Scritta in coppia con Ana.
Genere: Malinconico, Triste, Commedia, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Slash, AU, Angst.
- Bill non vuole ricordare. Tom non vuole ricordare.
Nessuno dei due sente il bisogno di farlo. Perché fa male, fa troppo male, fa male come uno spiacevole ago conficcato in un fianco.
...entrambi, probabilmente, hanno tanto bisogno di ricordare che se non lo faranno scoppierà loro la testa.
Se poi Jorg Kaulitz decide di "dar loro una mano" inconsapevolmente...
Note: Scrivere questa storia è stato in parte veramente facile XD e in parte veramente difficile. E' una storia comunque particolare, nel suo genere, per quanto io resti comunque convinta del fatto che la trama non sia poi così incredibilmente originale come si è detto. Certo, si vedono poche fic del genere sui gemelli, ma dire che sia originale in assoluto... ma comunque questi sono discorsi spiccioli che non valgono niente. Miles Away è una puccina. Credo che la sua forza stia soprattutto nel fatto di essere una storia narrata semplicemente. Direttamente. Senza troppi fronzoli. Quella era, e quella, io e Ana, abbiamo messo giù. Credo sia abbastanza normale sentirti trascinato dentro una storia quando ti sembra che il personaggio stia dialogando con te, parlandoti direttamente. E credo sia successo esattamente questo, fra Bill, Tom e i lettori di Miles Away.
C'è da dire che ho fatto davvero la preziosa, con questa storia XD Dal momento che ero incasinata su più fronti, avrei preferito cominciare a scriverla più avanti, all'incirca verso Novembre. E invece ad Agosto eravamo già lì al lavoro. E per Settembre era tutto finito (missing moment a parte XD). E' stata una cosa un po' strana, e quasi... mah, non so, forse dolorosa °_° E' che, per quanto iniziare i capitoli fosse difficile (perché appunto ero sempre presissima da altro), Ana riusciva sempre in qualche modo a scrivere delle scene che poi mi ispiravano un casino, e io le andavo dietro come una matta, e in ventiquattr'ore in genere i capitoli erano davvero praticamente finiti, rivisitazioni successive a parte °_° E' una cosa quasi inquietante.
Per i missing moment stiamo seguendo una linea un po' diversa. A parte che sono io a rompere le palle per scriverli X'D Riusciamo davvero a finirli in pochissimo perché li scriviamo praticamente insieme su MSN, e poi, essendo vaccate, non hanno bisogno dell'attenzione spasmodica al particolare che invece dedicavamo alla storia madre. Spero solo che al pubblico piacciano altrettanto ù.ù
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Miles Away
- Capitolo 6 -

- Gordon è… era… il mio terapista.
L’attimo di silenzio che seguì questa rivelazione riempì Tom di paura e Bill di sgomento. Il biondo osservò il proprio fratello allontanarsi da lui in un gesto secco e repentino, quasi infastidito. Cercò i suoi occhi, sperando di trovare ancora al loro interno almeno un briciolo dell’affetto che aveva cominciato a rifiorire durante gli avvenimenti della giornata precedente, e… si sentì in qualche modo rassicurato quando vide che quell’ombra d’affetto c’era ancora. S’era solo trasformata. In un misto di apprensione, insicurezza, paura e tristezza.
Lo vide serrare le labbra e poi dischiuderle appena, titubante.
- Terapista per cosa? – chiese a bassa voce.
Tom spalancò gli occhi.
- Non… - accennò, incerto, - Non pensare a niente di drammatico… - spiegò con una mezza risatina di disagio, - Non ho nessuna malattia terminale, né niente del genere…
Bill annuì lentamente, prendendo atto e continuando a fissarlo come si aspettasse, finalmente, la soluzione di tutto, mentre rilasciava le spalle, tese fino a qualche secondo prima.
Tom sapeva che se avesse aspettato ancora poi i suoi occhi l’avrebbero fermato. Sapeva che non avrebbe più trovato il coraggio di parlare. Sapeva che, se quel momento fosse passato, l’enorme paura che aveva di ferirlo ancora l’avrebbe nuovamente fatto prigioniero. E sarebbero tornati entrambi in quella gabbia di silenzi astiosi che li aveva tenuti serrati fino a pochi giorni prima.
