Genere: Introspettivo, Drammatico.
Pairing: Kurt/Dave, Kurt/Blaine (accennato).
Rating: NC-17
AVVISI: Slash, Angst, Violence, What If?.
- "Kurt stabilisce che la rabbia è un sentimento piacevole."
Note: ...dunque :D Suppongo che dovrei dare una qualche giustificazione per l'esistenza in vita di questa storia, ma la verità è che non voglio darla XD Sarò dannata il giorno in cui mi sentirò in dovere di giustificare per quale motivo shippo una determinata coppia piuttosto che un'altra. Dirò dunque soltanto che l'idea di un'interazione più approfondita fra Kurt e Karofsky mi ha affascinata al punto che alla fine ne è venuta fuori una storia piuttosto corposa, motivo per il quale la posterò in quattro parti, ciascuna formata da sei ficlet, ognuna ispirata da un tema dei set Varie A e Varie B per Dieci&Lode. Tenete ben presenti i warning là sopra, la coppia principale e leggete solo se è quello che volete davvero ^O^ E andremo tutti d'accordo.
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WE’RE FUCKED UP LIKE THAT

#12 – Perdita
- È così che ti ho cresciuto? – lo sgrida Burt quando lo vede tornare a notte fonda per la quinta o sesta volta nelle ultime due settimane. Lo fa senza urlare, con voce bassa, carica di preoccupazione e delusione, il che rende tutto quanto solo ancora più doloroso. Kurt ha sempre avuto molta paura della rabbia di suo padre. O almeno, della sua possibilità, visto che non l’ha mai visto seriamente arrabbiato in tutta la sua vita, se non nei momenti in cui doveva difenderlo contro qualche ingiustizia che subiva. Prima di dirgli che era gay, la cosa che più lo frenava dal vuotare il sacco era l’idea di dover subire il suo odio, il suo disgusto. Di vederlo allontanarsi da sé senza poter neanche allungare una mano per provare a fermarlo.
Ora si rende conto che così è perfino peggio. Burt gli resta accanto, lo fa con tutto l’amore di cui è capace, ma la sua vicinanza non fa che amplificare la sua tristezza. Kurt se la sente addosso, gli pesa sulle spalle come un macigno, lo schiaccia a terra.
- Dave ti piace così tanto? – si azzarda a chiedergli con un sorriso storto, - Tu non sai neanche quello che mi ha fatto, come siamo finiti a frequentarci. Papà, Blaine è un bravo ragazzo. Mi tratta bene. È gentile con me.
Burt annuisce lentamente, inumidendosi le labbra.
- Allora smettila di frequentare Karofsky. – suggerisce pratico, - Sul serio, Kurt, io non ti sto chiedendo di rinunciare alla tua felicità, se questo Blaine, qui, riesce a dartela. Ma non ti stai comportando bene.
Kurt digrigna i denti, stringendo i pugni lungo i fianchi.
- Te l’ho detto, papà, tu non sai niente. Karofsky mi ha— tu non sai cosa è successo davvero fra noi, non ne hai idea, tu non—
- Tu eri felice. – scrolla le spalle Burt, aggrottando le sopracciglia e guardando un punto a caso lontano da lui. – Ma ti sei guardato allo specchio, recentemente?
Anche Kurt distoglie lo sguardo. Si sente quasi nauseato. Suo padre lo sta giudicando. E non dovrebbe permettersi di farlo.
- Certo. – annuisce sprezzante, - Sono scomparsi i lividi.
Burt annuisce.
- E anche il tuo sorriso. – aggiunge. – Ora è tardi, - ordina, voltandosi per imboccare il corridoio e dirigersi in camera, - dormici sopra.
Kurt prova a dormirci sopra, ma non ci riesce granché bene. È offeso dalla presunzione di suo padre, da ciò che gli ha detto, dalla sicurezza con cui gli ha sbattuto in faccia la sua infelicità. Sta mentendo, si dice con decisione, io sono felice. È Blaine il ragazzo con cui deve stare, vuole stare, Karofsky è soltanto un errore, una cosa di cui in questo momento non riesce a fare a meno – gli è entrato nelle vene ed ora è in circolo, gli scorre sotto la pelle, gli permette di respirare, dà calore al suo corpo e luce ai suoi occhi, ma è una cosa passeggera. Gli passerà. Mi passerà, annuisce con convinzione, mi passerà e allora potrò dirgli che questa relazione è stata solo un enorme, gigantesco errore, e potrò stare solo con Blaine, e Blaine mi basterà, sarò felice con lui, perché l’unico motivo per cui non riesco a farmi bastare la sua bocca, le sue mani e i suoi baci è che ho ancora impresso nella memoria il ricordo di labbra mani e baci non suoi, ma questa cosa sbiadirà, smetterà di essere importante, e un bel giorno mi sveglierò e la mia vita sarà perfetta e non ci sarà più niente di sbagliato e non starò più con qualcuno che mi fa odiare me stesso fino a questo punto.
