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THE LAND DOWN UNDER
"But it's time to face the truth, I will never be with you." (You're Beautiful, James Blunt)
Il villino è la costruzione più squallida su cui Mikey abbia posato gli occhi da che è in vita. È bianco e quadrato e anonimo e sembra così spaventosamente
triste, a guardarlo dal vialetto che sta percorrendo con sommo disinteresse, che la già poca voglia che ha di passare lì dieci giorni si annulla del tutto, e nemmeno la presenza di Gerard – che si muove nervoso e confusionario come sempre quando è di fronte ad una prospettiva che lo esalta – riesce in qualche modo a consolarlo per aiutarlo a non lasciarsi prendere da quella botta di tristezza che lo sta assalendo.
- Hai visto? – chiede Gerard affiancandoglisi, sommerso di borsoni, - Si vede il mare anche da qui!
Mikey risponde con un sorriso un po’ smorzato. Non che il mare non gli piaccia, non che Gerard non gli piaccia, non che l’idea di passare un po’ di tempo con lui da solo lo irriti, è solo che si sente inquieto, soprattutto se ripensa al modo in cui Gerard ha preso la notizia del fidanzamento con Alicia. Cioè come se la cosa non l’avesse minimamente turbato.
Sa perfettamente che una cosa simile non dovrebbe disturbarlo. Quando vai da tuo fratello e gli dici che intendi sposare la donna di cui ti sei innamorato, ciò che vuoi sentirti dire somiglia più o meno ad un “congratulazioni”. Magari ti aspetti una bella pacca sulla spalla, un abbraccio sincero, pure una birra offerta al prossimo giro, se siete in un locale.
Da Gerard lui non si aspettava niente del genere, perché Gerard è la persona che non ha fatto che trascinarselo dietro ovunque per tutti i ventisei anni della sua esistenza, Gerard è la persona con la quale ha condiviso tutti i momenti più importanti della sua vita, Gerard è – soprattutto e sfortunatamente – la persona con la quale ha condiviso perfino il letto. Almeno fino ad Alicia.
È difficile trovare un punto d’inizio alla sua storia con suo fratello, e questo è abbastanza ovvio contando che, tanto per cominciare, le storie coi fratelli non dovrebbero mai averne, di inizi. Tanto per continuare, comunque, la sua storia con Gerard è stata una storia fatta di attimi sparsi nel tempo – troppo sparsi per poter trovare loro una coerenza temporale, in effetti. Mikey fa fatica per questo: può considerare l’inizio la prima scopata, la prima volta che suo fratello l’ha toccato fra le gambe, il loro primo bacio, ma l’inizio potrebbe tranquillamente essere stato la prima volta che si sono sfiorati nel lettino, quand’erano due minuscole pallotte di ciccia e guance, o ancora prima, la prima volta che Gerard ha accostato l’orecchio al ventre di sua madre e l’ha sentito scalciare.
È difficile trovare un inizio alle storie infinite, ed è per questo che Mikey nemmeno ci prova – non c’ha mai provato, a dare un senso a ciò che c’è, c’è stato, ci sarà, chissà, fra lui e suo fratello. È un dato di fatto, ne prendi nota, resta lì in sottofondo per tutto il resto della tua esistenza e come ogni situazione ha i suoi momenti caldi, i momenti in cui non vedi altro, e i suoi momenti freddi, i momenti in cui preferiresti vedere qualsiasi altra cosa, e perciò quel particolare lo ignori a prescindere.
Credeva di essere finalmente entrato in un periodo freddo, ma non aveva fatto i conti con la possibilità che invece Gerard fosse ancora caldo. Più che caldo, caldissimo. Caldo almeno come l’afa che attanaglia questo paesino di mare dal nome stupido che Mikey non vuole ricordare – Australia, cazzo, chi l’avrebbe mai detto. Australia. Quando erano arrivati in gennaio, tutto aveva pensato meno che poi sarebbe stato costretto a restare lì fino a fine febbraio. All’inizio del mese avevano già concluso il mini-tour, a lui era sembrato un ottimo momento per andare da Gerard e, semplicemente, dirglielo. Anche per evitare drammi una volta tornati a casa, poteva lasciarlo passare come una notizia poco importante, insomma, qualsiasi cosa. Era andato da lui e gliel’aveva detto. “Io e Alicia ci amiamo. Vorrei sposarla. Lo vorrei davvero.”
