Genere: Romantico, Triste.
Pairing: SheskaxMaes principalmente, un po' di sano RoyxRiza e un po' di velato AlxEd.
Rating: R
AVVISI: What if?, Incompleta.
- Maes Hughes è un uomo fedele. Maes Hughes non tradirebbe mai la fiducia di sua moglie o quella della sua amata figlia. Maes Hughes è abbastanza forte da resistere ad ogni tentazione. O forse no.
Commento dell'autrice: Inserirò un commento quando avrò concluso la storia è_é
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
GROUNDLESS
Capitolo 4
Mad about you


Fu all’incirca dopo un paio di mesi che cominciò seriamente a mentire a Glacier.
Dapprima non ci fece molto caso e non lo ritenne neanche tanto più grave di quello che già faceva: mentire era necessario per poter vedere Sheska senza dover avere paura che qualcuno potesse coglierli in flagrante nel suo ufficio, quindi mentire era semplicemente ciò che doveva fare.
Sì. Angosciato dai rimorsi di coscienza e incapace di stabilire cosa fosse morale e cosa non lo fosse – dal momento che la sue fede nuziale continuava a ricordargli che morale era una cosa che in quel momento non gli interessava minimamente – aveva deciso di dare tregua alla sua coscienza e di limitarsi semplicemente a decidere cosa dovesse o non dovesse fare attimo dopo attimo, solo quando la situazione si presentava.
Voleva stare con Sheska, ergo doveva mentire a sua moglie.
Voleva ritornare a casa, rivedere Elysia e godere della rassicurante presenza di Glacier, ergo doveva lasciare Sheska in fretta e furia, ancora mezza nuda nel letto della stanza d’albergo che avevano affittato.
Era tutto un gioco di azioni e conseguenze. Era una cosa che lo alleggeriva di parecchio peso, dal momento che perfino la sua coscienza doveva arrendersi all’evidente correttezza dei ragionamenti logici che le imponeva.
Che non poteva durare a lungo, lo capì un pomeriggio del tutto uguale agli altri.
- Dopo pranzo torno in ufficio, ho lavoro arretrato. – aveva detto, ingoiando l’ultimo boccone di arrosto.
E Glacier aveva sollevato lo sguardo, la forchetta a mezz’aria e, dopo un attimo di esitazione, gli aveva chiesto “…ancora…?”.
Solo una parola. Non un tono particolarmente diverso dal solito, se non per quell’ombra di sbigottimento che ormai stava diventando normale.
No, non era stata la reazione di Glacier a spaventarlo, semmai la domanda che questa reazione obbligava.
Ossia “Perché dice ‘ancora’?
Quante volte è già successo?”
Come tornare d’improvviso ragazzino, dietro i banchi di scuola, cadere dalle nuvole e rendersi conto di aver appena perso la lezione più importante dell’anno, quella che ti avrebbe consentito di superare l’esame senza troppe difficoltà.
Impreparato. Ecco. Maes Hughes guardò sua moglie negli occhi e si sentì impreparato a sostenere il suo esame.
Aveva fatto un disastro. Aveva mentito con leggerezza, senza tenere il conto, senza badare a nulla, e adesso come diavolo faceva a sapere se aveva abusato troppo della solita vecchia scusa? Come faceva a sapere se col tempo e con l’usura non fosse diventata poco credibile, perfino quando detta da lui, l’Uomo Fedele per antonomasia?
Si limitò a sorridere tristemente, scrollando le spalle. Glacier sospirò e tornò a concentrarsi sul suo piatto.
E per quanto riguarda lui, decise di fare esattamente quello che aveva sempre fatto fino a quel momento quando aveva sentito la morsa del suo senso di colpa stringersi troppo.
Si rifugiò fra le tenere e psicopatiche braccia degli assurdi battibecchi di Riza Hawkeye e Roy Mustang.
