Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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GROUNDLESS
CAPITOLO 6
TOUKA KOUKAN


E’ normale attraversare una fase d’entusiasmo come questa, si disse Maes, cercando di suonare convincente almeno nella sua testa, afferrando la mano di Sheska e prendendo a tirarla furiosamente verso il suo studio.
- C-Colonnello Hughes! – lo chiamò Sheska, con un gridolino, tentando di porre un freno al suo impeto piantando i piedi a terra, - Qualsiasi sia l’argomento di cui mi vuole parlare, può aspettare un paio di secondi!
Glacier fece capolino dalla cucina proprio in quel momento, pulendosi le mani sporche di farina nel grembiule bianco candido che le cingeva la vita.
- Sheska! – la salutò con un cordiale sorriso sul volto, - Che piacere rivederti! Anche oggi straordinari?
- B-Buongiorno, signora Hughes… - rispose lei, sforzandosi di sorridere nonostante l’angoscia che la prendeva quando la chiamava in quel modo.
- Maes, non mi avevi detto che sarebbe venuta Sheska, oggi…
Credo sia a causa del fatto che non era previsto che venisse, ma che non ho potuto fare a meno di chiamarla.
- Se mi avessi avvertito, avrei preparato più biscotti... Comunque Sheska, tesoro, se vuoi, sentiti pure libera di rimanere a pranzo…
No, non credo succederà Glacier, tesoro, visto che è qui per una sveltina.
Signore Iddio, ho davvero bisogno che qualcuno mi tiri un po’ di scapaccioni e mi chiuda in camera mia per una settimana, proprio come coi bambini.
I miei genitori sono stati troppo permissivi, con me.
Non sarò stato anche io troppo permissivo con Elysia?

- Mi dispiace, signora Hughes, non posso proprio rimanere a pranzo… - disse Sheska, sorridendo imbarazzata e stringendosi nelle spalle.
- Oh, ma che peccato… comunque dai, - rise la donna, accarezzandole una spalla, - puoi anche chiamarmi Glacier, ormai.
Con immenso piacere.
- Va bene, adesso noi andiamo di là, o rischiamo di non arrivare a finire niente. – annunciò Maes, con una punta di nervosismo nella voce, ricominciando a tirarla verso lo studio, anche se più discretamente, stringendola per il polso.
Mentre camminava a passo svelto dietro di lui, Sheska meditò sulla possibilità di chiedere un pagamento in denaro per tutti gli “straordinari” che faceva a casa sua, soprattutto in quell’ultimo periodo. D’altronde, i soldi avrebbero potuto essere l’unica cosa che le sarebbe rimasta, quando tutta quella follia fosse esplosa, spegnendosi in un buco nero come non fosse mai esistita.
La stretta di Maes si fece più forte e più urgente, quando furono al sicuro fra le quattro pareti del suo piccolo studio, protetti dalle insidie del mondo dall’antica porta in legno scuro.
La stretta di Maes cancellò come sempre tutti i brutti pensieri, e lei si abbandonò alle sue braccia perché fossero loro a ripeterle, per l’ennesima volta, che se voleva poteva ancora illudersi di avere un futuro con lui.
La stretta di Maes la accompagnò ansiosa e potente fra un bacio e l’altro, fra una carezza e l’altra, fra un vestito e l’altro. Sulla scrivania, sul muro e sul pavimento. Sospingendola fra i sospiri e i gemiti trattenuti a stento.
Da poco più di una settimana, era quello il loro gioco preferito.
Sia l’ufficio che casa di Sheska avevano come perso tutto il loro fascino, e anche se farlo lì era piacevole come sempre non dava più loro quel brivido strano delle prime volte. Forse era una questione di abitudine, forse soltanto di faccia tosta, questo a loro non interessava. Ciò che era importante era quello che ne risultava, ovvero che Maes aveva cominciato a chiederle di venire a trovarlo a casa. Perfino – soprattutto – quando c’era Glacier.
Farlo in quella stanza, sapendo che sarebbe bastato un niente per attirare l’attenzione di Glacier e spingerla ad entrare e vedere tutto… era divertente. Ed eccitante. Non avrebbe dovuto esserlo, ma lo era. Probabilmente era una cosa sbagliata, ma non sarebbe stata una novità per quella storia. E d’altronde non è che il fulcro della questione fosse gioire nel prendere gaiamente in giro Glacier o provare sadico piacere nel fatto che scoprisse quello che stava succedendo fra loro vedendolo coi propri occhi.
Era una questione di pericolo e ansia.
Una questione di rischio.
Del desiderio di Maes di attirare Sheska sempre più dentro alla sua vita, e di quello gemello di Sheska di spingersi sempre più in là nella vita di Maes.
Fino a potersi illudere di essere una coppia normale.
Normali sposini che lo fanno in studio per rendere la cosa un po’ più piccante e meno monotona. Come mille altre comunissime coppie.
Ma la comunissima coppia non era la loro.
La comunissima coppia non avrebbe mai potuto essere la loro.