La reazione di Gerard era stata a metà fra assurda e insopportabile, perfino irritante. “Aha,” aveva detto, con aria disinteressata, “D’accordo”. E poi aveva semplicemente aggiunto “Ce li facciamo dieci giorni al mare? Solo tu ed io, in memoria dei vecchi tempi,” come non c’entrasse niente con tutto quello che aveva detto fino a quel momento. Fermo restando che Mikey non ricordava dei “vecchi tempi” che comprendessero lui e suo fratello da soli in una qualsivoglia località balneare, sul momento era rimasto troppo stupito da quella richiesta per mettersi anche a contestarla. E d’altronde non era mai davvero capitato che lui riuscisse a dire “no” a Gerard – non l’aveva mai nemmeno voluto – perciò il vederli restare in Australia mentre tutti gli altri tornavano negli Stati Uniti non aveva stupito nessuno.
Non riesce a stupire nemmeno lui, per quanto – a rigirarsi il concetto nella testa: lui, Gerard, mare, dieci giorni, da soli, checcazzo? – si renda perfettamente conto dell’assurdo. Lui, Gerard, mare. Tutto il resto. Checcazzo.
- Be’, non è così male. – commenta Gerard, sbirciando dalla soglia l’interno della casa. Non è così male, dice lui. Mikey si avvicina e sbircia a propria volta, posando lo sguardo su uno spazio ampio e drammaticamente vuoto, occupato a stento da un paio di divani coperti da teli bianchi, un tavolino senza teli ma ugualmente coperto da uno strado di polvere spesso chissà quanti cazzo di millimetri, e una specie di totem di teli – sempre bianchi, o almeno di quel colore opaco che è il bianco quando bianco non è più – sotto al quale probabilmente riposa un televisore che chissà da quanto tempo non viene acceso ed è per questo motivo quasi sicuramente inutilizzabile. Perfetto, ottimo inizio. Non è così male, dice Gerard, e Mikey soffia un po’, insoddisfatto, come un dannato gatto.
- Gee… - si lagna, stringendo fra le mani i manici dell’unico borsone che s’è preso la briga di trascinare stancamente fino a lì, - È
sporco!
- Possiamo pulire. – scrolla le spalle sbrigativo lui. Entra risolutamente in casa e tira via la copertura ad uno dei divani, salvo poi rischiare di morire soffocato per la quantità semplicemente illegale di polvere sollevata nell’aria. Mikey lo osserva inarcando un sopracciglio, senza riuscire a trovare il coraggio di oltrepassare la soglia. – Oppure! – propone Gerard, gettando sul pavimento il telo dopo essersi ripreso, - Possiamo chiamare una squadra di artificieri che lo rendano di nuovo un posto vivibile. – prova ad ironizzare, cercando un sorriso sulle labbra di Mikey. Il sorriso non arriva, e Gerard abbassa lo sguardo.
- Gerard… - lo chiama in un mugolio insoddisfatto, - Perché siamo qui? Potevamo tornarcene a casa e-
- E io non volevo. – taglia corto lui, abbandonando tutti i borsoni lì per terra dove sono e cominciando ad esplorare l’appartamento. Che è pure piccolo, in fondo, e non è neanche veramente malconcio, è solo che si nota così tanto che non è mai stato utilizzato, o che comunque non lo è da molto tempo, che sembra davvero inquietante. Non ci sono crepe nell’intonaco, né macchie di umidità alle pareti, solo polvere, polvere ovunque, qualche ragnatela, è un posto perfino affascinante a volerlo vedere da una certa angolazione che – Mikey ne è sicuro – Gerard apprezzerebbe moltissimo. Solo che non è quella l’angolazione dalla quale vuole vederlo lui in quel momento, e di fare lo sforzo per infilarsi nei panni sempre scomodi di Gerard non ha la minima voglia, al momento. Perciò niente, è irritato, si sente appiccicoso e in generale molto poco amato. E non può nemmeno dirlo a Gerard.
- Ho… - comincia un po’ incerto, posando il borsone all’ingresso e tirandosi la porta alle spalle, seguendo Gerard in cucina, o almeno nell’ambiente semivuoto dotato di fornelli che dovrebbe essere la cucina, - ho rovinato tutto, vero? Eri felice, prima che-
- Guarda che sto benissimo anche adesso. – lo interrompe sbrigativo Gerard, dimostrando di non essere felice per niente.