Perso in questi pensieri, non chiude occhio. Però quando va a scuola, l’indomani, lo fa sorridendo, perché sa che lì troverà chi sarà perfettamente in grado di rassicurarlo sulla bontà della propria scelta.
I ragazzi del Glee Club sono stati gli unici ai quali ha dato la notizia. Io e Blaine ci siamo messi insieme, ha detto trionfante, e tutti – perfino Rachel, nonostante la sua passata, tragica esperienza con Jesse St. James – si sono dimostrati così entusiasti del fatto che lui se n’è sentito quasi commosso. È stato bello sentirsi ricordare che se la meritava, una storia felice, dopo tutto quello che ha passato con quel Karofsky. È stato bello sentirselo ricordare perché lui lo dimentica troppo spesso. E per questo motivo non s’è trattenuto, ha parlato diffusamente di Blaine con tutti i suoi amici, di quanto sia meraviglioso e gentile e di quanto lo faccia sentire a suo agio e di quanto-baci-bene-Dio-mio. Ed è stato bello anche questo, semplicemente parlare. Parlare di qualcosa che avesse a che fare con lui. Qualcosa che potesse dire ad alta voce senza doversene vergognare.
La voce era troppo alta, però. Troppo alta e troppo succulenta perché non cominciasse a fare il giro della scuola. E quando un paio di giorni dopo Kurt si trova davanti Dave che gli chiede spiegazioni in merito, cerca di dirsi che era normale che una cosa simile accadesse – non era forse questo che aveva cercato di risparmiargli suo padre quando gli aveva detto di mettere le cose in chiaro? – ma segretamente, in cuor suo, sa di avere scioccamente sperato che invece questo momento non arrivasse mai. Che potesse continuare ad andare avanti per tutto il resto della sua vita con Blaine ad un fianco, per sentirsi normale, e Dave dall’altro lato, in ombra. Per sentirsi vivo.
- Perché l’hai fatto? – gli chiede Dave, e la sua voce non trema, non vacilla, non è venata nemmeno da un pizzico di dolore. Ma i suoi occhi, oh, i suoi occhi dicono tutto quello che le sue parole non riescono ad esprimere. E d’altronde è sempre stato così, fin dal primo bacio che gli ha rubato nello spogliatoio terrorizzandolo a morte e spalancandogli davanti agli occhi un baratro di possibilità dal quale sarebbe stato inghiottito senza speranza.
Kurt abbassa lo sguardo, perché di fronte a quegli occhi non riesce a parlare.
- Non avevamo mica stabilito che avremmo dovuto essere fedeli l’uno all’altro. – gli risponde. Non ha neanche il coraggio di darsi un tono, di muoversi con naturalezza. Si limita a schiudere le labbra il minimo indispensabile per farvi passare attraverso le parole. E già solo questo gli sembra uno sforzo sovraumano. – Io e te non stiamo mica insieme, Dave. – aggiunge, - Ho trovato qualcuno con cui posso stare. Stare davvero. Alla luce del sole. Non puoi chiedermi di rinunciare.
Dave schiude le labbra e Kurt solleva lo sguardo di scatto. Lo fissa e lo implora, lo implora e si getterebbe ai suoi piedi se solo potesse dannatamente muoversi, lo pregherebbe stringendogli le ginocchia fra le braccia, chiedimelo, chiedimelo, chiedimelo, dimmi che mi vuoi solo per te, chiedimi di non vederlo mai più, ti giuro, ti giuro sulla mia vita che non gli poserò mai più gli occhi addosso.
Ma Dave abbassa lo sguardo e a Kurt si spezza il cuore. Nessuno dei due sta più lottando per l’altro. È già finita.
- Hai ragione. – sussurra Karofsky, arretrando di un passo, - Non posso chiedertelo.