Non era una possibilità accettabile.
- Quando sei andato via… - cominciò, osservando le spalle di Bill tornare a tendersi, nervose, - Sono successe un po’ di cose.
Bill allungò una mano verso il divano, afferrando un cuscino e stringendolo al petto senza staccargli gli occhi di dosso nemmeno per un attimo.
- Ho… - ridacchiò, - Dio, dirlo fa un effetto stranissimo, ma ho cominciato a frequentare “cattive compagnie”. Ragazzi un po’ sbandati, un po’… non erano male, in fondo, c’erano anche degli elementi salvabili, se capisci cosa intendo… - gli lanciò uno sguardo preoccupato, ma il viso di Bill non tradiva alcuna emozione… solo i suoi occhi, attenti, luminosi, coperti appena da un velo d’ansia, dimostravano la sua presenza in quel luogo, accanto a lui. – Non so neanche come la situazione mi sia sfuggita tanto di mano. So che lo facevo per… per non pensare. Sì, so che non volevo pensare. A… - lo guardò ancora, ma non riuscì a reggere abbastanza per continuare a parlare fissandolo, - A noi, a quello che ci era successo, a quello che io avevo fatto succedere… a quello che avevo fatto a te
Girò il viso, correndo alla ricerca di una distrazione con la quale occupare gli occhi, e la trovò nei mozziconi di legno ancora vagamente rosseggianti nel camino.
- Poi è andato tutto a puttane. Sempre peggio. – continuò, - Neanche volevo. Non volevo attirare l’attenzione, non volevo che mamma e papà cominciassero a prendersi cura solo di me. Volevo solo distrarmi. Ma la distrazione mi è sfuggita di mano, e mi sono ritrovato da un giorno all’altro con una vita che più che una vita sembrava un casino.
Sentì Bill rilasciare il fiato e cercare di riprendere a respirare normalmente.
Fu enormemente tentato di fermarsi e dirgli “lasciamo perdere, possiamo tornare ad abbracciarci come prima e far finta che i nostri ultimi due anni di vita davvero non siano esistiti?”.
Sospirò.
- È in quel gruppo che ho conosciuto Ann.
- …Ann? – mormorò Bill a stento.
Tom annuì.
- La… la tipa di Boston. Quella di cui ti ho parlato. Ann-Kathrin.
- È la tua ragazza?
Non poteva neanche immaginare la sua espressione. La tentazione di sbirciare fu forte, ma aveva ancora troppa paura che se avesse incontrato i suoi occhi poi tutto il coraggio che era riuscito faticosamente a raccattare durante la notte si sarebbe dissolto in una nuvola di fumo, e lui non sarebbe più stato in grado di dire una parola. Perciò si fermò.
- Non è la mia ragazza… è una. Una qualsiasi. Non c’è neanche stata solo lei proprio perché… davvero, non m’importava chi fosse. Bastava che fosse qualcuno. Lei è stata solo la più… - deglutì, - La più frequente. Perché era sempre “disponibile”.
Sentì il fruscio dei capelli di Bill che sfregavano contro il cuscino che, man mano che lui lo andava stringendo, s’era spostato fin sotto al mento. Capì che stava annuendo. Che si stava facendo forza per accettare le sue parole.
Anche lui doveva farsi forza. E andare avanti.
- Facevo anche cose che normalmente non avrei pensato neanche per sbaglio. – ammise con uno sbuffo, - Fare parte del gruppo significava obbedire a certe regole… sottostare a certe dinamiche… - scrollò le spalle, - Se il capo ti chiede di dare una mano a due tipi a caso per fare qualcosa di più o meno illegale, non puoi stare lì a parlare della tua morale personale. Le rimostranze non sono ammesse. Neanche se ti stai cagando addosso dalla paura.
Bill lanciò un gemito, come se volesse dire qualcosa. Ma sembrò pentirsene in fretta, e rimase in silenzio.
