Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine (accennato).
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Angst, Violence, What If?.
- "Kurt stabilisce che la rabbia è un sentimento piacevole."
Note: ...dunque :D Suppongo che dovrei dare una qualche giustificazione per l'esistenza in vita di questa storia, ma la verità è che non voglio darla XD Sarò dannata il giorno in cui mi sentirò in dovere di giustificare per quale motivo shippo una determinata coppia piuttosto che un'altra. Dirò dunque soltanto che l'idea di un'interazione più approfondita fra Kurt e Karofsky mi ha affascinata al punto che alla fine ne è venuta fuori una storia piuttosto corposa, motivo per il quale la posterò in quattro parti, ciascuna formata da sei ficlet, ognuna ispirata da un tema dei set Varie A e Varie B per Dieci&Lode. Tenete ben presenti i warning là sopra, la coppia principale e leggete solo se è quello che volete davvero ^O^ E andremo tutti d'accordo.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine (accennato).
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Angst, Violence, What If?.
- "Kurt stabilisce che la rabbia è un sentimento piacevole."
Note: ...dunque :D Suppongo che dovrei dare una qualche giustificazione per l'esistenza in vita di questa storia, ma la verità è che non voglio darla XD Sarò dannata il giorno in cui mi sentirò in dovere di giustificare per quale motivo shippo una determinata coppia piuttosto che un'altra. Dirò dunque soltanto che l'idea di un'interazione più approfondita fra Kurt e Karofsky mi ha affascinata al punto che alla fine ne è venuta fuori una storia piuttosto corposa, motivo per il quale la posterò in quattro parti, ciascuna formata da sei ficlet, ognuna ispirata da un tema dei set Varie A e Varie B per Dieci&Lode. Tenete ben presenti i warning là sopra, la coppia principale e leggete solo se è quello che volete davvero ^O^ E andremo tutti d'accordo.
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WE’RE FUCKED UP LIKE THAT
#04 – Pensiero
Per un po’ – per un bel po’ – riescono ad essere discreti. Correvano un sacco di rischi, prima, soprattutto appartandosi a scuola, dove tutti avrebbero potuto vederli o sentirli, ma da quando gli orari di Burt sono scivolati all’interno della loro quotidianità, scandendo il tempo dei loro incontri, a scuola cercano il più possibile di evitarsi, la qual cosa, da un certo punto di vista, secondo Kurt è ridicola e anche un po’ fastidiosa. Karofsky ha smesso di schiantarlo contro gli armadietti ed anche di fargli il bagno nello slush ad ogni angolo di corridoio, e questa è indubbiamente una cosa positiva, ma c’è comunque qualcosa di completamente sbagliato nella consapevolezza di poter passare una vita o anche solo un paio di giorni divisi in due. Come si può ignorarsi per ore finché sono a scuola ed anche quando ne escono, e poi stare avvinghiati in un letto come un corpo unico dalle quattro alle sei? È la cosa più sbagliata del mondo, è la cosa più ingiusta del mondo, non è una relazione e questo Kurt lo sa, quando si chiede che cos’è però non sa rispondersi, e questo lo spaventa più di tutto il resto, perché davvero, se non riesce a far prendere una direzione al proprio cuore, come può pensare di imporne una alla sua vita?
Passano così almeno un paio di settimane. Incontrarsi diventa un’abitudine alla quale Kurt guarda con gioia e con un’impazienza che può paragonare solo a quando era un bambino e ogni cosa gli dava quel tremito particolare, il fascino di ciò che non sapeva, di ciò che non riusciva nemmeno a immaginare. Non s’è più sentito così felice – così libero di essere felice – da allora. Che sia Karofsky a farlo sentire in questo modo e solo un po’ meno ridicolo del fatto che, a parte quelle due ore al giorno, l’uno per l’altro nemmeno esistono.
La cosa veramente frustrante è che Kurt lo sa che non è davvero così. Che la loro relazione, almeno per quanto riguarda lui, non si ferma a quelle due ore. Che si protrae, persiste, come il suo sapore in bocca, il suo tepore sulla pelle, l’odore del suo dopobarba appiccicato ai vestiti. Dave è diventato una parte della sua vita al punto che rimane anche quando non c’è. Nei suoi pensieri, nelle lenzuola stropicciate, nei piatti che usa quando gli prepara uno spuntino e che poi deve lavare in tutta fretta prima che suo padre torni da lavoro.