#08 – Partenza
Non c’è niente, in quel posto, per lui. È una consapevolezza che lo colpisce allo stomaco senza preavviso, mentre Blaine lo accompagna fino alla porta di casa sua e lo saluta con un bacio lievissimo sulle labbra. Kurt nemmeno lo sente. Non ci fa caso. Non chiude gli occhi ed è fortunato che Blaine non se ne accorga.
- Ci vediamo domani? – gli sussurra addosso, e Kurt annuisce distrattamente. Domani sarà il quindicesimo giorno che lui e Dave non parlano, non si baciano, non si toccano.
Kurt rientra in casa, e suo padre non lo sta aspettando sveglio. Sente il suo russare sommesso provenire dalla camera in fondo al corridoio in un borbottio attutito dal cuscino, dalla porta chiusa e dalla distanza, e senza perdere altro tempo scende in camera propria. Si sveste e si guarda nello specchio. Non ha addosso un solo segno di Blaine. Sta sempre attento a non lasciargliene addosso di nessun tipo, neanche succhiotti. Accende la luce sulla scrivania e si avvicina allo specchio per guardarsi più attentamente. Per tutto il suo corpo ci sono ancora le tracce dei lividi di quando lui e Dave si sono picchiati. Sono segni che faticano a sbiadire.
Kurt chiude gli occhi e si infila nudo fra le lenzuola fresche e profumate di pulito. Si chiede se sia possibile sentire ancora l’odore di Dave intrappolato nelle fibre, perché lui lo sente. Prova a dirsi che è solo un’illusione, ma continua a sentirlo. Si annusa con forza un braccio, cercando di trovarvi addosso l’odore di Blaine, ma non c’è. Non c’è. Non c’è niente. Non c’è niente, in quel posto, per lui.
L’indomani mattina esce di casa incredibilmente presto. Prepara una borsa con un po’ di roba. Gli sembra troppo poca. Ne aggiunge altra. Poi la svuota tutta e prende solo il beauty case e un paio di indumenti, più un sostanzioso carico di biancheria pulita. Va a prendere Mercedes fino a casa sua, una cosa che non ha mai fatto, e mancano ancora almeno cinquanta minuti all’apertura dei cancelli della McKinley. È un miracolo trovarla già sveglia, ma quando le chiede di scendere per parlare un po’ lei non fa una piega, e lo raggiunge in un paio di minuti.
- Che diamine ti è preso? – gli chiede, inarcando un sopracciglio, quando si vedono. – E cos’è quella borsa?
Kurt le corre incontro, la stringe con forza e nasconde il viso nell’incavo del suo collo.
- Ti devo parlare. – le dice a corto di fiato, - Ti devo dire un sacco di cose.
Mercedes decide che è il caso di saltare scuola, quel giorno. Penserà a un modo per giustificare l’assenza, non è un problema. Lo porta da Starbucks, si siedono ad un tavolo ed ordinano la colazione, e fra un sorso di latte macchiato e l’altro Kurt tira fuori tutto fin dall’inizio, e osserva l’espressione di Mercedes farsi alternativamente persa, preoccupata, offesa, triste e infine semplicemente addolorata per lui.
- Kurt… - gli dice, accarezzandogli una guancia ed asciugandogli le lacrime, - Che gran casino, Kurt.
- Ho bisogno di andarmene via per un po’. – dice lui, d’impeto. Lei trattiene il fiato. – Torno presto. – cerca di rassicurarla, sorridendo dolcemente, - Volevo che almeno tu lo sapessi, però. – aggiunge, passandole un foglietto di carta sul quale, in bella grafia, è scritto un indirizzo. – È il posto in cui vado a stare.
Mercedes legge l’indirizzo e inarca un sopracciglio, incerta.
- Un albergo? – chiede, - Sicuro di potertelo permettere?
Kurt sorride ancora.
- Non ti preoccupare, - annuisce, - me la caverò.
Mercedes sospira, scuotendo il capo.
- Dimmi in che modo posso fermarti.
Kurt si alza in piedi, girando attorno al tavolino ed abbracciandola stretta. Non dice una parola, però, e spera che Mercedes capisca che questo vuol dire che un modo per fermarlo non c’è, ed anche se ci fosse, lui non glielo rivelerebbe.
Mercedes lo capisce. Per molti minuti, lo abbraccia con la stessa forza con la quale lui sta abbracciando lei. E poi lo lascia andare.