- Gee… - lo richiama lui, massaggiandosi stancamente le tempie, - Se c’è qualcosa che non ti va giù riguardo a… ad Alicia e a tutto il resto, possiamo parlarne, sai? Venirne fuori. Sei mio fratello e-
- E non ho la minima voglia di parlare di quest’argomento. – conclude Gerard con un mezzo sorriso, spalancando il frigorifero e ficcando la testa all’interno per verificare che sia funzionante, cosa che ovviamente non è. – Cerchiamo la spina, dev’essere da queste parti. – aggiunge poi, con una certa curiosità scientifica. A Mikey viene voglia di chiedergli se ne sia proprio certo, ma lascia perdere, preferendo concentrarsi su un’attività meno stancante del cercare il dialogo con un fratello che non vuole parlare, fosse anche mettersi alla ricerca di una stupida spina per accendere uno stupido frigorifero.
La trovano abbandonata sul pavimento, lateralmente. È Gerard a infilarla nella presa, senza neanche pensarci un paio di volte. Potrebbe essere rovinata, sporca, bagnata, qualsiasi cosa, potrebbe esplodere tutto nel momento esatto in cui la corrente passerà nel tentativo di accendere il frigo, e della cosa Gerard non si cura minimamente, così come in genere non si cura delle devastazioni che impone nelle vite degli altri per il solo fatto di essere com’è – un casino ambulante incapace di gestirsi e gestire gli altri quando dipendono da un suo gesto. Mikey sospira mentre il frigorifero si accende e Gerard batte le mani, soddisfatto.
- Recupera la frigoborsa! – dice entusiasta, - Mettiamo in fresco panini e birre per la sera e domani scendiamo in paese a fare la spesa, che ne dici?
- Dico – sospira Mikey, ubbidendo, - che anche se ti dicessi di no troveresti il modo di trascinarmici, giù in paese. Perciò okay. – conclude con un sorriso che è il primo sincero della giornata, e che Gerard ricambia con sincerità gemella.
Il momento di euforia dura dieci minuti, perché dieci sono i minuti che servono per prendere la frigoborsa dall’ingresso, svuotarla senza un ordine preciso all’interno del frigorifero e poi stabilire che comunque, per quella giornata, non c’è molto altro da fare, perciò tanto vale svaccarsi sul divano e cercare di capire se il televisore possa servire a qualcosa o stia lì solo per bellezza.
Liberandolo dai teli, scoprono che, anche se non funziona, è impossibile dire di quel catorcio risalente all’anteguerra che sia lì per riequilibrare i livelli di bellezza del mondo. Mikey scruta con attenzione il divano che, telo a parte, non sembra in condizioni veramente pietose, e vi si lascia cadere sopra con un tonfo mentre Gerard litiga col televisore, picchiandolo sulla testa o sui fianchi e maneggiando l’antenna enorme che lo sovrasta prima di pigiare tasti a caso sul controller appena sotto lo schermo, nel tentativo di sviluppare della vita nel catorcio per, boh, sfregamento o chissà che altro.
La spina è a posto, attaccata e tutto. Il catorcio non funziona perché è vecchio, e Mikey non riesce a trovare divertente suo fratello che continua a picchiarlo nel tentativo di risvegliarlo a cazzotti, perché è troppo irritato da tutto il resto. Gerard è carino, continua a fare battute stupide e parla col televisore come se quello potesse sentirlo, e in una qualsiasi altra situazione Mikey riderebbe e gli andrebbe accanto e lo trascinerebbe lontano dal problema e poi miagolerebbe per farsi offrire un gelato – salvo poi doverlo comunque pagare lui perché Gerard ha dimenticato il portafogli negli altri jeans e Gerard generalmente dimenticherebbe pure di respirare, se non fosse un gesto automatico – ma in questo momento non ci riesce. In questo momento, Mikey guarda suo fratello litigare con una scatola vuota che ha almeno il doppio dei suoi anni e non può fare a meno di odiarli entrambi, e di sentire il bisogno fisico di scappare via il più lontano possibile.
Si alza dal divano con un gesto irritato e repentino, scrollandosi un po’ di polvere di dosso non perché ce ne sia ma perché la sente, e questo è ancora più fastidioso.
- Mi sono rotto le palle. – ringhia furioso, - Vado a farmi un giro.
Gerard lo guarda come fosse pazzo.
- Ma non conosci il posto. – obietta. Mikey reprime a stento il desiderio di mandarlo a fanculo.
- Sono maggiorenne, parlo inglese, posso sopravvivere in questa landa desolata senza che un canguro mi rapisca o un coccodrillo mi mangi le scarpe, Gee, ti pare? – risponde senza nascondere l’astio, e Gerard aggrotta le sopracciglia, mentre torna a colpire il televisore come se la causa di tutti i suoi mali fosse quella.
- Fai un po’ come vuoi. – sibila fra i denti.