La cosa frustrante. È che Kurt sa che è così per quanto riguarda lui. Ma non ha idea di come sia per quanto riguarda Karofsky. E non ha il coraggio di chiederglielo, perché la situazione è già abbastanza umiliante così senza bisogno di doversi obbligare magari a sentirgli rispondere che invece per lui non è lo stesso, che si tratta solo di scopare, che non gli resta addosso niente di quello che fanno, che non lo porta con sé fra le lenzuola quando va a dormire la sera come invece Kurt fa sempre. Sempre. Sempre.
I pomeriggi che passano insieme si protraggono uno uguale all’altro, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro, uno peggiore dell’altro, senza che Kurt abbia mai il coraggio di fare a Dave l’unica domanda di cui gl’importi qualcosa. T’importa qualcosa? Di me?
E poi un giorno Burt torna a casa prima. E Kurt si sente mancare il terreno sotto i piedi.
#06 – Verità
È costretto a sedersi. Proprio lì sul divano in salotto. Quando era più piccino ha immaginato spesso che, quando suo padre si sarebbe deciso a fargli Il Discorso, sarebbe stato proprio su quel divano. Magari in circostanze non altrettanto penose, ma ha sempre saputo che ci sarebbe stata questa stessa tensione, questa paura, forse, di fare o dire qualcosa di sbagliato – o che lui potesse fare o dire qualcosa di sbagliato – e compromettere irrimediabilmente tutto quello per cui avevano lottato, tutto quello che avevano costruito, tutto quello che erano riusciti a cementificare fra loro nonostante le avversità.
Suo padre, però, l’ha sempre conosciuto e compreso meglio di quanto Kurt non avesse mai sospettato, e quindi Il Discorso non è mai arrivato, semplicemente perché Burt sapeva che il suo bambino non aveva alcun bisogno di sentire da papà come funzionava fra api e fiori, quando al più avrebbe preferito magari avere qualcuno a cui chiedere come funzionava fra api ed api. Come si faceva ad avvicinarsi gli uni agli altri senza farsi male col pungiglione. Senza ferirsi con un morso. Senza darsi fastidio a vicenda con le antenne. Senza inciampare l’uno nelle zampette dell’altro. Tutti problemi che api e fiori non hanno. Tutte cose che Burt non avrebbe mai potuto spiegargli.
Kurt si siede, e lo fa perché sa che è giusto, e lo fa perché altrimenti cadrebbe. La cosa buffa, semmai, è che si sieda anche Dave. Proprio lì al suo fianco, su quello stesso divano, le mani aperte sulle ginocchia, lo sguardo basso e tutti i muscoli del corpo tesi come si fosse improvvisamente impietrito nel momento esatto in cui gli occhi di Burt si sono posati su di lui mentre, tenendo Kurt stretto per i fianchi, lo prendeva (e si perdeva) contro la parete accanto al letto in camera sua.
Kurt è seduto, il suo ginocchio sinistro sfiora il destro di Dave, e le nocche della sua mano.
- Da quanto tempo va avanti? – chiede Burt. La sua voce è soffice, calda, tranquilla. Kurt ha voglia di piangere, di nuovo, come non capitava da qualche tempo. Karofsky ha gli occhi spalancati sul vuoto ed è così terrorizzato dal mondo che non riesce a spiccicare una parola che sia una.
- Un po’. – sospira Kurt, - Quasi un mese. Seriamente, da un paio di settimane.
Burt annuisce, digerendo l’informazione.
- È una cosa dolorosa? – chiede ancora, e poi, quando si rende conto di quanto equivoca suoni la frase, si schiarisce la voce e riformula la domanda. – Vi state facendo solo male a vicenda, o cosa?
Karofsky solleva repentinamente lo sguardo.
- No! – dice d’impeto, e poi torna a fissare il pavimento in mezzo alle proprie scarpe da tennis. Trattiene perfino il respiro. Kurt si sposta impercettibilmente sul divano, verso di lui, il proprio fianco che aderisce completamente al suo. Le mani di Dave si stringono con forza sulle sue ginocchia. Kurt si morde l’interno di una guancia e odia non poter fare niente, in generale.
- Io spero che voi sappiate quello che state facendo. – conclude Burt, alzandosi in piedi e scuotendo mestamente il capo. – Puoi andare, ragazzo. – conclude, rivolto a Karofsky, il quale si alza, recupera la propria giacca dall’attaccapanni e imbocca la porta senza concedere a Kurt una sola occhiata.
