Genere: Introspettivo, Romantico, Commedia.
Pairing: Pep/Bojan, Zlatan/Gerard, accenni di Zlatan/José.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Slash, Lemon, Angst.
- Bojan ha paura.
Note: Potete crederci o no, ma questa storia è nata esclusivamente perché la Jan un di', tipo quattro giorni fa, disse "ho voglia di Pejan". Siccome io sono così, mi piace rendere il mondo felice <3 *si bulla* ho pensato bene di accontentare lei e chiunque altro potesse aver voglia di un po' di sano Pejan nel mondo. Poi l'Ibraqué ci si è infilato involontariamente, ed è tutta colpa di una foto ormai famosa in modo nauseante, che non mi prenderò la briga di linkare qua, che tanto anche se vivete sotto un sasso sicuramente il vostro Gazzettino del Sasso si sarà premurato di mostrarvela mentre voi vi affogavate col vostro caffè.
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(Un)Resolved Sexual Tension
Le labbra di Pep sono calde ed asciutte sulla sua pelle umida di sudore. I suoi vestiti sono fradici, e quando gli si avvicina per abbracciarlo Bojan ha come l’impressione di sentirsi nudo contro il suo corpo. Il tessuto della divisa è sottile, non pesa niente, è quasi impalpabile, anche quand’è così bagnato. Arrossisce istintivamente quando Pep lo stringe a sé e gli sussurra qualche complimento sulla tempia, proprio nello stesso punto in cui l’ha baciato poco prima. In mezzo al clamore della folla ed al battito convulso del proprio cuore, Bojan non coglie neanche una delle sue parole, ma gli tremano ugualmente le ciglia quando lo sente sorridergli addosso e massaggiargli piano una spalla col pollice da sopra la maglia bagnata, un attimo prima di lasciarlo andare ed allontanarsi di qualche centimetro, per cercare i suoi occhi ed anche una risposta alla domanda che ha formulato e che Bojan s’è colpevolmente lasciato sfuggire.
- Cosa… - boccheggia, mentre tutto intorno a lui i compagni festeggiano e lui non riesce a vedere nient’altro oltre agli occhi di Pep e al suo sorriso piccolo e dolce, - Cosa hai detto?
Pep inarca un sopracciglio ed il suo sorriso si allarga appena, divertito.
- Ti ho chiesto se ti va di fermarti da me, stanotte. – ripete senza imbarazzi di sorta, - Devo mettermi nel cerchio di centrocampo, rubare un microfono a qualcuno e urlarlo a tutto il Camp Nou? – ridacchia, scompigliandogli i capelli.
- No! – ride per riflesso anche lui, abbassando lo sguardo mentre le guance gli si arrossano e lui è grato di poter fingere sia solo a causa della fatica per la partita appena conclusa, - No, ho… ho capito.
- E intendi anche darmi una risposta da qui alla fine del secolo? – lo prende in giro Pep, tirandoselo contro ancora una volta in un gesto rassicurante.
- Sì. – sbuffa lui in un sorriso più sereno, - Voglio dire, sì che intendo risponderti. E sì anche che… che mi fermo da te. – annuisce distogliendo lo sguardo. Pep sorride ancora, Bojan non lo vede ma può sentirselo addosso.
- Bene. – gli sussurra sulla pelle in un altro bacio, stavolta sulla guancia, - E smetti di tremare, dai. – consiglia ridacchiando ancora e spintonandolo lievemente spalla contro spalla, prima di allontanarsi verso la postazione per le interviste post-partita.
Bojan lo osserva muoversi, farsi più piccolo e poi sparire nel tunnel, e vorrebbe davvero smettere di tremare, ma non ci riesce.
*
Sta ancora tremando quando Pep gli apre la porta di casa e lo invita ad entrare. Non è la prima volta che si trovano da soli in casa dell’uno o dell’altro: Bojan ormai dovrebbe essere abituato a questa loro routine da fidanzatini casti e puri – può ancora ricordare quanto forte fosse il profumo della pelle di Pep quando, dopo averlo baciato a lungo, un pomeriggio di tanti e troppi mesi prima, gli ha detto “solo quando sarai pronto, Boji, io non ho fretta” – eppure per qualche motivo non riesce a sentirsi meno che terrorizzato ogni volta che la porta si chiude alle sue spalle, specialmente in quel breve istante in cui si ritrovano all’ingresso ancora immersi nel buio, prima che uno dei due si allunghi sbrigativamente ad accendere la luce per annegare l’imbarazzo in una risatina nervosa, incamminandosi a passo svelto lungo il corridoio.
