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Outing
#7 A life lived in lies is a life in denial
Prima Parte
Si svegliò, stropicciandosi gli occhi, ancora rintontito dalle vivide sensazioni del sogno notturno. Non ricordava niente, di quel sogno, tranne il calore, una strana sensazione di bagnato e… sì, l’eccitazione. Ma su quella poteva stendere un velo pietoso.
Preferiva stenderci su un bel velo pietoso.
Generalmente ricordava i sogni che faceva, ma era ormai più di un mese che, di tutti i sogni che era sicuro di fare – il presentat arm del suo piccolo amico, là sotto, non lasciava dubbi – di tutti quei sogni ricordava solo quelle sensazioni vividissime che, per quanto decisamente gradevoli durante il sonno e al risveglio, durante il giorno, al solo pensarci, lo mettevano in imbarazzo e a disagio.
Guardò distrattamente la sveglia sul comodino e rischiò la morte istantanea per infarto.
Mezzogiorno e mezzo.
Immediatamente, pensò a Daphne.
Poi a quanto avesse dormito.
Poi di nuovo a Daphne.
Poi semplicemente “cazzo”.
Si massaggiò le tempie, confuso. Non ricordava a che ora fosse l’appuntamento con la sua ragazza, ma sicuramente era
prima di mezzogiorno e mezzo. Al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il cellulare squillò, e lui sapeva che era lei, prima ancora di controllare il display. Daphne riusciva sempre a terrorizzarlo così, mettendogli in testa la delirante idea che riuscisse a leggergli nel pensiero, o percepire i suoi stati d’animo, o altre stronzate simili.
Rispose.
- Scusa. – disse, prima che lei potesse cominciare a parlare.
Daphne rimase in silenzio per qualche secondo.
- Dammi una spiegazione. – disse infine, nervosamente.
Lui sospirò.
- Essere un coglione?
- Dimmi qualcosa che già non sappia.
- Mi dispiace, davvero…
Lei singhiozzò.
- Senti, sono sotto casa tua. Mi apri?
- Ah… certo! Ma perché non l’hai detto prima? Ti avrei fatta salire subito!
Interruppe la conversazione e corse giù per le scale. Sua madre lo adocchiò dalla cucina, mentre passava davanti alla porta.
- Tesoro! Ti sei svegliato, finalmente…
- Ciao ma’.
Aprì la porta d’ingresso e se la ritrovò davanti. Aveva gli occhi rossi, ma il suo sguardo sapeva ancora minacciarlo molto efficacemente, quindi non commentò.
- Daph…? – la chiamò sua madre, quando si accorse di lei, - Oh, ma voi due non dovevate vedervi stamattina?
La ragazza sorrise alla donna.
- Sì, infatti avevamo deciso di vederci qui… è un problema?
- No, no, figurati! – disse Jennifer sorridendo, - Anzi, perché non rimani qui a pranzo?
- No, grazie, signora Taylor, devo tornare a casa presto…
- Sì, insomma, - si intromise Justin, - io sarei anche in mutande e vorrei chiudere la porta. Entra, Daph.
Appena varcò la soglia, prima che sua madre avesse il tempo di dire qualcos’altro – cosa che voleva fare, glielo si leggeva negli occhi, - lui prese la ragazza per mano e la condusse su per le scale, nella sua stanza.
Jennifer, osservandoli con la coda dell’occhio, sorrise della loro fretta. Non aveva capito niente, ma non se ne accorse.
*
Per un po’, rimasero in assoluto silenzio, fissando il pavimento, seduti sul letto. Poi, d’improvviso, Daphne si alzò, mosse qualche passo e infine si rivolse a Justin.
- Tra noi non va più bene. Spiegami perché.
- Avanti, Daph, solo perché oggi…
- Oggi?
- Va be’, un paio di volte…
- No, no, Justin. Adesso ti rinfresco la memoria.
Prese un gran respiro e cominciò a contare con le dita.
Uno.