- È esattamente quello che intendo fare. – risponde seccamente Mikey, ed è fuori di casa due secondi dopo, anche se tutto quello che riesce a fare per i primi cinque minuti è guardarsi intorno con aria persa, chiedendosi da che lato debba scappare uno quando il problema è che sta scappando da se stesso, prima ancora che da qualcun altro.
Prende una direzione qualsiasi, supponendo che l’una valga l’altra. Gira attorno al villino ed osserva aprirsi davanti ai suoi occhi una distesa di scogli gettati lì disordinatamente in un pendio piuttosto ripido verso il mare. Sono tutti enormi, più chiari in prossimità dell’inizio della pendenza e poi via via sempre più scuri man mano che vanno avvicinandosi al mare. Le onde li accarezzano con gentilezza, l’acqua canta passando fra le fessure frastagliate fra una roccia e l’altra, e Mikey sente immediatamente il proprio spirito placarsi. Si sente quasi fisicamente
raffreddarsi, ed è una sensazione rassicurante sia perché fino a pochi secondi fa era tanto caldo da essere a un passo da un’esplosione, e sia perché lo tranquillizza rendersi conto di quanto poco gli basti, ancora, per tornare sereno.
Si inerpica agilmente giù lungo il sentiero stretto e inospitale che porta verso quella paurosa imitazione di riva che formano gli scogli ammassandosi l’uno sull’altro in prossimità dell’acqua, e tasta la superficie di ogni roccia per trovarne qualcuna che possa essere vagamente comoda. Quando la trova, si siede, raccogliendo le ginocchia al petto e guardando l’orizzonte senza riuscire a distinguerlo da tutto il resto. Il cielo è grigio, carico di nubi basse e pesanti formate dall’umidità che per tutto il giorno è salita dal terreno, ed il mare ha preso lo stesso colore, riflettendolo sulla propria superficie trasparente. Si diverte a prenderlo in giro. In questo momento, il mondo non ha confini. In questo momento, non esistono regole e nessuno può infrangerle. Nessuno può sbagliare.
Chiude gli occhi e sente il profumo di Gerard. Pensa che sia scorretto ad arrivare proprio adesso che non riuscirebbe ad appigliarsi a nulla per mandarlo via. Lo sa che non l’ha mica fatto apposta, ma allo stesso tempo invece è convinto che il suo apparire
proprio adesso sia stato premeditato, perché suo fratello intuisce i suoi stati d’animo anche a distanza, quasi se li sente addosso, per cui non poteva non sapere che presentandosi proprio ora non sarebbe mai stato rifiutato.
Apre gli occhi e si volta a guardarlo con stizza, le sopracciglia aggrottate e le labbra arricciate in una smorfia infastidita, ma tutta la sua rabbia svanisce in un soffio quando vede Gerard e il suo sorriso piccolo, quasi timido, a solo un passo da lui. Ha in mano una bottiglia di birra e gliela tende come un’offerta di pace. Mikey sospira e gli fa posto sullo scoglio, accettando l’offerta e bevendone qualche sorso mentre suo fratello rotola al suo fianco, cercando goffamente di trovare una posizione comoda in una profusione di lagne e “ma cazzo, quanti spigoli ha questo coso?” che riesce quasi a farlo ridere. Quasi.
- Non voglio rovinare la vacanza. – dice Gerard, avvicinandosi quasi di soppiatto, come avesse paura di farlo fuggire via in un balzo come fanno i gatti quando si sentono minacciati. – Avevo solo voglia di stare un po’ con te.
- Perché? – chiede lui di rimando, e quando vede un’ombra di tristezza calare sul volto di suo fratello si affretta a riformulare la frase, stringendosi imbarazzato nelle spalle. – Intendo, non è che non ci rivedremo più, quando saremo a casa. O quando… sarò sposato, Gee. – sospira stancamente, - Cristo, lavoriamo insieme. Abbiamo
una band insieme, è la cosa più grande e importante che ho. Non puoi davvero pensare che non ci vedremo più, non andrà così.
Gerard sorride appena, la tristezza non abbandona il suo volto nonostante tutte le rassicurazioni. Allunga una mano ad accarezzargli il viso, le sue dita sono ancora fredde e umide per aver tenuto la bottiglia di birra che ora e stretta nella sua mano.
- Non vuoi proprio capire, eh? – scuote il capo, allungandosi a poggiare le proprie labbra sulle sue. È il contatto più ravvicinato che hanno avuto da quando Mikey gli ha detto che lui ed Alicia si sposeranno, e gli basta questo per andare a fuoco di nuovo. Gli basta, per sentirsi di nuovo sul punto di esplodere.