Questa volta tocca a lui: stende un braccio lungo la parete, dove sa già di trovare l’interruttore della luce, e lo schiaccia. Di colpo, all’oscurità spazzata appena dalla luce della luna a filtrare dalla finestra in fondo alla stanza, si sostituisce la luminescenza giallastra della lampadina alta sul soffitto sopra di loro. I contorni delle cose si fanno più definiti –
più spaventosi – e Bojan si sente quasi costretto ad abbassare lo sguardo mentre si rende conto dell’estrema facilità con cui riconosce il posto di ogni singolo mobile e soprammobile in quella stanza, così come prima le sue dita hanno trovato la via per l’interruttore della luce con una naturalezza perfino disturbante.
Imbocca il corridoio come fosse a casa propria, e combatte a stento il desiderio di fermarsi ogni due passi per ricordarsi che
così non è, lui non vive lì, e dovrebbe ricominciare a comportarsi da ospite, sempre ammesso che l’abbia mai fatto prima d’ora. Entra in camera di Pep senza chiedergli se può, indovina a memoria la strada per il letto senza mai accendere la luce, e quando le sue ginocchia sfiorano il fianco del materasso vi si appoggia e molleggia un po’ contro quella morbidezza familiare, prima che qualcosa di meno morbido ma ugualmente familiare – il corpo di Pep, le sue mani, l’erezione prepotente fra le cosce che ogni volta cerca con scarso successo di nascondergli per non spaventarlo – lo raggiunga alle spalle, sfiorandolo con circospezione.
Bojan trattiene il respiro mentre Pep se lo stringe contro e scivola con le labbra lungo il profilo del suo viso e del suo collo, sfiorandogli la curva della spalla con la punta del naso da sopra la maglietta e respirandogli addosso per un tempo indefinito prima di chiamarlo piano per nome e scendere con il palmo della mano bene aperta lungo la sua pancia, sotto la maglia, soffermandosi appena qualche secondo sull’ombelico giusto per fingere di non essere terrorizzato all’idea di scavalcare l’orlo di pantaloni e boxer e scenderne al di sotto, per toccare ciò che le sue dita, vagando apparentemente senza meta sulla sua pelle, stanno segretamente cercando da quando hanno cominciato ad accarezzarlo.
Bojan non sa cosa Pep si aspettasse dalla serata; o forse sì, forse lo sa ed è proprio questo a spaventarlo tanto: il fatto che Pep si aspettasse qualcosa mentre lui, da qualche parte neanche troppo nascosta della propria testa, non faceva altro che sperare che, invece, non s’aspettasse niente.
Dovresti averne voglia, si dice impietoso mentre, con uno scatto quasi isterico, si allontana dal suo corpo e si volta per non dargli le spalle, guardandolo dritto negli occhi come un animale braccato che ha estremo bisogno di guardare il suo cacciatore in faccia, per cercare di comprenderne i piani.
Dovresti tenerci anche tu, si ripete,
dovresti volerlo, dovresti lasciarti toccare. E invece non vuole.
- Boji…? – lo chiama Pep, confuso, allungando una mano nel tentativo di raggiungerlo. Bojan si stringe nelle spalle e chiude gli occhi di scatto, come avesse paura di veder divampare fiamme dalla punta delle sue dita. Pep spalanca gli occhi e le labbra, e si ritrae, sconvolto.
Quando Bojan torna a guardarlo, si rende conto di sentirsi troppo in colpa perfino per restare lì a respirare la sua stessa aria, ed è per questo che si volta, esce dalla stanza e ripercorre il corridoio al contrario, afferrando la giacca alla cieca dall’attaccapanni e fuggendo da casa sua senza mai guardarsi indietro, e senza aver mai sentito il bisogno di accendere la luce.