E quindi, se da un lato quell'illusione era consolante, da dolce presa in giro qual era, dall'altro lato era tremenda. Era la sua stessa natura illusoria, a renderla tale. La sua insostenibile leggerezza. Quel senso di vuoto e inutilità che avvolgeva e sfumava i contorni di tutto quello che facevano, di ogni parola che si dicevano, di tutti i gemiti e di tutte le carezze. La chiara sensazione di trovarsi su un castello di carte. Di aver paura di restare sepolti sotto chili e chili di inutili ricordi, quando il castello fosse crollato, per un colpo di vento o per la semplice forza di gravità.
Ma a Sheska bastavano le illusioni. Aveva imparato a farsele bastare giorno dopo giorno, mese dopo mese, con pazienza e stoico sacrificio.
E a Maes bastavano le bugie. Aveva imparato a dimenticare come ci si sente in colpa dopo averle dette, anche lui sacrificando buona parte di ciò che era ed era stato. Diventando un altro uomo.
Eppure lo stesso di sempre.
La stessa folle voglia di amare, di donarsi, di farlo gratuitamente, per il puro piacere di vedere un sorriso riflesso nel volto di una persona cara, e per l'orgogliosa consapevolezza di esserne il motivo.
E quindi si tenevano in bilico, in bilico sulla cima aguzza del castello, tenendosi stretti per mano e cercando di bilanciare il peso da un lato e dall'altro per ritardare la caduta di attimo in attimo, sperando di reggere il più a lungo possibile, senza stancarsi, annoiarsi o esasperarsi prima.
Il segreto li univa in un abbraccio intimo e pericoloso.
Era il loro collante.
Svolgeva bene il suo lavoro.
Ed entrambi erano sicuri che sarebbe durata.
Ne erano davvero sicuri.
Solo che... la fretta, la fame, il desiderio, l'entusiasmo... soprattutto quando eccessivi... sono cattivi consiglieri. Sono quegli amichetti bastardi che ti spingono ad assalire le labbra dell'oggetto del tuo desiderio senza pensarci su più di mezza volta. Quegli amichetti bastardi che non ti fanno riflettere, mentre spingi chi ami su una scrivania e lo spogli con la foga di un assetato di fronte a un'oasi nel deserto. Gli stessi amichetti bastardi che fanno del tuo raziocinio una pezza bucherellata, ed eliminano completamente dai tuoi bisogni primari quello di chiudere a chiave la dannata porta, prima di gettarti a capofitto nella stretta calda e sfiancante dell'amore.
Glacier non si lasciò sfuggire un fiato, entrando discretamente nello studio. Non lasciò cadere il vassoio col caffé per lo stupore. Non gridò. Non pianse.
Rimase immobile, piantata sulla soglia, le mani strette attorno alla porcellana e i lineamenti rigidi.
E se Sheska si accorse di lei fu solo perché Maes, giocando, le fece il solletico, e lei, ridacchiando, aprì gli occhi per rimproverarlo scherzosamente.
Non si aspettava che la sua visuale sarebbe stata investita da una donna sull'orlo del crollo.
Non si aspettava che la sua visuale sarebbe stata investita dalla condanna a morte della felicità che aveva vissuto fino a quel momento.
- Maes! - riuscì a gridare, sputando fuori il suo nome come un boccone indigesto.
Lui si fermò e la guardò negli occhi.
E vi lesse tutto quello che c'era da leggere.
Glacier rimase a lungo in silenzio, e sia lui che Sheska rimasero per tutto il tempo immobili nelle loro posizioni.
Poi, sua moglie si lasciò sfuggire un singhiozzo sofferto e dirompente.
- Non c'è bisogno che facciate la fatica di separarvi. - commentò acida, facendo un passo indietro e richiudendo la porta.
Solo allora Maes riprese a respirare, abbassando lo sguardo e coprendosi gli occhi con una mano.
E lei avrebbe voluto dire qualcosa. Avrebbe voluto consolarlo dolcemente, possiamo farcela insieme, non impazzire, non piangere, fermiamoci e pensiamo un po', che una soluzione la troviamo, e riportarlo bruscamente alla realtà, in fondo lo sapevi che sarebbe successo, è inutile farne un dramma, è inutile pentirsi e sono inutili le scuse, fronteggiamo questo disastro da adulti, se lo siamo veramente.
Ma qualsiasi commento sarebbe stato inutile. Qualsiasi consiglio. Qualsiasi incitamento.
Perciò si sporse verso di lui. Lo accarezzò lentamente sul volto, sentendo sotto le mani la barba corta e ispida e riempiendosi di tenerezza nell’osservarlo risollevare il capo e guardarla come in cerca di una benedizione, o del perdono divino. E nascose le lacrime che, prepotenti, spingevano per scivolarle lungo le guance, schiacciandosi contro il suo collo e abbracciandolo stretto, strettissimo, con la ferma intenzione di non lasciarlo più andare. E anche lui le si ancorò addosso, stringendola in vita e sprofondando con la fronte sulla sua spalla, mordendosi le labbra al punto da tremare per il dolore.