Gerard se lo tira addosso in un gesto spiccio, schiudendo le labbra sulle sue ed accarezzando la sua lingua con la propria, mentre allunga le gambe in cerca di un appiglio qualsiasi per alzarsi in piedi, o semplicemente muoversi con più agilità nonostante il terreno accidentato. Impreca, perché naturalmente di appigli simili non ce ne sono, non lì, non abbastanza vicini da poterli sfruttare in questo momento, perciò è costretto ad arrangiarsi, sollevandosi sulle ginocchia per avvicinarglisi il più possibile, premersi contro di lui e stringerlo alla vita. Mikey ride senza fiato, facendogli posto fra le gambe. Attraverso il velo di voglia che gli offusca la vista, tutto sembra ancora più sfocato di quanto non fosse prima. Il paesaggio è ancora più uniformemente grigio, senza spigoli nonostante quelli che sente premere dolorosamente sotto il sedere mentre Gerard lo sdraia fra uno scoglio e l’altro e lo spoglia sommariamente, per non esporlo troppo agli aspri rilievi della roccia, e all’improvviso è come se non fossero solo i confini ad essere spariti, ma il mondo stesso. Non c’è altro che un’infinita, morbida distesa di grigio, è come essere adagiati sulle nuvole. Non può essere la birra a farlo sentire così, ne ha bevuta troppo poca. È Gerard. È Gerard che gli dà tutto questo. Gerard è l’unica persona al mondo in grado di regalargli l’universo toccandolo, un universo in cui il dolore non esiste, e lui è sul punto di rinunciare consapevolmente a questa cosa, per amore di una donna.
Si stringe con forza attorno a lui e Gerard geme sul suo collo. Mikey sente le sue dita serrate attorno alla propria erezione e sa che questi sono solo attimi. In gioco, con Alicia, c’è una vita intera. Non potrebbe averla con Gerard, e non può pensare di trascinare per anni una vita vuota solo per gli istanti di paradiso che suo fratello gli mostra quando gli mette le mani addosso. Apre gli occhi e lo guarda, Gerard è altrove, perso dentro di lui, il luogo che gli piace di più al mondo. Chissà cosa vede lui quando lo tocca, chissà cosa gli mostra. Deve valerne la pena, se si aggrappa a lui con tutta questa forza.
Mikey trattiene il respiro venendo fra le sue dita e continuando ad andargli incontro in movimenti dapprima lunghi e lenti, poi sempre più veloci, fino a che Gerard non si riversa con un gemito strozzato dentro di lui, mordendo la pelle tenera appena sotto l’orecchio. Mikey lo sente singhiozzare ma non vuole vederlo piangere. Lo tiene stretto contro di sé per nasconderlo fino a quando non ha finito.
*«Dobbiamo stare attenti» gli dice Gerard, premendoglisi addosso nel lettino. Ha diciassette anni. Mikey ne ha tre di meno. Si sente febbricitante e già da dieci minuti – da quando, cioè, le mani di suo fratello si sono infilate discretamente oltre l’orlo dei pantaloni del suo pigiama – che non capisce più un accidenti. La stanza è immersa nell’oscurità, e Mikey non vede a un palmo dal proprio naso. Non riesce neanche a distinguere l’ombra più scura della sagoma di suo fratello. Tutto ciò che sente è il suo profumo, e il calore del suo corpo. «Se ci sentono, sono guai.»
«Gee…» lo chiama in un gemito lamentoso, senza riuscire ad impedirsi di spingersi in gesti bruschi e concitati nel pugno stretto attorno alla propria erezione, «Non si fa» mugola, e si sente così infantile nel dirlo che si pente di non essersi limitato semplicemente a pensarlo.
Gerard si ferma solo per un attimo, e lo guarda. Mikey capisce che lui riesce a vederlo, perché è un’operazione che dura secondi interi e Mikey non può davvero pensare che suo fratello stia fissando così a lungo il buio.
«E chi l’ha detto?» chiede Gerard, anche se la sua, più che una domanda, è una dichiarazione d’intenti. Mikey ha l’impressione di intuire che c’è qualcosa che non va, in questa frase, un errore di base, un meccanismo che s’inceppa, che suo fratello ignora e che invece nella sua testa stride fastidiosamente. Ma due secondi dopo Gerard ha già ripreso ad accarezzarlo, e Mikey non riesce più a pensare.