*
Il tempo pazzo della primavera in Catalogna gli si riversa addosso con furia mentre corre per le strade di Barcellona. Gli piove addosso uno sproposito d’acqua, il vento gli scompiglia i capelli sollevandoglieli dalla fronte per poi lasciarglieli ricadere sul viso con la violenza di uno schiaffo. Bojan piange, ma non riesce a distinguere le lacrime dalle gocce di pioggia, per cui l’unica cosa che gli permette di capire quanto profondamente stia male è un dolore diffuso nel petto e i singhiozzi che gli scuotono le spalle, sfiancandolo più di quanto non stia facendo la sua corsa matta verso casa di Gerard.
Avrebbe potuto andare da chiunque avesse voluto, nessuno dei suoi compagni gli ha mai negato ospitalità o sostegno, solo che sono tendenzialmente tutti più grandi di lui – a parte Pedrito, ma Pedrito è un cretino babbione che chissà dove e come starà festeggiando la vittoria, proprio stasera – e per questo motivo si sentono come in
dovere di fargli da vice-padri, e la prima cosa alla quale pensano quando lui si presenta a far loro visita con un “ho un problema” sulle labbra è “vediamo come possiamo risolverlo”.
Geri no, invece. Geri ha ventitre anni ma per certi versi – per
molti versi – è rimasto un ragazzino. Dice sempre la prima cosa che gli salta sulla lingua, ride per ogni stupidaggine, e soprattutto non si è mai sentito grande abbastanza da poter risolvere i propri casini, figurarsi quelli degli altri. In compenso, è sempre disposto a distribuire un po’ di coccole a caso quando necessarie, e il suo letto nella stanza degli ospiti è sempre pronto all’uso, per quanto spesso Bojan si sia ritrovato triste abbastanza da costringersi all’imbarazzo di abbandonare quelle lenzuola neutre e un po’ deprimenti per spostarsi in punta di piedi in camera del suo ospite, trovandolo il più delle volte ancora sveglio, sorridente e in perfetta attesa che qualcosa di simile accadesse, pronto a dargli accoglienza al proprio fianco, fra le coperte calde che profumano di lui –
di casa, di consolazione, di abbracci.
Per questo, non si preoccupa dell’ora tarda quando si attacca al campanello di casa di Gerard, e si stringe nervosamente nelle spalle, sotto la tettoia, cercando di scrollarsi di dosso un po’ di pioggia mentre si prepara a saltargli al collo nell’esatto momento in cui avrà aperto la porta e potrà ritrovarselo davanti. Solo che quello che apre la porta non è Geri, non gli assomiglia nemmeno. È Zlatan ed è seminudo e lo sta guardando come fosse un ostacolo imprevisto ma inevitabile, di quelli che poi ricordi con odio per tutto il resto della tua esistenza.
- Zlatan…? – sillaba incerto, scrutandolo terrorizzato mentre lui sospira, poi sbuffa e rientra in casa, lasciandosi la porta socchiusa alle spalle per permettergli di entrare.
- Hai visite. – lo sente sussurrare rivolgendosi a Gerard, un secondo prima di scostare le lenzuola con un gesto brusco e poi tornare a stendersi sul letto, nello stesso identico posto che presumibilmente occupava prima del suo arrivo.
- Boji! – lo chiama Gerard, sfoggiando un entusiasmo del tutto ingiustificato e saltando giù dal letto per correre ad abbracciarlo, nonostante sia fradicio di pioggia. – Ma santo Dio, dove diavolo sei stato? Sarai mica venuto a piedi?
Bojan annuisce senza davvero pensarci, e non riesce a staccare gli occhi di dosso da Zlatan che, dal canto proprio, continua a sfogliare Marca con aria annoiata, interrompendosi solo quando il suo sguardo comincia a farsi abbastanza pesante da impedirgli di ignorarlo ancora.
- Che hai da guardare? – chiede bruscamente, e Bojan distoglie immediatamente lo sguardo, arrossendo imbarazzato.
- Niente… - biascica incerto, - Solo che, insomma, credevo che fosse tutta una bufala, quella foto… sembrava così strana, credevo fosse finta.
- Finta! – sospira Zlatan, sollevando gli occhi al cielo, - L’unica cosa finta in tutta questa storia è il cervello che questo cretino mi aveva detto di avere quando invece ne era palesemente privo.
- Non essere il solito stronzo, Zlatan. – borbotta Gerard, spalancando cassetti a caso e tirandone fuori un telo di spugna nel quale lo avvolge quasi completamente, sfregandolo come fosse un cucciolo appena trovato per strada, nel tentativo di riscaldarlo. – Che succede, Boji? Ci sono stati problemi?
