Genere: Introspettivo, Erotico.
Pairing: Bojan Krkic/José Mourinho, nominati/accennati/presenti in qualche modo Bojan Krkic/Pep Guardiola, José Mourinho/Zlatan Ibrahimovic, Pep Guardiola/Zlatan Ibrahimovic. Troiaio, we haz it.
Rating: NC-17
AVVERTIMENTI: Angst, Lemon, Slash, Outdoor!Sex.
- "Guarda, io non voglio infrangere i tuoi sogni né ammazzare a sprangate la tua fiducia nel mondo, ma Mourinho sta cercando di rimorchiarti."
Note: Questa storia è nata dalla suggestione visiva della mia icon e di quella della Jan che si susseguivano ossessivamente su Twitter. Pareva che si guardassero, e la cosa mi turbava profondamente. Cioè, dovevo scriverci su. Ed a darmi un pretesto ci ha pensato il mio cervello, spruzzando ovunque Pep, Zlatan e tutta una serie di altre robe di cui non ha senso parlare adesso, perché tanto le troverete all'interno della storia, se avrete voglia di leggerla.
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Easier Than The Truth


– Guarda, io non voglio infrangere i tuoi sogni né ammazzare a sprangate la tua fiducia nel mondo, ma Mourinho sta cercando di rimorchiarti.
Bojan guarda Thierry, poi la vodka alla fragola che gli è appena stata poggiata sul tavolo senza che lui avesse bisogno di ordinarla, poi Mourinho, qualche tavolo più in là, apparentemente intento a guardare altrove e farsi i fattacci propri, e solo alla fine torna a guardare Thierry.
– Ma è solo stato gentile. – prova, stringendosi nelle spalle, mentre tutti i suoi compagni di squadra lo fissano come gli fosse improvvisamente sbocciato un fiore in mezzo alle cosce.
– Boji, – mormora Lionel, massaggiandosi stancamente le tempie, – lascia che ti spieghi una cosa, sugli uomini: non conoscono gentilezza, non saprebbero neanche sotto quale lettera cercarla sul vocabolario. Tutto quello che vogliono è portartisi a letto e andarsene alle prime luci dell’alba senza neanche salutare.
Numerosi sguardi gli si posano addosso, quando smette di parlare, ed in particolare a nessuno sfugge il “ma parla per esperienza personale?” di Pedro, che viene prontamente zittito da Gerard, il quale si premura di ficcargli in bocca la cannuccia del suo succo di pera lievemente corretto prima che, dopo aver sbraitato un “checcosa?!” pressoché animalesco, Lionel decida di abbattere la propria furia sulla sua svampita persona.
Bojan si disinteressa quasi subito della dinamica della faccenda – più o meno nell’esatto momento in cui Lionel si alza in piedi, salta sul tavolino e poi lo usa come rampa di lancio per scaraventarsi addosso a Pedro e cominciare poi a rotolare senza senso per il pavimento di tutto il locale – prima di tutto perché sta con Pep da ormai quasi un anno ed è abbastanza convinto di poter dare lezioni su cosa si possa aspettare un ragazzo da un uomo, e secondo poi perché preferisce voltarsi verso Mourinho, alla ricerca di un qualsiasi segno del suo supposto interesse.
Il problema è che lo trova: Mourinho lo sta guardando con attenzione, e i suoi sono occhi invadenti, quasi maleducati, perché non esitano a dosare l’intensità che possiedono per spogliarlo tutto e farlo sentire completamente nudo in mezzo al locale, al punto che lui sente quasi il bisogno fisico di stringersi in un abbraccio protettivo, come a cercare di schermarsi da quello sguardo così insistentemente indiscreto da dargli perfino fastidio.