- Mamma lo sapeva. – continuò lui, - Cioè… non tutto nel dettaglio. Ma sapeva che qualcosa non andava. E cosa facevo di notte. Ciononostante, ha avuto abbastanza pazienza con me… almeno fino a quando non ho toccato il fondo.
Le ultime parole riecheggiarono nell’aria fra di loro e raggiunsero Bill, che tremò.
- Non ricordo per che motivo un giorno fu obbligata a stare lontana da casa per due giorni o giù di lì. Quando tornò, trovò la casa in condizioni pietose, neanche avesse ospitato un rave party. Ann ed io stavamo nel suo letto, mezzi nudi, circondati di bottiglie di alcolici. Ovviamente s’è incazzata. Io ero distrutto, la casa era un disastro, rifiuti ovunque, lattine vuote perfino nella vasca da bagno, e…
Ok. Per questo serviva più coraggio.
- …e?
Inspirò e rigettò l’aria con forza.
- Pasticche.
Percepì Bill tendersi nuovamente, e quasi saltare in aria per lo spavento.
- Hai avuto problemi di droga? – chiese il moro con urgenza, quasi volesse sentire una risposta secca e decisa, non importava quale, per chiudere quella pratica scomoda il prima possibile.
- No! – si affrettò a spiegare lui, tornando a guardarlo negli occhi di scatto.
Scelta sbagliata.
Negli occhi di Bill non c’erano più solo ombre.
Era tutto dannatamente chiaro. E preciso.
E, Dio, luminoso.
Come gli accenni di lacrime intrappolati fra le ciglia.
Tom lo guardò, deglutì e gli sembrò di mandare giù assieme alla saliva anche quel po’ di coraggio che gli era rimasto. Improvvisamente privo di forza, rimase immobile a fissarlo.
- La droga non era mia… - spiegò a mezza voce, come fosse assente, - Ma gli esami del sangue non rassicurarono del tutto mamma… capì che era il caso di fare qualcosa… e mi mandò dallo psicanalista… Gordon…
Bill scosse appena il capo, annuendo.
- È questo quello che è successo, dunque… - disse piano, la voce rotta, - E… quando…?
Tom lo guardò, incerto.
- Quando? – chiese.
- Sì, quando. A quando risale quest’ultimo episodio.
Tom rifletté qualche secondo.
- Be’, era settembre dell’anno scorso… pochi giorni dopo il… il nostro compleanno.
Bill si morse le labbra.
Gli sfuggì una lacrima, e neanche cercò di nasconderla.
Per quei due giorni… era da lui, che Simone era andata. “Per farmi perdonare, perché non sono stata presente quando hai compiuto gli anni”, aveva detto.
Per la prima volta gli sembrava di afferrare la vera natura di quello che era successo negli ultimi anni fra lui e suo fratello. Non avevano fatto che rubarsi pezzi di vita a vicenda. Che fosse un saluto del mattino, un augurio particolare, uno sguardo, un complimento per un bel voto o una rassicurazione per qualcosa andata storto, c’erano state cose che Tom aveva avuto e Bill no, e viceversa.
Faceva male, come pensiero.
E faceva ancora più male pensare – e sapere – che nessuno dei due l’aveva fatto apposta. Che l’unica cosa che avevano fatto consapevolmente… era stata allontanarsi l’uno dall’altro.
Tom gli si avvicinò, quasi timoroso.
- Bill…? – lo chiamò piano, preoccupato, - Stai bene…?
No che non stava bene… come diavolo avrebbe potuto?
Aveva vissuto gli ultimi anni della propria vita nella convinzione stabile di essere stato lui a soffrire di più. Non l’unico, ma sicuramente il più ferito, quello al quale il “cambiamento” aveva portato più danni. Non aveva mai pensato che Tom fosse uscito indenne da quell’accenno di cosa che c’era stata fra loro, ma… la sua vita gli era sempre sembrata troppo scombinata per poter immaginare che quella di Tom – Tom! Quello che aveva sempre creduto il figlio preferito! L’unica cosa che sembrasse importare veramente a suo padre! – potesse essere altrettanto complicata, se non di più.
E invece adesso capiva.