Il suo sguardo si fa immediatamente cupo e adombrato da un velo di lacrime, motivo per cui Gerard lascia andare un mugolio preoccupato al quale Zlatan fa subito eco con una lamentela disperata.
- Ma non poteva restarsene a casa sua? – sbotta infastidito, scalciando via le lenzuola e mettendosi in piedi vagamente stizzito.
- Zlatan, ma che palle! – lo rimprovera Gerard, sedendosi sul letto e trascinandosi dietro Bojan perché possa accomodarsi di fronte a lui, - Il piccolo qui ha evidentemente problemi d’amore, come puoi non capire che ha bisogno di conforto?
- Il conforto non serve! – protesta lui, ad un passo dalla porta del bagno, voltandosi a guardarli incredulo, - Non è che una menzogna che ti raccontano per farti credere che da qualche parte, nel mondo, ci sia speranza per la bontà umana, cosa assolutamente falsa. E poi,
amore, che paroloni.
- Sì, be’, in effetti chiedere a te di comprendere un concetto simile è impensabile. – lo prende in giro con un ghigno sardonico, al quale Zlatan risponde con una smorfia inviperita.
- Io so esattamente cos’è l’amore, e per tua informazione lo conosco anche!
- Eccome! – risponde a tono lui, - Quando t’ho conosciuto eri già più sfondato di un traforo montano, non so se esista qualcun altro nel mondo che conosca l’amore più profondamente di te.
Zlatan si prende qualche secondo per fingersi più oltraggiato di quanto realmente non sia, e poi gli tira addosso una pantofola.
- Fottiti. – conclude, chiudendosi a chiave in bagno, non senza portare Marca con sé, e Gerard ride sotto i baffi mentre torna a concentrarsi esclusivamente su Bojan.
- Coraggio. – dice, accarezzandogli teneramente una spalla in segno di conforto, - Di’ a zio Geri cos’è successo.
Bojan non riesce a guardarlo tranquillamente negli occhi, motivo per il quale tiene gli occhi fissi sull’orlo del lenzuolo e lo stropiccia infantilmente fra le mani, mordicchiandosi un labbro. Cerca di concentrarsi su quello e spera che le parole vengano fuori da sole, senza bisogno di doverle spingere, perché non ha forza a sufficienza per farlo.
- Ho paura. – confessa in un soffio di voce, - Ho una paura folle, non riesco neanche a pensarci senza avere voglia di scappare. – si copre il viso, dimentico di non aver dotato la frase di un soggetto cui Gerard potesse appellarsi per capire a grandi linee di cosa stesse parlando, ma Gerard non insiste, lo lascia sfogare, sa che il momento giusto per chiedergli di spiegarsi arriverà, e se non dovesse arrivare sa che in qualche modo lo capirà da sé. – Non ho mai pensato che prima o poi saremmo arrivati a questo punto— cioè, è ovvio che ci ho pensato, - precisa arrossendo ancora, - però, insomma, non ci ho pensato
davvero, a quello che potrebbe comportare, a cosa potrebbe significare, ma soprattutto… - si morde ancora il labbro inferiore, con più forza, come servisse a provarsi qualcosa, - non ho mai pensato al dolore, e— e mi fa paura. Mi fa paura tantissimo, non riesco— mi irrigidisco tutto, divento un pezzo di ghiaccio appena mi tocca, ed è solo perché ho una paura tale che non riesco a sbloccarmi. E continuando così manderò a puttane tutto, lo so, ma-- - singhiozza appena, trattenendo il respiro per non scoppiare a piangere come una ragazzina, - ma non ci posso fare niente, non riesco. Non riesco.
Gerard resta silenzioso e immobile a lungo, prima di decidersi a fare qualcosa. Lo prende delicatamente per le spalle e lo trae a sé, incurante dei suoi vestiti bagnatissimi che il telo di spugna non è riuscito ad asciugare neanche parzialmente, e se lo sistema sul petto, tirandogli giù l’asciugamani dalla testa per accarezzargli i capelli, lasciando sfilare le dita fra le ciocche che gli gocciolano sul viso, in parte per scacciare l’acqua, in parte per tranquillizzarlo.