Non sa se sia stato il discorso di Lionel ad influenzarlo, ma a questo punto non conta neanche tanto: ciò che conta è che, quando esce dal locale diretto alla macchina ed attraversa il parcheggio ormai semivuoto, non si stupisce nel vedere Mourinho appoggiato contro lo sportello chiuso della propria autovettura, le braccia incrociate sul petto e sul volto la tipica espressione vacua di chi, annoiato, aspetta qualcuno già in ritardo.
– Ce ne hai messo, di tempo. – gli fa notare, il tono quasi irritato. Bojan si volta verso di lui ed abbassa immediatamente gli occhi, in imbarazzo.
– Mi dispiace. – mormora, senza sapere effettivamente per cosa dovrebbe dispiacersi, – La ringrazio per il drink che mi ha offerto prima, anche se non ho ben capito perché—
– Perché voglio portarti a letto. – dice lui, senza attendere un secondo. I suoi occhi sono caldi e decisi, così come il tono della sua voce. Bojan non sa se sia colpa della suggestione, della situazione o solamente della vodka, ma la schiena gli si riempie di brividi ed il cuore gli salta in gola nell’esatto momento in cui Mourinho si allontana dalla propria macchina, dirigendosi verso di lui.
– Mi— Mi dispiace, – biascica, – ma io non—
– Tu non? – sorride Mourinho, avvicinandoglisi abbastanza da sfiorare il suo profilo col proprio. Bojan sente il suo corpo pressato contro, e la sua erezione, prepotente ed evidente anche sotto i pantaloni che indossa, gli sfiora una coscia.
– Io non… – prova a insistere, ma non trova le parole, perciò si morde un labbro e cerca di cambiare argomento. – Perché? – chiede con un filo di voce. José sorride ancora e si allontana da lui, solo qualche centimetro, lo spazio necessario per far passare un braccio fra i loro corpi, afferrarlo per un gomito e spingerlo senza la minima delicatezza contro lo sportello chiuso della macchina.
Il metallo della portiera ed il vetro del finestrino sono freddi, e quel freddo passa attraverso il cotone leggero della polo che indossa, gelandogli lo stomaco.
– Perché – risponde José, pressandosi contro di lui finché Bojan non sente la sua erezione quasi fra le natiche, – sei bellissimo. – le sue labbra umide sfiorano la sua nuca ad ogni parola. Bojan trema e non può impedirsi di gemere. – Non ti sembra una motivazione sufficiente?
– Neanche… – balbetta a corto di fiato, – Neanche mi conosci.
– E dovrei? – chiede lui, quasi divertito, stringendogli un braccio dietro la schiena e vagando con la mano libera nello spazio minuscolo che c’è fra il suo bacino e lo sportello. Bojan ascolta il lieve suono della cintura slacciata, del bottone sfilato dall’asola e della zip tirata giù con calma, quasi con troppa cura, e poi chiude gli occhi e si morde un labbro quando la mano di José scivola oltre l’elastico dei suoi slip, fra cosce che nemmeno si premura di fingere di tenere serrate. – Non mi sembra che il tuo corpo abbia problemi, col trovarmi uno sconosciuto.
Bojan geme ancora, più forte, quando le sue dita si chiudono attorno alla sua erezione. Tira su il braccio che Mourinho non gli tiene serrato contro la schiena e lo appoggia al tetto della macchina, nascondendovi contro il viso. Una parte di lui si vergogna terribilmente: sente il venticello notturno accarezzargli la pelle umida e bollente e si rende conto di essere all’aperto, in un luogo incredibilmente esposto come un parcheggio sul retro di un locale, e poi se si concentra abbastanza riesce a sentire la voce di Pep, che poi è la stessa voce con cui lo accoglierà quando riuscirà a tornare a casa, a chissà che orario, una voce un po’ stanca ma tutto sommato felice che gli chiede “ti sei divertito fuori con i ragazzi?”, e tutte queste cose insieme lo confondono e lo irritano e lo imbarazzano e lo fanno sentire una troia.