- Dobbiamo andare di là. – le disse, stringendola più forte, - Dobbiamo per forza.
Sheska annuì, silenziosa.
- Altri due minuti. – aggiunse poi, deglutendo a fatica.
Lei annuì ancora.
- …faccio schifo. – concluse infine, scoppiando a piangere così rumorosamente che Sheska ebbe paura le potessero esplodere i timpani.
E scosse il capo, sperando di trasmettergli tutto il suo affetto, e tutto il suo rispetto.
Inutile, inutile, inutile.
Ma necessario, assolutamente necessario.

*

Nella Glacier accucciata sul divano, stretta su sé stessa, raggomitolata come un gattino addormentato, non rimaneva niente della donna fredda e fiera che aveva affrontato la vista del suo uomo che la tradiva con uno sguardo gelido ed acide parole di scherno.
Era… semplicemente tornata Glacier. Debole, fragile, remissiva.
- Non posso credere che proprio tu abbia fatto una cosa del genere.
Spaventata.
- Perché mi hai fatto questo, Maes…?
Così bella, fra le lacrime.
Già così piena di nostalgia, come un ricordo lontano.
- Non dici niente?
Scosse il capo, stringendo teso labbra e pugni.
- E tu?
Anche lei tacque, scomparendo fra le proprie spalle e nascondendosi dietro la frangetta.
Glacier sospirò, passandosi una mano sugli occhi.
- Dovete solo ringraziare che ad entrare sia stata io e non Elysia. Se vi avesse visto lei- Dio. Sono senza parole, dico davvero, Maes.
Lui deglutì, fissando per terra.
- Maes… - lo richiamò lei, voce dolcissima e dolcissimo profumo in avvicinamento, - tesoro, io ti amo, ti amo da impazzire. Ti prego, chiudi questa storia, sistema tutto, fa’ tornare tutto come prima. Per me. Per la bambina. Ti prego.
E mentre Sheska si abbandonava alle lacrime, nascondendo il viso fra le mani, seppellendosi sotto quintali di vergogna, e tristezza, e senso di impotenza, lui guardò sua moglie. E si sentì distrutto e colpevole.
Ma poggiò una mano sulla spalla della sua amante.
Sostenne lo sguardo di Glacier.
Deglutì.
- Sono innamorato di lei. – disse, - Mi dispiace.
Glacier indietreggiò di scatto, come si fosse scottata, stringendo le mani sul petto.
- Non puoi dire sul serio…
- Mi dispiace.
- Non puoi dire sul serio!
- Glacier-
- Fuori! – strillò lei, senza lasciarlo finire, afferrandolo per un lembo della camicia e strattonandolo, - Va’ fuori di qui! Non voglio vederti mai più! Sparisci!
Pietrificata sul divano, Sheska non ebbe la forza di dire una parola.
- Posso… posso salutare Elysia? – chiese Maes.
Glacier lo schiaffeggiò.
- Non ti permettere mai più. – concluse.
La discussione era finita.
La storia era finita, almeno per come era stata fino a quel momento.
Maes si alzò in piedi.
Sheska lo seguì.
Il sole era ancora alto, quando uscirono dalla casa, e a Sheska sembrò ironico che gli ultimi mesi della sua vita potessero essere andati in fumo nello spazio di un paio d’ore. Ironico e crudele.
- Cosa facciamo adesso? – chiese a Maes, sperando lui non si infuriasse con lei, spiegandole per l’ennesima volta che non aveva il diritto di chiedergli una soluzione ogni volta che si presentava un problema.
- Posso stare da te per un po’? – chiese lui di rimando, pacato, fissando dritto davanti a sé mentre ancora le stringeva una mano attorno alla spalla, camminando.
- Puoi stare quanto vuoi! – annuì lei, con foga, stringendoglisi contro.
Rimasero in silenzio, camminando lentamente, allacciati insieme senza neanche guardarsi.
- Mi dispiace. – disse lei dopo un po’, aggrappandosi con forza alla sua camicia.
- Non dispiacerti. – la rassicurò lui dolcemente, tentando di sorridere ma senza aver trovato il coraggio di guardarla, - Sapevo che sarebbe successo. Touka koukan, scambio equivalente. Sapevo che avrei dovuto rinunciare a lei per avere te.
Ammirandolo per la sua forza, per la sua determinazione, per l’onestà che ancora riusciva indomita a brillare tra le tende di pesante velluto delle sue bugie, Sheska si ricordò del significato del termine che aveva usato.
Lo scambio equivalente era la legge principale dell’alchimia.
Nulla può essere ottenuto se non dando in cambio qualcosa di pari valore.
Ogni trasmutazione deve essere effettuata seguendo questa regola.
…ma lui non era un alchimista, e quella non era una trasmutazione.
Era solo la sua vita che andava in pezzi.
E lei si chiedeva se sarebbe stata abbastanza brava a rimetterli insieme, o se durante lo scambio, dopotutto, non fosse Maes quello che aveva perso di più.
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