rp: valezka

Le nuove storie sono in alto.

Shot facente parte della serie Und So Weiter.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico.
Pairing: Eko/Valezka, Fler/Chakuza.
Rating: PG-13.
AVVERTIMENTI: Slash, Het.
- "Ora, io ho sempre saputo che un momento simile sarebbe arrivato, prima o poi, ma ho sempre creduto fermamente che sarebbero stati Bushido e la sua donna ad aprire le porte all’invasione delle bandiere color arcobaleno e delle tutine rosa shocking in pvc, e invece guarda cosa mi combinano questi due, prendono, si ubriacano e si vanno a sposare a Las Vegas, ma vi pare modo? Senza neanche un briciolo di romanticismo, nello squallore più totale! Almeno, quando m’immaginavo il matrimonio delle loro maestà, potevo immaginare qualcosa di un certo spessore, una roba tipo Carlo e Diana, per intenderci, con lunghi abiti bianchi con lo strascico, corone, gioielli di famiglia, vescovi che benedicono unioni volute dal Signore e via così. E invece mi sveglio una mattina e vedo che la prima coppia di rapper sposati fra loro della storia sono questi due deficienti con anelli grossi come quelli che le bambine trovano nelle uova di Pasqua, ma non ugualmente carini. Ma vi pare? È un disonore."
Note: Credete pure ai vostri occhi, la nuova shot del GD è qui! E, in un'incredibile concomitanza di buone notizie, non solo è una shot dal POV di Eko, un POV che, sappiamo, attendiamo tutti con impazienza, ma è anche, finalmente, l'ultimo spin-off prima di ricominciare a parlare di cose serie tipo LA TRAMA. Sì, non ce la siamo dimenticati. Anche questa serie ne ha una. No, l'argomento principale della serie non è il matrimonio del Flerkuza, anche se ne parliamo di nuovo anche in questa shot (perché non sarebbe il GD se lo stesso identico avvenimento non venisse riproposto in mille salse da due trilioni di POV differenti). Portate pazienza per questa lunghissima shot (Eko aveva voglia di raccontarci la sua INTERA ESISTENZA, scusate) e vi promettiamo che già nella prossima shot cose nuove ed incredibili cominceranno ad accadere!
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LIVING THE DREAM

In pratica è successo che Fler e Chakuza si sono sposati, e noi lo veniamo a sapere il giorno dopo quando, uscendo tutti dalle nostre camere e scendendo fino al piano terra per fare colazione, troviamo Bill e Bushido che fissano il vuoto aprendo e chiudendo la bocca come pesci rossi nell’acquario mentre Chakuza cerca di darsi un contegno spilluzzicando la colazione e Fler si regge un panno bagnato sulla testa, mentre la sua tazza di caffè nero viene riempita a intervalli regolari da un cameriere che pare messo lì apposta per fare solo questo.
Io, per la verità, neanche volevo scendere a fare colazione. Stavo bene in camera mia. Mi hanno piazzato in una ricostruzione in piccolo della foresta Amazzonica, con le liane che pendono giù dal soffitto e le pozze d’acqua sul pavimento in bagno, che non ho ancora capito se è per mantenersi in tono con l’ambiente o perché s’è rotto lo sciacquone e per tamponare l’esondazione in bagno ci ho dovuto mettere gli asciugamani. Tant’è che poi per fare i bisogni ho dovuto usare il bagno di Kay, che invece è stato infilato in una stanza della reggia di Versailles trasportata qui appositamente da Parigi, e ha le tende di broccato pure nella doccia. Una roba, veramente.
Comunque, io stavo lì tranquillo appeso alla mia liana e dondolavo a testa in giù, quando il telefono squilla urlando come Tarzan. Saltando agilmente da una liana all’altra, mentre il mio pigiama-perizoma svolazza nell’aria umida della foresta pluviale, giungo fino al comodino ed allungo un piede prensile verso la cornetta. La stringo fra le dita e la pianta del piede e, piegandomi con notevole nonchalance, la porto all’orecchio, rispondendo con un verso scimmiesco. Poi mi rendo conto che mi sono lasciato un po’ trasportare e mi riprendo.
- Pronto? – dico, e Kay, dall’altro lato, trattiene il fiato, prima di rispondere.
- Vieni giù, - mi fa, - abbiamo un problema.