Burt si allontana verso la cucina, e Kurt rimane immobile sul divano per qualche secondo. Gli fa male la guancia per quanto forte la sta mordendo, e ha gli occhi talmente pieni di lacrime che non riesce a vedere neanche le sue stesse mani, appoggiate in grembo. Si alza, comunque, e trova a memoria la via per la cucina – la via per suo papà. Si ferma sulla soglia, osserva la sua ombra girare attorno al tavolo e poi fermarsi davanti al frigorifero, aprirne lo sportello, tirarne fuori una bottiglia di birra. Sente il suono del tappo che viene tirato via, due sorsate di birra giù per la gola di suo padre, un sospiro preoccupato e profondo.
- Perché ti stai facendo questo, Kurt? – gli chiede suo padre. Kurt cerca di distinguere i tratti del suo viso, ma le lacrime glielo impediscono. Non riesce a capire se sia arrabbiato, deluso, o abbia solo paura per lui.
Credo che mi piaccia, papà, vorrebbe dirgli, credo che mi piaccia davvero tanto. Ma sa che, se glielo dicesse, suo padre gli chiederebbe ma è lui che ti piace, o il male che ti fa? È lui che ti piace, o quanto siete scombinati? È lui che ti piace, o l’idea di voi due insieme? E Kurt rimane zitto, perché a queste domande non saprebbe rispondere.
Il giorno dopo, però, a scuola, va da Karofsky. È la prima volta che gli si avvicina lì da quando hanno cominciato ad andare a letto insieme, e l’ansia lo divora vivo. Gli tremano le mani tanto che prova a stringerle a pugno per frenarle. Anche così, non riesce.
Karofsky lo guarda e ha negli occhi lo stesso terrore del giorno prima. È spaventato in maniera così profonda che Kurt non avrebbe neanche idea di come provare a cominciare a strappargliela via dal petto, tutta quella paura. È una consapevolezza sconfortante, quella di non poter fare nulla, ma proprio nulla, per lui.
Sono soli, nello spogliatoio. Quando parla, la sua voce risuona in maniera sinistra nella stanza vuota. Trema, come le sue mani.
- Tu non mi ami. – gli dice, - Non ci tieni neanche un po’, a me.
Karofsky aggrotta le sopracciglia. Quella potrebbe essere offesa, ma anche semplice fastidio. Kurt non sa decifrarlo. Kurt non sa niente di lui. Si sente così stupido, all’improvviso. Così infantile.
- Non voglio sentire stronzate, Hummel. – gli dice, distogliendo lo sguardo. Kurt stringe le labbra, trattenendo le lacrime.
- Diventa il mio ragazzo. – gli dice, - Alla luce del sole. Facciamo le cose per bene. Se non è vero che di me non ti frega un cazzo, dimostramelo.
Karofsky schiude le labbra, cerca una risposta sagace, forse, e non la trova.
- No. – dice alla fine. È l’ultima cosa che gli dice, prima che comincino a picchiarsi.
Kurt non è la vittima, stavolta. È lui il primo ad alzare le mani.
#03 – Regole
Spera che Karofsky non si stia sentendo in colpa, che si stia godendo ogni spintone, ogni pugno ed ogni calcio che riesce a rifilargli, perché lui, da parte propria, se la sta godendo un mondo. Il suono dello schiaffo che gli ha schioccato sulla guancia qualche minuto fa gli riecheggia ancora nelle orecchie, gli brucia ancora sul palmo della mano. È la sensazione più appagante che Kurt abbia provato nelle ultime settimane, se si esclude quella di sentirsi nudo e arreso sotto il corpo di Dave sul letto mentre lui si spingeva con forza dentro il suo, ed è una sensazione che non riesce a lasciare andare.