Apre gli occhi sul soffitto sopra al letto. È una distesa di bianco uniforme. Suo fratello gli sta premuto addosso contro un fianco ed ha un braccio stretto attorno alla sua vita. È un po’ più in basso rispetto a lui, il cuscino riesce a raggiungerlo solo con la sommità della testa e per lo più sta appoggiato sulla curva rotonda ma palesemente scomoda della sua spalla. Comunque, non si lamenta, ed è sveglio. Mikey sente freddo ovunque, tranne che sulla superficie che lui copre. Nota che non c’è neanche il balcone aperto. Si volta su un fianco, raggomitolandosi contro di lui, e Gerard lo avvolge immediatamente in un abbraccio gigante, riscaldandolo tutto.
- Fuori piove. – lo informa dolcemente, posandogli un bacio morbido sulla fronte.
- Ecco da dove arriva il freddo. – si lagna Mikey, stringendoglisi contro.
- Mh? Non c’è freddo. – dice Gerard, frizionandogli comunque le braccia e la schiena con le mani, - Non ti senti bene?
- …non lo so. – risponde sinceramente Mikey, voltandosi sulla schiena e tornando a fissare il soffitto. Suo fratello gli si arrotola nuovamente addosso come non fosse cambiato niente. – Tu come stai?
- Bene. – ride Gerard, premendogli il naso, - Sei strano.
- Lo so. – annuisce lui, sospirando pesantemente. – Gerard, quando torniamo a casa? – chiede, girandogli addosso un’occhiata supplice. Gerard sbuffa, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
- Mikey, me l’hai chiesto tre ore fa… - si lamenta, - Manca ancora una settimana. Non ti stai divertendo?
- Non stiamo facendo niente, Gee. – gli fa presente, sfiorandogli una tempia con le labbra, - Come si fa a divertirsi così? Non facciamo
niente dalla mattina alla sera.
- Io non voglio fare niente. – ribatte Gerard, cupo, - Voglio solo stare con te.
Mikey si morde un labbro per impedirsi di dirgli che è esattamente questo il problema. Non ce n’è nessun altro. È solo per questo che Gerard è così terrorizzato dall’idea –
folle – di perderlo. Perché non gli interessa nient’altro. Perché se gl’interessasse una qualsiasi altra cosa, l’idea di poterlo perdere lo preoccuperebbe, lo renderebbe triste, lo ferirebbe addirittura, ma non lo manderebbe fuori di sé dal dolore, non lo costringerebbe a chiudersi a riccio attorno al suo corpo per impedire di lasciarselo sfuggire dalle dita se non dopo una lotta lunga ed estenuante. Per entrambi.
- Gee… - prova a chiamarlo, ma lui reagisce subito tirandosi a sedere repentinamente, stizzito.
- Ho capito. – borbotta scivolando giù dal letto e mettendosi addosso un paio di pantaloni presi a caso dal mucchio di vestiti aggrovigliati sulla sedia accanto al letto, - Ti lascio un po’ da solo.
Mikey lo osserva avvicinarsi al balcone e spalancarne le imposte, guardando di fuori per qualche secondo con aria cupa e incerta prima di avventurarsi all’esterno. Adesso il rumore della pioggia è molto più forte, scrosciante. Il vento che invade la stanza è forte, ma tiepido. Mikey non s’è mai sentito addosso una carezza simile.
Si alza a propria volta, cercando un paio di pantaloni anche per sé. Non ne trova di propri, perciò ne prende in prestito un paio di Gerard. Gli vanno talmente larghi che gli tocca perfino mettersi una cintura, prima di potersi permettere di uscire.
Gerard è immobile, appoggiato alla balaustra della terrazza, i capelli corti appiccicati al viso e i pantaloni già fradici. La pioggia non sembra infastidirlo minimamente. Mikey deglutisce perché sa che, quando sarà bagnato da capo a piedi come lui, sentirà tanto di quel freddo che comincerà a battere i denti, ma questa consapevolezza non è abbastanza per convincerlo a fermarsi, e un paio di secondi dopo è appoggiato alla balaustra accanto a suo fratello, e guarda il mare agitato a qualche metro di distanza con gli stessi occhi oscurati dal disagio.
- Gee, mi dispiace. – dice a mezza voce, appoggiando il capo contro la sua spalla, - Non volevo irritarti.
- Non sono irritato. – risponde seccamente lui, ma non si muove. Sta mentendo.
- Va bene. – annuisce Mikey, per non farlo arrabbiare ulteriormente. – Che ti va di fare, allora? – tenta incerto, e Gerard si allontana da lui con uno scatto secco, voltandosi a guardarlo. Mikey gli pianta addosso un paio d’occhi enormi e vagamente terrorizzati. Gerard trabocca di rabbia.
