Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
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GROUNDLESS
CAPITOLO 5
GROUNDLESS


La verità era semplice e lineare.
La verità lo è sempre.
Provava dei sentimenti. Che non poteva ignorare. No, che non voleva ignorare. Perché? Perché era un egoista innamorato, ecco tutto. Voleva Sheska. Ma non voleva lasciare Glacier. Perché? Perché era uno stupido codardo, ecco tutto.
Domanda: riteneva importante che le cose cambiassero?
Risposta: proprio no.
L’unica cosa che gli dispiaceva era che ci andassero di mezzo persone a lui care, ma doveva semplicemente arrendersi al fatto che la sua situazione era quella e a lui piaceva così. Ci si trovava bene, ci stava comodo, e anche i rimorsi di coscienza non erano poi così insopportabili, a dirla tutta.
D’altronde, “il senso di colpa” era una cosa assolutamente soggettiva. Una cosa che dipendeva solamente dalla prospettiva.
Bastava cambiare la visione delle cose. Poteva interpretare il senso di colpa come la tristezza causata dal fare del male alle persone care. E soffrire, certo. Oppure poteva interpretarlo come la tristezza causata dall’infliggere qualche privazione a sé stesso. E in questo senso non aveva proprio nulla da rimproverarsi.
Ed ecco che in un batter d’occhio, puff, i sensi di colpa erano spariti.
Per quello che poteva servire.
Si sollevò stancamente dal letto, mettendosi seduto e guardandosi intorno con aria circospetta. Glacier dormiva ancora profondamente, avvolta fra le coperte, con un beato sorriso sul volto. Invece, Elysia durante la notte s’era arrampicata ai piedi del letto e lì s’era accucciata e assopita, stringendo fra le dita la punta del suo piede sinistro. Era un vizio che aveva preso ultimamente, da quando avevano cominciato ad usare il condizionatore, che invece in camera sua non c’era. La piccolina sembrava adorare il clima fresco.
Era un vizio che doveva farle scomparire al più presto.
Per ogni eventualità.
Liberò il dito dalla presa molle della bambina e mise un piede per terra, rabbrividendo al contatto col pavimento ghiacciato e andando a tentoni alla spasmodica ricerca della sua pantofola.
D’improvviso, provò un assoluto bisogno di accucciarsi nuovamente fra le lenzuola e dormire fino all’indomani.
Poi scosse il capo.
In piedi, Maes. Oggi è una giornata importante.
Hai un mucchio di cose da fare.

*

Sorseggiò annoiata il caffellatte, guardando fuori dalla finestra e aspettandosi una sua apparizione da un momento all’altro per un periodo di tempo che le sembrò infinito. Incredibile quanto possano essere lunghi i minuti quando non dormi la notte e sai che quando ti sveglierai accadrà qualcosa di sconvolgente, che ti cambierà la vita, e che tu hai desiderato con terrore fino a quel momento, al punto che quasi sei convinta di non aver mai desiderato nient’altro a parte quello.
Lanciò uno sguardo ansioso all’orologio a muro – erano le otto e mezza – e poi si guardò intorno e sospirò.
Quella casa era un dannato casino.
Libri ovunque, sul tavolo, sul pavimento, appesi ai muri – quand’è che li ho appesi ai muri, santo cielo? – un disastro. Non avrebbe dovuto preoccuparsi tanto, in fondo Maes aveva già visto il peggio di quell’appartamento, la prima volta che vi era entrato.
Solo che allora era il tenente colonnello Hughes e nient’altro.
Quindi sì, effettivamente poteva anche permettersi di preoccuparsi, e fare un po’ la ragazzina vergognosa che non vuole far vedere al suo ragazzo quanto sia disordinata.
Poi squillò il campanello, e d’improvviso ogni pensiero scivolò via in un sorriso, e volò letteralmente verso la porta, spalancandola. Maes stava in piedi, stretto nel suo cappotto, le mani in tasca, gli occhiali calcati sul naso e un imbarazzato sorriso sul volto.