#06 – Viaggio
Resta in disparte per qualche secondo, osservando il viavai degli ospiti del motel nella hall e stringendo a sé la borsa coi propri vestiti. Quel luogo sembra fatto apposta per accogliere solo viandanti stanchi, gente di passaggio, che ha bisogno solo di una doccia e un paio d’ore di riposo prima di ripartire verso la propria meta. Una meta vera, qualcosa che con quelle mura, con quella strada e con la scogliera ad un paio di chilometri dalla struttura non c’entra niente.
Kurt si chiede quanto tempo potrà passare in un posto come questo, senza nessuno, senza niente, prima di impazzire. Poi deglutisce e si avvicina al bancone della reception.
- Sono Kurt Hummel. – dice, favorendo un documento con un mezzo sorriso, - Ho prenotato una stanza un paio di giorni fa.
Il concierge annuisce, prendendo nota del suo nome e cercando conferma della sua prenotazione sullo schermo del proprio computer. Quando la trova, si volta a recuperare la chiave di una stanza e gliela porge, senza mai cambiare espressione.
- Appena uscito a destra, al primo piano. – dice atono, - Appartamento centoquarantacinque, in fondo al porticato.
Kurt annuisce a propria volta, stringendo che chiavi fra le dita e seguendo le indicazioni dell’uomo solo fino alle scale. Posa il piede sul primo gradino e sente un peso enorme scendere a schiacciargli la testa e le spalle, costringendolo a guardare in basso. Non riesce a capire se sia senso di colpa, e se sì, nei confronti di chi. Prende un respiro enorme e capisce che non può ancora salire in camera propria. Non riuscirebbe nemmeno ad infilare le chiavi nella serratura, di questo è certo. Lui non vuole veramente trovarsi lì, in quel momento. Vorrebbe essere a casa propria, vorrebbe sentirsi felice e completo e soddisfatto, con o senza un ragazzo al proprio fianco, ma purtroppo non è così che si sente, e perciò non è a casa propria che può stare, in attesa che la montagna di infelicità che s’è andata accumulando attorno a lui, e della quale lui ha spazzato i detriti sotto i tappeti, in ogni angolo e dentro il ripostiglio, gli crolli addosso, seppellendolo.
Gira attorno al motel, dribblando le macchine parcheggiate disordinatamente davanti al marciapiedi, per ritrovarsi di fronte un paesaggio surreale: non c’è davvero niente, lì, solo terra marroncina e smossa, qualche sasso, qualche ciuffo d’erba nato e cresciuto contro tutto e tutti. Si sente il rumore del mare, però, e Kurt lo segue, seguendo il sentiero appena visibile sul terreno che poi diventa una stradina sterrata ma ben disegnata su una discesa dalla pendenza incredibilmente dolce, per trasformarsi infine in una vera e propria via aperta con forza fra due pareti di scogli multiformi e irregolari, bianchissimi e ruvidi al tatto.
Scende finché può, appollaiandosi su uno scoglio basso ad un metro dalla superficie del mare, che s’infrange contro le pareti già bagnate sotto di lui, cantando sommessamente. Kurt chiude gli occhi ed inspira profondamente l’odore dell’acqua salmastra e arrabbiata, e cerca di non pensare a niente. Ci prova a lungo, ma non riesce, e piuttosto che ammettere quali siano i pensieri ai quali più piacevolmente si lascia andare, si getterebbe di sotto senza neanche un ripensamento. Per questo motivo, si alza in piedi meno di un minuto più tardi, inerpicandosi a ritroso lungo la stradina che l’ha portato fino a lì e ben deciso a tornare al motel, prendere possesso di camera propria e dormire. Se gli sarà possibile.

#07 – Incarico
Si fissano per quelli che sembrano minuti interi, chiedendosi entrambi, pur senza esprimerlo ad alta voce, se questa cosa stia accadendo davvero. Forse la stanno sognando – Dave ne è abbastanza sicuro per esempio: in realtà, da quando Burt ha scoperto lui e Kurt impegnati a fare cose che mai nella vita avrebbe dovuto vedere, il pensiero di trovarselo davanti all’improvviso faccia a faccia e dover parlare da solo con lui l’ha terrorizzato al punto che non lo stupirebbe svegliarsi adesso nel proprio letto in un lago di sudore e scoprire che si è trattato solo di un incubo; anche Burt, peraltro, non ne sarebbe stupito: da quando ha accettato completamente l’omosessualità di Kurt, e conoscendo i gusti del figlio, ha sempre atteso con timore il momento in cui il quarterback della squadra di football si sarebbe presentato sulla soglia di casa sua per chiedergli la mano del suo unico pargolo, ed ora potrebbe tranquillamente stare sognando una scena che ha immaginato parecchie volte, con l’unica differenza che il quarterback della squadra di football è diventato fratellastro di Kurt prima che lui potesse mettergli attivamente le mani addosso, e quindi a presentarsi alla sua porta non è lui ma la guardia più temibile della McKinley High.
