Scritta in coppia con Ana.
Genere: Malinconico, Triste, Commedia, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Slash, AU, Angst.
- Bill non vuole ricordare. Tom non vuole ricordare.
Nessuno dei due sente il bisogno di farlo. Perché fa male, fa troppo male, fa male come uno spiacevole ago conficcato in un fianco.
...entrambi, probabilmente, hanno tanto bisogno di ricordare che se non lo faranno scoppierà loro la testa.
Se poi Jorg Kaulitz decide di "dar loro una mano" inconsapevolmente...
Note: Scrivere questa storia è stato in parte veramente facile XD e in parte veramente difficile. E' una storia comunque particolare, nel suo genere, per quanto io resti comunque convinta del fatto che la trama non sia poi così incredibilmente originale come si è detto. Certo, si vedono poche fic del genere sui gemelli, ma dire che sia originale in assoluto... ma comunque questi sono discorsi spiccioli che non valgono niente. Miles Away è una puccina. Credo che la sua forza stia soprattutto nel fatto di essere una storia narrata semplicemente. Direttamente. Senza troppi fronzoli. Quella era, e quella, io e Ana, abbiamo messo giù. Credo sia abbastanza normale sentirti trascinato dentro una storia quando ti sembra che il personaggio stia dialogando con te, parlandoti direttamente. E credo sia successo esattamente questo, fra Bill, Tom e i lettori di Miles Away.
C'è da dire che ho fatto davvero la preziosa, con questa storia XD Dal momento che ero incasinata su più fronti, avrei preferito cominciare a scriverla più avanti, all'incirca verso Novembre. E invece ad Agosto eravamo già lì al lavoro. E per Settembre era tutto finito (missing moment a parte XD). E' stata una cosa un po' strana, e quasi... mah, non so, forse dolorosa °_° E' che, per quanto iniziare i capitoli fosse difficile (perché appunto ero sempre presissima da altro), Ana riusciva sempre in qualche modo a scrivere delle scene che poi mi ispiravano un casino, e io le andavo dietro come una matta, e in ventiquattr'ore in genere i capitoli erano davvero praticamente finiti, rivisitazioni successive a parte °_° E' una cosa quasi inquietante.
Per i missing moment stiamo seguendo una linea un po' diversa. A parte che sono io a rompere le palle per scriverli X'D Riusciamo davvero a finirli in pochissimo perché li scriviamo praticamente insieme su MSN, e poi, essendo vaccate, non hanno bisogno dell'attenzione spasmodica al particolare che invece dedicavamo alla storia madre. Spero solo che al pubblico piacciano altrettanto ù.ù
Genere: Malinconico, Triste, Commedia, Romantico.
Pairing: Bill/Tom.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Incest, Language, Slash, AU, Angst.
- Bill non vuole ricordare. Tom non vuole ricordare.
Nessuno dei due sente il bisogno di farlo. Perché fa male, fa troppo male, fa male come uno spiacevole ago conficcato in un fianco.
...entrambi, probabilmente, hanno tanto bisogno di ricordare che se non lo faranno scoppierà loro la testa.
Se poi Jorg Kaulitz decide di "dar loro una mano" inconsapevolmente...
Note: Scrivere questa storia è stato in parte veramente facile XD e in parte veramente difficile. E' una storia comunque particolare, nel suo genere, per quanto io resti comunque convinta del fatto che la trama non sia poi così incredibilmente originale come si è detto. Certo, si vedono poche fic del genere sui gemelli, ma dire che sia originale in assoluto... ma comunque questi sono discorsi spiccioli che non valgono niente. Miles Away è una puccina. Credo che la sua forza stia soprattutto nel fatto di essere una storia narrata semplicemente. Direttamente. Senza troppi fronzoli. Quella era, e quella, io e Ana, abbiamo messo giù. Credo sia abbastanza normale sentirti trascinato dentro una storia quando ti sembra che il personaggio stia dialogando con te, parlandoti direttamente. E credo sia successo esattamente questo, fra Bill, Tom e i lettori di Miles Away.
C'è da dire che ho fatto davvero la preziosa, con questa storia XD Dal momento che ero incasinata su più fronti, avrei preferito cominciare a scriverla più avanti, all'incirca verso Novembre. E invece ad Agosto eravamo già lì al lavoro. E per Settembre era tutto finito (missing moment a parte XD). E' stata una cosa un po' strana, e quasi... mah, non so, forse dolorosa °_° E' che, per quanto iniziare i capitoli fosse difficile (perché appunto ero sempre presissima da altro), Ana riusciva sempre in qualche modo a scrivere delle scene che poi mi ispiravano un casino, e io le andavo dietro come una matta, e in ventiquattr'ore in genere i capitoli erano davvero praticamente finiti, rivisitazioni successive a parte °_° E' una cosa quasi inquietante.