Insomma, vado di sotto e poso gli occhi sulla coppia reale in stato catatonico, e ipotizzo che una maledizione sia stata lanciata sul nostro re e sulla nostra principessa. Sicuramente qualcosa che coinvolge il primo cavaliere e il consigliere di corte deve essere accaduta, perché mai Bushido e la principessa sono stati in questo stato, se non per cose che coinvolgessero Chakuza e il suo consorte privo di fissa dimora.
- Insomma, - domando, prendendo posto accanto al principino Tom che, gli occhi ancora chiusi ed evidentemente infastidito dall’essere stato buttato giù dal letto a quest’ora, dorme col naso affondato nella propria tazza, - che è successo?
Bushido continua a fissare il vuoto mentre la nostra reale sovrana prova a rispondermi, non ci riesce e pertanto tira fuori un fazzoletto di pizzo da non so dove e ci scoppia a piangere dentro, tutto scosso dai singhiozzi, mentre Fler si lamenta perché il suono del pianto di Bill lo infastidisce e Chakuza si passa una mano sul viso, spossato.
- Fler e Chakuza si sono sposati. – chiarisce per tutti Kay. Tom affonda di un altro paio di centimetri nella propria tazza, poi gorgoglia e si tira su, il naso impiastricciato di schiuma. Si pulisce con un tovagliolino e poi torna a dormire in piedi.
Io guardo il mondo – Bushido ancora imbambolato, Bill che piange più forte al solo sentire il problema che viene ripetuto ad alta voce da Kay, Fler e Chakuza che indossano degli anelli orrendi e quei due strani amici dei gemelli che, dimostrando molta più intelligenza di tutti noialtri, se ne stanno per fatti loro ignorandoci – e spalanco gli occhi.
- Mi sa che voi due vi siete bevuti il cervello, - dico, rivolgendomi alla coppia di novelli sposi, - e se ve lo dico io che fino a due minuti fa stavo penzolando giù da una liana, potete credermi.
- Stavi facendo cosa? – domanda Kay, fissandomi con un paio d’occhi pallati che sono tutto un programma, ma io lo liquido con un gesto della mano perché mi pare che qui i problemi siano ben altri. Questi due si sono sposati, non so se rendo l’idea. Ora noi torneremo in Germania e tutto il mondo titolerà che Fler e Chakuza sono la prima coppia di rapper tedeschi gay ad essersi unita in matrimonio. No, voglio dire. Chakuza e Fler. Ce li avete presenti?
Ora, io ho sempre saputo che un momento simile sarebbe arrivato, prima o poi, ma ho sempre creduto fermamente che sarebbero stati Bushido e la sua donna ad aprire le porte all’invasione delle bandiere color arcobaleno e delle tutine rosa shocking in pvc, e invece guarda cosa mi combinano questi due, prendono, si ubriacano e si vanno a sposare a Las Vegas, ma vi pare modo? Senza neanche un briciolo di romanticismo, nello squallore più totale! Almeno, quando m’immaginavo il matrimonio delle loro maestà, potevo immaginare qualcosa di un certo spessore, una roba tipo Carlo e Diana, per intenderci, con lunghi abiti bianchi con lo strascico, corone, gioielli di famiglia, vescovi che benedicono unioni volute dal Signore e via così. E invece mi sveglio una mattina e vedo che la prima coppia di rapper sposati fra loro della storia sono questi due deficienti con anelli grossi come quelli che le bambine trovano nelle uova di Pasqua, ma non ugualmente carini. Ma vi pare? È un disonore.
- Senti, non mi sembrano fatti tuoi. – protesta Chakuza, evidentemente di malumore. Dico io, se dovevi essere così uggioso, tanto valeva che non ti sposassi affatto. Ti ho forse obbligato io a farlo? No, sto esprimendo un’opinione su quello che credo sia stato un comportamento assolutamente folle. Puoi tu odiarmi perché do voce alle mie proteste? Ma assolutamente no. Qui mi sa che l’usciere di corte si sta prendendo delle libertà che se il nostro signore e padrone fosse in sé non gli concederebbe assolutamente. Solo che egli non è in sé, quindi mi tocca difendermi da solo.
- Sto solo dicendo – ribatto, fissandolo in cagnesco, - che non mi sembra una gran pensata quella di sposarvi. Non avete riflettuto sulle conseguenze di questo gesto? Il matrimonio è un vincolo sacro.