- Non capisci! – strilla gesticolando, - Non capisci un cazzo! Vaffanculo, Mikey. – taglia corto esasperato, rientrando in casa. Mikey resta sotto la pioggia, allibito. Lo sente attraversare tutto l’appartamento imprecando ad alta voce, e quando la porta all’ingresso sbatte sa che è perché è uscito.
I tuoni, sopra – e dentro – la sua testa, si moltiplicano. Le nuvole collidono, il cielo diventa nero anche se non è ancora sera – chissà che ora è – e Mikey sospira, rassegnandosi ad entrare in casa a propria volta. Non ha niente da fare, e se Gerard non c’è non può neanche stare con lui. In un istante, mentre si guarda intorno e vede solo vuoto vuoto vuoto, ha l’impressione di poter cogliere un frammento di ciò che passa per la testa di suo fratello, e gli viene da piangere. Non gli piace. Un tempo, Gerard era pieno di interessi, pieno di cose da fare. A stargli accanto non ti annoiavi mai, e per la verità è questo il motivo di base per il quale, da piccini, passavano tanto tempo insieme. A Mikey faceva paura la solitudine della propria stanzetta tappezzata di poster di gente troppo distante da lui per poter contare realmente qualcosa nella sua vita, ma Gerard lo portava fuori, Gerard gli faceva vedere gente. Un tempo era lui quello che non aveva altro, oltre a suo fratello. Questi ruoli adesso si sono invertiti e Mikey non è sicuro di ritrovarcisi a proprio agio.
Si acciambella sul divano, afferra il telecomando abbandonato su un bracciolo e preme il pulsante d’accensione della televisione sapendo che non funzionerà.
Invece funziona. In tv c’è un gioco a premi, gente che ride, tutti i loro vestiti sono colorati e il volume smorza il suono della pioggia rendendolo distante, quasi irreale.
Si addormenta in quella stessa posizione meno di mezz’ora dopo.
*«Mikey, smettila» dice Gerard, la voce carica di sofferenza quasi fisica che gli stringe il cuore. Ha vent’anni. Mikey ne ha sempre tre di meno. Scopano ormai da più tempo di quanto non riescano a ricordare.
«Scusa» geme lui, muovendosi svelto sotto di lui, «Non riesco a fermarmi.»
- Mikey. – lo chiama Gerard. Mikey spalanca gli occhi. La stanza è immersa nel buio, la tv è ancora accesa. Suo fratello è bagnato dalla testa ai piedi. – Hai bagnato tutto il divano e poi ci hai dormito sopra fino ad ora? – gli chiede, sconvolto, poggiandogli una mano sulla spalla e ritraendola subito quando si accorge che così non fa altro che peggiorare la situazione. – Ti prenderai un malanno.
- Tu sei stato sotto la pioggia fino ad adesso. – protesta Mikey, aggrottando le sopracciglia, le labbra che si arricciano in un broncio infastidito. Gerard sorride teneramente.
- Se io mi comporto da stupido, non vuol dire che devi farlo anche tu. – gli dice. – Hai bisogno di una doccia.
Mikey lo guarda da sotto le ciglia, le labbra che tremano. Non vuole dire quello che sta per dire. Però forse sì. In definitiva, lo dice comunque.
- Anche tu. – sussurra, mordicchiandosi l’interno di una guancia, - La facciamo insieme?
Gerard sorride ancora, aiutandolo ad alzarsi. Mikey insegue il ricordo che gli stava facendo compagnia nei suoi sogni ancora per un po’ – cos’è che doveva smettere di fare? Perché Gerard ne soffriva? Perché, pur sapendolo, lui non riusciva a fermarsi? – ma quando le labbra di suo fratello si posano sulla sua nuca in una carezza perfino più calda di quella del getto d’acqua che piove loro addosso dalla doccia, chiude gli occhi e si concede di smettere di pensare.
*«Non riesco a fermarmi» dice in un singhiozzo strozzato. È per questo che si ferma Gerard. Smette di spingersi dentro di lui e, quando succede, Mikey si sente mancare il fiato, e prende a dimenarsi violentemente sotto il suo corpo.
«Fermo» dice Gerard, afferrandogli i fianchi e scivolando fuori dal suo corpo con un gemito annegato di desiderio insoddisfatto, «Mikey, che cosa c’è?»