In ogni caso, il loro smarrimento è evidente, e non cercano nemmeno di nasconderlo, neppure quando Burt abbozza un sorriso ed invita Dave ad entrare in casa. Lui obbedisce senza sollevare lo sguardo, riprendendo confidenza con un ambiente dal quale ultimamente è stato lontano, ma che non è ancora stato capace di dimenticare. Vede Kurt ovunque, non solo per gli scherzi che la sua memoria si diverte a tirargli quando ne sente più profondamente la mancanza, ma anche perché in quelle stanze, in quella casa, il suo tocco è troppo evidente per poter essere ignorato. I mobili, la tappezzeria, perfino la tintura delle pareti, tutto lì parla di Kurt, e parla ad una parte del suo cuore che Dave non è mai riuscito a zittire abbastanza efficacemente, al punto da costringerla ad esprimersi a spinte e pestoni quando non la lasciava libera di parlare con la sua voce.
- Da quant’è che non vedi Kurt, ragazzo? – gli chiede Burt, sedendosi su una poltrona e lasciandogli libero il posto sul divano. Dave si siede proprio di fronte a lui, sentendosi improvvisamente molto piccolo e molto inadeguato.
- Troppo tempo, signor Hummel. – risponde, gli occhi fissi sulle proprie dita intrecciate in grembo.
Burt annuisce, grattandosi pensosamente il mento.
- Vi siete lasciati? – prosegue, tornando a guardarlo. Dave annuisce. – Perché? – insiste Burt. Dave stringe i denti.
- Kurt era innamorato di un altro, signor Hummel. – dice tetro.
Burt si inumidisce le labbra. annuendo ancora.
- Io non penso. – sospira quindi, chinandosi appena verso di lui, appoggiando i gomiti alle ginocchia. – Io credo che Kurt fosse un po’ spaventato e molto confuso. E tu ne sai qualcosa, della confusione, vero, ragazzo?
Dave si lascia sfuggire un sorriso mesto, grattandosi la nuca con imbarazzo crescente.
- Ti fa fare un sacco di cose stupide. – ammette, stringendosi nelle spalle.
- Già. – annuisce ancora Burt, - E io credo che Kurt ne abbia fatta una.
Dave solleva immediatamente gli occhi cercando i suoi, preoccupato.
- Cosa—
- Niente di drammatico. – lo rassicura l’uomo, sorridendo appena, - Ma è scappato di casa, e chissà dove s’è nascosto. Io non ne ho idea, e… - sospira, - se devo dirti la verità, ragazzo, sto impazzendo per questo motivo. Non è mai stato lontano da me tanto a lungo e non sapere dove trovarlo mi uccide.
Dave spalanca gli occhi, sentendo qualcosa di caldo sciogliersi dentro al suo petto. Tutti i respiri che prende, da quel momento in poi, sono incredibilmente dolorosi, come stesse riprendendo a respirare davvero adesso dopo un’apnea durata secoli.
- Cosa devo fare, signor Hummel? – chiede senza pensarci.
- Trovalo. – risponde Burt, e non ci sta pensando nemmeno lui.
Dave continua a rifiutare di pensare concretamente a cosa dovrebbe fare per tutte le successive ventiquattro ore. Torna a casa, fa una doccia, cena, boicotta i compiti, si prepara per dormire e pensa solo che lo troverà. Il come non importa. Lo troverà, e non solo perché il signor Hummel gli ha chiesto di farlo. Lo troverà e basta, e se Kurt ha intenzione di scappare – da lui? – dalla sua vita allora d’accordo, che lo faccia, ma gli deve qualcosa, prima. Dave non sa cosa, e in realtà se prova a pensarci razionalmente sa benissimo che Kurt non gli deve proprio un accidenti di niente, ma non riesce a scacciare il pensiero dalla testa, anche mentre prova ad addormentarci, senza peraltro riuscirci. Mi devi qualcosa, Hummel. Non puoi andare via adesso.