- Ah, e tu sei il massimo esperto in materia, suppongo! – sbotta Chakuza, battendo un pugno sul tavolo. Fler, al suo fianco, mugola dolorosamente e gli posa una mano sul braccio per tenerlo fermo. No, dico. Lo ripeto. Gli posa una mano sul braccio per tenerlo fermo! Ma delicatamente, come la moglie che è! Non credo di aver mai visto niente di più gay in vita mia, ed io ho accompagnato Bill a fare shopping. No, per dire.
Mentre ancora inorridisco per questa cosa della mano sul braccio – me la sognerò nei secoli a venire, il mio sonno non sarà mai più tranquillo e sereno, io che ho sempre dormito come un bambino, mi viene da piangere – Fler si toglie la pezza bagnata dalla testa e manda giù un po’ di caffè, per poi rivolgersi direttamente a me. Io mi metto a bere il mio latte macchiato perché ho paura che mi contagerà con la sua gaytudine se mi guarda dritto negli occhi. Come Medusa, ma con delle miniature dei Village People per capelli al posto dei serpenti.
- Eko, - mi spiega con pazienza, - eravamo ubriachi, non ci abbiamo riflettuto granché sopra e probabilmente abbiamo agito in maniera avventata, ma non siamo pentiti di averlo fatto e ci rendiamo perfettamente conto della nostra situazione adesso. Siamo molto contenti di come sono andate le cose, e ti pregherei di rispettare almeno questo.
- Sono contenti, loro! – strilla a quel punto Bill, il viso inondato da una marea di lacrime e mascara. La sua voce è talmente alta che Fler fa una smorfia e torna a nascondersi sotto il suo panno bagnato, sofferente. – Siete contenti, eh? E io non ho potuto nemmeno organizzare un rinfresco, o occuparmi dei fiori per decorare la cappella! Scommetto che non c’era nemmeno una rosa bianca sulla navata centrale!
- Io scommetto che non c’era nemmeno la navata. – borbotta Tom, gorgogliando col naso di nuovo tuffato nel caffellatte, e Bill torna a piangere, lanciando il fazzoletto ormai sporco alle sue spalle e centrando in pieno il cesto pieno di altri fazzoletti usati che il cameriere dritto in piedi dietro di lui regge fra le braccia, per poi prenderne un altro dal dispensatore che un altro cameriere, fermo al suo fianco, gli porge con sussiego.
Io sbatto le palpebre un paio di volte, fissandolo con sconcerto.
- No, dico, - sbotto, - è questo il problema? Cioè, tutta questa tragedia greca, - dico, indicando in un gesto omnicomprensivo i pianti, i fazzoletti, tutta la corte depressa forzata a scendere per la colazione ad orari indecenti eccetera eccetera, - non è perché quei due si sono sposati ma perché la principessa non è stata avvertita in tempo per organizzare le nozze?
Mentre Bill scoppia in lacrime un’altra volta, perché evidentemente le mie parole hanno fatto centro nel cuore del problema, Bushido sospira e sorseggia il proprio caffè con l’aria compunta di uno che soffre molto ma non vuole darlo a vedere per orgoglio personale; una faccia che per la verità ha spesso, perché voi dovete sapere che il nostro signore e padrone, qui, è convinto che tutto il mondo ce l’abbia con lui. C’è la vita vera, e poi c’è la vita che Bushido è convinto di vivere nella propria testa, e in questa deviazione della realtà il cosmo intero complotta contro la sua felicità, ma lui, con la sua forza, il suo eroismo e la sua caparbietà è sempre in grado di ribaltare situazioni senza speranza e risolvere ogni problema, mentre cavalca in sella al proprio stallone bianco panna verso il suo per sempre felici e contenti.
Naturalmente non c’è bisogno che io stia qui a dirvi che è tutta una montatura, che in realtà quest’uomo oltre al fatto che gli va sempre bene in generale ha anche una fortuna sfacciata che, tipo, gli permette di non morire mai, una roba che le persone normali purtroppo non possono neanche sognare, ma lui ci crede molto, e questo gli permette di andare in giro a fare quella faccia lì, la faccia dell’eroe tormentato, e crederci pure tantissimo, e risultare per questo molto convincente mentre beve il suo caffè e si pinza la radice del naso come non riuscisse a capacitarsi di avere tutte queste sfighe, poverino.
