Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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GROUNDLESS
Capitolo 3
Nothing is plainly negative


“Niente è completamente negativo.”
S'era aggrappata a quella frase come ad un "ti amo". Era stato lui, a dirgliela, dopo un pomeriggio piovoso passato a rotolarsi nelle loro voglie su qualsiasi superficie praticabile dell'ufficio.
Sinceramente, quell'esplosione di passionalità fra loro due l'aveva stupita. Un po' perché non lo vedeva molto appassionato, come tipo. Un po' perché anche lei non è che fosse tutto questo granché, in questo senso.
Va be', un po' anche perché non sperava affatto che un giorno potesse davvero succedere qualcosa fra loro due. Ma questa, che fino a qualche tempo prima per lei era stata una realtà così inoppugnabile da farle male alla testa, come stesse dando testate a una superficie solida, a tre settimane di distanza dalla loro prima volta era diventata un ricordo così lontano da sembrare finto.
Ormai da quasi un mese, non erano più colleghi. Non lavoravano neanche, quando stavano nella stessa stanza. Non riuscivano. E se anche la loro mente non fosse stata presa com’era da tutti i desideri che si accavallavano nello spazio vuoto fra i loro corpi, sarebbe stata talmente satura di rimpianto e pentimento da risultare irrespirabile, e non avrebbero potuto lavorare comunque.
Quel pomeriggio… santo cielo, ricordava ancora le acrobazie che avevano dovuto fare perché il tenente Havoc non li scoprisse ancora mezzi nudi per terra, scomposti, affannati e imbarazzati come ragazzini.
Quel pomeriggio s’era fatta prendere dai sensi di colpa. Inaspettatamente, e tutto sommato senza un motivo. Cioè, il motivo era chiaro, proprio lì davanti ai suoi occhi, il motivo era la fede nuziale di Maes, ma quello era il motivo generale, il motivo che si portava dentro ventiquattro ore su ventiquattro. Era il suo motivo di sempre. Ma il motivo per cui, proprio quel pomeriggio, dopo l’ennesima carezza audace, si fosse scostata, triste come mai, e si fosse rincantucciata in un angolo sotto la scrivania, con lo sguardo di Maes a chiederle se fosse pazza, fissandola insistentemente pochi metri più in là, quel motivo contingente non esisteva. Solo, le venne voglia di fargli sapere che per lei non era tutto a posto. Che il fatto che si fosse abbandonata al suo corpo non voleva dire che ora fosse soddisfatta o tranquilla, né tantomeno che si sentisse felice.
Lui le si era avvicinato, gattonando, recuperando dal tavolo gli occhiali che aveva sfilato prima che cominciassero a fare l’amore, e le si era seduto accanto.
- Che hai? – le aveva chiesto, accarezzandola delicatamente su una spalla.
Lei s’era ritratta lievemente. La cosa l’aveva rattristato. Lei aveva cominciato a piangere. Lui si era scusato. E quando lei gli aveva chiesto perché lo stesse facendo, per quale motivo le stesse chiedendo scusa quando era stata lei a dare il via a quell’allucinante situazione, lui le rispose semplicemente che lei stava male, che il motivo era lui e che quindi scusarsi gli sembrava la cosa più giusta da fare.
- Non è la cosa più giusta da fare. – aveva borbottato lei, lievemente infastidita, - La cosa più giusta sarebbe mollarmi, e tornare da Glacier. O lasciare lei e venire da me.
Lui s’era incupito.
- Non posso farlo, questo. Nessuna delle due cose. Non ancora, almeno. Non è il momento.
- E cosa aspetti, una benedizione? Una rivelazione? – aveva sbottato lei, furiosa, stringendo i pugni.
- No. – aveva risposto lui tranquillamente, senza guardarla, - Aspetto il coraggio.
E lei s’era sentita di una debolezza, ma di una debolezza… così opprimente da volersi lasciare andare, e lasciar perdere tutto. Così impotente. Così colpevole. Così imprigionata. Così felice di esserlo.