Il giorno dopo, Dave non ha bisogno di pensare ad una soluzione, perché quella si presenta da sola, sotto forma di Mercedes Jones. Dave la osserva sistemare la propria roba nell’armadietto fra una lezione e l’altra e qualcosa nella sua mente si illumina all’improvviso. Se esiste qualcuno, una sola persona nel mondo, che possa sapere dove Kurt si trova adesso, quella è Mercedes.
Le si avvicina cercando di non sembrare minaccioso, ma quando lei lo nota e prova a defilarsi celermente per non dovergli parlare, lui le sbarra la strada, piantando un pugno contro l’armadietto a due centimetri dal suo viso.
- Karofsky! – strilla lei, sconvolta, - Ma che diamine ti salta in testa?!
- Dov’è. – dice lui, gelido, avvicinandosi al suo viso. La guarda negli occhi, la scruta con invadenza, senza grazia. Lei serra le labbra e lui spalanca le proprie. - …tu sai tutto. – sillaba incerto, allontanandosi appena. È un attimo, però: torna subito a farsi più vicino, stavolta in maniera volutamente minacciosa. – Dimmi dov’è. Se sai tutto, sai anche che devi dirmelo.
Mercedes abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore.
- È andato via proprio per non avervi intorno per un po’, tutti quanti. – gli spiega, appoggiandosi all’armadietto con le spalle. – Lascialo in pace ancora qualche giorno. Tornerà quando si sentirà pronto.
Dave allontana il pugno dall’armadietto solo per schiantarlo di nuovo contro la superficie metallica con forza perfino maggiore, pochi secondi dopo.
- Dimmi dov’è. – ribadisce. Mercedes si stringe nelle spalle e ha gli occhi pieni di lacrime. È evidente che non ha solo paura, sta soffrendo. Per Kurt, forse, o per se stessa. Per tutti loro.
Espira a fatica, comunque. Si volta e recupera dal fondo dell’armadietto un foglietto di carta spiegazzato con un indirizzo scritto sopra. La grafia è quella di Kurt. Dave lo prende fra le mani sentendosi improvvisamente invaso dall’adrenalina e dalla voglia di fare. Non aspetterà nemmeno che le lezioni si siano concluse, per partire. Lo farà immediatamente.
Si volta e si avvia verso il corridoio, ma si volta dopo qualche passo, e non si sorprende di trovare Mercedes ancora nella stessa posizione in cui l’ha lasciata.
- Mi dispiace. – dice, con un breve cenno del capo, - Per una serie di cose. – precisa, - Ma penso che ne riparleremo quando saremo tornati.
Mercedes schiude le labbra e muove un passo in avanti. Nei suoi occhi è evidente l’incertezza che vorrebbe portarla a chiedergli come fa ad essere sicuro che riuscirà a riportarlo indietro, ma non è una domanda che Dave le lascia porre. La verità è che non lo sa neanche lui come fa ad esserne sicuro. Lo è e basta. Per ora, deve farselo bastare.

#08 – Perdono
- Il tipo lì mi ha detto che eri qua. – dice, lanciando un’occhiata incerta alla superficie irregolare degli scogli che lo circondano, e trovandone finalmente uno abbastanza piatto e largo da offrirgli una seduta se non comoda quantomeno tollerabile. Sa che la conversazione non sarà piacevole, né breve, e per certi versi gli sembra perfino giusto che non sia neanche comoda, ma ciononostante avrebbe preferito doverla svolgere altrove. In un luogo più sicuro, più familiare, meno neutro per entrambi, forse. Un posto che avrebbe potuto aiutarlo a convincere Kurt che fosse decisamente il caso di tornare a casa. Così, invece, gli tocca fare tutto da solo, e non sa se ne è capace.
- Tu. – ride appena Kurt, piegando lievemente le spalle e lanciandogli un’occhiata dimessa. Ha gli occhi enormi sul viso pallido e un po’ scavato. Non sembra neanche che sia passata solo una settimana, da quando è scomparso. Sembrano secoli, una vita intera. All’improvviso, la consapevolezza di tutta la distanza che li separa si fa enorme, quasi fisica. Si frappone fra loro due, impedendo a Dave di fare ciò che vorrebbe, sollevare una mano e toccarlo, perché se almeno ci provasse saprebbe cosa aspettarsi per dopo. Ti tocco e te ne vai? Mi rassegno. Ti tocco e resti? Spero. – Faccio una figura molto brutta se ti dico che mi aspettavo che fosse Blaine a venire a prendermi?