- Ciao. – mormorò lei, agitata, scostandosi dall’uscio per farlo entrare.
Il sorriso dell’uomo si allargò un pochino, e lui mosse qualche passo verso l’interno dell’appartamento, prima di fare una cosa che la sconvolse e la mandò in paradiso. Si chinò su di lei e la baciò lievemente sulle labbra.
Imbarazzata, lei si tirò indietro, arpionandolo per un braccio e trascinandolo all’interno della casa.
- Che combini?! – si lamentò, chiudendo la porta, - Avrebbe potuto vederti qualcuno!
Lui ridacchiò, guardandosi intorno.
Aveva un’aria allegra.
- Sheska, è domenica mattina, chi vuoi che mi vedesse?
Aveva ragione anche lui.
Sospirò, guardandosi intorno alla ricerca di un posto qualsiasi per farlo sedere.
C’era un sola sedia libera, quella dove era seduta lei prima che lui entrasse. Ricordava perfettamente di avere una poltrona, da qualche parte, ma doveva essere sepolta da qualche parte sotto i volumi della storia illustrata di Central, e le altre sedie… le altre sedie le aveva mai avute…?
Imbarazzata lo invitò ad accomodarsi sull’unica sedia disponibile, utilizzando come scusa il fatto che comunque voleva preparare un po’ di caffé e perciò non si sarebbe seduta per un bel po'. Lui annuì silenzioso e si sedette, giungendo le mani sul tavolo e aspettando che lei finisse di armeggiare con moka e tazzine.
- Zucchero?
Maes scosse il capo, trattenendola per il polso nel momento in cui lei sembrò intenzionata a voltarsi nuovamente verso il cucinino per prendere il barattolo.
- Sheska. Ti… ti ho detto già ieri che volevo parlarti. Potresti… non so, sederti e ascoltare?
Lei sorrise imbarazzata.
- Ecco, non credo di avere altre sedie. – disse ridacchiando, - Però se aspetti un attimo raccolgo un po’ di libri di quelli grossi e faccio una pila qui…
Lui trattenne a stento una risata, trascinandola per il polso vicino a sé e obbligandola a sedersi sulle sue ginocchia.
- Ascolta, adesso.
Imbarazzata, annuì, stringendo le mani in grembo.
- Allora, senti, ho riflettuto molto. Tra ieri e stamattina, dico.
- Be’, di sicuro ti prendi il tuo tempo per riflettere. – ridacchiò lei, appoggiando il capo nell’incavo del suo collo.
- Dai, non mi interrompere. – sorrise lui, accarezzandole i capelli, - E’ già abbastanza difficile dirti quello che devo dirti.
Lei ebbe un tremito, e si irrigidì.
- Che intendi?
Maes prese un enorme sospiro, stringendola.
- Devo chiederti un enorme favore.
Sheska tacque, rimanendo in attesa, stringendo le labbra.
- Io sono davvero innamorato di te. Davvero. Devi credermi. Però non posso lasciare Glacier. Non… non ancora, almeno. Non posso lasciare Glacier e non posso lasciare Elysia, non posso uscire da quella casa, capisci? E per non uscire da quella casa questa relazione deve rimanere segreta
- …
- Questo non deve farti pensare che io ti ami meno di quanto amo Glacier. Dio, non so neanche come spiegarlo a parole, e so che è un discorso da stronzi-
- Sì. – sospirò, socchiudendo gli occhi, - Sì, Maes, è un discorso da stronzi. Ma l’ho già accettato, quindi va’ avanti e di’ ciò che devi.
Ancora, Maes sospirò.
- Devo chiederti di fare un sacrificio, e restarmi accanto.
- …tipo come un’amante?
- Mh.
- Un’amante regolare?
- Mh.
- L’unica con cui farai l’amore.