Karofsky ha risposto subito al suo attacco, scaraventandolo contro un armadietto e cercando di tenergli ferme le mani. Kurt ha sollevato un ginocchio e gliel’ha piantato in mezzo alle cosce, e quando Karofsky ha sputato uno sbuffo di fiato quasi comico, piegandosi in avanti annichilito dal dolore, Kurt l’ha guardato dall’alto con un sorrisetto soddisfatto e s’è detto quindi era tutto qui, era tutto quello che dovevo fare, bastava solo questo, sarebbe bastato farlo fin dall’inizio, ma è stata una questione di un paio di secondi, perché poi Karofsky s’è ripreso, è tornato a guardarlo digrignando i denti e nei suoi occhi non c’era più neanche una traccia di paura, neanche una briciola, un bruscolo di quella paura così cieca di poco prima, e Kurt ha trattenuto il respiro pensando oh, pensando quindi era tutto qui davvero, era tutto quello che dovevo fare davvero, bastava davvero solo questo, e non è riuscito a completare il pensiero perché Karofsky si è avventato su di lui, afferrandolo per il collo e staccandolo di peso dalla parete di armadietti per lanciarlo come una pallina da baseball contro la panchina più in là, e Kurt ha sentito solo dolore e frastuono per un istante interminabile, prima di ritrovarselo addosso, un ginocchio piantato nello stomaco e tutto il suo peso a gravare sul proprio corpo.
E lì avrebbe potuto lasciarlo fare ed essere il solito Kurt, avrebbe potuto piangere e tremare ed aspettare che qualcuno, una persona qualsiasi, notasse il suo dolore ed arrivasse magicamente a salvarlo, ma ha deciso di non farlo. Ha deciso di reagire. Ha afferrato Karofsky per entrambi i polsi e ha cominciato a dimenare le gambe per toglierselo di dosso. E c’è riuscito. E quando c’è riuscito ha cominciato a smetterla di capire le cose, e s’è sentito molto stupido, e s’è sentito molto pieno, e s’è sentito molto perso, ma ha picchiato anche lui. Ha picchiato anche lui, pugni e schiaffi e calci.
Ora sono almeno cinque minuti che hanno smesso di picchiarsi. Si sono andati stancando e si sono accasciati lentamente l’uno contro l’altro, fino a scivolare sul pavimento. Kurt guarda il soffitto, osserva l’ombra lunga e obliqua del filo dal quale pende la lampadina che illumina l’ambiente, e sente così tanto dolore che quasi non ne sente più neanche un po’. Gli cola il naso, e ha un labbro spaccato. Da un occhio vede solo uno spiraglio. Non ha idea delle condizioni in cui si trova Karofsky perché non riesce a girare il collo abbastanza da guardarlo, ma comunque immagina che non stia tanto meglio di lui. Tira sulle labbra un sorriso stentato che gli fa vedere le stelle, e realizza che mentre lottava prima s’è morso la lingua, e ora perde sangue anche quella.
- Sei uno psicopatico del cazzo. – dice Karofsky a un certo punto. Ansima un po’, la sua voce è distante. Kurt non può credere alle sue orecchie.
- Io sarei lo psicopatico?! – sbotta, tirando una manata alla cieca e prendendolo dritto sul naso. Karofsky geme di dolore e gli tira un calcio contro lo stinco. Kurt non riesce a capire perché, ma si mette a ridere. È un riflesso spontaneo e privo di senso, d’altronde è così stanco e dolorante che non capisce nemmeno da dove dovrebbe averla presa, la forza per una risata, eppure sta ridendo. E Karofsky sta ridendo con lui. Per quanto assurdo tutto ciò possa essere.
- Sei uno psicopatico del cazzo. – ripete Karofsky, ma il suo tono di voce stavolta è addolcito dalla risata che l’ha scosso fino ad adesso. Kurt sorride di nuovo, noncurante del dolore.
- Dobbiamo stabilire un po’ di regole. – dice quindi. Karofsky non risponde, perciò lui prosegue. – Mi sta bene se non vuoi fare outing. – concede con un sospiro insoddisfatto, - Ma basta ignorarsi a scuola. È stupido e ridicolo. Non siamo più ragazzini. Pretendo che mi tratti come un essere umano quando siamo in pubblico. – voglio sapere che mi vedi anche quando non siamo soli, voglio sentire i tuoi occhi addosso anche quando siamo in mezzo alla gente. – Pensi di potercela fare?
Karofsky non risponde immediatamente. Kurt può immaginare perché. Non gli sta chiedendo qualcosa di impossibile, che è il motivo per cui non uscirà da questo spogliatoio senza un sì, ma non gli sta chiedendo nemmeno qualcosa di semplicissimo, che è il motivo per cui gli lascia il suo tempo per pensarci su.
Lui, comunque, alla fine sospira, esausto e rassegnato.
- D’accordo. – annuisce, - Ma ho una richiesta pure io.
Kurt inarca un sopracciglio.