Per i missing moment stiamo seguendo una linea un po' diversa. A parte che sono io a rompere le palle per scriverli X'D Riusciamo davvero a finirli in pochissimo perché li scriviamo praticamente insieme su MSN, e poi, essendo vaccate, non hanno bisogno dell'attenzione spasmodica al particolare che invece dedicavamo alla storia madre. Spero solo che al pubblico piacciano altrettanto ù.ù
All publicly recognizable characters, settings, etc. are the property of their respective owners. Original characters and plots are the property of the author. The author is in no way associated with the owners, creators, or producers of any previously copyrighted material. No copyright infringement is intended.
Miles Away
- Capitolo 5 -
La bellezza della Bretagna aveva colpito ancora.
La ragione per la quale Bill era quasi morto congelato quella notte, era la Bretagna.
O, per meglio dire, la sua pioggia. Era stata quella la causa del freddo della notte precedente.
Bill rabbrividì al ricordo e distolse lo sguardo dalla finestra. Si girò, appoggiandosi alla portafinestra che portava al balcone della loro stanza, e incrociò le braccia sul petto.
Era mattina inoltrata e stava aspettando che Tom uscisse dal bagno.
- Era ora, - disse, quando il biondo ritornò in camera, ancora in boxer.
Tom lo guardò, annoiato.
- Buongiorno anche a te. – rispose ironico.
Bill si staccò dalla porta, dirigendosi verso l'armadio per prendere dei vestiti puliti.
Nel frattempo, Tom si era già messo i jeans ed era impegnato a far passare quella giungla di rasta che aveva in testa attraverso il colletto della solita t-shirt XXXL.
- Ahi...
Bill staccò lo sguardo dalle sue magliette e guardò il fratello.
- Hai detto qualcosa? – chiese, falsamente distratto.
- No... nulla... – bisbigliò Tom, sfiorandosi appena la guancia sinistra, mentre una smorfia di fastidio compariva sul suo viso.
Il moro spostò di nuovo lo sguardo dentro l'armadio, afferrando una maglietta e dei jeans a caso, e si diresse in bagno senza dire un'altra parola.
-... ma va a quel paese, brutta carogna...-
Bill alzò un sopracciglio dalla sorpresa, entrando in cucina e vedendo il fratello scalciare contro una sedia.
- Che succede? – chiese, sedendosi sul solito sgabello e afferrando la scatola di corn flakes, iniziando a sgranocchiarli.
Tom si girò a guardarlo, portando le mani ai fianchi e inclinando la testa di un lato.
- Siamo senza elettricità. – constatò con un falso sorriso. – Bello, vero?
Bill per poco non si strozzò con i cereali.
- Cosa?! – strillò, spalancando gli occhi.
- Non c'è elettricità. – ripeté Tom, ora nervoso. – Pensavo fosse solamente una lampadina fulminata, ma invece proprio non c'è luce. Non funziona nulla. Nemmeno il frigo e, peggio ancora, nemmeno il fornello, visto che pure quello va ad energia elettrica.
Bill deglutì, sempre più sconvolto.
- Stai scherzando?
- No.
- Tu stai scherzando.
- Cazzo Bill, ti dico di no! Non! C'è! Luce!
Bill scese dallo sgabello, sollevando un indice davanti al viso.
- Non esiste. No, no, proprio no. Dammi il telefono. – mormorò, apparentemente glaciale, mentre i suoi occhi lanciavano intorno scintille d’ansia.
- Non funziona nemmeno quello, idiota! – sbottò Tom, scuotendo il capo.
- Non osare darmi dell'idiota! Dove sono i numeri?! – gridò Bill, ormai palesemente irritato.
- Quali numeri?! – rimbeccò Tom, tendendosi come una corda di violino.
- I numeri di telefono per le emergenze! Quelli che ci ha lasciato Saki! – spiegò il moro, gesticolando animatamente.
- Ah. – annuì Tom, mentre pareva fare finalmente chiarezza nel proprio cervello confuso, - Sono sul frigorifero.
Senza dire una parola il più piccolo andò verso il frigo, staccò il biglietto dallo sportello e uscì dalla cucina.
Tom lo seguì. Quando arrivò in camera vide che era al cellulare e stava parlando con qualcuno in francese.
Seguì la scena dallo stipite della porta, dove si era appoggiato, osservandola con distaccato interesse fino a quando Bill chiuse la conversazione e si buttò sul letto, coprendosi gli occhi con le mani.
- Cos'hanno detto? – chiese Tom.
- C'è stata una tempesta... – mugugnò Bill, col viso ancora nascosto. – Un fulmine ha colpito non ho capito bene cosa, sta di fatto che tutta la zona è senza luce... hanno già iniziato i lavori, ma pare che sia saltato anche il generatore di un ospedale, quindi quello ha la precedenza... hanno detto che non ci sarà elettricità fino a domani, come minimo. – spostò le mani e guardò Tom. – La odio questa vacanza.