- Due settimane fa, lunedì, dovevamo andare insieme alla festa di Pat. Invece sono dovuta andare da sola, facendo la figura della cretina davanti a tutti.
Due.
- Il giorno dopo, per farti perdonare,
tu mi hai proposto di andare a mare insieme, e te ne sei completamente dimenticato.
Tre.
- Il giorno dopo dovevamo andare a ballare, ma ovviamente…
- Ok, ho capito, - la interruppe lui, vergognandosi tanto da voler sprofondare, - Non c’è bisogno che continui…
Lei si sedette nuovamente al suo fianco, le braccia abbandonate sul grembo.
- Justin, qualsiasi altra ragazza già alla terza volta si sarebbe rotta e ti avrebbe mollato. Sono già due settimane che mi ignori completamente e più di un mese che sei sempre distratto e con la testa fra le nuvole. Dimmi qual è il problema.
- Ma non c’è nessun problema…
- Avanti, non è il momento di…
- Dico sul serio! Non so che cos’ho, ma so che non mi è successo niente!
- Quindi sei cambiato così, tanto per fare, senza un perché!
- Daphne, ti prego…
- No, sono io che ti prego di spiegarmi! O di essere sincero, almeno!
Justin roteò gli occhi e sospirò.
- Ok. Senti. Da un mese circa faccio questi strani sogni…
Daphne spalancò gli occhi.
- Non saprei dirti cosa succede in questi sogni. Non me lo ricordo mai. Però sono loro che mi fanno sentire strano.
Lei non disse niente, continuando a fissarlo.
- Mi sento la testa vuota, capisci? Non penso a niente, non capisco più niente. Mi dispiace che questa cosa stia rovinando il nostro rapporto.
Daphne annuì. Si alzò in piedi.
- Questa è la peggior scusa che abbia mai sentito. – disse, sorridendo amaramente, - Potevi almeno inventarti il contenuto di questi fantomatici sogni, sarebbe stato più interessante.
Justin abbassò lo sguardo.
- E’ la verità. – concluse, un po’ irritato.
Lei annuì ancora.
- Certo. Ok, Justin. Ciao.
Uscì con calma, senza scatti nervosi, senza sbattere la porta, senza una lacrima. Si ricordò perfino di salutare sua madre, con voce talmente forte e chiara e allegra che poté sentirla anche lui. Come al solito.
Justin la immaginò uscire di casa, e gli vennero i brividi quando capì che la sua migliore amica di sempre e la sua amante degli ultimi sei mesi stavano uscendo contemporaneamente dalla sua vita, senza che lui potesse fare nulla per fermarle.
*
Non avrebbe saputo con chi altro parlare, perciò andò da Ethan.
Con Ethan aveva avuto una relazione tormentata. Era stato suo compagno di classe al liceo. Poi avevano preso strade diverse – nel senso che, mentre l’uno andava al college, l’altro aveva seguito la Via della Musica e s’era iscritto al conservatorio – ma avevano continuato a frequentarsi assiduamente.
D’improvviso, Ethan se n’era uscito con quella storia dell’essere gay. E con quell’altra storia del piacergli. Sì, proprio lui. E che la smettesse di fare una faccia da pesce, era normale, visto che lui era un bel ragazzo, gentile, eccetera eccetera.
E quindi a quel punto, comprensibilmente, s’erano un po’ allontanati. Nel senso che Justin s’era allontanato e di conseguenza – e altrettanto comprensibilmente – Ethan aveva cominciato a pensare fosse uno stronzo.
In effetti.
Naturalmente, quindi, quando, nel pieno del suo stato d’animo da sono-stato-mollato, Justin si presentò nel superattico polveroso e quasi fatiscente in cui Ethan viveva, il giovane violinista non ne fu esattamente entusiasta.
La prima reazione fu chiudergli la porta in faccia, dopo un’occhiata velocissima e senza neanche una parola.
- Ethan… - lo chiamò debolmente lui, appoggiandosi al portone in legno.
Lui dovette sentire lo smarrimento e la disperazione nella sua voce. Forse per questo si mosse a compassione e riaprì l’uscio, senza risparmiarsi però un’occhiata astiosa.