*

Avere la sicurezza che Riza Hawkeye sarebbe stata assieme a Roy Mustang non era qualcosa di conscio e razionale. Era un’associazione mentale, un’idea generale, era un’abitudine, e la presenza del tenente accanto al colonnello era comunque una delle cose più naturali e ovvie di cui gli fosse mai capitato essere testimone, perciò non fece molto caso al fatto – per certi versi allucinante e anche scioccante – che Riza si trovasse in casa di Roy, quel sabato pomeriggio.
E anzi, si stupì di osservare le reazioni – a suo avviso immotivate – dell’imbarazzatissima Riza dai capelli sciolti e del desolato Roy dalla camicia semiaperta, i quali presero ad ossequiarlo come fosse stato il Fuhrer in persona, “Sei comodo? Vuoi qualcosa da bere? Qual è il problema?”.
Fu solo quando, improvvisamente, realizzò che quello non era l’ufficio, che loro due non erano in divisa e che il lavoro non c’entrava niente, che cominciò a rendersi conto del fatto che be’, sì, molto probabilmente piombando in casa Mustang così, senza preavviso, aveva interrotto qualcosa.
- Ma… - cominciò, incerto sull’opportunità di chiedere chiarimenti o scusarsi e scappare via prima di subito.
- Allora, Maes, cos’è che ti ha spinto fino a casa mia? – lo interruppe Roy, ritrovando la sicurezza del sorriso e accomodandosi su una poltrona, mentre lo invitava a fare lo stesso.
Lui annuì e si sedette, guardandosi intorno alla ricerca di Riza, scomparsa, probabilmente in cucina.
- Ecco, io… non vorrei… disturbare… - arrischiò, vergognandosi profondamente del suo infantilismo.
Roy ridacchiò, scuotendo il capo.
- Stai tranquillo. D’altronde, siamo stati noi a dirti che potevi venire quando volevi.
“Siamo stati noi”, mh, Mustang?
Sorrise furbo.
- Non è mica giusto.
- Mh? Cosa?
- Be’, tu passi il tempo ad angosciarmi perché vuoi sapere tutto della mia relazione extraconiugale con Sheska e poi mi lasci all’oscuro di un particolare così importante come…
- Maes.
- …?
Roy tornò a guardarlo, con uno spavaldo sorriso sulle labbra.
- Mi dici che hai o devo necessariamente buttarti fuori di casa?
Ahi.
Be’, non doveva dimenticarsi che si trovava al cospetto del Flame Alchemist, dopotutto.
- Ok. Ho paura che la cosa sia andata un po’ troppo oltre.
- …se te ne stai accorgendo solo adesso, sei davvero stupido.
Qualcuno attirò l’attenzione tossicchiando lievemente.
Riza s’era ricomposta, aveva stretto i capelli nella solita coda appuntata dietro la testa e si presentava a loro con un vassoio sul quale si stagliavano orgogliose le sagome dei componenti di un servizio da te in porcellana finissima che Maes non ricordava di aver mai visto in quella casa.
Oddio, il mondo aveva davvero continuato a girare mentre lui si assopiva fra i suoi pensieri.
- Se posso azzardarmi, Signore… - disse, poggiando il vassoio sul tavolino, - Io non credo che lei sia uno stupido. Credo piuttosto che lei abbia preferito ignorare cosa stava combinando. E, colonnello… - piccola esitazione - …colonnello Mustang, non credo che lei abbia il diritto di dare dello stupido al colonnello Hughes, dal momento che non è facile accorgersi delle cose quando ci si è invischiati in mezzo.
Analitica e risolutrice come sempre, rimase in piedi ad osservare le reazioni sgomente sui visi dei due uomini.
- Ciò detto, colonnello Hughes, credo sia finalmente arrivato il momento del quale ho precedentemente parlato anche con Sheska.
- …?
- Non ne sa niente?
Scosse il capo, incapace di frenare un lieve moto di stizza nei confronti di Sheska che non gli aveva detto nulla di quella conversazione.
- Be’, colonnello, in ogni caso è arrivato il momento di fare questo benedetto “passo avanti”. E per passo avanti, signore, intendo anche un possibile passo indietro.