Si era appoggiata alla sua spalla, sistemandosi in modo da aderire completamente al suo corpo. Lui aveva chinato il capo su di lei, sfiorandole la fronte con una guancia ruvida. Poi aveva spalancato le braccia, come faceva sempre, accogliendola in un abbraccio protettivo da padramante che aveva il potere di commuoverla fino a farla sentire sfinita.
- So che può sembrare assurdo dirlo adesso… - gli aveva bisbigliato in un orecchio, rassegnata, - ma stiamo facendo una cosa terribilmente sbagliata, Maes. È sbagliata da qualsiasi prospettiva la si guardi.
Lui le aveva sorriso, condiscendente, scuotendo il capo.
- Niente è completamente negativo. E io non ho bisogno di sforzarmi per trovare cosa c’è di buono nella nostra relazione.
Lei aveva sollevato il capo, guardandolo. Aveva abbozzato un accenno di sorriso colmo di gratitudine, e in quel momento qualcuno aveva bussato alla porta, e il tenente Havoc aveva annunciato che il colonnello Mustang voleva vedere immediatamente il colonnello Hughes.
Sheska s’era separata da lui e s’era tirata in piedi, rassettandosi alla bell’e meglio, sperando che lui non si facesse saltare in testa di entrare. Anche Maes s’era ricomposto, e prima che Havoc potesse tentare un’incursione l’aveva spinta a sedersi dietro la scrivania ed era andato ad aprire la porta, sistemandosi gli occhiali sul naso.
- Arrivo subito. – aveva detto frettolosamente al biondo oltre la soglia, fermando a mezz’aria il pugno che si preparava a bussare ancora.
- Ah, perfetto. – aveva detto Havoc, sorridendo, l’immancabile sigaretta a ballare fra le labbra, - Vado a dirlo al Colonnello.
Dopo un distratto e informale saluto militare, il biondo era scomparso nel corridoio. Maes s’era voltato un attimo indietro, per guardarla, ma lei si era già rituffata nella trascrizione del millesimo caso successivo, e non ricambiò l’occhiata.
*

Roy Mustang era un dannato pettegolo curioso.
Nei lunghi anni in cui s’erano frequentati aveva avuto modo di vedere milioni di espressioni sul viso di quell’uomo. L’espressione depressa, l’espressione felice, quella megalomane, quella strafottente e perfino, un paio di volte, quella spaventata. Ma quello, decisamente, era un lato di lui che non aveva mai avuto modo di conoscere. Probabilmente anche perché non gliene aveva mai dato l’occasione.
- E’ chiaro che ti ordino di informarmi su qualsiasi progresso relativo alla missione.
- Ma quale missione, cretino?! – sbottò, infuriato, dopo un’ora di panegirico incentrato sull’argomento “L’importanza dei migliori amici nei momenti di bisogno – come ad esempio quando sei depresso perché tradisci tua moglie, ti stai innamorando e ti senti una merda”.
- Quella che poco fa abbiamo convenuto di chiamare “missione risoluzione d’amore”!
- Quella che tu hai deciso di chiamare con un nome tanto idiota, senza che io ti stessi neanche ascoltando!
- Non stavi ascoltando?!
- Come avrei potuto?! Straparlavi!
Riza Hawkeye sbatté un pugno sulla sua scrivania. I due uomini, completamente dimentichi della sua presenza – quella donna era la personificazione nella discrezione, accidenti a lei – si voltarono a guardarla, esterrefatti da una tale improvvisa dimostrazione di stizza.
- Non è appropriato che due militari facciano un baccano simile. – disse lei, compitamente, senza staccare gli occhi dai documenti che aveva fra le mani, - Dovreste ricomporvi, signori.
- Tenente, lei non capisce. – disse Roy, col fuoco negli occhi, - Si tratta di affari importanti.
Riza alzò lo sguardo, fissandolo negli occhi del suo superiore, fronteggiandolo con uguale intensità e ostinazione.
- Si tratta di affari importantissimi, signore, sì, ma per il Colonnello Hughes. Non vedo come la cosa dovrebbe interessare lei.