- Cosa vuoi?
- …vorrei entrare, tanto per cominciare…
- Chi ti dice che io voglia farti entrare,
tanto per cominciare?
Lo guardò, serrando le labbra e incurvando le sopracciglia verso il basso.
- Sì, ho capito l’antifona, sai? Ma credi che con quella faccia da cane bastonato ti si debbano aprire le porte di tutte le case di Pittsburgh?
Non rispose.
- Ok. Dai, entra.
Lo vide sparire all’interno del monolocale, e lo seguì, chiudendosi la porta alle spalle.
- Accomodati. – gli disse, liberando il divano da una catasta di indumenti, - Posso offrirti qualcosa?
Justin scosse il capo. Ethan annuì e si sedette al suo fianco.
- Dunque. L’ultima volta che sei stato seduto su questo divano mi hai praticamente detto che ti facevo schifo. C’è qualcosa che tu possa dire adesso che mi faccia rimuovere questo brutto ricordo?
- Io non ti ho detto che mi fai schifo, Ethan…
- No, beh. Mi hai detto che ti fa schifo il pensiero di due uomini a fare sesso. Mmmh. Nel caso in cui ti fosse sfuggito, io faccio sesso con gli uomini.
- Avanti, sai cosa intendevo dire…
- Appunto, sai bene anche tu quello che intendevi dire. Esattamente quello che hai detto.
Justin sospirò.
- Senti, Ethan, sono venuto per un po’ di conforto, non per…
- Povero Justin triste. Confortiamolo, via. Non vorremo fare i cattivi proprio con lui, che è così dolce.
- …ma “voi” chi?
- Lascia perdere. Che è successo?
Justin fece una breve pausa, guardandosi intorno.
- Beh, in poche parole, la mia ragazza mi ha lasciato.
- Bene!
Justin lo guardò di sbieco.
- Non nel senso che adesso posso approfittarne io. Nel senso che mi fa piacere che tu sia stato mollato. È diverso.
- Va bene, anche io so capire le antifone, me ne vado…
- No che non le sai capire, non voglio che tu te ne vada. Volevo solo fare il bastardo per un po’, sono un ragazzo perfettamente normale. Ok, parliamone.
- Mh… Ecco, Daphne era la mia ragazza fino a ieri sera. Oggi mi ha lasciato… per colpa mia.
- Cosa hai fatto di male?
- Sono stato un po’… negligente.
- Negligente?
Negligente? Negligente cosa? Hai dimenticato di oliarle le giunture? Hai dimenticato di chiudere il gas? Che vuol dire che sei stato negligente?
- Che non l’ho trattata bene, Ethan! L’ho trascurata, sono stato mentalmente e fisicamente assente, sono stato una persona di merda e mi ha lasciato!
- …come godo…
- Basta, mi sono rotto i coglioni! – quasi gridò, scattando in piedi.
Ethan si mise a ridere allegramente.
- Dai, Justin, scherzavo! Cioè, no, ma è uguale…
- Me ne vado.
Ethan rise ancora.
- Ok, ti accompagno alla porta.
Justin avrebbe voluto con tutto il cuore mandarlo a fanculo senza troppi complimenti, ma si forzò a oltrepassare silenziosamente la porta di casa e cominciare a scendere le scale. Quando fu arrivato al primo pianerottolo, Ethan lo chiamò.
- Stasera esci con me!
- …con te…?
- Sì, e un gruppo di amici. Non ti sto mica invitando a cena, sciogliti un po’. Ne hai chiaramente bisogno.
Justin annuì, per quanto poco convinto. Decidere di lasciarsi trascinare era sempre stato il suo forte.
*
Prendiamo Daphne, ad esempio.
Daphne era una ragazza spaventosamente forte e autoritaria. Era anche molto decisa e sicura di sé e di ciò che voleva.