Adesso, anche Roy aveva smesso di seguirla.
Sospirando di fronte alle espressioni confuse dei suoi ascoltatori, Riza Hawkeye tradusse il suo pensiero in parole comprensibili.
- Intendo, signore, che adesso deve scegliere. Fa un passo avanti, lascia sua moglie e va da Sheska, o fa un passo indietro, lascia Sheska e torna da sua moglie. È molto semplice.
Riza aveva ragione.
Ma non aveva ancora capito che lui non aveva affatto bisogno di qualcuno che gli esponesse tutte le sue possibilità e gli chiedesse di scegliere. Non aveva bisogno neanche di qualcuno che lo rassicurasse dicendogli che anche se avesse scelto di lasciare Glacier tutti avrebbero continuato a volergli bene e a stargli vicino. No, lui non aveva alcun bisogno di sentirsi autorizzato a fare ciò che più gli piaceva, voleva che qualcuno lo prendesse a cazzotti e gli dicesse “Demente, torna da tua moglie e da tua figlia, sii un uomo rispettabile e smettila con tutte queste cazzate da innamorato romantico!”.
Ma di certo non poteva dire una cosa del genere. Perché se l’avesse detta anche loro avrebbero finalmente capito – come lui, malgrado facesse di tutto per ignorarlo – che il suo problema ormai non era più l’indecisione fra Sheska e Glacier, era solo cercare di fuggire da Sheska perché se si fosse abbandonato a ciò che provava sarebbe stata una catastrofe di proporzioni cosmiche, avrebbe rovinato la vita a sua moglie, a sua figlia e a Sheska stessa, e perché, poi? Per il suo egoismo idiota.
- Avanti, Maes. – sbuffò Roy, abbandonandosi sullo schienale, stringendosi nelle spalle, - Non sarà mica la fine del mondo se lasci tua moglie. Credimi, io adoro Glacier, è una donna stupenda, ed Elysia è adorabile, ma ehi, stiamo parlando della tua felicità qui.
Sospirò, alzandosi in piedi.
- Devo andare… - mormorò sconsolato, recuperando il cappotto sul bracciolo della poltrona, - Scusate ancora per il disturbo.
- Di niente… - dissero all’unisono Roy e Riza, riempiendolo di tenerezza.
In fin dei conti, la parte difficile non era capire cosa fare. Ma farlo.
*

Felice come una pasqua, attendeva il suo amante, sdraiata sul letto, ancora vestita, supina, strisciando le mani sul morbido copriletto di raso un po’ sdrucito e godendo della piacevolezza di quel tocco fresco sotto i polpastrelli.
Era una serata splendida.
L’unica cosa che l’aveva infastidita era stata l’espressione del tipo alla reception, quando l’aveva vista arrivare e, sorridendo maliziosamente, le aveva consegnato le chiavi della solita stanza.
Va bene, era abbastanza chiaro perché affittassero una stanza lì due o tre volte a settimana, per tutto il pomeriggio, ma questo non permetteva a quell’uomo disgustoso di prendersi la confidenza di sorriderle in quel modo e augurarle “buona serata” come se fosse stata una ragazzina vogliosa qualsiasi o che.
Anche se a tutti gli effetti lo era.
Va be’.
Avrebbe chiesto a Maes di cambiare albergo, quando fosse arrivato.
Una chiave girò nella toppa, e lei si sollevò seduta, già sorridente.
Non ebbe neanche il tempo di dirgli ciao, prima di accorgersi che c’era qualcosa che non andava.
Maes, cupo, stretto nel suo cappotto nero e grondante acqua come si fosse appena fatto la doccia, evitava di guardarla, preferendo osservare le macchie sulla moquette o gli strappi sulla carta da parati.
- Maes? È tutto a posto?
Solo allora, finalmente, si decise a sollevare gli occhi su di lei, sorridendo tristemente.
- Scusa per il ritardo… - le disse, sfilandosi il cappotto di dosso e gettandolo con poca attenzione su una sedia.