- Sarebbe? – chiede con sufficienza, sbuffando dal naso e decidendo immediatamente che non è stata una buona idea. Sarà comico quando, fra una decina di minuti, si trascineranno tutti e due in infermeria.
- Niente più botte. – uggiola Karofsky, riportandolo alla realtà. Kurt ricomincia a ridere, ed anche Dave. Stanno ancora ridendo quando si alzano in piedi, dieci minuti dopo.
#10 – Natura
È Dave a riaccompagnarlo, subito dopo la capatina in infermeria. Sono sgattaiolati fuori dalla scuola con un permesso firmato dal preside Figgins in persona, ed entrambi hanno riso come matti della sua espressione allucinata per tutta la strada in macchina. Ridono anche quando passano dall’officina di Burt – è Kurt a chiedere a Dave se gli pesa accompagnarlo lì. Dave non risponde di sì, semplicemente lo fa – e si presentano sotto ai suoi occhi sconcertati.
Quando Burt li vede, gli cade di mano la chiave inglese. Gli piomba sul piede, ma lui nemmeno la sente, un po’ perché indossa gli scarponi doppi e un po’ perché è troppo sconvolto per badare al fastidio.
- Ma vi siete picchiati. – constata, perché non c’è nulla da chiedere. Kurt ridacchia divertito, spingendo Karofsky con un colpo fianco contro fianco. E Dave ride imbarazzato, grattandosi nervosamente una tempia e distogliendo lo sguardo. – Siete completamente pazzi. – conclude Burt, gli occhi spalancati ma l’espressione del viso distesa in un mezzo sorriso incredulo, - Spero che non diventi un’abitudine.
- Dubito che Dave la reggerebbe. – si bulla Kurt, arrampicandosi con uno sforzo notevole sul mobiletto degli attrezzi quasi del tutto sgombro. Karofsky aggrotta le sopracciglia.
- Ti piacerebbe, Hummel. – borbotta.
- Sì, sì. – rotea gli occhi Kurt, prima di rivolgersi a suo padre. – Sai che mi ha chiesto di non prenderci mai più a botte? – dice indicandolo, - È una femminuccia.
- Hummel, non provocarmi. – ringhia Dave, chinandosi a recuperare un pezzo informe di gomma nera probabilmente tagliato a un copertone e tirandoglielo addosso. Lo manca di cinquanta centimetri buoni, e Kurt sa che l’ha fatto apposta.
- Voi due non state bene. – commenta Burt, recuperando la chiave inglese ed allontanandosi verso la carcassa di macchina sulla quale sta lavorando adesso.
Dave resta solo qualche altro secondo, giusto il tempo di salutarlo e montare in macchina. Kurt rimane seduto sul mobiletto a dondolare i piedi. È ricoperto di bende e cerotti, puzza di disinfettante ed è inspiegabilmente felice. Non riesce a capire cosa ci sia di strano in questo fino a quando non è suo padre a farglielo notare, avvicinandosi qualche minuto dopo, quando è sicuro di essere rimasto solo con lui, e lanciandogli una lunga occhiata incerta.
- Cosa? – chiede Kurt, stringendosi un po’ nelle spalle. Adesso si sente molto in imbarazzo. Il benessere di poco fa comincia a sbiadire, celermente non gli resta addosso altro che dolore.
- Io mi auguro che almeno tu capisca che questa cosa è del tutto contronatura. – gli dice suo padre, pulendosi le mani su una pezza vecchia, - E non sto parlando del fatto che stai con un bullo, naturalmente.
Kurt schiude le labbra e non sa cosa dire. Le parole di suo padre gli entrano in circolo nelle vene, gli riempiono la testa, lo confondono. Fatica a realizzare quello che è successo. Le botte e gli insulti e tutto l’odio che s’è sentito in grado di sprigionare. S’è perso da qualche parte e non riesce a ritrovarsi. Questo non era lui, lui non era così, fino a qualche mese fa.
Il pensiero gli dà il tormento. Quando, il giorno dopo, lui e Blaine escono insieme, risponde solo distrattamente a tutte le sue domande sui perché e i percome dei suoi lividi. Le parole di suo padre continuano a risuonare in un’eco confusa e infinita nelle sue orecchie. Kurt ne è nauseato. È nauseato da quelle parole, da ciò che significano, da se stesso. Da se stesso, principalmente.
La voce di Blaine torna ad amplificarsi solo quando, sommessamente, gli chiede se gli va di uscire insieme.