Tom lo guardò, e osservò Bill fare lo stesso. Entrambi lessero in profondità quanto realmente stessero detestando quella situazione assurda, e per poco non sospirarono contemporaneamente.
- Non dirlo a me... – rispose semplicemente il biondo, tagliando corto, andandosene e lasciandolo da solo.
Di nuovo.
Che.
Schifo.
Di.
Vacanza.
Si era alzato dal letto cercando qualche rimedio contro la noia, ma non aveva avuto risultati.
Tom sembrava scomparso chissà dove e, sinceramente, a lui andava bene così.
Era da quando si era svegliato che continuava a pensare e a ripensare a quella notte.
Perché era così difficile dimenticare certe cose?
Sarebbe stato così facile continuare a vivere, senza vivere nei ricordi del passato e...
- Ehi! – esclamò Tom, sbucando da dietro lo schienale del divano e facendogli venire uno spavento tale che lui per poco non capitombolò per terra.
Bill afferrò la maglietta all’altezza del cuore, percependo sotto il palmo il battito isterico del proprio cuore, reso tremendamente veloce un po' dallo spavento preso e un po' dal fatto che il viso di Tom fosse improvvisamente così vicino al suo... di nuovo.
- Che succede? – chiese, sollevandosi un po' per appoggiare la schiena al bracciolo.
Tom si era seduto sullo schienale del divano e aveva un sacchetto di plastica in mano.
- Cos'hai là? – chiese di nuovo Bill, indicando il sacchetto con un cenno del capo.
- Ah, questo? – domandò Tom aprendolo e guardando dentro, - Sono andato in cantina e ho trovato delle candele... penso ci torneranno utili per quando farà buio.
Bill annuì, distogliendo lo sguardo. Era difficile guardare suo fratello negli occhi, per non parlare del livido che risaltava sulla sua guancia, violaceo scuro, in contrasto col suo incarnato.
- Senti... – continuò Tom, guardando fuori dalla finestra, - Di sotto ho trovato un vecchio grill, e c'è anche del carbone… quindi, se non piove più, pensavo di accendere un barbecue... almeno avremo qualcosa da mangiare. – spiegò inclinando la testa in avanti e guardando il cielo, come per controllare le nuvole.
Un barbecue, sì.
Come fosse tutto a posto.
Come fossero ancora una famiglia felice.
Come se loro fossero ancora gli stessi di tre, cinque, dieci anni prima.
…come non fosse veramente successo nulla.
- Okay... – mormorò Bill a voce bassa, scuotendo il capo mentre ammetteva con sé stesso che avrebbe fatto meglio ad evitare l’autoanalisi, se voleva mettere qualcosa sotto i denti.
Eppure… non riusciva a smettere di domandarsi…
…Cosa gli stava succedendo? Perché si comportava a quel modo? Ma sopratutto, perché Tom faceva come… come se quel segno viola fosse stato sul suo viso da quando era nato?
- Perché lo fai? – chiese alla fine, guardandolo.
Tom si girò verso di lui.
- Cosa sto facendo? – chiese, inarcando le sopracciglia sorpreso.
- Perché... – iniziò Bill, - Perché ti comporti così? – continuò, fermandosi un secondo per mordicchiarsi il labbro inferiore, incerto, - Perché ti preoccupi per la luce e per il pranzo?
Tom sospirò.
– Mi sembra ovvio. - asserì, scrollando le spalle, - Voglio mangiare e non ho intenzione di passare tutta la notte al buio.
- Okay, capisco questo… – disse Bill, alzandosi a sedere e incrociando le braccia sullo schienale, per poi appoggiare il capo sugli avambracci incrociati, - ma perché ti preoccupi anche per me? Insomma, pensavo che dopo ieri sera la tregua fosse andata a puttane... – sussurrò alla fine, guardando in basso.
Tom fece leva sulle braccia e si lasciò cadere all'indietro, lasciando le gambe all'aria mentre la testa penzolava giù.
- Non posso mica lasciarti morire di fame... chi lo spiegherebbe a papà e agli altri? – spiegò, grattandosi la pancia da sopra la maglietta. – E comunque... – continuò, ignorando lo sbuffare del gemello, - Quel pugno me lo sono meritato. Dovevo lasciarti in pace. Sapevo benissimo che, incazzato a morte com’eri, sarebbe stato meglio lasciar perdere... ma forse – aggiunse, con un sorrisetto un po’ malinconico, - una parte di me sper- si interruppe, soppesando le parole, - ...pensava che io fossi ancora l'unica persona in grado di calmarti... e comunque era anche ora che qualcuno mi desse un pugno, ne stavo sentendo la mancanza... – concluse, con una mezza risata ironica.
Bill lo guardò, e ancora una volta il fratello ricambiò lo sguardo.
- Tom... – accennò, ma il biondo non lo lasciò finire.
- Però, la prossima volta che mi meriterò un pugno, togliti gli anelli... fanno un male che non ti dico. – ammise, mentre un sorriso divertito gli compariva sulle labbra.