Lei scosse il capo. In realtà non si era neanche accorta che fosse in ritardo.
- Sheska, dobbiamo parlare. – disse lui gravemente.
“Non necessariamente”, avrebbe voluto dirgli, spaventata dal suo tono, ma si trattenne.
- E’ successo qualcosa…?
- No. Voglio dire… non proprio.
Era confusa.
Non le piaceva la sua espressione.
- Aspetta, aspetta… - cercò di sorridere, stringendosi nelle spalle, - Guardati, sei tutto bagnato. Andiamo in bagno, ti do una mano ad asciugarti un po’ e poi ne parliamo, ok?
Gli andò vicino, sollevandosi sulle punte per baciarlo lievemente sulle labbra.
E lui la fermò.
- Non possiamo andare avanti così. Questa… cosa… finirà solo per rovinare la vita di tutti.
Attonita, rimase a fissarlo come lo vedesse la prima volta, le labbra dischiuse e gli occhi spalancati per lo stupore. Poi, si lasciò andare a un sorriso triste, mentre abbandonava le braccia lungo i fianchi.
- …parli come il protagonista di un romanzo rosa…
- Insomma, Sheska. – disse lui, irritato, - Ti sto chiedendo un po’ di serietà.
- No, ti sbagli. – sbottò, guardando altrove, - Mi stai chiedendo di sostenerti mentre mi lasci e ti rimetti a posto la coscienza. Io questo non posso farlo.
- …perché la vedi così? Non capisci che abbiamo fatto solo un errore gigantesco?
- Capisco che abbiamo fatto un errore, sì. Ma non è solo un errore. Non l’hai detto tu? Niente è completamente negativo.
- Mi sbagliavo, Sheska!
Tornò a fissarlo negli occhi. Così contrito e disperato, faceva solo venir voglia di abbracciarlo. E lei invece avrebbe dovuto odiarlo tanto da volergli fare del male.
- Noi… noi ci siamo concessi questa… questa cosa, - perché diavolo non riusciva a dirlo? - e per concedercela abbiamo smesso di guardarci intorno e di pensare alle conseguenze, ci siamo buttati, così, alla cieca, senza capire… adesso non è più sostenibile una situazione simile, lo capisci?
- Non lo è mai stata, Maes! – gridò, spalancando le braccia in un gesto rassegnato, - Se c’è qualcuno che ha smesso di guardarsi intorno, quello sei tu! Per me era chiarissimo che la situazione era disastrosa, è sempre stato chiaro, ma speravo di riuscire a risolverla insieme a te!
- Ah, sì? E sentiamo, qual era il tuo piano?
- Che ne so! Speravo…
- Speravi che io pensassi a qualcosa, vero?
- No, speravo che avremmo pensato a qualcosa insieme!
- Avanti, Sheska, almeno non raccontiamoci cazzate! Tu non avevi nessuna scelta da fare e niente da perdere!
- Ah, quindi pensi che per me sia stato facile! Pensi che per me sia stato un piacere sapere che comunque alla fine saresti tornato ogni sera da lei? Pensi che per me sia stata una gioia abbassarmi ad essere la tua seconda scelta, per un paio d’ore di carezze ogni tanto?!
- Tu non eri la mia “seconda scelta”!
- Sì che lo ero! – lo sguardo si fece triste, mentre si abbassava, coperto da occhiali e frangetta, - Lo sono. Lo dimostra il fatto che stai scegliendo di mettere lei per prima.
Accidenti a lei.
E accidenti anche a lui. Che non riusciva a capire se lei si stesse sbagliando, fraintendendo la sua decisione, o se, invece, avesse perfettamente ragione.
- Mi dispiace, Sheska. Ma non riesco a pensare a un’altra soluzione…
- Questa non è una soluzione!
- Io comunque non riesco a pensare ad altro. Scusa.
- Non scusarti! Vattene via!
Lui ebbe un attimo d’esitazione. Ma non si pentì, e non tornò sui suoi passi, uscendo dalla camera e dall’albergo.
*

Strano.