Nel gennaio di quell’anno, ciò che aveva voluto era stato Justin, e, senza tanti complimenti, se l’era preso. Per lui era stato tutto molto facile. Erano già amici e confidenti. Era abituato ad averla sempre intorno, era abituato ad uscire con lei. Non aveva avuto bisogno di chiederle di diventare la sua ragazza, ci aveva pensato lei. S’erano perfino già baciati, un paio di volte. Il sesso era stata un’evoluzione naturale. Non aveva neanche dovuto aspettare l’approvazione di sua madre: quella donna, anche se fra loro non c’era mai stata nessuna intenzione di stare insieme, approvava da tanto di quel tempo che aveva cominciato a chiedersi quando avrebbe avuto una reale ragione per farlo.
Pensandoci, capiva anche lui di essere stato davvero assurdo in quell’ultimo periodo. E perché, poi? Sogni. E talmente inconsistenti! Assurdo, sì. E infatti era logico che Daphne reagisse male a una spiegazione come quella.
Il motivo
doveva essere un altro. Chissà, magari non era più innamorato di lei. Effettivamente, era un po’ che fra loro le cose s’erano fatte un po’ freddine.
Comunque, che debolezza. Così com’era stato preso, era stato mollato quasi senza potere esprimere un’opinione. Vergogna.
*
- Sogni?
Ethan lo guardò come se lo stesse vedendo per la prima volta.
- Dici sul serio?
- Sì, già Daphne me l’ha detto, che è una scusa stupida…
- Non necessariamente.
- Già. – disse uno degli amici del ragazzo, - Per esempio, io ho scoperto di essere gay quando ho cominciato a sognare di fare sesso sulla spiaggia con Matthew McConaughey.
- Oh, - disse un altro ragazzo, - Ethan, non avevi detto che era etero?
- Lo spero per lui. – disse Ethan ridacchiando, - Se è gay e l’ha scoperto solo
dopo avermi rifiutato, lo ammazzo.
- La mia vita è salva. Non sono gay. E non ho mai sognato di fare sesso con McConaughey. O chi per lui.
Tutto sommato, comunque, si stava divertendo ad uscire con gli amici di Ethan. Erano… cioè, può sembrare una cosa incredibilmente razzista da dirsi o da pensarsi, ma… ecco, erano
intelligenti. Piacevoli. Allegri.
Insomma, non avrebbe mai creduto.
Si guardò intorno. La strada su cui camminavano, uno accanto all’altro, era molto ampia e illuminata, oltre che popolatissima. Ovunque Justin posasse lo sguardo, ragazzi in completi di pelle, maglie di cotone, maniche di camicia, uomini, uomini, uomini, ovunque. C’era anche qualche donna, a voler guardare oltre le frotte di maschi. Il punto era che, anche volendo guardare oltre, non ci si riusciva: i maschi erano
troppi.
- Ma esattamente dov’è che siamo? – chiese, non senza un pizzico di agitazione.
I ragazzi risero.
- Beh, se sei gay, - spiegò Ethan sorridendo, - non c’è posto migliore per verificarlo. Questa è Liberty Avenue, l’universo parallelo omosessuale della ridente cittadina di Pittsburgh, Pennsylvania.
Justin spalancò gli occhi.
- Ma io…
- Sì, ok, ma non pretenderai mica che noi si rinunci ad un sabato sera al Babylon perché tu non sei gay, no?
- Ethan, quando mi hai proposto di uscire pensavo fosse per tirarmi su di morale.
- Non esattamente. Era per farti pensare ad altro. Di sicuro non penserai alla tua ex, circondato come sarai al Babylon.
Il Babylon, di fronte al quale arrivarono in pochi minuti, a quanto dicevano gli amici di Ethan era un locale enorme, pieno zeppo di uomini danzanti.
- Eccoci qua! – disse Ethan con gli occhi scintillanti.
- Eh… io penso che rimarrò fuori.
- Come se fosse più sicuro rispetto a dentro…
Justin si guardò intorno.
- Ok, - disse deglutendo, - vengo.