Nascose il viso sul cuscino. Ormai le lacrime gli sembravano così tante che si vergognava perfino di sé stesso. Aveva sempre fatto del mostrarsi forte e intoccabile un imperativo categorico, ed eccolo lì, sciogliersi in pianto sotto il peso schiacciante del senso di colpa.
- Bill… - lo chiamò ancora Tom, dolcemente, - Guardami…
Non se la sentì, di negargli un’occhiata.
Sarebbe stato molto più semplice nascondere il volto più in profondità, cominciare a singhiozzare e strillargli di lasciarlo in pace.
Ma non poteva farlo.
Non poteva scegliere la soluzione più semplice.
Non di nuovo.
Sollevò lo sguardo e lo fissò nel suo.
Tom sembrava ipnotizzato, e parlava a bassa voce, schiudendo appena le labbra.
- Tornare qui per le vacanze… è stata un’idea di Gordon… - disse debolmente, - Io ho accettato, perché Bill, credimi, credevo mi fosse passata, ma… Bill…
…chiedimi tutto, ma non quello.
Tom, Dio, ti prego, non quello.
Non potrei negartelo, non potrei perché…
…perché non voglio…
Perciò, non chiedermelo… ti prego…

- Posso baciarti…?
E Bill chiuse gli occhi.
Rilasciò nuovamente le spalle.
Fece quasi per rispondere davvero, ma Tom non lo aspettò.
Precedette il suo “sì”, incontrando le sue labbra all’improvviso, in un tocco lieve e morbido. Innocente. Come in quella notte di tanti anni prima, e che gli sembrava talmente lontana che, se non fosse stata marchiata a fuoco fra i suoi ricordi, l’avrebbe creduta un sogno.
Per i pochi secondi che durò, Bill ebbe quasi l’illusione di essere davvero tornato a quella notte. Gli occhi chiusi creavano il buio artificiale, il tepore della coperta replicava quello del letto, e il calore di Tom… quello era sempre lo stesso…
Ma furono solo pochi secondi.
Perché subito dopo Tom si separò da lui, alzandosi in piedi come di scatto.
Ancora confuso, Bill rimase a fissarlo, seduto per terra.
- Merda… - lo sentì mormorare, prima di vederlo scomparire oltre la porta del salotto.
Ancora una volta, rimase a fissare il vuoto al posto del suo corpo, come si aspettasse una risposta.
Poi capì che probabilmente era il caso di smetterla di aspettare risposte che non sarebbero mai arrivate da sole.
Nel momento stesso in cui adocchiò il telefono, ancora poggiato sul tavolo, lo prese in mano e compose il numero di Andreas.


Gli erano bastati quei pochi secondi di silenzio, interrotti solamente dal tu-tuuu che risuonava dalla cornetta, segno che il cellulare dell’amico stava ancora squillando, per riannegare nei propri pensieri. La scoperta di ciò che era accaduto a Tom lo aveva del tutto spiazzato, non sapeva cosa fare, cosa dire, come reagire. Non sapeva nemmeno perché aveva fatto quella telefonata.
- Pronto? - sentì rispondere Andreas, ma le parole non riuscirono ad uscirgli dalla bocca. Lo aveva chiamato senza pensarci, come se si aspettasse che, qualsiasi potesse essere il suo problema, Andreas potesse risolverlo. Ma... come avrebbe potuto? Andreas non sapeva nulla di quell’estate... e Bill ancora non se la sentiva di parlargliene.
- Bill? Che succede? – insistette il ragazzo, preoccupato.
Bill chiuse gli occhi, stringendo un angolo del cuscino in un pugno. Doveva riuscire a dire qualcosa.
- Io... Tom... – sospirò. Perché era così difficile parlare di loro due?
- Oddio, hai ucciso Tom? Alla fine vi siete scannati? Lo sapevo che sarebbe successo, prima o poi...
Ed eccola. Era bastata una semplice frase ironica a risvegliarlo. Sapeva che Andreas stava scherzando, che la sua era soltanto una battuta... ma, bastò quello, bastò sentirlo scherzare su lui e Tom, quando poco prima Tom gli aveva rivelato la verità, per riaccendere qualcosa dentro di lui.