- Sei così piccino. – gli sussurra dolcemente all’orecchio, coccolandolo un po’, - È normale avere paura, Boji, è
giusto avere paura. È quella sirena che l’istinto di conservazione mette n moto perché tu possa chiederti se vuoi davvero qualcosa, o se sei pronto per ottenerla, in ogni caso.
Bojan annuisce distrattamente, più che altro perché ora ha voglia di ricominciare a piangere, e chiude gli occhi mentre si lascia cullare, sperando che questo possa aiutarlo magari ad addormentarsi lì e mettere un punto a questa nottata disastrosa, ma la chiave che gira nella toppa del bagno e la porta che si apre subito dopo, mentre Zlatan torna in camera con uno sbuffo esasperato, gli impedisce di portare a termine i suoi progetti.
- Quante sciocchezze. – sbotta lo svedese, avvicinandosi al letto con aria bellicosa e sedendosi sul materasso, per poi afferrarlo impetuosamente per le spalle e piantarselo dritto proprio di fronte, in modo da poterlo guardare negli occhi. – La paura è una stronzata con cui il tuo corpo ti spiega che non sai abbastanza di ciò in cui ti stai andando a ficcare. Scompare completamente quando sai cosa aspettarti. A te non servono coccole, ti serve informazione.
- Zlatan! – cerca di fermarlo Gerard, col solito tono petulante che, Bojan se n’è accorto, utilizza spesso con lui, ma Zlatan lo zittisce con un gesto infastidito, e torna a parlargli.
- Non sto parlando di sciocchezze tipo preservativo, lubrificante e cose simili, queste le saprai già, figurarsi se non le sai già. – quasi lo prende in giro, e Bojan abbassa lo sguardo, - No, sto parlando di informazione vera. Tipo quello che succede. – e prende un gran respiro, e lo prende anche Gerard, e quindi Bojan si sente autorizzato a prenderlo a propria volta: - Farà male. Farà un bel po’ di male, e specialmente se è la prima volta sarà strano e frustrante e confuso, e se durerà troppo a lungo non vedrai l’ora che finisca, il più presto possibile. E dopo vi sentirete sciocchi e non riuscirete nemmeno a guardarvi negli occhi, ma – e sorride, per la prima volta da quando Bojan è arrivato, e si allunga perfino a scompigliargli comicamente i capelli, come una specie di padre imprevisto che mai avrebbe creduto di potersi ritrovare a svolgere una funzione simile per un semi-sconosciuto, - sarà per sempre vostro. E sarà per sempre
tuo. E ripensandoci più avanti potrai dire di essere stato felice di averlo fatto.
Bojan guarda il suo sorriso sereno e per un secondo riesce a trovarlo perfino bello, mentre Gerard ridacchia per motivi che non comprende e si allunga prima ad accarezzargli i capelli e poi a dargli un bacio sulla guancia. Li osserva agire con tanta tenerezza dopo i continui battibecchi in cui li ha visti esibirsi nel corso dell’ultima ora, e improvvisamente gli sembra tutto molto meno assurdo e sbagliato di quanto non avrebbe mai creduto possibile.
- Torna a dormire. – dice Gerard, rivolgendosi a Zlatan mentre lui, con uno sbuffo, obbedisce, e si stende tranquillamente sul materasso, - Hai rivangato anche troppo per una sera sola. Boji, - lo chiama quindi, sorridendogli sereno, - aspettami di là. Mi vesto e ti riporto da lui.
*
Ha salutato Gerard più di cinque minuti fa, ma non è ancora riuscito a trovare il coraggio di suonare il campanello, perciò è rimasto immobile di fronte alla porta in legno massiccio dell’appartamento, immerso nel buio, fino ad adesso, e l’unica cosa che gli sembra di aver imparato da questa serata, dopotutto, è che le parole sembrano avere un gran peso nel momento in cui le ascolti o le dici, ma finiscono per perdere in consistenza man mano che il momento in cui sono state pronunciate va allontanandosi nel tempo.
Si mordicchia distrattamente un pollice, spera di non fare troppo rumore – ma come?, si chiede anche, e poi lascia perdere perché è il meno irrazionale di tutti i pensieri irrazionali che l’hanno intrattenuto negli ultimi cinque minuti ormai quasi dieci – e riesce a scansarsi appena in tempo per non prendere la porta sul naso quando Pep la spalanca con un’urgenza inaudita, e poi si blocca sulla soglia, identificandolo lì in piedi sul suo zerbino, perso nell’oscurità più totale a non fare assolutamente niente.