Ethan sorrise e si fiondò all’interno del locale. Gli altri ragazzi lo seguirono a ruota. Solo uno, un ragazzo carino, robusto, con una leggera barbetta bionda, rimase indietro, accanto a lui, a guardarlo, sorridendo.
- Che c’è? – chiese Justin, spaventato.
- Pensavo che tu dovevi piacere davvero tanto a Ethan.
Imbarazzato, si strinse nelle spalle.
- Non saprei.
- No, dico, perché Ethan non è certo tipo da club. Meno che mai da Babylon. Eppure, si è sacrificato con entusiasmo pur di portarti qui e metterti in difficoltà.
- Mh… molto gentile da parte sua.
- Beh, sì. Fossi stato io, ti avrei rotto il naso con un colpo di porta.
Sentendosi a disagio, Justin guardò altrove, fino a quando il ragazzo non gli batté un paio di colpetti cordiali su una spalla. Quando Justin si voltò, lui sorrideva rassicurante.
- Per fortuna io non sono Ethan, ma solo un suo amico. Stai tranquillo. Adesso entriamo, ok? Ethan non sarà tipo da Babylon, ma io non faccio che sognare la backroom per tutta la settimana. – disse, cominciando a salire le scale per entrare.
- Ehi… - lo fermò Justin, tirandolo per una manica, - Cos’è la backroom?
Il ragazzo rise.
- Sei carino, quindi non è così impossibile che qualcuno ti chieda se vuoi andarci. Basta che ti ricordi di dire che sei etero, se qualcuno cerca di farti scendere le scale verso un posto oscuro.
Justin annuì, e il ragazzo ricominciò a salire le scale, ma si voltò quasi subito.
- Ah, una cosa seria. E importante. Come dice sempre Brian, se devi prendere della merda, accetta solo quella che ti dà chi ci tiene alla tua vita, alias gli amici. Quindi, niente pilloline o polverine dagli sconosciuti, ok? Se ti serve qualcosa, chiedi a Steve.
- …?
- Il ragazzo che sogna sesso balneare con McConaughey.
- …ok…
- Bene.
- Eh… senti, chi è Brian?
- Lo vedrai subito, appena entrato, immagino. Si riconosce facilmente, è quello attorno a cui gravitano più uomini. Se gli vai vicino, non muoverti troppo, o capirà che sei una cosa viva e cercherà di scoparti.
- Eh?!
- Ok, ok. Lezioncina finita, entriamo. Ricordami di rimproverare Ethan, più tardi. Ti ha portato lui, avrebbe anche dovuto istruirti.
Il ragazzo, senza che Justin potesse saperne il nome o ringraziarlo, sparì al di là dell’uscio. Justin lo seguì senza aspettare un attimo.
*
L’interno del Babylon era favoloso. Luci di ogni tipo sembravano sommergere i ballerini, mentre una pioggia di brillantini li ricopriva da capo a piedi e la dance music più assordante che Justin avesse mai sentito governava i loro movimenti frenetici. L’unico inconveniente del locale era che fosse effettivamente pieno come un uovo, al punto che uno, per poter arrivare, tipo, al bar, non poteva esimersi dallo strusciare contro ogni essere di sesso maschile o vago durante il tragitto.
Quando riuscì ad arrivare al bar e a sedersi su uno sgabello, la musica stava cambiando ritmo. Ordinò una birra. Poco dopo, lo sgabello al suo fianco venne scostato e poi occupato da un uomo. Corti capelli castani, camicia era, jeans, stivaletti di pelle.
- Una birra. – disse al barista, sorridendo.
Justin si allontanò un poco. Mossa sbagliatissima. Il movimento, lo spostamento d’aria, forse, attirò l’attenzione dell’uomo, che si voltò a guardarlo.
- Sei nuovo? Non ti ho mai visto prima.
- Non sono di queste parti…
- Ah, capisco… prima volta?
- E ultima.
L’uomo rise.
- Sì, il Babylon mette a dura prova i nuovi arrivi.
Justin scrollò le spalle. Lo sconosciuto gli porse una mano.
- Brian.
Brian. Oddio.