Bill sbuffò una risata.
- Bene... – disse Tom, abbassando le gambe e rimettendosi in piedi, - Vado a preparare il grill.
Era fuori in giardino, seduto su una sedia di plastica, ed osservava Tom saltellare davanti al grill. Aveva appena messo su due bistecche belle grosse, che stavano lentamente cocendo e spandendo nell'aria un buon aroma di carne alla brace.
- Manca molto? – chiese annoiato, mentre lo stomaco iniziava lentamente a brontolare.
- Una quindicina di minuti come minimo... il fuoco non è molto forte. – spiegò il rasta, continuando a saltellare.
- Ma perché saltelli? – domandò Bill, alzandosi e raggiungendo il gemello vicino al barbecue.
- Niente, ho voglia di saltellare... – rise nervosamente il biondo.
- Non raccontare balle...
Tom si fermò, guardando il gemello con aria estremamente seria.
- Devo andare al bagno... – confessò, - urgentemente.
Bil soffocò una risata.
- Ma allora vacci! Cos'è? Hai paura dell'uomo nero? – lo prese in giro con un ghigno.
- Non posso lasciare il barbecue da solo! – spiegò Tom, gesticolando come poco tempo prima aveva fatto anche il gemello, - La carne potrebbe bruciarsi!
- Ma se hai detto che il fuoco non è tanto forte!
- Metti caso che si alzi all'improvviso...
- Ci sono sempre io...
- Tu non sai cucinare. – commentò sbuffando e guardandolo di sbieco.
- Oh, ma cosa vuoi che sia? – si lamentò Bill, roteando gli occhi, - Se vedo che stanno cocendo troppo, le giro col forchettone... non sono così scemo.
- Posso fidarmi?
- Certo che ti puoi fidare, ne va anche del mio, di pranzo.
- Prometti di avere tanta cura di queste due bistecche quanta ne hai verso i tuoi capelli?
Bill roteò ancora gli occhi verso il cielo grigio.
- E va bene! – concesse, - Ti prometto che niente e nessuno potrà staccarmi da questo grill. Ora dammi quel maledetto forchettone e va a pisciare!
Tom non se lo fece ripetere due volte. Porse il forchettone a Bill e corse dentro casa, chiudendo la porta dietro di sé.
E in quel preciso istante iniziò a piovere.
A dimostrazione della verità inconfutabile che se può andare male, lo farà.
Bill non poteva credere alla propria sfiga.
Le piccole gocce cominciarono a farsi sempre più grandi e sempre più numerose. In pochi secondi, i capelli del ragazzo si ritrovarono bagnati dalla radice alla punta, e il poco trucco che aveva messo quel giorno stava colando sulle sue guance.
…Ma lui rimase lì, immobile.
Non poteva abbandonare le bistecche.
Sospirò dolorosamente, puntellando la carne col forchettone e osservando di sottecchi lo spettacolo desolante dei propri capelli che crollavano esausti e fradici lungo le spalle, appiccicandosi al collo e spianando la strada alla pioggia per infiltrarsi a tradimento nella scollatura della maglia che indossava.
Quanto cavolo di tempo ci avrebbe messo ancora Tom?!
Era sicuro che fossero passati almeno cinque minuti, probabilmente quasi dieci! E la pioggia era diventata un acquazzone coi fiocchi, l'acqua scendeva così forte che non riusciva neanche a sentire altri rumori oltre al battito costante delle gocce contro ogni oggetto trovassero sulla loro strada!
E infatti non sentì nemmeno la porta di casa riaprirsi.
- Bill! – urlò Tom, correndogli incontro, - Cosa stai facendo qua fuori? Entra dentro!
- Perché ci hai impiegato così tanto tempo?! – gli sbraitò contro Bill, ignorando il suo invito ad entrare, troppo concentrato a cercare di fermare i propri denti, che sbattevano per il freddo, prima che si rompessero uno per uno.
- Dovevo cambiarmi la maglietta! Ma tu perché diavolo non sei rientrato?!
Bill serrò le labbra, stringendosi nelle spalle.
- Non potevo lasciare le bistecche! – esplose infine, distogliendo lo sguardo subito dopo aver parlato.
Tom rimase immobile, perplesso, per una frazione di secondo.
- …dannazione Bill, sei un idiota! – commentò infine, afferrandolo per un braccio, - Andiamo dentro! – disse, correndo dentro casa e tirandosi dietro il gemello.
- Ma… le bistecche... – mormorò Bill, troppo infreddolito per opporsi al traino del fratello, - Le bistecche! – ripeté, con più convinzione, una volta che furono al riparo in casa.
- Quelle oramai sono diventate poltiglia. – sospirò Tom, chiudendo bene la porta e girandosi verso Bill.
Il moro era letteralmente inzuppato, i capelli cadevano lisci e gocciolavano per terra, i vestiti bagnati erano appiccicati alla sua pelle e stava pure tremando.