- Io, per la verità, di problemi con quello che è successo ne avrei parecchi. – dice, lanciando a Fler un’occhiata tale che mi viene voglia di agitargli una mano davanti alla faccia e dirgli “whoa, ehi, adesso, calmiamoci prima di scatenare un conflitto atomico solo perché il nostro ex amante si è sposato con l’usciere”, - Ma sì, sostanzialmente il problema che ha scatenato la tragedia sotto i tuoi occhi al momento è questo.
- Ci tenevo così tanto, Eko! – squittisce disperata la principessa, riemergendo dal fazzolettino usato e soffiandosi il naso con veemenza.
- Ma se neanche sapevi che avevano intenzione di farlo? – obietto io, inarcando un sopracciglio.
Bill si interrompe e per un paio di secondi cala il silenzio. E poi riprende a piangere con più convinzione.
- Sì, appunto! – dice, come se quello che ho appena detto fosse in qualche modo stato di aiuto alla sua causa, - Non ci tenevo solo perché non sapevo che sarebbe accaduto, ma una volta che è accaduto ho scoperto che ci tenevo tantissimo! Non capisci? Se me l’avessero detto, ci avrei tenuto un sacco!
- Bill, solo tu nel mondo puoi considerare l’interesse per un avvenimento retroattivo. – sospira Tom, facendo le bollicine nel caffellatte.
Nel mentre, però, io sono costretto ad ammettere che, in fondo, il ragionamento ha senso. Intendo, non è che Bill andasse in giro strillando di voler essere il wedding planner di Fler e Chakuza, ma non lo faceva solo perché non aveva idea del fatto che questi due volessero sposarsi. Probabilmente, se l’avesse saputo allora sì, sarebbe andato in giro strillando di voler essere il loro wedding planner e tutto. Ora da un lato sono grato a Chakuza e Fler per averci risparmiato l’imbarazzo, ma dall’altro mi dispiace per la povera principessa, che tiene a poche cose nel mondo – in genere tutte quelle sbagliate – e per giunta nessuno gliele dà mai.
- Okay. – annuisco quindi, e tutti si voltano a guardarmi con una preoccupazione decisamente fuori luogo, - C’è una sola soluzione, per questo.
- Eko, non credo che tu sia nella posizione di proporre soluzioni a problemi inesistenti. – borbotta Chakuza, guardandomi in cagnesco. Ma io vedo che la principessa ha sollevato gli occhi su di me e mi sta fissando speranzosa, e io non posso deluderla proprio adesso.
- Tu e Fler dovreste sposarvi di nuovo. – proseguo quindi, ignorandolo, - Qui, nella sala ricevimenti dell’albergo. Bill potrebbe avere il resto della giornata per organizzare l’evento, stasera potreste dire sì in una cornice meno squallida di una stupida cappella a Las Vegas con qualche finto prete ubriaco che vi benedice, e tutti sarebbero contenti.
- Eko! – si agita tutto Bill, lanciando via il fazzoletto e giungendo le mani sotto il mento, - Ma così, all’improvviso? Organizzare un matrimonio in sole dodici ore? È impossibile!
- Be’, - scrollo le spalle, guardando altrove, - se non pensi di potercela fare, meglio così, passeremo la serata fuori e ci divertiremo lo stesso.
- Stai scherzando?! – strilla a quel punto lui, saltando in piedi ed asciugandosi sommariamente gli occhi, - Mi metto subito al lavoro.
Abbandona la sala subito dopo, riapparendo dopo qualche secondo per afferrare suo fratello e Bushido e trascinarli via con sé, mentre loro gli sbraitano dietro di lasciarli andare immediatamente e lui, naturalmente, non sta affatto a sentirli.
A fare colazione restiamo solo io, Kay, i novelli sposi e i due amici dei gemelli, i quali spariscono a loro volta quando Bill si riaffaccia ed inarca un sopracciglio, segnale apparentemente sufficiente a convincerli a seguirlo con un sospiro.
- Nessuno ha chiesto il nostro parere. – nota a quel punto Chakuza, sconvolto.
Fler emette un lamento disperato, si toglie la pezza umida dalla faccia e si alza in piedi.
- Ho bisogno di dormire. – conclude, abbandonando il tavolo a propria volta.
Restando compostamente seduto, io mi godo il mio caffè ed il mio croissant, consapevole di aver compiuto anche oggi la mia buona azione quotidiana.