- Stai sempre sulle tue, ultimamente. – gli dice, - Penso che ti farebbe bene svagarti un po’. Ti va di farlo con me? – chiede con un sorriso dolcissimo.
Kurt lo guarda per qualche secondo, ma non lo vede. Vede suo padre, invece, ed è la sua voce a dirgli che non c’è niente di contronatura in questo. Né in Blaine né nel rapporto che ha con lui.
È sempre la sua voce, pochi secondi più tardi, a rispondere di sì. Ma Blaine non lo sa, e Kurt non se ne accorge.
#04 – Tradimento
Gli scivola fra le braccia con una velocità che turba lui stesso per primo. E anche unico, perché Blaine non ne sembra stupito. Logico, si dice Kurt con un sorriso che tenta di nascondere prima di tutto a se stesso: Blaine non sa niente. Blaine non sa che le sue non sono le prime mani che lo stringono, che lo toccano in quel modo, che si fanno strada sotto i suoi vestiti e fra le sue cosce.
- Facciamo che questo è il primo. – gli sussurra Blaine sulle labbra, ricordando un dialogo che a ripensarci adesso sembra quasi surreale, - Il primo di quelli che contano.
Kurt chiude gli occhi e lo lascia fare, senza dire una parola. Sa che, se schiudesse le labbra per parlare adesso, ne verrebbero fuori solo cose che non vuole dire davvero – che vuole dire così tanto da sentire quasi dolore alla base della gola per lo sforzo che sta facendo nel tentativo di trattenerle – come ad esempio che quello contava, Blaine, il suo primo bacio contava. Risale a due mesi fa, è stato un bacio arrabbiato e confuso e lui non l’ha nemmeno ricambiato, ma contava. E dopo ce ne sono stati decine, centinaia, migliaia, e ognuno di essi ha contato. Quelli nascosti e spaventati negli anfratti della McKinley, quelli sporchi e gelidi nel vicolo dietro casa, quelli caldi e affamati nel letto in camera sua, contavano tutti. Dieci, cento, mille. Non è questo il primo, Blaine.
Vorrebbe dirglielo, ma le sue mani sono così confortanti, il loro tocco così lieve. Blaine scivola su tutti i suoi lividi, tutte le abrasioni che gli rendono imperfetta la pelle. Lascia un bacio sulla punta del suo naso pesto e disfatto, accarezza in punta di dita le sue sopracciglia livide e il fianco martoriato e gonfio.
- Chi ti ha ridotto così andrebbe denunciato. – gli sussurra sulle labbra, gonfie di baci e delle botte di Dave, - È vandalismo. – aggiunge con un mezzo sorriso. Le sue labbra gli sfiorano una guancia, Kurt le sente umide e calde contro la propria pelle. Sorride e la pelle del viso si tende dolorosamente. Sono le ferite, si dice. Non è vero. Ma gli fa comodo pensarlo.
Torna a casa alle tre del mattino. È la prima volta che tarda così tanto, ma suo padre è sveglio, in vestaglia sul divano, e lo aspetta. Non che Kurt si aspettasse niente di diverso, d’altronde. Riesce perfino a sorridere genuinamente – un sorriso piccolo e dolce, che non fa male per nulla – un attimo prima che Burt si alzi in piedi e lo guardi con aria incerta per qualche secondo, inumidendosi le labbra.
- Quel ragazzino, Karofsky, è passato di qui, oggi. – gli dice. Kurt trattiene il fiato. Lui e Dave dovevano vedersi, oggi? Più probabilmente non avevano programmato nulla, ma d’altronde, si dice da solo, non ha molto senso stare a pensarci: non programmano mai, ogni volta che s’incontrano è perché semplicemente entrambi vogliono che accada.
- Lo chiamerò domani. – biascica abbassando lo sguardo.
- Kurt. – lo chiama suo padre, e lui si congela sul primo gradino delle scale, mordendosi l’interno di una guancia. – Ma con chi sei uscito? – gli chiede con curiosità mista a preoccupazione. E Kurt potrebbe mentirgli, naturalmente, come aveva sempre fatto quando s’era trattato di nascondergli la sua omosessualità, ma sono ormai due anni che ha perso l’abitudine a farlo, perciò quando schiude le labbra con l’intenzione di farvi passare attraverso una bugia, in realtà ne esce fuori la verità.
- Con un ragazzo. – dice. Non deve aggiungere altro. L’orario a cui è tornato e le sue condizioni in questo momento spiegano tutto il resto.