- Vai a farti una doccia. – gli ordinò.
- Non voglio farmi la doccia, voglio la mia bistecca! – s'impuntò Bill.
Tom era esasperato, suo fratello era impossibile.
- Altro che bistecca, avrai un'influenza se non ti cambi immediatamente... e penso che tu non voglia peggiorare queste già stupende vacanze.
Bill si arrese, sospirando ancora.
- Okay, ho capito. Vado a farmi la doccia. – disse, e salì le scale, mentre Tom entrava in salotto, sedendosi sul divano davanti al camino.
E ora cosa faccio?, pensò, sdraiandosi sul fianco, lo sguardo che girava per la stanza alla ricerca di qualche idea.
Ma certo...!, realizzò all’improvviso, ed un sorriso felice si aprì sul suo volto mentre saltava in piedi, alzandosi dal divano e mettendosi all’opera.
Quando Bill rientrò in soggiorno, Tom se ne accorse perché sentì il battito convulso dei suoi denti e si spaventò a morte, saltando in aria e cercandolo in giro con lo sguardo per assicurarsi che stesse bene. Lo trovò sulla soglia della porta, avvolto in ben due accappatoi di spugna, con un asciugamano sulla testa.
- Bill! – strillò, correndogli incontro, - Che cosa diavolo è successo?!
Bill si strinse nelle braccia, sollevando lo sguardo su di lui.
- Lo… scaldabagno… - articolò con difficoltà, incapace di fermare il tremore dei propri denti.
- …oddio, è vero! – realizzò d’improvviso Tom, - Lo scaldabagno non funziona! Ma ti sei fatto la doccia con l’acqua gelata?! Cristo, ti volevi suicidare?!
- Dimmi tu che alternative avevo… - sbottò Bill, scrollando le spalle, mentre Tom si malediceva interiormente per aver insistito tanto su quella dannatissima doccia.
- Ok, senti… - disse il maggiore, poggiandogli una mano sull’avambraccio e trascinandolo sul divano davanti al camino, - Mettiti qui e cerca di riscaldarti. – concluse, passandogli una coperta.
Fu in quel momento, fissando il caminetto in muratura, che Bill si accorse che un allegro e caldissimo fuoco scoppiettava al suo interno, e che, sulla grata montata più o meno a metà dell’altezza della struttura in mattoni, l’acqua di un pentolino quasi bolliva.
Tom aveva acceso il fuoco.
Bill osservò il gemello chinarsi sul camino e recuperare il pentolino con una presina, e notò una macchia di bagnato piuttosto ampia sulla sua schiena.
- …che hai fatto…? – chiese a bassa voce, stringendosi nella coperta.
- Uh? – disse Tom, voltandosi a guardarlo e rischiando di rovesciare il pentolino, - Ah, dici… alla maglietta?
Bill annuì lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso.
- Be’, mi serviva della legna per accendere il fuoco…
- …non dirmi che sei andato a prenderla di fuori!
- …che gratitudine! – sbottò Tom, irritato, - Mi sono pure dovuto mettere a spaccarla, perché ovviamente nel capannone c’erano solo mezzi tronchi interi, e il ceppo era anche fuori dalla tettoia!
Bill sbuffò, distogliendo lo sguardo.
- Dovresti andare a cambiarti. – disse, cercando di mascherare la preoccupazione che nonostante tutto provava nei suoi confronti.
Tom scosse le spalle.
- Sto bene così. E poi devo preparare il tè. A te non dispiace se lo correggo con un po’ di rhum, vero…? Ho come la sensazione che avremo bisogno di più calore possibile…
Bill ridacchiò lievemente, scuotendo il capo e liberandosi dall'asciugamano, e lo osservò maneggiare per qualche minuto con tazze, bustine e bottiglie, per poi porgergli la sua tazza, prima di andare a sedersi nuovamente davanti al fuoco.
Il moro prese la tazza fra le mani, ma la poggiò subito sul tavolo. Si sistemò la coperta sulle spalle, riprese la tazza e si alzò in piedi.
Pochi secondi dopo era al fianco del fratello, aveva spiegato la coperta in modo che avvolgesse entrambi e soffiava sul proprio tè, attendendo che si intiepidisse almeno un po’ prima di berlo, sotto lo sguardo semi-sconvolto di Tom, che tutto si aspettava meno che Bill si comportasse… così.
Come fosse veramente tutto a posto.
Rimasero entrambi in silenzio, sorseggiando lentamente il tè. Tom si accorse vagamente di aver un po’ esagerato col rhum, ma evitò di discutere la cosa, sperando che l’alcool non desse troppo alla testa a nessuno dei due.
Dopo circa mezz’ora – e un’altra generosa tazza di tè – mentre Tom fissava le fiamme del caminetto, cercando di non pensare troppo alla vicinanza assurda di suo fratello, Bill fece un’altra cosa del tutto inaspettata.