Fingiti morto.
- Justin. – disse, stringendogli la mano.
- Piacere. Ti va di ballare?
- Non mi piace ballare.
- Mh. Allora vuoi andare direttamente nella backroom?
Chissà perché, gli venne da ridere. Forse per quel suo sorrisino così spavaldo, forse per il suo tono innocente e lascivo allo stesso tempo.
- Mi hanno detto di rispondere che sono eterosessuale, a questa domanda.
Brian rise di nuovo.
- Beh, nessuno è perfetto. Comunque, se vuoi possiamo risolvere anche questo problema.
Justin si alzò.
- Invece credo che andrò a casa mia…
Brian sorrise, alzandosi a sua volta.
- Allora ciao. Ci vediamo.
Justin sorrise, evasivo. E mentre cercava di allontanarsi, venne afferrato per il collo della maglietta e baciato quasi violentemente. Le labbra di quell’uomo, il sapore di alcool e sigarette, il suo odore pungente, la sua lingua bagnata e quel calore…
Quando Brian lo lasciò andare, era senza fiato.
- Dunque?
Si voltò. Ethan era lì, li guardava con un sorrisetto ironico e le braccia incrociate sul petto.
- Ethan Gold. – disse Brian guardandolo.
- Brian Kinney.
- Voi vi conoscete?
- Sì. – disse Ethan, - Abbiamo lavorato insieme. Ho fatto qualche jingle per lui; sai, fa il pubblicitario.
- Sì, sì, il ragazzo è modesto. - aggiunse Brian passandogli un braccio sulle spalle, - Me lo sono anche portato a letto un paio di volte. Questo è il suo vero merito. Intendo avermi convinto a farmelo per più di una volta sola.
Ethan sorrise.
- Capisco… - disse Justin ricominciando a farsi strada verso l’uscita.
Ethan lanciò uno sguardo complice a Brian, e lui lo lasciò libero di seguire Justin nella sua fuga.
*
- Quello era perché non sei gay, eh?
- Davvero, Ethan, fosse dipeso da me,
quello non sarebbe proprio stato.
- Io diffido sempre da chi dice di non avere responsabilità in un bacio. O è uno stupido, o è un codardo.
- Ah-ha, grazie per la tua illuminante opinione.
- Uh, come sei incazzato… poco fa non sembrava.
- Poco fa non avevo ancora realizzato.
Ethan rise.
- Sì, certo. Ora dove vai?
- A casa mia! Ciao.
Justin si fermò d’improvviso, voltandosi a guardare Ethan, che portava, sul viso sorridente, un’odiosa espressione da “non hai ancora visto niente”. Sospirò.
- Grazie, comunque. Mi sono divertito.
Ethan si strinse nelle spalle.
- Quando vuoi.
*
Si svegliò di soprassalto, balzando a sedere sul letto. Era tornato a casa alle quattro, erano le cinque e mezzo quando aveva riaperto gli occhi, e ovviamente era ancora esausto. Avrebbe voluto continuare a dormire, ma non ci sarebbe mai riuscito. Perché dopo un mese era successo qualcosa di diverso.
Le sensazioni del sogno avevano preso corpo. Non sapeva se fosse la prima volta che succedeva o solo la prima volta che lo ricordava, ma non cambiava il fatto che ormai quel pensiero fosse lì, quasi fisico, comodamente assiso nel mezzo del suo cervello, dove era impossibile provare a ignorarlo.
Il suo sogno era improvvisamente diventato Brian.
*
Il giorno dopo, Ethan lo guardava sconvolto, dalla soglia della porta.
- Giuro che credevo non ti avrei più rivisto.
- Devo parlarti.
Ancora stupito, Ethan annuì e lo lasciò passare.
- Cos’è successo?
- Cosa c’era in quella cazzo di birra che m’hanno dato al bar? – chiese, agitato, camminando nervosamente su e giù per la stanza.
- Eh? Ti hanno messo della droga nel bicchiere?
- Non… non lo so…
- Aspetta, siediti un attimo. Mi sembri sconvolto.