- Tenente! Vuol dire che neanche lei ha seguito il mio discorso sull’importanza dei migliori amici in situazioni come queste?
- A dire la verità, signore, - sospirò Riza, - l’ho seguito con attenzione, ma l’ho trovato un’insieme di corbellerie di ragguardevoli dimensioni.
- COSA?!
Dopodichè Riza cominciò ad esaminare ogni frase precedentemente detta dal suo superiore, dando prova di invidiabile puntualità, invidiabile attenzione e soprattutto invidiabile pazienza. Fu abbastanza convincente da zittire Mustang, almeno. Ma Maes non ascoltò neanche una parola. Preferì isolarsi, chiudersi nel suo cervello, dove lui e Sheska erano felici insieme, e nello stesso momento, come fosse normale – come fosse possibile – lui, Glacier e la piccola Elysia continuavano a vivere la loro vita perfetta, stretti in un rassicurante abbraccio di amore puro e incondizionato.
- E per quanto riguarda lei, Colonnello Hughes.
Le voce di Riza rimbombò nel venticello fresco del suo mondo perfetto, riportandolo alla realtà.
- Signore, non dovrebbe farsi tirare in discussioni simili dal Colonnello Mustang. Ormai lo conosce. Lasci perdere.
L’evidente – ma, in qualche modo, affettuosa – mancanza di rispetto fece infuriare Roy, che ricominciò a cercare di far valere le sue ragioni esibendo ragionamenti strampalati senza né capo né coda.
Decise di fuggire da quel manicomio prima di farsi contagiare dalla follia del momento.
- Hughes! – gli gridò Roy, fermandolo, prima che potesse uscire, - Cerca di risolverti. Quello che volevo dire oggi, prima che fraintendeste il mio discorso, era che devi fare un po’ di chiarezza in quel casino che ti ritrovi al posto della testa. E che se ti serve una mano per sbrogliare la matassa, sai a chi rivolgerti, per quello che vale.
Riza annuì, alle sue spalle, come a dire che anche lei si riteneva parte del gruppo di supporto Maes appena nato.
Lui sorrise, varcando la soglia.
Valeva, valeva sì.
*

- Tenente Hawkeye…?
Sheska la guardò stupita, qualche metro accanto a lei, stringendosi nelle spalle.
- Buonasera Sheska. – sorrise lei, affabile, avvicinandosi.
- Anche lei lavora fino a tardi? – ridacchiò la ragazza, riprendendo a camminare.
- Be’, sì. Abbastanza spesso. – annuì lei, imitandola.
Camminarono l’una a fianco dell’altra, in silenzio, per un bel po’.
Sheska era a disagio, probabilmente aveva intuito che lei sapeva tutto della sua relazione con Hughes. Si sentì in dovere di rassicurarla.
- Puoi stare tranquilla, sai?
Sheska la guardò, arrossendo.
- Oh… grazie. So che non lo direbbe mai a nessuno…
- Sì, ma non mi riferivo a questo. È ovvio che non lo dirò mai a nessuno. Dicevo, puoi stare tranquilla con me. Non intendo giudicare te, o lui, o voi, in nessun modo.
Sorrise tranquilla, e Sheska fece lo stesso, finalmente rilassata.
- Io… la ringrazio, tenente. Davvero. È importante, per me.
- Inoltre, avete tutta la comprensione e l’appoggio del Colonnello Mustang… a suo modo.
Le mise una mano sulla spalla.
E Sheska si stupì di come una donna che aveva sempre considerato fredda e autoritaria potesse dimostrarsi così… be’, adorabile. E basta.
- Tu e il colonnello Hughes siete in una botte di ferro, almeno fino a quando non vi deciderete a fare un passo avanti.
Si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo.
- Se mai questo dovesse avvenire, un giorno. – commentò un po’ acidamente.
Riza sorrise.
- Avverrà. Nel bene e nel male, è una cosa di cui non puoi dubitare.
Aveva ragione.
Annuì.
Si lasciò accompagnare a casa, continuando a godere della calda, luminosa e rassicurante presenza del tenente al suo fianco.

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