Aveva sempre sospettato che, alla fine, una cosa simile sarebbe accaduta. E aveva sempre sperato che la consapevolezza dell’inevitabile servisse ad alleviarle un po’ il dolore, quando fosse giusto il momento.
Ma osservandolo andare via attraverso i vetri della finestra, resi opachi dal freddo e dalla pioggia, pensò che magari, col senno di poi, avrebbe anche potuto lasciarsi andare a qualche fantasia sciocca in più, dal momento che la sofferenza, nonostante tutte le disillusioni e i catastrofismi, era ancora lì, e lì sarebbe rimasta in ogni caso.
*

Il senso di vuoto all’altezza dello stomaco era stato schiacciante e angoscioso, e a nulla era valso sapere di aver fatto “la cosa giusta”, a nulla era valso il sorriso gioioso di Glacier, quando l’aveva accolto – “Sei tornato prima di quanto pensassi!”, “Sì, ho finito prima… non credo che farò altri straordinari, sai?”, “Davvero? Ma è meraviglioso! Io ed Elysia stavamo per preparare una torta, per passare il tempo, vuoi aiutarci?” – insomma, era stato tutto inutile.
…perché diavolo aveva deciso di lasciar finire tutto…?

Entrò in cucina, cercando di ricacciare le fastidiose fitte di rimorso in un angolo di cervello dove non potessero più essere ripescate.
Elysia pasticciava con una parte dell’impasto della futura torta.
- Ely, di’ a papà cosa stai facendo! – disse Glacier a sua figlia, dandole un buffetto sulla guancia.
- Faccio una torta piccolina!
Sorrise teneramente, sfiorando un codino chiaro con due dita.
Le fitte ritornarono a galla tutte insieme, irrefrenabili.
Dovette impallidire, perché Glacier si accorse che qualcosa non andava.
- Maes…?
- Ho… ho dimenticato di dire una cosa a Roy.
- Oh… è importante…?
- Sì. Devo andare subito da lui.
- Ma… puoi chiamarlo, no…?
- No, devo… devo assolutamente vederlo adesso…
- Ma Maes, fuori diluvia, cosa…?
- Tornerò presto, stai tranquilla.
La rassicurazione non cancellò quell’ombra di apprensione dagli occhi di Glacier. Lui le sorrise, il più tranquillamente possibile.
- Non preoccuparti. È questione di un’ora al massimo.
*

- Chi è? – chiese dall’interno un vocione burbero e impaziente.
- Sono io, Roy.
Mustang spalancò la porta con uno scatto spaventoso, e con tanta furia che avrebbe potuto scardinarla.
I pantaloni sbottonati e la camicia più aperta che chiusa confermarono a Maes il sospetto che sì, era stato di nuovo inopportuno.
- Non so che cos’abbia tu nella testa, ma di sicuro non sai leggere fra le righe, dal momento che non hai ancora capito che qui si sta cercando di concludere qualcosa in santa pace, tanto per cambiare!!! – gridò l’uomo tutto d’un fiato, fissandolo con rabbia omicida.
Poi, sembrò realizzare.
Probabilmente perché gli occhi dell’amico non chiedevano solo aiuto, imploravano pietà.
- Voglio dire… che hai…?
Maes sospirò. Roy ebbe paura che, finito quel respiro, sarebbe finito anche lui.
Ma lui non scomparve e non successe nulla, la pioggia continuò a battergli addosso e i capelli a grondare acqua in ciocche.
- Ho fatto un casino. – disse infine, sconsolato.
- …entra, dai. E scusa il disordine.
All’interno della casa, i vestiti di Riza erano sparsi un po’ ovunque. Il cappotto vicino alla porta, la camicia e la gonna per terra davanti al soggiorno, a pochi metri l’uno dall’altro, le calze pendenti dal bracciolo del divano, le scarpe sperdute sotto il tavolo, sottosopra, come fossero state lanciate via.
In quella casa era decisamente successo qualcosa di losco.
Di Riza, nessuna traccia.