- …ecco… Sheska, mia moglie…
- …
Lui sembrò immaginare che quello non fosse il momento di perorare la causa dei diritti coniugali di Glacier.
- Voglio dire… - rettificò, - cercherò di fare il possibile per rimanerti fedele almeno in questo senso.
Sheska abbassò lo sguardo, aggrappandosi al suo cappotto.
- Però… è una condizione temporanea, vero? Cioè… magari fra qualche anno…
- Io non lo so, Sheska. Potrebbe cambiare tutto fra due giorni, fra due mesi, fra due anni o magari mai. Insomma, come puoi pretendere che possa darti davvero una soluzione?
- Be’, - protestò irritata, - dal momento che si tratta della mia vita e del mio futuro, scusa se ti chiedo una qualche rassicurazione o una qualche garanzia…
- Ma è proprio questo il problema, Sheska. - sospirò lui, - Io non posso darti niente di tutto questo. Né rassicurazioni, né garanzie. Posso solo giurarti di dire la verità e chiederti di stare al mio fianco. E' tutto quello che ho, e te lo offro.
Detestava la sensazione di non avere scelta, davanti a lui.
Si morse il labbro inferiore.
- Be', immagino dovrei considerare una fortuna già il fatto che non mi mentirai. Intendo, sarò una delle poche...
Lui annuì.
- Non che questo mi renda entusiasta, comunque. - precisò, fissandolo minacciosa negli occhi, - E sappi che non potrò sopportarlo per sempre. Quindi se stai pensando di adagiarti sugli allori e... e fare lo stupido per sempre... - disse, deglutendo a fatica, - Puoi scordartelo. Pretendo ancora che trovi una soluzione.
- E-Ehi... un attimo... che diavolo significa che pretendi una soluzione da me?!
Sorrise, circondandogli il collo con le braccia e mettendosi a cavalcioni sulle sue ginocchia.
- Sei tu che mi stai trascinando nel guaio, tesorino. E' il minimo che possa pretendere da te.
- ...mi sembra che tu abbia una panoramica un po' parziale di quello che è successo fra noi... - si lamentò, guardandola con diffidenza.
- No no. - ridacchiò lei, baciandolo lievemente sulle labbra, - Colpa tua. Prenditi le tue responsabilità.
Maes chiuse gli occhi e la baciò, stringendola alla vita.
- E va bene. - disse sorridendo, - Anche se è una cosa assurda, mi prenderò le mie responsabilità.
Stringendolo fra le braccia, lì, in mezzo a tutti i libri, stringendolo forte mentre facevano l'amore, e anche dopo, anche mentre lui le diceva "dai, devo andare, Sheska, combineremo un casino", lei pensò che tutto quello che stava succedendo non aveva il minimo senso.
E invece lei era felice come se ce l'avesse. Come se ogni cosa che stava succedendo fosse destinata ad avere il suo perché, a risolversi in qualcosa di buono, alla fine.
- Sono fiduciosa. - gli bisbigliò in un orecchio, un attimo prima di lasciarlo andare.
- Riguardo a cosa in particolare? - chiese lui issandosi sui gomiti e guardandola negli occhi.
- Mah. Sinceramente non lo so. - rise lei, chiudendo gli occhi. - Non ho completa fiducia neanche in te, in realtà...
- ...ehi...
- Però in generale sono fiduciosa.
E probabilmente quella serenità era solo un retaggio della gioia che provava in quel momento, perché lui le aveva detto di amarla e le aveva chiesto di restargli accanto ed era stato terribilmente romantico, per quanto terribilmente bastardo, ma...
Sì, poteva andare.
Poteva, decisamente.
*

- Sheska, datti una mossa, non abbiamo ancora finito oggi!
Un po' sconvolta dalle sue repentine azioni - s'era alzato in piedi, aveva recuperato i vestiti, aveva buttato all'aria mezzo appartamento, imprecando, alla ricerca dei suoi occhiali, s'era sistemato i capelli perché non sembrasse si fosse appena alzato dal letto e infine era andato in giro qua e là cercando disperatamente il cappotto che non ricordava più di aver gettato per terra quando se l'era tolto - Sheska si mise seduta e lo guardò.