- Andreas, smettila... è una cosa seria...
Poté immaginare lo sguardo dell’amico cambiare. Perché sapeva che quelle parole erano suonate diversamente dal solito. Non come quando le diceva lamentandosi perché nell’ultimo negozio nel quale era stato non c’erano abbastanza scaffali con vestiti maschili. Sapeva che Andreas aveva capito che si riferiva a una cosa veramente importante.
- Cos’è successo?
Strinse di più le dita attorno al cuscino e sospirò.
- Io e Tom abbiamo parlato... – buttò fuori quasi con sofferenza, - e lui mi ha raccontato... Andreas, tu lo sapevi cos’era successo negli ultimi due anni?
Una parte di Bill sperava che Andreas sapesse tutto. Non era sicuro di avere abbastanza forza per ripetere, o anche solo ripensare a ciò che era successo a Tom per colpa sua.
- Beh, dopo il litigio con te non era più lo stesso...
- Spiegati meglio...
- Era diventato strano... come dire... – Andreas si prese un secondo per riflettere. – Per un periodo non ti ha nemmeno nominato, parlare di te era un tabù… poi col passare dei mesi ha ricominciato. Parlava di te come se ti odiasse… però, non so, - rifletté, - avevo l’impressione che il suo fosse un odio scelto, o che comunque… è strano da spiegare… ma sembrava che ogni occasione che coglieva per nominare il tuo nome la cogliesse perché voleva parlare di te... come per sentirti più vicino... – sbuffò un sorriso, - E anche se non lo ammetteva, so che voleva sapere come te la passavi. Per questo ogni volta che ci sentivamo finivamo per parlare di te... e penso che a lui facesse piacere, anche se si ostinava a dire che ti odiava...
Quindi Tom non lo odiava... voleva odiarlo, desiderava odiarlo...
E lui tutto quell’odio lo meritava…
- Aveva ragione a farlo. – disse gelido, quasi assente.
- A odiarti? – lo interrogò Andreas, titubante.
- Sì, - rispose lui, - gli ho rovinato la vita, merito tutto il suo odio...
E un’altra lacrima scese silenziosa.
- Senti Bill, io non so cosa sia successo due anni fa tra voi due. – cercò di consolarlo Andreas, con un sospiro rassegnato, - E non so cosa sia successo a Tom nell’ultimo anno. Ma è arrivato il momento che vi chiariate una volta per tutte, perché così non potete continuare. Vi state distruggendo lentamente.
Come poteva pretendere che Tom lo perdonasse? In quel momento si odiava perfino da solo…
- Ma...
- Niente “ma” Bill. – lo interruppe il biondo, perentorio, - Vuoi renderti conto che voi due siete uniti? Insomma, non siete solo fratelli. Siete gemelli. Fratelli gemelli identici monozigoti. Il vostro è uno dei legami più forti che possa esistere, se non il più forte. Cazzo, scientificamente eravate la stessa cosa, prima di dividervi in due metà.
Bill sgranò gli occhi. Una certezza si stava facendo largo nella sua mente.
Una certezza della quale lui era sempre stato a conoscenza, anche se non se ne era reso conto prima d’allora.
- Bill?
- Due metà di una cosa... – sussurrò appena, gli occhi ancora sbarrati.
- Che succede?
E in quel momento, Bill seppe cosa doveva fare.
- Andreas, devo lasciarti. Ciao.
E senza altre parole mise giù.


Quando entrò in camera, vide Tom disteso sul letto a pancia in su, le braccia incrociate dietro la testa e lo sguardo perso nel vuoto, che scrutava le crepe nel soffitto con palese disinteresse. Sorrise teneramente. Tom sembrava cambiato, ma non lo era poi così tanto. Ricordava centinaia di pomeriggi in cui l’aveva trovato in quella posizione quando avrebbe dovuto fare altro – sistemare la propria stanza, fare i compiti, portare a termine le faccende domestiche che gli erano state affidate e così via.