- Mi… dispiace, davvero…
- Sì, sì. Ti picchierò a dovere quando avremo risolto.
Come se il suo problema fosse risolvibile.
- Adesso siediti qui. Porto le sue cose a Riza, così potrà rivestirsi. Tanto, ormai, per stasera ci mettiamo una pietra sopra.
- Scusa…
- La pianti di scusarti?! – sbottò Roy, insofferente, dandogli uno scappellotto sulla nuca.
Maes sorrise lievemente, osservandolo recuperare tutti gli indumenti della donna e sparire in corridoio, per poi tornare da lui con un divertito sorriso sulle labbra.
- E’ nervosissima. – lo avvertì, anche se la sua espressione sembrava più soddisfatta che preoccupata, - Ti consiglio di non peggiorare la situazione.
Si sedette sul divano, proprio di fronte a lui, incrociando le braccia sul petto. Riza apparve pochi minuti dopo – sul volto nessuna traccia del nervosismo cui aveva accennato Roy poco prima – sedendosi al fianco del suo colonnello, come sempre.
Quello era il segnale d’avvio.
Maes inspirò. E cominciò a lamentarsi.
- Credevo di aver preso la decisione migliore per tutti, capite? Credevo che lasciare Sheska avrebbe risolto tutto.
Roy sospirò.
- Be’, tecnicamente è tutto risolto. Tu non stai più tradendo nessuno, la fiducia di Glacier è nuovamente ben riposta e Sheska ha la possibilità di ricominciare daccapo una nuova relazione con qualcuno di più adatto.
- Non è risolto proprio per niente!!! – quasi gridò lui, stringendo i pugni, - Mi sento male, è un disastro, sono pentito e non so che fare!
- Colonnello, da quanto ha lasciato Sheska? – chiese Riza guardandolo con sincero stupore.
- Due ore. Circa…
- E tu pensavi che avresti smesso di pensarci subito dopo averla lasciata?! Ma sei un cretino davvero! – sbuffò Roy, esasperato.
La donna gli mise una mano sulla spalla, zittendolo con una decisa scossa del capo.
- Signore, continuerà a stare così per un bel po’ di tempo, nel migliore dei casi. Nel peggiore, questo rimpianto continuerà a sentirlo per sempre, fino a che vivrà. È meglio che ci si abitui, se è davvero convinto di aver deciso per il meglio.
- Non posso abituarmi a questo… a questo schifo! Non posso! Non riesco neanche più a guardare mia figlia! Non riesco a smettere di pensare che è per lei e Glacier che ho lasciato Sheska, e non riesco a smettere di pensare che…
“…che non mi sembra abbastanza…”
Le parole presero forma nella sua testa e gli caddero addosso come macigni.
Che razza di uomo era diventato? Che razza di codardo traditore stupido e meschino?
Cosa rimaneva di Maes Hughes, tra le rovine del suo cervello stanco e logoro?
Si accasciò su sé stesso, stringendosi la testa fra le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Le gocce di pioggia scivolavano dai suoi capelli e dai suoi vestiti, infrangendosi sul pavimento. Era una visione angosciante.
- Maes…
- Ho fatto un casino. – ripeté, per la seconda volta in quella sera.
Roy avrebbe voluto rassicurarlo, in qualche modo. Ma la verità era che anche lui la pensava così. Sapeva che Maes aveva agito stretto nella morsa d’acciaio della paura e dell’impotenza. Conosceva bene quel sentimento. Sapeva a che follie potesse portare. Si rammaricava solo di una cosa: quando era stato lui a trovarsi in difficoltà, Maes era riuscito a tirarlo fuori dai guai. Lui, invece, non poteva che assistere immobile alla sua disfatta. E constatare che era stato più facile salvare se stesso da una crisi depressiva post-bellica che non il suo migliore amico da stupida una crisi amorosa.
- Signore.
La voce chiara di Riza risuonò tonante nella stanza silenziosa.
Maes sollevò lo sguardo.
Si ritrovò una pistola puntata nel mezzo della fronte.