- Come sarebbe a dire "non abbiamo ancora finito"? - chiese, sistemandosi a sua volta gli occhiali sul naso, - Stavamo lavorando e non me ne sono accorta?
- Che c'entra? - chiese lui, guardandola come fosse appena caduta dal cielo.
Si alzò in piedi, sbuffando e afferrandolo per il bavero della giacca, costringendolo a guardarla negli occhi.
- No, perché se stessimo lavorando potresti tranquillamente ordinarmi di darmi una mossa. Ma qui, signor "non posso lasciare mia moglie ma ti amo e devi credermi", siamo in casa mia, quindi cerchiamo di non far tanto i tenenti colonnelli, ok?
Intimorito, lui si tirò un po' indietro, mettendo le mani avanti.
- Ok, ok... non essere così suscettibile, però...
Lei lo lasciò andare, chiudendo la zip dei jeans e mettendo una mano sul fianco.
- Manterrò almeno il mio diritto alla suscettibilità, spero! - si lamentò, guardandolo con diffidenza.
Si fissarono negli occhi per un lungo, lunghissimo momento.
Prima di scoppiare a ridere come due cretini.
- Sheska, siamo ridicoli... - commentò Maes asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi.
- Non riusciamo neanche a litigare come le persone normali! Cielo! - annuì lei, continuando a ridere a crepapelle.
Poi lui la prese per mano.
- Andiamo. - le disse.
- Dove? - chiese lei, anche se in realtà non le avrebbe fatto alcuna differenza anche se avesse risposto "dall'altro lato del mondo".
- Ma è ovvio. - rispose lui con naturalezza, - Da Mustang.
A quel punto, Sheska sentì che forse, invece, avrebbe dovuto importarle di più.
- P-Perché...?
- Come perché? Dobbiamo parlare. Quei due sono gli unici che sappiano tutto della situazione, e...
Quei due?, pensò Sheska di sfuggita, cercando qualcosa da dire per fermare il suo blaterare.
- Sì, ma Maes... sono... le dieci del mattino, è domenica, non pensi che potremmo essere...
- ...inopportuni...?
- Eh.
Lui sembrò rifletterci per qualche secondo.
Poi sorrise, agitando una mano.
- Ma va'! - rispose allegramente, tirandola per una mano fuori dall'appartamento.
Ma Sheska avrebbe dovuto sospettare che in realtà lui stesse solo cercando di ignorare la dannata certezza che lo sarebbero stati. D'altronde, era la cosa che sembrava riuscirgli meglio, ignorare i problemi.
- Maes Hughes, tu morirai!- ululò il colonnello Mustang spalancando la porta di casa sua e contemporaneamente afferrando l'uomo per la gola, mentre, un metro più in là, Sheska si copriva il viso, imbarazzata dal vederlo apparire in mutande.
- Mustang! - disse Maes cercando di fermarlo, - Ne parleremo dopo! Adesso facci entrare!
La strada stava cominciando a farsi popolata.
Reprimendo la sua ira, Roy si scostò dall'uscio e li lasciò entrare, richiudendosi la porta alle spalle e tornando a cercare di strozzare Maes mormorando "adesso risolviamo una volta per tutte questa questione" in maniera davvero inquietante.
Fu in quel momento che Riza decise di apparire sulle scale, stropicciandosi gli occhi col dorso di una mano, i capelli sciolti sulle spalle e solo una camicia - probabilmente neanche sua - addosso.
Sheska, sconvolta dall'inaspettata apparizione, si limitò a schiudere le labbra e spalancare gli occhi, indicandola.
- Ah... - riuscì appena ad articolare, spostando lo sguardo su Roy, il quale la guardò a sua volta, ma senza per questo premurarsi di liberare il collo di Maes.