- Boji. – sillaba incerto, - Ero… ero preoccupato! Stavo venendo a cercarti, di fuori c’è il diluvio e tu sei tutto bagnato! Senti, mi dispiace se ho sbagliato, non intendevo metterti paura, stavo solo-- - ma Bojan non lo lascia finire, riconosce in un secondo il peso delle parole e quelle di Zlatan tornano a farsi così presenti nella sua testa da assumere quasi una consistenza fisica, nel momento esatto in cui osserva le sopracciglia di Pep corrugate, i suoi occhi velati d’ansia, le sue labbra piegate in una smorfia preoccupata e tutti i suoi lineamenti tesi dal senso di colpa.
Si slancia in avanti anche a rischio di fargli male, e lo bacia d’impeto, chiudendo gli occhi e schiudendo le labbra. Pep è stupito dalla sua fretta, è stupito anche dall’atto in sé, ma riesce a restare presente a se stesso abbastanza da ricordarsi di chiudere la porta alle loro spalle, e poi resta lì nel mezzo dell’ingresso, incerto sul da farsi, stringendoselo contro perché sembra che sia questo ciò che Bojan vuole, mentre continua a baciarlo come se le ultime molecole d’ossigeno esistenti nell’universo fossero tutte concentrate sulla superficie delle sue labbra.
- Ti amo. – gli sussurra addosso, quando riesce ad allontanarsi abbastanza da tornare a respirare autonomamente, - Ti amo, ti amo, ti amo tantissimo, scusa se sono scappato. Sono un cretino e non avevo capito niente, scusami.
Pep lo guarda inarcando un sopracciglio, confuso, come non riuscisse a trovare neanche nell’anfratto più recondito della propria mente un singolo motivo per il quale Bojan dovrebbe volersi scusare con lui. E Bojan pensa che è felice che le parole abbiano un peso anche adesso, e sorride serenamente, un po’ commosso da quanto sciocco sia l’uomo che ama. Torna a baciarlo, stavolta con meno furia, e le sue mani scendono quasi di soppiatto ad afferrare l’orlo della sua maglietta, tirandolo su. Pep si allontana da lui e lo guarda ancora, se possibile più confuso di prima, ma i suoi occhi si soffermano nei propri abbastanza a lungo da lasciargli intendere tutto ciò che è necessario intenda. Poi, la maglia cade ai loro piedi, e Bojan si sofferma un attimo ad osservare la linea del torace di Pep, i pettorali definiti e gli addominali disegnati sul ventre. Quasi ipnotizzato, si sporge fino a lambirli appena, scivolandogli addosso in una carezza umida ma lievissima. Sente la sua pelle tremare in punta di lingua in concomitanza col gemito di gola che si lascia sfuggire, e si permette di sbirciare in alto il suo capo reclinato all’indietro, le labbra dischiuse mentre le inumidisce con la lingua e lascia correre una mano ad accarezzargli la nuca, un po’ in un gesto tenero e un po’ in un’inconscia richiesta.
È una richiesta che Bojan non intende rifiutare, dopotutto, perciò nonostante la paura s’inginocchia sul pavimento e poggia le dita sull’orlo dei suoi pantaloni. Fissa imbarazzato il rigonfiamento evidente all’altezza del cavallo di Pep e poi, senza prendersi un solo secondo in più per riflettere – d’altronde, sarebbe inutile, e probabilmente anche controproducente – lo spoglia, avvicinandosi timorosamente alla punta della sua erezione tesa verso le sue labbra in un invito muto. L’accoglie quasi perfettamente in silenzio, lasciandosi sfuggire solo un singhiozzo appena accennato quando, provando a prenderla più in fondo, si rende conto che non ci riesce bene. Probabilmente, si dice, perché non ci ha mai provato, e la cosa lo riempie di imbarazzo ancora più degli ansiti che Pep non riesce ad impedirsi di soffiare fra le labbra, perso da qualche parte sopra di lui che non può vederlo, perché si ostina a tenere gli occhi serrati.