*
Con i preparativi, comunque, io non voglio avere niente a che fare. C’è solo un numero limitato di gaiezza che un uomo eterosessuale può sopportare prima di cominciare a dubitare delle proprie posizioni aperte e liberali, e Bill che si improvvisa wedding planner e si mette ad addobbare la sala conferenze dell’albergo riempiendola di nastri di seta, palle traslucide di vetro di boemia, rose rosa, giacinti e gelsomini supera abbondantemente quel numero già di per sé superato dal fatto che il matrimonio è quello di Chakuza e Fler, per cui io decido di lasciare ognuno alla propria occupazione – anche perché Bill il mio aiuto non lo ha chiesto – ed esco felice per le strade di Las Vegas.
Una cosa bella di Las Vegas è che fra il giorno e la notte non esiste la minima distinzione. Cioè, tu ti svegli tranquillo di buon mattino, bevi il tuo caffè, mangi il tuo biscotto, trangugi la tua fetta di pane tostato con burro e marmellata, poi prendi, esci e per strada sono le undici di sera. Cioè, non nel vero senso dell’espressione, intendo, non è che c’è una calotta di vetro sopra Las Vegas che simula il buio e il sorgere della luna eccetera eccetera, no; tu esci per strada a mezzogiorno e non è che è notte, c’è il sole e tutto, però ecco, locali che in qualsiasi altro posto nel mondo a quest’orario qui sarebbero chiusi a doppia mandata, a Las Vegas sono aperti.
Per cui io passeggio allegramente per strada mentre gente già ubriaca corre, urla e si bacia pubblicamente senza il minimo pudore, e poi trovo un localino simpatico che mi ispira, e decido di passare lì il resto della mia giornata.
Poi niente, entro, mi siedo, ordino una birra, guardo il palco e vedo che c’è sopra Valezka che canta, e decido che voglio passarci anche il resto della mia vita.
*
La cosa con Valezka è stata molto complicata. Lo è stata fin da subito, ma non sia mai detto di me che sono un uomo che non gli piacciono le cose complicate, perché io per le cose complicate impazzisco, cioè, mi piacciono proprio un botto, tant’è che vivo con Bushido. Cioè, non assieme, ma quasi, specie considerato il fatto che quando sei nel giro del Bu non c’è scampo, che tu viva a venti o a duecento metri da lui sarà sempre e comunque come se gli vivessi in casa. Bushido è il tipo che si presenta sulla porta di casa tua e ti dice “che stai facendo?”, e se tu tipo gli rispondi “guardavo porno in tv col dolby surround a volume massimo” ti strilla “non finché vivi sotto il mio tetto!”, e tu ti terrorizzi e gli rispondi di sì e spegni subito la televisione anche se dentro di te sei consapevole di non vivere sotto il suo tetto. È tutta una questione di modo di porsi, sapete, Bushido c’ha un po’ quell’atteggiamento che potrebbe vendere ventilatori in Lapponia.
Comunque, il punto non sono le enormi potenzialità di venditore di ventilatori porta a porta di Bushido, il punto è che Bushido è una cosa complessa, e il fatto che io sia un suo sottoposto dimostra che a me le cose complesse piacciono molto.
E infatti Valezka è tipo la cosa che mi è piaciuta di più in tutta la vita.
L’ho conosciuta che aveva ventun anni, ed io ne avevo diciannove. Eravamo due pischelli che non sapevano niente del mondo e volevano soltanto divertirsi, ma il punto non è tanto che fossimo giovani e avessimo voglia di divertirci, ma che non fossimo solo in due. Era infatti il duemiladue, e sapete cosa succedeva nel mondo fra il duemilauno e il duemiladue? Pacey e Joey si mettevano insieme, rovinando la vita di Dawson, e poi rovinandosi la vita a vicenda già che c’erano.
In sostanza, più o meno, è la stessa cosa che è successa a noi. Nel duemiladue, infatti, io lavoravo in un negozio di scarpe – no, lo so che sembra che quello che sto dicendo non abbia nemmeno una minuscola parvenza di logica, ma non è così, seguitemi e giuro che, alla fine, tutto avrà senso – da qualche anno, dopo aver lasciato la scuola, anche se in realtà sarebbe più corretto dire che è stata la scuola a lasciare me, nel senso che alla terza espulsione abbiamo entrambi capito che le nostre differenze erano inconciliabili, ed abbiamo pertanto deciso di prendere strade differenti, per la soddisfazione di entrambi.
