Genere: Introspettivo.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVERTIMENTI: Gen, (accennato) Het, (lieve) Angst.
- "Aspettare nove mesi è pesante."
Note: Ambientata di questi tempi e ispirata dal gossip su Ricky che non riconosce la bambina partorita dalla sua ex ragazza come figlia propria in quanto sussistono effettivi dubbi circa la sua paternità. Titolo da Hollow Year dei Dream Theater. Prompt: Grave/Leggero @ It100.
Pairing: Nessuno.
Rating: PG
AVVERTIMENTI: Gen, (accennato) Het, (lieve) Angst.
- "Aspettare nove mesi è pesante."
Note: Ambientata di questi tempi e ispirata dal gossip su Ricky che non riconosce la bambina partorita dalla sua ex ragazza come figlia propria in quanto sussistono effettivi dubbi circa la sua paternità. Titolo da Hollow Year dei Dream Theater. Prompt: Grave/Leggero @ It100.
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ONCE THE STONE YOU’RE CRAWLING UNDER// (GRAVE)
Aspettare nove mesi è pesante. Ricardo non può dire di non esserne in grado, in primo luogo perché, be’, non ci può fare niente, e in secondo luogo perché da quando vive a Milano il significato della parola “attendere” s’è fatto molto più concreto ed importante di quanto non avrebbe mai pensato quando viveva ancora in Portogallo, ma comunque il fatto di esserne in grado non rende il tutto meno angosciante.
Cátia lo chiama una volta al giorno, alla sera. È gentile, sorride, è un po’ stanca, gli chiede quando passa a trovarla. “Presto” risponde lui, e mente. Sa bene che potrebbe andare quando vuole, il mister non avrebbe problemi a lasciarlo partire, vista la situazione contingente, ma il solo pensiero di trovarsi troppo vicino a lei e dover coesistere con i sospetti che gli affollano la mente lo distrugge.
“Presto,” ripete, e si sforza di sorridere a propria volta, ma il sorriso è pesante anche lui, e fa molta fatica a fingersi sincero, anche solo per un attimo.
(LEGGERO) //IS LIFTED OFF YOUR SHOULDERS
Ariana è minuscola. Lui non è esattamente un gigante, e le sue mani sono proporzionate rispetto al resto del suo corpo, ma nonostante questo la bambina è così piccola che potrebbe tenerla sul palmo di una mano senza farla cadere. Non l’ha fatto, naturalmente, solo perché, pur sapendo che non sarebbe caduta, quando l’ha stretta fra le braccia ha avuto paura di romperla – e da qualche parte c’era una voce cattiva e vigliacca che sembrava quasi consigliargli di farlo.
Non è andato in ospedale, non se l’è sentita. È rimasto in albergo ed ha aspettato la chiamata di Cátia, che s’è fatta sentire il giorno dopo il parto. La sua voce, al telefono, era ancora stanca. “Vieni a trovarci,” gli ha chiesto, sull’orlo delle lacrime, “per favore,” e lui è andato. L’ha stretta fra le braccia, le ha perfino sorriso mentre lei, addormentata, piccola e bellissima, gorgogliava nel sonno qualcosa di incomprensibile.
“Non è mia,” ha detto a bassa voce, prima di voltarsi a guardare Cátia, “Non è mia, vero?”
Lei non ha risposto, s’è morsa un labbro ed ha abbassato lo sguardo. Ricardo ha sorriso più apertamente – ma anche più tristemente – tornando a guardare Ariana – il nome che lui aveva scelto per lei – ed accarezzandole lentamente una guancia morbida e paffuta – se non altro, è tutta sua madre.
Ora che lo sa, quantomeno è più semplice.
Aspettare nove mesi è pesante. Ricardo non può dire di non esserne in grado, in primo luogo perché, be’, non ci può fare niente, e in secondo luogo perché da quando vive a Milano il significato della parola “attendere” s’è fatto molto più concreto ed importante di quanto non avrebbe mai pensato quando viveva ancora in Portogallo, ma comunque il fatto di esserne in grado non rende il tutto meno angosciante.
Cátia lo chiama una volta al giorno, alla sera. È gentile, sorride, è un po’ stanca, gli chiede quando passa a trovarla. “Presto” risponde lui, e mente. Sa bene che potrebbe andare quando vuole, il mister non avrebbe problemi a lasciarlo partire, vista la situazione contingente, ma il solo pensiero di trovarsi troppo vicino a lei e dover coesistere con i sospetti che gli affollano la mente lo distrugge.
“Presto,” ripete, e si sforza di sorridere a propria volta, ma il sorriso è pesante anche lui, e fa molta fatica a fingersi sincero, anche solo per un attimo.
(LEGGERO) //IS LIFTED OFF YOUR SHOULDERS
Ariana è minuscola. Lui non è esattamente un gigante, e le sue mani sono proporzionate rispetto al resto del suo corpo, ma nonostante questo la bambina è così piccola che potrebbe tenerla sul palmo di una mano senza farla cadere. Non l’ha fatto, naturalmente, solo perché, pur sapendo che non sarebbe caduta, quando l’ha stretta fra le braccia ha avuto paura di romperla – e da qualche parte c’era una voce cattiva e vigliacca che sembrava quasi consigliargli di farlo.
Non è andato in ospedale, non se l’è sentita. È rimasto in albergo ed ha aspettato la chiamata di Cátia, che s’è fatta sentire il giorno dopo il parto. La sua voce, al telefono, era ancora stanca. “Vieni a trovarci,” gli ha chiesto, sull’orlo delle lacrime, “per favore,” e lui è andato. L’ha stretta fra le braccia, le ha perfino sorriso mentre lei, addormentata, piccola e bellissima, gorgogliava nel sonno qualcosa di incomprensibile.
“Non è mia,” ha detto a bassa voce, prima di voltarsi a guardare Cátia, “Non è mia, vero?”
Lei non ha risposto, s’è morsa un labbro ed ha abbassato lo sguardo. Ricardo ha sorriso più apertamente – ma anche più tristemente – tornando a guardare Ariana – il nome che lui aveva scelto per lei – ed accarezzandole lentamente una guancia morbida e paffuta – se non altro, è tutta sua madre.
Ora che lo sa, quantomeno è più semplice.