Si allontana da lui poco dopo, perché in tutta onestà non saprebbe cos’altro fare. Gli occhi di Pep – che trova subito, persi nei suoi – sono offuscati e un po’ lucidi, e il suo respiro è affannoso. Lo aiuta a sollevarsi in piedi e poi resta lì, inerte fra le sue mani, mentre Pep gli sfila lentamente gli abiti di dosso. Gli si appiccicano alla pelle, tanto sono bagnati. Oppongono resistenza, lasciano tracce umide su tutto il suo corpo e Bojan si ritrova scosso più dai brividi di freddo che da quelli dell’imbarazzo, quando si ritrova completamente nudo di fronte a lui.
Pep lo guarda come fosse un’opera d’arte, ammirato e perso. Si allunga a sfiorarlo con devozione, Bojan chiude gli occhi e gli viene da piangere per essere stato così stupido da non permettergli di farlo prima. Si chiede come abbia potuto pensare anche solo per un attimo che il dolore potesse essere una ragione sufficiente per rinunciare alla sensazione perfetta di sentirsi completo e felice fra le sue dita. Si chiede come abbia potuto essere così sciocco da fingere che la vita non gli avesse insegnato niente, fingere di non sapere che per qualsiasi cosa bella bisogna sudare e stringere i denti e ignorare la sofferenza, sperando di riuscire a conquistare ciò che si vuole davvero. Sono cose che sa, cose che non ha mai dubitato di avere imparato, eppure con Pep per qualche minuto aveva perso questa consapevolezza, ed ha rischiato di perdere tutto per la cecità di un istante.
Si lascia stendere sul materasso, sente il cuscino sotto la testa inumidirsi per la pioggia che ancora cola dai propri capelli, ma sorride quando Pep – che di solito per queste cose è il primo a rompere le palle – invece di farglielo notare gli chiede se sia proprio sicuro di volerlo. Annuisce tranquillo e poi si lascia trasportare dalla sensazione stupenda delle dita di Pep che lasciano una traccia bagnata sul suo petto e sul suo stomaco, prima di scendere ad accarezzarlo fra le natiche, esplorandolo prima all’esterno e poi appena all’interno, per permettergli di abituarsi a quella presenza nuova e invadente.
Bojan sente l’altra sua mano chiudersi delicatamente attorno alla propria erezione, ed inarca la schiena, affondando tra i cuscini e mugolando deliziato quando quella stessa mano comincia a muoversi in una carezza sempre più decisa, seguendo il movimento delle sue dita che frugano dentro il suo corpo, si piegano e gli tolgono il respiro. La sensazione è così bella che accoglie quasi con disappunto il momento in cui le dita di Pep lo abbandonano, ma non ha veramente modo di pensarci troppo a lungo, perché la pressione di quelle dita viene sostituita immediatamente da una pressione ben più grande e profonda.
Spalanca gli occhi, schiude le labbra, e la bocca di Pep è lì, immediatamente pronta a coprire la sua, ed ogni più piccolo gemito di dolore. La sua lingua accarezza la propria teneramente, come volesse consolarlo, e la sua mano non smette un secondo di masturbarlo con attenzione, seguendo le proprie spinte ed anche i movimenti naturali del suo bacino, mentre cerca di abituarsi alla novità senza piangere troppo. Qualche lacrima gli sfugge, e non può fare a meno di sentirsi un ragazzino idiota per questo, ma la risata intenerita e senza fiato di Pep lo consola, come lo consolano i suoi baci, come lo consolano perfino le sue spinte dapprima lente e caute, poi sempre più svelte. E lo inorgoglisce essere lui la causa di quella temporanea perdita di controllo, il motivo per cui Pep smette di affidarsi alla propria razionalità e si lascia portare avanti dal proprio istinto, e quando stringe forte gli occhi perché la presa di Pep si fa più forte sulla propria erezione e la sua carezza si fa decisa al punto da costringerlo a venire con un gemito acuto e liberatorio, vede bianco per una quantità infinita di secondi, e si rende conto che la traccia umida delle lacrime sulle guance s’è già asciugata.
Pep gli si stende addosso esausto il secondo successivo. Bojan lo sente respirare a corto di fiato sul suo collo, e solleva una mano ad accarezzargli la nuca. Sorride, fissando il soffitto. Si sente a casa. E non ha più paura.