Justin annuì e prese posto sul divano.
- Ora raccontami tutto. – disse Ethan sedendosi al suo fianco.
Justin sospirò profondamente, stringendo convulsamente i pugni.
- Sai i sogni di cui ti ho parlato? Stanotte sono riuscito a ricordare cosa succedeva.
- Oh! Cosa?
Si alzò nuovamente in piedi, mordendosi le labbra.
- Sesso. – disse, senza riuscire a guardare l’altro ragazzo negli occhi, - Con un uomo.
Ethan continuò a guardarlo tranquillamente, limitandosi a sollevare un sopracciglio.
- Non sembri molto stupito… - disse Justin incerto.
- Ovvio.
- …?
- Avanti, questo non fa mica di te un omosessuale. Eri chiaramente suggestionato… i nostri discorsi, Brian… be’, già Brian da solo sarebbe bastato a suggestionarti…
- Dici…?
- Sì. Chi era l’uomo del sogno?
- …lui.
- Ecco, appunto. Stai tranquillo: la tua virilità è in pericolo, ma non è ancora sconfitta.
- Non è divertente!
Ethan rise.
- Senti, ma per te, sinceramente, quanto sarebbe grave se fossi frocio davvero?
Justin lo guardò con sufficienza.
- Oh, no. Non riuscirai a farmi dire che non è nulla di male e che è perfettamente naturale, solo per non offenderti. Il solo pensiero mi dà i brividi.
- Oddio, - disse Ethan, ridendo, - questa atavica paura degli etero di riscoprirsi non-etero!
Rimasero un po’ in silenzio, guardando il vuoto.
- Allora… - mormorò Ethan poco dopo, - Stasera esci ancora con noi?
Justin sorrise.
- Non penso proprio.
*
- Ethan, che sorpresa!
Brian si fece largo tra la folla, raggiungendolo. Sorrideva in maniera tanto allegra che lui si sentì come forzato a fare altrettanto.
- Mi sorprende la tua cordialità, Brian.
- Ha-ha. Come mai ultimamente frequenti tanto il Babylon? Mi sembrava di ricordare che non fosse abbastanza artistico per i tuoi gusti.
Il ragazzo scrollò le spalle.
- Dovrò pur svagarmi, una volta ogni tanto.
- Non hai mai detto niente di più intelligente. E dov’è il biondino di ieri… come si chiamava…?
- Justin.
- Sì, lui.
- Brian, davvero, se avevi delle mire su di lui, dovresti fartele passare. È etero. Rassegnati.
- Ieri l’ha detto anche a me, ma non diceva sul serio.
- Sì che diceva sul serio, fidati. Lo conosco da anni. Ha appena rotto con la sua ragazza…
- Chissà perché, eh? – sorrise, furbo.
- Ma smettila.
- Sì, sì. Balliamo?
- Stasera sei rimasto senza compagnia…?
- No. Stasera ho scelto la tua.
Brian. Dì ciò che vuoi e l’avrai.
Mentre si dirigeva al suo fianco verso la pista da ballo, pensò che avrebbe dovuto mettere in guardia Justin. Anzi, che non avrebbe dovuto affatto portarlo in quel posto. Essere visto da Brian e conseguentemente finire nel suo letto, per quel ragazzo sembrava un’ipotesi troppo spiacevolmente probabile.
*
Caddero sul letto con un lieve fruscio di lenzuola. Tra un bacio e l’altro, Ethan trovò il fiato per parlare.
- Non ti dirò dove puoi trovarlo.
- No…?
- No. A meno che prima tu non ammetta di avermi portato qui solo per saperlo.
- Ok, lo ammetto.
- …Brian, sei terribile.
Sorrise.
- Lo sono…?
Mosse la mano sul cavallo dei suoi pantaloni.
- Mh… smettila. No, davvero.
Non smise. Eluse i vestiti e non smise affatto.
Ethan prese quella sega come un anticipo. Avrebbe avuto il resto dopo avergli detto tutto quello che sapeva su Justin.