al mento.
Kurt non lo bacia ancora solo perché non deve.

#01 – Colore
La mano di Karofsky ha cambiato colore. Kurt se ne accorge solo quando lui si allontana, perché solo allora la scosta dalla sua spalla e la lascia ondeggiare goffamente lungo il fianco. Ha le nocche a chiazze di un rosso vivo, incredibilmente acceso, e circondate da un alone violaceo tendente al giallastro man mano che si allontana verso il dorso. Vorrebbe chiedergli che cos’è che fa più male, se dov’è rosso o dov’è giallo, se si fa più schifo per averlo baciato o per aver provato a rifarlo, per averlo fatto ancora o per non essersi fermato in tempo. Sono domande che gli piacerebbe poter porre anche a se stesso, peraltro. Invece, mentre Karofsky si allontana e si guarda confusamente intorno, come dovesse riprendere le misure del mondo circostante per capire dove si trova, Kurt schiude sì le labbra, ma per dire tutt’altro.
- Dovresti andare in infermeria, per quello. – dice, indicandogli la mano ormai gonfia. Nota che trema un po’. Deve fare male sul serio. Si rende conto solo vagamente della voragine che s’è aperta sulla superficie dell’armadietto accanto al suo viso. Non vuole guardarla, non vuole pensare che, se Karofsky avesse voluto baciarlo solo un po’ meno di quanto non abbia voluto in realtà, quella voragine enorme si sarebbe aperta sulla sua faccia.
Lui si volta a guardarlo con aria allucinata, boccheggiando a vuoto un paio di volte prima di riuscire a proferire parola.
- Non ti impicciare. – gli risponde sgarbatamente, aggrottando le sopracciglia. Kurt lo imita, accigliandosi immediatamente.
- È colpa mia se ti sei fatto male, no? – dice con disprezzo, - Perché ti faccio schifo, giusto? Allora ho tutti i diritti di impicciarmi. E di consigliarti di andare in infermeria.
Karofsky gli si avvicina ancora, schiacciandolo contro l’armadietto. Kurt trattiene il fiato. Baciami ancora, pensa incontrollabilmente, baciami, baciami, baciami. Karofsky solleva il pugno – baciami – poi sembra desistere – baciami – ringhia sommessamente – baciami, baciami, baciami! – è a due centimetri dalla sua bocca quando gli sussurra “quanto mi fai incazzare, Hummel”, senza aggiungere altro, prima di allontanarsi ed uscire di gran fretta dagli spogliatoi.
Kurt si morde il labbro inferiore, nasconde il viso fra le mani e si lascia scivolare a terra, senza forze. Sei una vergogna, si dice senza pietà, sei una vergogna, peggio di lui. Non riesce a dirsi in alcun modo che non è vero, e sta ancora pensando fermati e baciami, torna indietro e baciami, baciami, baciami baciami baciami.

#12 – Osservazione
Kurt lo guarda, ed impiega pochissimi giorni a capire che Karofsky, oh, sì, lo guarda anche lui. Lo guarda continuamente, in realtà Kurt sospetta che Karofsky guardi lui più di quanto lui non guardi Karofsky, il che per certi versi lo preoccupa. E per certi altri no. Ma è una cosa che non riesce completamente a spiegarsi, è una cosa che sente più di quanto non la capisca, perciò il più delle volte si limita a prendere atto della sua esistenza e cercare di fare finta di niente. Si chiede ma da quant’è che va avanti, da quanto tempo Karofsky mi guarda? e poi sa che dovrebbe aggiungere e da quanto tempo io guardo lui?, ma non lo fa mai. E sa che per ora è meglio così.
- Che ti prende? – gli chiede Mercedes, schioccandogli le dita di fronte alla faccia per attirare la sua attenzione. Lui sussulta appena, voltandosi a guardarla e dicendosi che dovrebbe proprio parlarne con qualcuno, di tutto quello che gli sta girando per la testa in questo momento, e chi meglio di Mercedes? È la sua migliore amica, d’altronde, no? Gli vuole bene, e continuerà a volergliene anche quando lui le avrà detto – vergogna – che vuole essere – vergogna – che vorrebbe – sei una vergogna, una vergogna peggio di lui – continuerà a volergliene, giusto? Qualsiasi cosa lui possa dirle.
In realtà c’è una sola persona al mondo con la quale Kurt probabilmente si sentirebbe a proprio agio nel confessare una cosa simile. Ma non può parlargliene, non può tirare in mezzo Blaine, non così, non ora, soprattutto non per questo motivo. Quando guarda Blaine negli occhi ci vede riflesso un mare di possibilità, e lui una cosa simile non ha mai potuto vederla. Vuole conservare quelle possibilità intatte, vuole ancora poterlo incontrare e sorridergli e pensare chissà, forse… non vuole assolutamente che il calore che prova quando Blaine lo sfiora e gli parla e lo fa sentire al centro del vortice affettuoso delle sue attenzioni svanisca in un lampo, gli scivoli via fra le dita.
Trattiene il fiato e si morde la lingua finché la voglia di sputare il rospo non passa. Gli occhi di Karofsky puntati contro di lui gli bruciano sulla pelle come un raggio di sole amplificato da una lente d’ingrandimento e puntato contro una formica nel mezzo di un prato da un gruppo di bambini sadici. Smettila, smettila, smettila, pensa con tutte le sue forze, se non vuoi baciarmi almeno smettila.
Quando si volta, Karofsky non c’è più.