Dave si mordicchia nervosamente l’interno di una guancia, distogliendo lo sguardo.
- Volevi che venisse lui? – gli chiede a stento, e Kurt sbuffa una risata amara, straordinariamente sincera e, proprio per questo, straordinariamente dolorosa.
- No. – risponde, - No, non volevo che venisse lui. Ma me lo aspettavo. Ci avevo anche fantasticato su, sai? – aggiunge, stringendosi nelle spalle. Diventa minuscolo al movimento, talmente piccolo che se anche Dave potesse allungarsi a toccarlo, adesso, non lo farebbe. Avrebbe troppa paura di distruggerlo. E pensare che, fino a qualche mese fa, distruggerlo era tutto ciò che voleva. Spezzarlo, farlo a brandelli, non lasciare intatto nemmeno un centimetro del suo corpo. Farlo sparire, per non dover più affrontare ogni giorno la consapevolezza di desiderarlo al punto da sentirsi male ogni volta che gli posava gli occhi addosso. – Lui sarebbe arrivato qui sulla sua macchina, - continua Kurt, la voce bassa e persa, come rivolgendosi al mare più che a lui, - e avrebbe avuto addosso quella sua impeccabile divisa, solo un po’ stropicciata dal viaggio. Sai perché ce l’avrebbe avuta addosso? – gli chiede con una risatina divertita, - Perché si sarebbe precipitato qui subito, non appena avesse sentito della mia scomparsa. Avrebbe avuto i capelli arruffati e il fiatone, e appena arrivato mi avrebbe teso una mano e mi avrebbe chiesto di tornare a casa con lui, ed essere felice. E io lo sarei stato, mi sarei lasciato stringere ed accarezzare e baciare e sarei stato felice.
- E allora perché dici che non volevi che venisse lui? – lo interrompe Dave in un ringhio sommesso, stringendo i pugni lungo i fianchi, le nocche che sfiorano la superficie frastagliata dello scoglio. Ve le spinge contro, strofinandole un po’, e quando sente il dolore cominciare a irradiarsi subito lungo i suoi nervi cerca di concentrarsi su quello. Perché fa decisamente meno male di tutto il resto.
L’espressione di Kurt si trasforma, il suo sorriso sfuma e i suoi occhi si spengono all’improvviso mentre piega ancora le spalle e fissa un punto lontano sulla superficie del mare con aria assente.
- Perché non sentivo niente. – confessa, mentre la voce irrequieta del mare fa il controcanto alla sua. – Avrei voluto poter essere felice così tanto, ma non lo ero. Non ci riuscivo. – si volta a guardarlo, un sorriso piccolissimo che torna ad aprirsi incerto sulle sue labbra. – E ti ho capito molto più di quanto non pensavo che sarei mai riuscito a fare, sai Karofsky? Volevo essere diverso da me stesso, volevo allontanarmi da ciò che volevo davvero così tanto che non riuscivo neanche a guardarmi nello specchio al mattino. – ride appena, scuotendo il capo, - Quanto sono ipocrita. Tu non hai idea di quanto duramente io ti abbia giudicato, di quanto ti abbia odiato, mentre dentro di me c’è la tua stessa identica cattiveria. – sospira profondamente, raddrizzando le spalle e chiudendo gli occhi per qualche secondo, come a racimolare abbastanza coraggio, prima di voltarsi a guardarlo. – Dave, io devo chiederti—
- No. – lo ferma, allungano una mano a coprirgli la bocca. La barriera si spezza, o forse si dissolve, perché Dave la attraversa senza sentirla. Le labbra di Kurt sono calde, morbide e un po’ umide sotto le sue dita. I suoi occhi sono spalancati e colmi di incertezza. Dave prova a sorridere, e quando ci riesce gli occhi di Kurt si riempiono di lacrime. – Non scusarti. – scuote il capo. Le lacrime di Kurt si gonfiano, si gonfiano, si gonfiano ancora, come le onde del mare che s’infrangono sulla scogliera sotto di loro, e poi rotolano libere lungo le sue guance, bagnandogli la mano. – Torna a casa con me. – sussurra incerto. E prega per un sì. Non vuole altro da lui, non gli chiederà più niente. Torna a casa con me.
Kurt chiude gli occhi e resta immobile per qualche secondo, respirando profondamente attraverso le sue dita. La voce del mare si fa confusa e rombante, le nuvole nere che si addensano in cielo promettono pioggia, e per un secondo sembra che Kurt voglia restare lì ad attenderla, come una punizione.