Insomma, io lavoravo in questo negozio di scarpe che si chiamava Il Piede del Fauno, che voglio dire, è un nome ridicolo e anche fuorviante, perché i fauni hanno piedi caprini ma noi non vendevamo scarpe caprine, vendevamo scarpe normali. Era un lavoro part-time, stavo lì solo qualche ora ogni mattina, anche perché il proprietario, il vecchio signor Wagner, aveva qualcosa come otto miliardi di anni e riusciva a restare sveglio e presente a se stesso solo nella fascia oraria fra le dieci del mattino e mezzogiorno, però ecco, io mi divertivo abbastanza, la paga non era male, tutto considerato, e di lì passavano un sacco di ragazzi perché principalmente vendevamo scarpe da tennis e in quegli anni la scarpa da tennis era un must per tutti gli adolescenti in tutto il mondo.
Insomma, è stato lì che un giorno ho conosciuto Kool Savas. Ovviamente, ai tempi non era Kool, era solo Savas, però aveva un progetto. È importante avere un progetto, nella vita. Pensate a Bushido, lui un progetto ce l’aveva, ed era diventare il più grande rapper tedesco mai esistito. Oh, è dovuto passare per l’inferno, per riuscirci, ma c’è riuscito, eh. E tutto perché aveva un progetto.
Anche Savas ne aveva uno. Un pelo più modesto – aprire un’etichetta e diventare famoso – ma ce l’aveva. E un giorno entra al Piede, che gli servivano un paio di scarpe nuove, e mi trova lì che sistemo scarpe sugli scaffali cantando Ready to Die, e mi fa “Tu!”. Al che io mi volto e lo guardo, e tenete presente che io appunto ai tempi ero poco più di un pischello, mentre lui praticamente era già un uomo adulto. Per cui mi fa “canti bene”, e io ovviamente reagisco come reagiscono tutti i pischelli quando un uomo adulto fa loro un complimento, cioè da un lato mi sento fighissimo e dall’altro mi pongo due o tre dubbi su cosa il tipo voglia da me.
Lui mi fa “guarda, sto aprendo un’etichetta. Se ti va, vieni in studio e ti facciamo un provino”, e poi mi passa questo bigliettino da visita col suo nome, l’indirizzo e il numero di telefono.
Sul subito ero un po’ incerto, cioè, ero consapevole che non è che potessi rimanere impiegato al Piede del vecchio signor Wagner per sempre, anche perché lui aveva già passato l’ottantina e mi aveva già detto che, alla sua morte, il Piede sarebbe morto con lui. Per inciso, in questo momento il vecchio signor Wagner ha superato abbondantemente i novanta ma è ancora perfettamente vivo e vegeto, e il Piede assieme a lui. Comunque, niente, non è che io sognassi di diventare un cantante o chissà che, però mi sembrava che la prospettiva di mettermi a lavorare per un ventisettenne mi sorridesse un pelo di più che quella di lavorare per un ottantaduenne, per cui dico arrivederci al vecchio signor Wagner e, il giorno dopo, mi presento agli studi della Optik Records, faccio il mio provino e, fra poderose pacche sulle spalle e poderose dosi di birra alla spina, entro a far parte della grande famiglia di Savas.
Voi dovete capire, Savas, da quel momento in poi, per me è diventato una specie di punto di riferimento. Per dire, i miei erano divorziati, io sostanzialmente ero cresciuto senza un padre perché a quei tempi, capite, non era mica come adesso, quando un uomo se ne andava di casa non è che si prendeva bene coi diritti del padre, i finesettimana insieme, le visite giornaliere e tutto il resto. A quei tempi te ne andavi di casa e basta, e mio padre questo aveva fatto. Quindi niente, quest’uomo che non era assolutamente vecchio al punto da farmi da padre ma che in parte si comportava da tale, quest’uomo che mangiava solo lattuga e beveva solo latte di soia, quest’uomo che suo padre era stato prigioniero di guerra e che aveva vissuto l’infanzia fra la Germania e la Turchia, quest’uomo che a meno di trent’anni era già indipendente e sapeva esattamente cosa voleva dalla vita, per me era una specie di faro nell’oscurità, uno che io lo guardavo e pensavo ecco!, alla sua età io voglio avere le stesse cose che avrà lui, voglio fare le stesse cose che fa lui. Magari mangiando bistecche, anche, ma insomma.