D’altra parte, la mano di Mourinho si muove con tanta disinvoltura attorno alla sua erezione che ogni particolare spiacevole si scioglie in una nuvola leggera come il vapore, ed è facile per Bojan dissiparla con un gesto quando Mourinho, consapevole del fatto che non scapperà di certo adesso, lascia andare il braccio – che peraltro cominciava a dolere – per abbassargli i pantaloni e gli slip e cominciare ad accarezzarlo fra le natiche, senza per questo dover smettere di prendersi cura della sua erezione.
Bojan chiude gli occhi e lo lascia fare, ma il suo atteggiamento non è quello tipico di un succube che si sottopone a qualcosa di sgradevole perché lo trova inevitabile: un succube non si dimenerebbe contro l’eccitazione di un altro uomo per averla dentro di sé il più presto possibile, un succube non geme oscenamente per ogni carezza e per ogni cambiamento di ritmo solo perché le scariche di piacere che lo assalgono vanno facendosi sempre più violente, al punto da dargli l’impressione di potere impazzire, un succube non si volta indietro a cercare labbra di cui ancora ignora il sapore, e non viene fra dita praticamente sconosciute non appena quelle stesse dita stringono un po’ la presa e lo accarezzano più velocemente, con maggiore decisione, inseguendo il ritmo erratico delle spinte di un bacino diverso a quello cui è abituato, che ama, che non avrebbe mai desiderato tradire in quel modo.
Quando Mourinho viene dentro di lui, stringendolo per i fianchi con tanta forza che da lasciarlo quasi pietrificato per l’irrazionale paura dei segni che potrebbero rimanergli stampati sulla pelle, Bojan si lascia andare ad un singhiozzo stremato, abbattendosi contro la macchina come privo di forze, e se non piange è solo perché prova troppa vergogna perfino per versare anche una sola lacrima.
– Non darti troppa pena. – lo rassicura Mourinho, ripulendolo con una salvietta umida tirata fuori da chissà dove, con una cura quasi paterna, senza che a lui neanche passi per l’anticamera del cervello la possibilità di fermarlo. D’altronde, riflette distrattamente, sarebbe ridicolo fermarlo adesso quando fino a pochi secondi fa l’ha lasciato disporre del proprio corpo come fosse suo. – Non è stato che sesso. Non significa niente.
Bojan si volta a fatica, scrutandolo con aria un po’ incerta.
– Perché? – chiede di nuovo, e Mourinho gli lascia scorrere addosso un’occhiata lunga e penetrante, come volesse spaventarlo al punto da farlo desistere da quella sciocca intenzione di provare a sondare i suoi pensieri. Bojan, comunque, non cede.
– Perché il tuo uomo ha messo le mani su qualcosa di mio. – concede quindi José, pulendosi le mani con un’altra salvietta, – Ed io non sono uno che si lasci rubare qualcosa di proprio da sotto il naso senza ristabilire istantaneamente le posizioni. Fallo sapere, questo, a Pep.
Bojan non risponde. Sconvolto, gli occhi sgranati, resta immobile senza neanche terminare di rassettarsi i vestiti. La cinghia della sua cintura, quando José gli chiede di spostarsi per lasciarlo libero di rientrare in macchina e poi partire, allontanandosi sgommando nella notte, tintinna come un campanello, e lo riporta alla realtà più del rombo del motore della Mercedes.
Deglutisce a fatica e cerca il proprio cellulare nella tasca posteriore dei jeans. Lo estrae, compone a memoria il numero di Pep e, quando lui non risponde, controlla l’orario. Sono le dieci e mezza, gli aveva detto che non sarebbe tornato a casa prima di mezzanotte. Qualcosa, nel centro del suo petto e, contemporaneamente, all’altezza delle sue tempie, comincia a pulsare. È solo un fastidio, in un primo momento, e quando comincia a diventare dolore Bojan non se ne accorge. Sale in macchina, scaccia via le lacrime e parte.
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