Poi solleva le braccia, poggia entrambe le mani su quella di Dave che ancora gli serra le labbra e, semplicemente, annuisce.

#02 – Scelte
Mentre sistema le poche cose che ha portato con sé nella borsa, Kurt realizza con una punta di sconforto che tutto il male che ha sentito da quando questa storia è cominciata è andato a cercarlo da solo. Espressamente. Avrebbe potuto prendere ogni singola cosa che gli fosse capitata in modo diverso, avrebbe potuto giudicarsi di meno, odiarsi di meno, e sarebbe stato tutto molto più semplice. E invece ha aggiunto al bullismo di Karofsky anche un altro tipo di bullismo, più subdolo, meno palese. Quello contro se stesso.
Ogni volta che le mani di Dave gli si sono posate addosso per spingerlo contro un armadietto, non erano solo le sue mani. Erano anche le proprie. Già allora intrecciate con le sue, anche se nel modo peggiore.
Sospira appena, appendendo una mano al fianco e guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa che potrebbe aver dimenticato. Dave è seduto sul letto e lo fissa con curiosità evidente, battendo ritmicamente i piedi contro il pavimento giusto per darsi qualcosa da fare.
- Hai preso tutto? – gli chiede, molleggiando un po’ in avanti come a volersi dare lo slancio per alzarsi in piedi, senza però farlo.
Kurt scrolla le spalle.
- Penso di sì, - risponde, - e se sto dimenticando qualcosa, sicuramente non è niente di importante.
Dave annuisce, alzandosi finalmente in piedi e sistemandosi al suo fianco, dove resta, senza fare né un passo in avanti né uno indietro rispetto ai suoi. Kurt si muove stancamente verso la porta e pensa al viaggio che lo aspetta per tornare a casa, pensa a tutte le spiegazioni che dovrà dare quando sarà tornato, a tutte le persone alle quali dovrà chiedere scusa e che non gli permetteranno di tacere tappandogli la bocca come ha fatto Karofsky. Pensa a Blaine. A quello che dovrà dire a lui. Chiude gli occhi, sentendosi improvvisamente pesante e fermandosi con due dita sulla maniglia, mentre da fuori lo raggiunge il suono ovattato delle prime gocce di pioggia che, scendendo dal cielo, si abbattono contro il suolo.
- Ho promesso a tuo padre che ti avrei riportato a casa. – ridacchia Dave, per sciogliere la tensione. E la cosa veramente stupenda è che ci riesce. La scioglie nell’aria, dentro se stesso, ma anche dentro Kurt, che sorride e si volta a guardarlo, posando il borsone per terra e puntandogli un dito contro il petto, spingendolo dolcemente verso il letto. – Cosa? – chiede confusamente, guardandolo mentre il sorriso di Kurt si allarga e si colora di una macchia di malizia che non gli vede addosso da troppo tempo.
- Non voglio tornare a casa subito. – gli dice. Le gambe di Dave si scontrano contro il bordo del letto e si piegano, permettendogli di sedersi. Kurt avanza ancora, costringendolo ad indietreggiare strisciando sul materasso e sedendosi a cavalcioni su di lui. – E poi ha preso a piovere. Restiamo un po’.
Dave inarca un sopracciglio ma non può impedirsi di sorridere.
- Hai paura di tornare? – gli chiede, solo per scrupolo, perché tanto conosce già la risposta.
- Sì. – annuisce sinceramente Kurt. Il suo sorriso è sereno. – Ma più di questo, voglio fare l’amore con te, adesso. – conclude. Dave si sente arrossire all’improvviso, e bada solo distrattamente alle risate di Kurt che riempiono in uno scroscio allegro il silenzio della stanza, annullando il suono della pioggia, prima di stringerlo alla vita e ribaltarlo sul letto, sotto di lui.
Kurt chiude gli occhi, stendendosi per bene e lasciandolo fare. Ha scelto di scappare dall’amore troppo a lungo, per non scegliere di lasciarsi amare adesso.

fine
back to poly
  1. MA E’ BELLISSIMAAAAA!!! Gyaaaaa, la struttura è fantastica, scorre via che è una meraviglia e adoro questo Dave! *O*
    L’ho divorata!!! *coccola la fic*
    Grazie Liz! *O*

    Haru
    22/06/2011 22:59

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