Gli si accoccolò contro, stendendo il capo sulla sua spalla, provocandogli un brivido lungo la schiena... e non solo per via dei capelli ancora umidi.
- …hai sonno? – chiese Tom, titubante, cercando di guardarlo in viso, per quanto la posizione rendesse la cosa difficile.
- Mh-hm. – mugugnò Bill, scuotendo il capo, - Pensavo…
- …a cosa…?
- Un ricordo. Ci siamo io e tu davanti al caminetto, siamo in casa della… della nonna, mi pare, e mangiamo torta di mele ancora tiepida. Per un sacco di tempo ho creduto che fosse stato un sogno, ma… è un ricordo, vero?
Tom sorrise, increspando appena gli angoli delle labbra.
- Sì. Lo ricordo anche io.
Bill annuì.
Felice?
- Sai, Tom, avevo quasi dimenticato cosa significasse stare così vicino a qualcuno.
Tom sospirò, scrollando le spalle, come volesse accarezzarlo con quel gesto.
- Certo che sei strano, stasera. Che intendi?
Bill ridacchiò lievemente.
- A Natale… - cominciò, parlando di qualcosa che apparentemente non aveva niente a che fare con quanto stava dicendo poco prima, - papà mi ha mollato, praticamente da solo, per andare da non-mi-ricordo-che-stupido-cliente…
Tom rabbrividì.
…sapeva dov’era stato suo padre lo scorso Natale… e non si trattava di un cliente…
- Mi… mi dispiace… - accennò titubante.
Bill ridacchiò ancora.
- Che ti dispiaci a fare? Non è stata colpa tua… non è colpa tua, se lui è uno stronzo.
Ma è colpa mia se non era con te a Natale.
Gli passò una mano attorno alle spalle, stringendolo a sé, sperando che in qualche modo Bill percepisse quel gesto come una richiesta di perdono e, pur non comprendendone il motivo, glielo concedesse.
Bill gli si accomodò contro, appoggiando meglio il viso contro la sua spalla.
- La cosa più simile a questo che ho ricevuto durante l’ultimo anno… - raccontò Bill, fissando il fuoco crepitare nel camino, come se neanche lo vedesse, - è stata quando Dave è venuto a trovarmi in college al posto di papà. Sai, - disse, ridacchiando, - mi ha portato in regalo questa giacca di pelle stupenda che desideravo da tanto… e non gliel’avevo neanche chiesta…!
- …è stato molto gentile… - commentò Tom, incerto su dove il gemello volesse andare a parare.
- Già. – annuì Bill. – Io… non ricordo di averlo ringraziato, sinceramente… intendo, gli ho sorriso, ma non gli ho effettivamente detto “grazie”… e Dave… lui credo che comunque abbia capito che ero stato felice di quel pensiero… e mi ha messo una mano sulla spalla, stringendola un po’.
- …mh…
- Lui è stato l’unico ad avermi trasmesso un po’ di calore umano… ma… - sorrise, stringendosi nelle spalle, - niente di quello che ho provato sulla mie pelle prima di questo momento… - si interruppe, deglutì… Tom poté giurare di averlo visto arrossire… - è anche solo lontanamente paragonabile a quello che sto provando adesso...
Certe cose possono cambiare, pensò Tom, aggrottando le sopracciglia quasi con sofferenza, e stringendosi di più contro di lui, ma questo no. Questo mai.
- Siamo pur sempre gemelli, dopotutto. – ammise il biondo, cercando di usare un tono di voce rassicurante, - Sai che… quando sono arrivato, quella sera, al ristorante… sono riuscito a capire come ti sentivi solo guardandoti negli occhi?
Bill sorrise ancora, gli occhi resi liquidi dal sonno e dall’alcool.
- In fondo, da piccoli eravamo come una cosa sola.
Tom lo strinse più forte.
Dio.
Dio, Bill.
Lo siamo ancora.
Non riesci a sentirlo…?
- Tom…?
- Sì…
Bill sospirò profondamente.
- Si può essere felici, stando vicino a una persona che si odia? – chiese, con lo stesso tono di un bambino curioso che fa al papà una domanda un po’ triste ma che non può fare a meno di porre.
- Be’… - azzardò Tom, stringendosi nelle spalle, - Come si potrebbe essere felici accanto a una persona che si odia…? No che non si può… voglio dire, quando stai accanto a una persona che odi vorresti solo… afferrarla e… buttarla contro un muro, ad esempio… o picchiarla fino a farla sanguinare… o prenderla a insulti fino a farla diventare sorda… “felicità” non è esattamente questo, non credi?
- …
- …
- …Tom…?
Deglutì.
- Che c’è?
- …forse non ti odio.
Continuarono a stringersi, così, senza pensare a nient’altro, aiutati dal dolce tepore del fuoco crepitante nel caminetto, e da quello, altrettanto dolce, che i loro corpi emanavano, e che le coperte trattenevano attorno a loro, come una protezione da ogni male, fino a quando non si addormentarono.