In ogni caso, succede che Savas mi accoglie nella sua vita come una specie di orfano adottato, anche se non sono orfano e lui non mi adotta. Un pomeriggio restiamo alla Optik a lavorare a qualche beat fino a tardi e, ad un certo punto, il mio stomaco esplode in gorgoglii sinistri, e lui si mette a ridere e mi fa “vieni a cena da me, ti faccio conoscere la mia ragazza”.
E qui entra in gioco Dawson’s Creek, appunto. Insomma, Savas mi porta a casa da lui, entriamo e io sento questa voce dolce che viene da una stanza che, dall’ingresso, non riesco a vedere. E Savas fa “Vale? Ho portato ospiti”, e lei si affaccia.
Vedo prima i capelli. I ricci! Questo casco enorme di ricciolini bellissimi che sembra di trovarsi davanti all’improvviso Diana Ross al suo meglio solo un pelo più bionda! Io non so bene come funzionino i colpi di fulmine, non è che mi sia capitato molte volte di prendermi così bene all’improvviso con una ragazza, ma sono abbastanza sicuro che quello per Valezka sia stato un colpo di fulmine. Ma non uno di quelli scemi, che ti prendi una cotta e dopo due mesi, importante per quanto la relazione possa essere stata, è già tutto finito. No, io guardo Valezka, la sua pelle color caramello, quei ricciolini, il sorriso enorme e quegli occhi scintillanti da cerbiatta, e penso “è lei!”, con entusiasmo, proprio, con convinzione, perché era lei davvero.
Unico problema: è la ragazza di Savas, ovviamente. Cazzo!, penso, dico, ma si può essere più sfigati? Vi pare che la donna di cui devo andarmi a innamorare perdutamente può essere una ragazza normale, libera, disponibile? No! Dev’essere la cazzo di tipa del mio datore di lavoro nonché pilastro e faro luminoso attorno al quale la mia nuova vita ruota. Dico.
Insomma, da questa cena io esco completamente traumatizzato, perché da un lato ho incontrato la donna della mia vita e dall’altro è la donna del mio migliore amico. Tragedia. Novello Pacey del rap tedesco, mi aggiro depresso per la città per giorni sapendo di voler baciare questa donna senza poterlo fare. E mi prendo pure male con me stesso perché a me Pacey stava sul culo. Cioè, ti affido la mia donna e ti dico “prenditene cura finché io metto a posto la mia merda” e tu te la limoni alle mie spalle, restauri una barca in suo nome, diventi il beniamino della sua famiglia eccetera eccetera? Ma sei proprio stronzo.
E quindi sono lì che mi sento uno stronzo e non voglio e prego intensamente che qualche altra donna che non sia la fidanzata di Kool Savas mi appaia davanti rubandomi il cuore, quando un giorno che sono solo agli studi ovviamente si presenta Valezka, e io perdo completamente il senno.
Siccome Savas è fuori ma dovrebbe tornare fra poco, mentre lo aspettiamo ci sediamo e parliamo un po’, e viene fuori che abbiamo un sacco di cose in comune, tipo che a nessuno dei due piace la maionese, che entrambi pensiamo che la gente abbia un’opinione esageratamente negativa nonché discriminante sui piccioni e che sia io che lei proviamo sentimenti contrastanti nei confronti del crème caramel. Cioè, più che altro lei ride e mi dice che non aveva mai pensato a nessuna di queste cose nei termini in cui io gliele ho presentate, ma che ora che le ha sentite è perfettamente d’accordo con me e le piace il mio modo di pensare. Una roba in seguito alla quale io sento di avere ogni diritto possibile di immaginare una lunga vita priva di maionese, piena di piccioni e moderatamente dotata di crème caramel al suo fianco, se non che mentre io sono perso in queste mie legittime fantasie noto che lei è nervosa e un po’ triste e continua a guardare l’orologio come una che ha una cosa tremenda da fare e allo stesso tempo vuole farla il prima possibile e non vuole farla mai.