«Non lo so» biascica lui, passandosi una mano sugli occhi e sulle guance inondate di lacrime, costringendo gli occhiali a sollevarglisi sulla fronte. Prova a risistemarli poco dopo e geme di dolore. Gli si sono incastrati nella frangetta. Non che faccia poi così incredibilmente male, ma per qualche motivo questa sofferenza infantile lo porta a piangere con più forza, come un bambino infebbrato che trova tutto, anche le più piccole cose, incredibilmente più fastidiose, solo a causa del proprio malessere.
«Mikey!» lo chiama suo fratello, preoccupato, aiutandolo a liberare i capelli incastrati nella montatura, «Mikey, che cos’hai?» e Mikey lo guarda, le luci sono spente anche stavolta, sono spente come sempre, e riesce appena a intuire le sue forme nel buio, oltre il velo di lacrime che lo confonde e lo infastidisce, e—
—quando apre gli occhi sta ancora piangendo. E suo fratello gli sta ancora chiedendo di smetterla. Solo che da quella volta sono passati anni, e Mikey non ne può più.
- Ti scongiuro, dimmi che cos’hai. – geme Gerard, stringendolo nell’abbraccio più caldo e protettivo del mondo. Respira a fatica contro la sua spalla, gli occhi serrati perché non vuole vederlo, non ce la fa. – Mikey, ti prego. Non fare così. Smettila di fare così. Perché fai così? – la sua voce è un sussurro via via sempre più debole. Mikey allarga le braccia e poi le richiude attorno a lui, singhiozzando con forza.
- Perché l’ho sempre voluto anch’io. – gli sussurra sulla pelle, strizzando gli occhi e strusciando il viso contro il suo petto come stesse scavando alla ricerca di un nascondiglio sicuro, - L’ho sempre voluto anch’io e ne ho sempre avuto una paura matta, Gerard. Del modo in cui ti volevo.
Gerard lo stringe a sé, tenendolo così vicino da confonderlo. Il paradiso è lì, fra le sue braccia. Un posto dove tutto è possibile, dove le leggi fisiche – o genetiche – non hanno più alcun valore. Il posto perfetto per loro. E lui non lo vuole.
- Ma ora non più? – chiede dolcemente, con rassegnazione. Il cuore di Mikey si spezza. Fa più male di qualsiasi altra cosa non l’abbia mai ferito in tutto il resto della sua vita. Si spezza in un milione di frammenti appuntiti e taglienti che entrano in circolo e vagano per tutto il suo corpo. Il suo cuore non si spezza e basta. Si spezza e si perde.
- Mi dispiace così tanto. – sussurra disperatamente, appoggiandosi a lui e premendo le dita nelle sue spalle fino a lasciargli addosso i segni, - Mi dispiace, Gee. Ti amo da morire. Ti amo
da morire. Ma non lo voglio più. Devi—
- Lasciarti andare. – conclude Gerard per lui, accarezzandogli i capelli. Ora la sua stretta è meno convulsa, meno spaventata. Non lo imprigiona. Lo racchiude e basta. – Devo lasciarti andare.
Mikey annuisce, le labbra che sfiorano la sua pelle ad ogni movimento. Lo bacia ovunque, la spalla, il collo, il viso, la fronte, il naso, le labbra. Gerard non piange. Il suo sorriso fa più male di tutto il resto.
- Ti prego… - singhiozza Mikey dopo un po’, - Vuoi essere il mio testimone di nozze?
Gerard si mette a ridere, ma è ancora senza fiato. Lo stringe ancora fra le braccia, quasi cullandolo.
- Mi vuoi uccidere, Mikey? – gli chiede a mezza voce, e Mikey stringe i pugni attorno alla sua maglietta.
- No. – risponde in un lamento, e non riesce a parlare come se non facesse male ogni singolo minuto più di quanto non è sicuro di riuscire a sopportare. – Ho solo bisogno che sia tu a darmi via. Ne ho bisogno davvero.
- Ma non è vero. – dice Gerard in un sussurro tenero, come stesse spiegando un concetto complicato ad un bambino un po’ scemo, - Sei tu che te ne stai andando.
- Non ho detto che è vero. – insiste lui, appoggiando la fronte contro la sua e tenendo gli occhi chiusi mentre prova a rilassarsi per impedire ai propri stessi muscoli di schiacciargli lo stomaco come se volessero rivoltaglielo al contrario, - Ho detto solo che ne ho bisogno.
Gerard si prende qualche secondo, più che per decidere, per trovare la forza di comunicargli la propria decisione. O di comunicarla a se stesso.
Alla fine, comunque, annuisce.
*Ripartono l’indomani. Quella notte, Mikey non sogna.