And I'll never let you go
If you promised not to fade away
Never fade away
Hold you in my arms
I just wanted to hold
You in my arms
I just wanted to hold…
If you promised not to fade away
Never fade away
Hold you in my arms
I just wanted to hold
You in my arms
I just wanted to hold…
Let me know that I've done wrong
When I've known this all along
When I've known this all along
Ricordava il giorno in cui tutto quello che conosceva come “il proprio mondo” s’era rovesciato ed era crollato in mille pezzi, senza che lui potesse fare niente per fermarlo, mentre nella sua mente si delineava la crudele ma inappellabile certezza di essere stato lui stesso la causa di tutto.
Ricordava di avere quindici anni.
Ricordava di essere felice, perché avrebbe festeggiato i sedici assieme a suo fratello.
Ricordava di averlo accolto all’aeroporto, di averlo abbracciato, di aver sorriso, percependo chiaramente sotto le dita, nel calore di Bill, nella sua gioia, nel suo sorriso, la certezza assoluta che niente fosse cambiato, che loro erano ancora uniti, ancora felici, ancora insieme.
Ricordava di aver passato il mese più bello della sua intera esistenza, l’agosto più caldo ma meno fastidioso che ricordasse, il più intenso, il più spensierato.
Ricordava Bill, Dio, lo ricordava benissimo, tutte quelle espressioni adorabili, tutto il suo entusiasmo…
…ricordava la consapevolezza, Cristo, arrivata all’improvviso…
Io senza di lui no…
…non ce la faccio, no…
Ricordava il desiderio di tenerlo ancorato a sé, di tenerlo vicino, sempre sempre sempre…
Ricordava come Bill si facesse stringere, come lo stringesse a sua volta, come fossero l’unica cosa veramente preziosa l’uno per l’altro.
Ricordava la festa di compleanno, pochissimi amici, Andreas totalmente fuori di testa, che continuava a lamentarsi del viaggio in aereo, borbottando che “non valeva la pena di attraversare l’oceano per quei due zucconi!”, ma che in fondo era assurdamente felice di trovarsi lì con loro, di vederli finalmente tranquilli, dopo aver sopportato un anno di lamentele continue da parte di entrambi, che non potevano vedersi, che non si sentivano abbastanza spesso, che non facevano che pensare a quando finalmente si sarebbero rincontrati e avrebbero riallacciato anche la parte fisica di quel rapporto che riusciva a rimanere comunque intenso, comunque irrinunciabile anche sulla lunga distanza, ma che non era mai abbastanza…
E poi ricordava quei quattro giorni dopo il primo settembre. Ricordava di aver capito subito che Bill se ne sarebbe andato presto. La scuola, la necessità di riprendere familiarità con la propria monotona vita quotidiana prima di rigettarsi dentro un college dal quale non sarebbe uscito prima dell’estate successiva…
Ricordava di aver pensato con terrore che davvero non avrebbe visto Bill per tanto di quel tempo che sarebbe stato come rimanere a corto d’aria…
Ricordava d’essere entrato in camera, di averlo osservato guardare fuori dalla finestra, il profilo scuro che si stagliava contro quello più blu della notte, illuminato appena da una luna piccolissima che sembrava appesa in cima al cielo con un punteruolo minuscolo…
Ricordava d’esserglisi avvicinato, di averlo abbracciato da dietro, di essere affondato nei suoi capelli e di aver provato a inspirare tutto il suo odore, sperando di riuscire a catturarlo per sempre…
Ricordava il risolino divertito e un po’ stupito di Bill, che dopo il primo imbarazzo iniziale gli si era appoggiato addosso, aderendo perfettamente contro di lui, poggiando il capo sulla sua spalla come fanno certi uccellini con i loro fratelli nel nido…
Ricordava di averlo sentito sospirare, e di avergli chiesto se fosse triste di doversene andare.
Ricordava il suo sì.
Il suo attimo d’esitazione.
E la sua domanda.
“Tom… perché… perché tre anni fa, prima di partire… mi hai baciato…?”
Ricordava di essere morto.
E risorto.
E di aver scoperto di non avere parole per descrivere, di non avere parole per spiegarsi, che neanche tutto il tempo del mondo sarebbe stato in grado di fornirgliele.
E perciò ricordava di essersi chinato su di lui.
Di averlo stretto forte, fortissimo.
E di averlo baciato.
Di non essersene pentito neanche per un secondo, mentre lo faceva.
…ma Dio, ricordava anche il resto, purtroppo.
Il viso di Bill. La sua espressione sconvolta, spaventata, disgustata, mentre si separava da lui, spingendolo lontano con uno strattone mortalmente doloroso. I suoi occhi persi, vuoti, scurissimi. Le labbra ancora umide che modulavano una domanda senza riuscire neanche a pronunciarla – la voce perduta chissà dove, come se con quel bacio Tom l’avesse risucchiata tutta via. I suoi passi veloci. Quell’esitazione sulla porta della camera, come non fosse davvero certo di volersene andare.