#09 – Rischio
Prima ancora che dal sapore delle sue labbra o dall’odore così tipico della giacca che indossa, o semplicemente dal fatto che lo vede, Kurt riconosce che è Karofsky il ragazzo che lo trascina sul fondo di un vicolo appena dietro la scuola dalla sua stretta attorno al proprio braccio. E questo è già dannatamente sufficiente a dargli una misura molto fisica di quanto assurdo, malato e perverso sia tutto ciò. Non per il sapore, non per l’odore, non per il suo aspetto. Per riconoscere Dave Karofsky basta il dolore che gli provocano le sue dita quando si chiudono con la forza di una tenaglia attorno al suo braccio magro, appena sotto la spalla, e lo trascinano via dalla strada senza la minima accortezza.
Karofsky lo getta contro la prima parete che incontra con una violenza talmente esibita da fare più male del dolore stesso. C’è tanta di quella rabbia, nel modo in cui lo tratta, che se Kurt non sapesse che a schifarlo di più è l’effetto che ha su di lui, penserebbe davvero di avergli fatto qualcosa di incredibilmente grave. Così non è, però, e Kurt lo sa: Karofsky lo vuole, lo vuole possedere più di quanto il suo cervello non riesca a processare, la parola in sé è già così forte che a Kurt tremano le gambe nel ripetersela – possedere, rendere proprio, possiedimi, fammi tuo – si sente quasi cedere ed è certo che, se non fosse il corpo di Karofsky stesso a schiacciarlo contro la parete che ha alle spalle, rovinerebbe a terra.
Si aggrappa con tutta la forza che riesce a trovare al risvolto della sua giacca, e onestamente non saprebbe dire chi dei due sia il primo ad avvicinarsi alla bocca dell’altro. Cerca di appigliarsi ad una scusa qualsiasi, stabilisce arbitrariamente che Karofsky s’è avvicinato per primo – ma sai che non è vero, lo sai che non è vero, sei una vergogna, che vergogna sei, Kurt Hummel – e che quindi è colpa sua se – lo sta baciando – è colpa sua se – Dio, baciami ancora – è colpa sua se sta perdendo il controllo in questo modo, schiacciandosi il più possibile contro di lui, tirandoselo addosso per la giacca, la maglietta, il collo, mordendogli le labbra ed accarezzandogli la lingua con la propria.
Lì dove sono c’è il rischio che qualcuno li veda, sono praticamente in mezzo alla strada, niente porte, niente pareti a separarli dal resto del mondo, ma Kurt è confuso, la sua vista è annebbiata – chiude gli occhi e non ci pensa, è molto meglio così – ed il pericolo non assume una consistenza che meriti dell’attenzione fino a quando Karofsky non si allontana, afferrandolo per il collo e schiacciandolo contro la parete. Kurt getta indietro il capo, geme e si sente soffocare, si morde un labbro perché prova troppo dolore in troppi sensi per poterli contare, e gli occhi di Karofsky brillano di una furia che non ha niente di umano, e Kurt si dà dello stupido, perché il pericolo non è fuori, il pericolo non sono le altre persone, il pericolo non è nemmeno Karofsky stesso, no, il pericolo è solo uno, ed è quello che lui gli lascerebbe fare.
Quando Karofsky lo lascia andare e si allontana ringhiando come una bestia ferita, Kurt si tocca il collo dolorante e sa, lo sa profondamente, che se è ancora vivo è solo per pura fortuna. E perché Karofsky lo vuole ancora troppo.

continua...
back to poly
  1. MA E’ BELLISSIMAAAAA!!! Gyaaaaa, la struttura è fantastica, scorre via che è una meraviglia e adoro questo Dave! *O*
    L’ho divorata!!! *coccola la fic*
    Grazie Liz! *O*

    Haru
    22/06/2011 22:59

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