Lo chiamò a bassa voce, e lui subito scattò a sedere, guardandolo e dischiudendo le labbra come volesse dirgli qualcosa. Bill scosse il capo e mise l’indice davanti alla bocca, incitandolo a restare in silenzio, e poi gli andò vicino, appoggiandogli una mano sulla spalla e convincendolo con una leggera pressione a tornare disteso. Tom ubbidì docilmente, fissandolo come rapito –gli sembravano secoli che non lo vedeva sorridere in maniera così tranquilla – e solo alla fine Bill interruppe il contatto fra loro e si distese al suo fianco, a pancia sotto, per poterlo guardare in viso appoggiandosi coi gomiti al materasso.
Sapeva esattamente cosa voleva dirgli.
Doveva solo trovare le parole giuste.
Sospirò, aggrottando le sopracciglia mentre cercava di focalizzare nella mente il modo migliore per esprimere ciò che aveva capito, e poi, d’improvviso, il modo migliore arrivò. E per la prima volta nella propria vita Bill Kaulitz fu felice di aver studiato filosofia invece di aver perso tempo andando a cazzeggiare in giro coi propri inutili compagni di classe.
- Platone… - accennò, lasciandosi andare ad un risolino divertito quando adocchiò la smorfia stupita di Tom nel sentire un nome che aveva probabilmente associato alla noia più totale, fino a quel momento, - ha scritto un’opera, che si chiama Simposio. Sai cos’è un simposio?
Tom scosse il capo, guardando altrove, imbarazzato.
- Una cena. – si rispose Bill, - Una cena durante la quale gli invitati sono invitati ad esporre il proprio pensiero riguardo ad un argomento stabilito all’inizio. Nel Simposio di Platone l’argomento è l’amore.
Tom tornò a guardarlo all’improvviso, dedicandogli tutta la propria attenzione.
- Uno degli invitati al Simposio è Socrate. Sai chi è Socrate, vero?
- Tutto questo straparlare di filosofia avrà un senso, alla fine? – ritorse Tom, con un’altra smorfia, stavolta più divertita.
- Era il maestro di Platone. – continuò Bill, ignorando la sua protesta ma ridacchiando della sua smorfia, - Platone ne aveva un grande rispetto. E quello che dice lui dell’amore è probabilmente… - sospirò, - la cosa più bella che sia mai stata detta sull’amore in assoluto, credo.
Tom sbuffò.
- Spara.
Bill rise nervosamente, prendendo a giocare con due dita sul ventre del gemello e concentrando lo sguardo sui disegnini privi di senso che tracciava con le unghie sulla maglietta, e che svanivano appena sollevava le punte, per evitare di continuare a fissarlo in viso.
- Secondo Socrate, quando l’umanità fu creata non era com’è oggi. Le persone in realtà erano degli esseri dotati di quattro gambe, quattro braccia, due teste… insomma, due corpi fusi in uno, attaccati per la schiena.
- Dio, dovevano avere serie difficoltà a muoversi… - commentò Tom ironico.
- Piantala di fare il guastafeste! – rise Bill, guardandolo per un secondo prima di tornare e fissarsi le dita, - Sto cercando di fare un discorso serio!
Tom sbuffò, sorridendo appena e scrollando le spalle.
- Insomma, un giorno, sempre secondo Socrate, questi esseri cominciarono a vantarsi un po’ troppo, dicendo in giro di essere superiori perfino agli dèi. Loro, però, non erano granché d’accordo con questa… presa di posizione. Perciò Zeus, infuriato, decise di punirli nel modo peggiore…
Tom deglutì.
- Li separò? – chiese incerto.
Bill annuì.
- Questa leggenda, Socrate la usa per spiegare il perché dell’amore. Perché le persone si cercano? Perché desiderano tanto stare con qualcun altro? Perché non fanno che desiderare di trovare qualcuno con cui dividere tutto?
- …perché vogliono ritrovare l’altra metà di loro. – rispose Tom, continuando a guardarlo come non riuscisse a staccargli gli occhi di dosso.
Bill rise ancora, annuendo lentamente.