- …Kurt. – sospira suo padre, passandosi una mano sugli occhi, - Io voglio soltanto che tu sia felice, - dice, come mettendo le mani avanti, - ma possibilmente con una sola persona per volta. – conclude.
Kurt lo sente allontanarsi a passi lenti e strascicati verso la propria camera poco dopo. Neanche quando sente il suo sbadiglio e le molle del materasso che cigolano sotto il suo peso riesce a costringersi a muoversi, scendere le scale, infilarsi a letto e lasciare quella giornata scivolare lontano da sé nel sonno.
Non riuscirà a dormire.
#07 – Fedeltà
- Sono passato da casa tua, ieri. – gli dice Karofsky con tono falsamente casuale, appoggiandosi all’armadietto proprio nel momento in cui lui lo chiude. Kurt sobbalza, stupito dalla sua apparizione improvvisa, e forza un sorriso imbarazzato, grattandosi nervosamente una guancia proprio sopra il livido che ormai comincia a schiarire.
- Sì, lo so. – annuisce, abbassando lo sguardo e notando che Dave tiene le mani in tasca, come volesse rassicurarlo sul fatto di non voler alzare un dito su di lui. Kurt si rende conto solo con estremo ritardo che stanno parlando in pubblico e come se fossero due normali amici. – Mio padre me l’ha detto. – tentenna, incerto, guardandosi confusamente intorno in cerca di un qualche appiglio, una cosa qualsiasi, per inventarsi una scusa e fuggire via.
- Volevo vederti. – butta lì Karofsky, guardandolo negli occhi. Il suo sguardo è sicuro, tranquillo. Kurt lo ricambia e si chiede quando sia successo, dove stesse guardando lui mentre Karofsky si faceva crescere addosso questo sguardo, questa fiducia, questa tranquillità. Il ricordo delle mani di Blaine che gli scorrono sulla pelle torna a farsi vivo nei suoi pensieri per un attimo, e lui lo scaccia con un battito di ciglia.
- Davvero? – chiede, sentendo crescere il nervosismo nel petto. Gli gratta nella gola, rendendogli difficile anche solo trovare le parole giuste per discutere con Dave. Il quale sorride appena, piegando solo un angolo delle labbra, palesemente divertito, mentre si china lievissimamente su di lui.
- Volevo scoparti. – gli sussurra all’orecchio, sfiorandone il lobo con le labbra ad ogni parola. Kurt fissa il vuoto con aria terrorizzata e chiunque potrebbe scambiare quella scena per una delle numerose altre che si sono ripetute per mesi di fronte a quegli stessi armadietti, con la differenza che tutto ciò di cui Kurt ha paura adesso è di potersi concedere qualche gesto sconsiderato, qualcosa di cui sicuramente si pentirebbe, ma che palesemente non riuscirà ad evitare se Karofsky persevera su questa strada, come sembra intenzionato a fare. – Volevo afferrarti per i fianchi e piegarti sulla tua scrivania, e fare cadere a terra tutta la robaccia che ci tieni sopra. E poi volevo ribaltarti e mettertelo dentro e scoparti così forte da farti urlare. – Kurt si morde un labbro e pensa alle sue mani, alle sue labbra, al suo petto, ai suoi fianchi e al suo cazzo piantato così in profondità dentro di lui da fargli perdere il lume della ragione, e deve trattenere il respiro per non lasciare andare un gemito. – Peccato che non c’eri. – ridacchia Karofsky, allontanandosi da lui e rimettendosi dritto solo per guardarlo con evidente soddisfazione, inarcando un sopracciglio.
Kurt arriccia le labbra in un broncio offeso, incrociando le braccia sul petto.
- Be’, se avevi tanta voglia potevi andare con una cheerleader. – scrolla le spalle, distogliendo lo sguardo, - Un buco è un buco, quando serve.
Karofsky si ritrae istintivamente, dopo aver sentito queste parole. Fa una smorfia e sembra quasi schifato dalla sola idea.
- Non mi è neanche passato per la testa. – ribatte, - Ma sei scemo?
E a Kurt sprofonda il cuore nel petto.
continua...
MA E’ BELLISSIMAAAAA!!! Gyaaaaa, la struttura è fantastica, scorre via che è una meraviglia e adoro questo Dave! *O*
L’ho divorata!!! *coccola la fic*
Grazie Liz! *O*
Haru
22/06/2011 22:59