- Ah. - constatò l'uomo, sentendosi beccato in flagranza di reato e decidendosi a liberare l'amico.
- Ah... - si lamentò Maes, stringendosi la gola fra le mani e rimettendosi in piedi.
Tutti gli sguardi si spostarono su Riza, ancora in cima alle scale.
La donna guardò in basso, la sua platea improvvisata di occhioni spalancati e sguardi evitanti.
- ...ah? - si limitò a chiedere, con uno stentato sorriso sul volto.
Maes ritornò in sé, schiarendosi la voce e battendo teatralmente le mani per riportare l'attenzione su di sé.
- Sheska, Roy e Riza stanno insieme. - svelò con tono grave.
- Saranno pure fatti nostri. - sibilò il colonnello, guardandolo di sbieco.
- E comunque è una semplificazione, colonnello Hughes. - puntualizzò Riza dandosi una sistemata e scendendo le scale.
Maes scrollò le spalle, sbuffando.
- Sono pro-semplificazioni, da oggi in poi. Potreste stupirvi di quanto sia facile la vita quando si semplificano le cose che sembrano complicate.
- Oh, non mi stupirei affatto, colonnello. - sorrise Riza, - Solo dovrebbe capire che semplificando le cose si rischia di non vederle più per quelle che sono realmente.
- Ovvero un dannato casino. - tagliò corto Roy, incrociando le braccia sul petto. - E adesso ti vuoi dare una mossa e spiegare il perché di questa gradita visita?
- Ah, sì! - disse Maes con entusiasmo, come ricordandosi solo in quel momento di avere un cervello, - Volevo solo chiedervi di essere i padrini della nostra relazione segreta!
Roy e Riza lo guardarono a lungo, scioccati.
- Prego...? - riuscì a chiedere la donna, solo qualche secondo dopo.
- Ecco... - spiegò Maes, incrociando le braccia sul petto, - voi siete gli unici che sanno tutto della situazione. E siete gli unici che continueranno a saperlo da oggi in poi.
- Cioè, nel senso... fammi capire, Maes. - mormorò Roy massaggiandosi stancamente le palpebre, - Avete deciso di portarla avanti?
- Esattamente. E siccome ci rendiamo perfettamente conto che non sarà una cosa facile...
L'uomo lasciò la frase in sospeso, attendendo una reazione dai due che ancora lo guardavano come fosse pazzo.
Non sarà una cosa facile? Diamine, no che non sarà facile.
Mustang sospirò, incrociando a sua volta le braccia e scrollando lievemente le spalle.
- Immagino che non si possa fare altrimenti. Avrete il mio aiuto. E la mia copertura.
Riza lo fissò per qualche secondo, probabilmente leggendogli nella mente. Poi si voltò verso Maes e Sheska e sorrise, senza aggiungere altro.
- Ah... a questo proposito... - aggiunse Maes dopo un po', guardando altrove, imbarazzato, - Non vorrei spezzare questa splendida atmosfera di profonda amicizia, ma... quando sono uscito ho detto a Glacier che avrei passato qui la mattinata... quindi, in caso dovesse telefonare...
Roy lo guardò, spalancando gli occhi.
- Tu hai fatto cosa...?
- Non potevo fare altrimenti! Non potevo mica dirle "sai, se vuoi rintracciarmi, oggi, chiama da Sheska"!
- ...anche se ho detto che ti avrei aiutato, questo non ti autorizza a mettere in mezzo il mio nome così, allo scoperto!
- Ma Roy, che alternative avevo?!
- Ma che ne so, hai ancora l'alternativa di fare harakiri e fare ammenda per i tuoi peccati, però!!!
Riza sollevò un sopracciglio, osservando per qualche minuto l'animato battibeccare dei due uomini.
Poi guardò Sheska, sorridendole amabilmente e poggiandole una mano sulla spalla.
- Gradiresti una tazza di te?

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