E poi la sua figura snella che svanisce oltre la porta.
E non ricompare. Per più di quanto lui non potesse riuscire a sopportare.
Ricordava anche il giorno dopo. Il temutissimo momento in cui l’aveva rivisto, al mattino, e l’aveva sentito più freddo del ghiaccio e più lontano che mai. Quel viaggio allucinante verso l’aeroporto… ancora una volta non avevano litigato per il posto, ma quanto era diverso adesso…? E quanto faceva male vederlo allontanarsi silenziosamente verso il posto passeggero accanto a quello del guidatore, mentre lui stesso fuggiva dietro, con la coda fra le gambe?
E come dimenticare anche il resto…
Il blando tentativo di dirgli qualcosa, una cosa qualunque, prima di vederlo scomparire nella fila per l’imbarco…
…e i suoi occhi…
Furiosi, infuocati…
I “non toccarmi!”, i “bastardo, come hai potuto?!”, i “sei uno stronzo, vaffanculo, mi fai schifo, mi fai schifo!!!, non voglio vederti mai più finché sono vivo, Tom, giuro!”…
Il rumore netto e secco del proprio cuore che si frantuma.
Impossibile dimenticarlo.
Impossibile passarci sopra.
Impossibile ignorarlo.
Impossibile tutto.
Tell me all that you've thrown away
Find out games you don't wanna play
Find out games you don't wanna play
Every time you vent your spleen,
I seem to lose the power of speech,
Your slipping slowly from my reach.
You grow me like an evergreen,
You never see the lonely me at all
I seem to lose the power of speech,
Your slipping slowly from my reach.
You grow me like an evergreen,
You never see the lonely me at all
L’indomani mattina li salutò il rumore della pioggia. Quel battito incessante sui vetri, che s’era solo lievemente affievolito, dopo la sfuriata notturna.
Tom era ancora lì, Bill era ancora lì. Il loro calore corporeo era ancora al sicuro fra loro e fra le coperte. I loro corpi sembravano quasi incastrati, era stupefacente la capacità che avevano di completarsi a vicenda anche quando poteva sembrare che fossero emotivamente più distanti che mai.
Rimasero in silenzio per un tempo che sembrò a entrambi infinito.
E poi Tom semplicemente non ce la fece più.
Non poteva ignorare quello che aveva scoperto la sera precedente, non poteva ignorare di essere lui la causa di tutta la sofferenza di Bill fino a quel momento.
…non poteva più ignorare neanche i ricordi.
- Bill… - lo chiamò piano.
Lo sentì tremare.
E capì che anche lui lo sapeva.
Non potevano più continuare a mentirsi a vicenda. Dovevano tirare fuori tutto.
- Dimmi… - sospirò il moro, accomodandosi meglio contro la sua spalla, come volesse prolungare il contatto fra di loro fino a quando non fosse stato del tutto impossibile continuare a farlo.
- Hai presente… - cominciò Tom, deglutendo a fatica, - Hai presente quando papà ti ha lasciato solo, a Natale?
Bill si fermò.
Probabilmente smise anche di respirare.
- Sì. – bisbigliò.
- …non è stato per un viaggio di lavoro.
Lo sentì ritrarsi lievemente, e questo gli spezzò il cuore, ma per quanto potesse desiderarlo… no, non poteva fermarsi.
Doveva essere sincero.
Almeno su quello…
- È venuto a Boston… da me… e ha passato il Natale con me e mamma.
- …ma… - ansimò Bill, a corto di fiato, - …come…? Perché… perché mi ha-
- È stata un’idea di Gordon. – precisò Tom, mordendosi un labbro.
Bill sollevò il capo, cercando i suoi occhi, ma non li trovò. Tom rimase a fissare i tizzoni ormai quasi spenti illuminarsi a tratti nella brace del camino.
- Gordon? – chiese, - Il compagno di mamma?
- Sì. – annuì il biondo.
- …non capisco. – disse Bill, scuotendo il capo, come se, piuttosto che non capire, non riuscisse proprio ad accettare ciò che il gemello gli stava dicendo, - Cosa c’entra? Che c’entra Gordon con te e papà?
Tom sospirò, esausto.
- Ricordi come si sono conosciuti mamma e Gordon?
Bill rifletté qualche secondo.
Poi dischiuse le labbra.
Tornò a chiuderle solo per un secondo, per deglutire meglio, anche se a vuoto.
- …amicizie in comune…? – chiese infine, tirando fuori la forza da chissà dove.
- Sì. – annuì ancora Tom, - Ecco, l’amicizia in comune sono io.
- Continuo a non capire! – quasi strillò Bill, gli occhi resi enormi dallo stupore e da un accenno di pianto per non vedere il quale Tom avrebbe pagato qualunque prezzo.
- Gordon è… - spiegò infine il biondo, socchiudendo gli occhi, - era… il mio terapista.