- Io lo so, Tom… - bisbigliò, chinandosi su di lui fino a sfiorargli la fronte con la propria, - Lo so, l’ho sempre saputo, che la nostra anima è la stessa spezzata in due. Lo so che siamo le due metà della stessa persona. Lo so che sono fortunato, perché ci sono persone che cercano quello che abbiamo noi per tutta la vita, mentre io non ho neanche dovuto faticare, dal momento che tu ci sei sempre stato. – sospirò, avvicinandoglisi ancora un po’, fissandolo negli occhi, - Ma… ho comunque bisogno di un po’ di tempo prima di-
Non riuscì a finire.
Tom lo prese per il polso, costringendolo a stare fermo, e lo attirò a sé, baciandolo con foga, come non avesse aspettato altro per tutta la propria vita.
E Bill fu tentato di sottrarsi.
Fu tentato di tirarsi indietro e lamentarsi, protestare, che aveva appena finito di dire di aver bisogno di tempo, che non era ancora pronto, e tutto un altro miliardo di spiegazioni, di giustificazioni, di perché, rimostranze tutte validissime…
…e tutte completamente false.
Si lasciò andare contro di lui, stringendolo forte, affondando le ginocchia nel materasso e le dita fra i suoi capelli, ricambiando il bacio con la stessa esatta passione del fratello, gli occhi chiusi, i respiri affannosi, i corpi caldi così vicini da sembrare di nuovo uno.

You don't do it on purpose
But you make me shake
Now I count the hours 'til you wake
With your babies breath
Breathe symphonies
Come on sweet catastrophe


Tom si risvegliò qualche ora dopo. Fuori dalla finestra pioveva ancora, e sembrava non essere cambiato nulla rispetto a quando aveva chiuso gli occhi.
Ma una differenza c’era.
Bill era ancora lì.
E dannazione, ci sarebbe rimasto.
Lo scosse appena, intuendo quanto fosse tardi dall’orologio sulla scrivania poco distante. Bill aprì gli occhi con un mugugno lamentoso, sbadigliando vistosamente prima di lanciargli un’occhiataccia perforante e, immediatamente dopo, un letale pizzicotto al fianco.
- Ahi! – saltò in aria Tom, massaggiando il fianco dolorante, - Perché?!
Bill sorrise furbo.
- Così impari a rubarmi il letto! – disse, sollevandosi sul materasso e puntellandosi coi gomiti.
- Tanto per cominciare! – motivò Tom, irritato, - Essendo io il gemello maggiore posso fare il cavolo che mi pare! E poi, quando sono entrato in camera ero sconvolto!, insomma, cerca di capirmi, non capita tanto spesso di baciare il proprio gemello e rendersi conto di trovarlo ancora così… - gli lasciò scorrere addosso uno sguardo pieno di desiderio, e si morse le labbra, giocando con qualche secondo con la lingua sul piercing, - …va be’, hai capito! Insomma, secondo te perché sono scappato dal salotto dicendo “merda”?! Non ci stavo con la testa, è chiaro! Non potevo mica arrampicarmi su fino al mio letto! Renditi conto, non avevo abbastanza forze! E poi-
Neanche lui riuscì a finire.
E quella volta fu Bill a fermarlo, strappandogli un bacio a fior di labbra, che divenne più profondo quando lui le dischiuse, lasciando spazio alla sua lingua per entrare.
- Ehi… - si lamentò quando si furono separati, tornando a distendersi sul letto, - Non vale, sei il minore, queste cose dovresti lasciarle fare a me…
Bill ridacchiò, assottigliando gli occhi come un gatto.
- Con i due di oggi mi hai rubato ben quattro baci contro la mia volontà! – spiegò il moro, scrollando le spalle. Poi tornò a sorridere sereno, guardandolo. – Considerala la mia vendetta personale.
Tom sorrise.
Avevano passato gli ultimi giorni a vendicarsi l’uno dell’altro per il male che si erano inflitti a vicenda durante gli anni precedenti.
Ma da quel momento in poi sembrava che la vendetta avrebbe avuto tutto un altro sapore…

Maybe this time I can follow through
I can feel complete
Stop paying dues
Stop the rain from falling
Keep my ocean calm
This time I know nothings wrong


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