- Si ricomponga. Non ho mai visto uno spettacolo peggiore.
- R-Riza…? – la chiamò Roy, sconvolto.
Una seconda pistola venne estratta dal suo fodero, e andò a piantarsi fulminea sulla tempia del colonnello.
- Tu sta’ zitto. Come quando piove, sei inutile quando si tratta di cose simili.
La donna sospirò, come a dire “alla fine, devo sempre fare tutto da sola”.
- Colonnello Hughes, stare seduto qui a piangersi addosso non le servirà a niente. Oggi ha percorso chilometri per venire da casa sua a qui, poi da Sheska, poi di nuovo a casa sua e poi ancora qui. Ha preso talmente tanta pioggia che non c’è più un centimetro dei suoi vestiti che non sia fradicio, e ha sprecato ore preziosissime del nostro e del suo tempo per ottenere un bel niente.
Fece una pausa, della quale Maes approfittò per provare a dire qualcosa.
Lei caricò la pistola.
L’uomo cominciò a sudare freddo, ma almeno tornò in religioso silenzio.
Roy deglutì alle sue spalle, ma lei non ci fece caso.
- Ora. Se lei ha intenzione di tornare a casa e infilarsi a letto con un bel nulla di fatto, stasera, è liberissimo di farlo. Ma stia bene attento a ricordarsi di questa giornata sprecata per sempre, sperando che le serva come monito per agire in maniera un po’ meno sciocca in futuro.
Maes abbassò lo sguardo. Lei piantò la pistola più a fondo fra le sue sopracciglia, e lui ritornò a guardarla, semplicemente terrorizzato.
- Se, invece, preferisce dare un senso a tutto questo, sa già cosa deve fare.
Dopodichè, entrambe le pistole vennero rese innocue e riposte nei loro foderi.
Dannazione a quella donna che non dimenticava di essere un soldato neanche il sabato sera.
- Chiedo perdono per la minaccia fisica, - disse con un lievissimo sorriso, stringendosi nelle spalle in un gesto molto femminile, - ma era l’unico modo per farvi tacere. Entrambi.
“Povero Roy”, pensò Maes, cercando di riacquistare il controllo delle sue funzioni vitali, “e povero me”.
Ma adesso almeno sapeva cosa voleva avere ottenuto da quella giornata, una volta che fosse tornato al sicuro fra le lenzuola.
*

- Non ho molto tempo, non posso restare.
Sbigottita, lei lo osservò rimanere immobile sotto la pioggia, le lenti degli occhiali rigate dalle gocce gelide, il cappotto ormai ridotto a una pezza fradicia.
- Sono un idiota. Non avevo capito niente di niente. E poi ero stanco e triste e ho creduto di aver riflettuto lucidamente, quando invece stavo solo complicando le cose con ragionamenti senza senso.
- Maes… ti… ti prenderai una polmonite, entra…
Scosse il capo.
- Te l’ho detto, non posso restare. Devo tornare a casa al più presto.
Poteva anche risparmiarsi di dirle una cosa simile in un momento come quello.
Abbassò lo sguardo, abbattuta.
- Cosa vuoi ancora…?
- Chiederti scusa. E dirti che ti amo.
Tornò a guardarlo, sollevando il capo talmente veloce che le venne un capogiro.
- …che…?
- E’ così. Non posso farci niente.
Controllò l’orario sull’orologio da polso.
- Merda. Devo scappare. Senti, torno domani. Dico davvero. Dobbiamo parlare. Possiamo… possiamo provare a risolverla. – concluse, sorridendo sicuro.
- Io…
- Sì?
Lo guardò.
Non aveva nulla da dire.
Sorrise e scosse il capo.
- Va bene, Maes. A domani.

back to poly

Vuoi commentare? »





ALLOWED TAGS
^bold text^bold text
_italic text_italic text
%struck text%struck text



Nota: Devi visualizzare l'anteprima del tuo commento prima di poterlo inviare. Note: You have to preview your comment (Anteprima) before sending it (Invia).