Al che le chiedo se c’è qualche problema, ed è lì che lei mi fa questo sorriso minuscolo e triste così bello che io ovviamente mi innamoro di lei il triplo, e mi spiega che è da qualche settimana che cerca di trovare il coraggio per lasciare Savas. “Oddio,” le faccio io, “Lo sapevo che sarebbe successo. È colpa mia!”, e lei scoppia a ridere e mi fa “Eko, sei un cretino”, e poi mi spiega che no, non è colpa mia. Mi spiega che lei e Savas si sono messi insieme tre anni prima, che lei era solo una ragazzina, quando l’ha conosciuto, e che lui era fighissimo e faceva un sacco di cose appropriatamente fighissime tipo nutrirsi per settimane intere solo di bieta e ravanelli e via così, e che lei s’è innamorata di lui anche perché lui che era così adulto non la trattava come una ragazzina e tutto il resto, una roba che io potevo capire perfettamente perché, insomma, per me era stato uguale. Per cui le dico che la capisco e lei mi fa “ah, ti sei innamorato di lui anche tu?”, e io lancio uno strillo e sollevo entrambe le braccia e dico “no!”, e lei ride e mi dice “ti stavo prendendo in giro”, e io mi innamoro di nuovo e capisco che la mia vita da quel momento in poi sarà un continuo innamorarmi di lei di nuovo e di nuovo, così, senza soluzione di continuità.
Mentre io realizzo questa cosa che un po’ mi spaventa ma che in generale mi piace e basta, lei continua e mi dice che sì, insomma, è rimasta innamorata di lui per un sacco di tempo, ma che ha l’impressione di essere cresciuta, adesso, e non si sente più così attaccata a lui. Gli vuole bene, gli è affezionata, l’idea di spezzargli il cuore la devasta, però insomma, lui sta cominciando a parlare di convivenza e lei ha bisogno di chiudere questa storia prima che diventi troppo grande e ingestibile.
E io la bacio.
Tipo che non me ne frega niente! Okay! Che ancora non l’abbia lasciato, che magari possa cambiare idea e decidere di restare con lui, trasferirsi in casa sua, sposarlo e fare con lui un milione di bambini! Che mi abbia detto che comunque non è certo a causa mia che vuole lasciarlo! Non me ne frega niente. La bacio e basta. E mi batte il cuore tantissimo perché lei mi piace così tanto che il terrore di venire respinto è quasi paralizzante. Ma non a sufficienza, evidentemente, perché alla fine la bacio comunque.
E ovviamente è quello il momento in cui Kool Savas rientra, e ci trova in quel modo lì che ci baciamo impunemente all’interno di un locale per il quale lui e lui solo paga l’affitto.
Insomma, non proprio la cosa migliore che poteva accadere, specie perché Valezka voleva lasciarlo per tutta una serie di motivi validissimi e onesti, e lui invece ci ha beccati a fare l’unica cosa che quei motivi li invalida tutti. A quel punto non conta più che lei volesse lasciarlo già da prima che ci conoscessimo, che sia semplicemente cresciuta e le sia passata la cotta adolescenziale e non si senta pronta a vivere tutto il resto della propria vita al fianco di un uomo di cui non è sicura di essere innamorata, no; l’unico motivo per cui lei vuole lasciarlo, dal punto di vista di Savas, è che io l’ho limonata in casa sua. Una roba falsa e pure un po’ triste, in definitiva, ecco, specie perché invalida tutta la questione del volergli ancora bene ed essere triste all’idea di spezzargli il cuore, una cosa che puoi dire quando lasci il tuo uomo perché ti è passata la cotta, ma che non puoi assolutamente dire quando lo lasci dopo che lui ti ha beccato a limonarti un suo sottoposto sul luogo di lavoro.
Insomma, Savas non la prende bene, ovviamente. Sfido io. Si lancia in tutta questa filippica un po’ imbarazzante, e come avete potuto, e in casa mia, e la mia donna, e io ti ho accolto come un fratello, e io ti ho dato l’opportunità della vita, e come ho potuto essere così cieco, e certo Eko che sei proprio uno stronzo e via così. Ci butta fuori entrambi, intimandoci di non farci più vedere o ci sguinzaglia contro i cani. E, dice, non in senso figurato. Al che io lo prendo in parola, perché non c’ho mezza voglia, proprio, di finire sbranato dai dobermann. Proprio ora, poi, che ho Valezka.
Lei è fantastica, ovviamente. Io mi scuso e lei mi sorride e mi abbraccia. “Non è colpa tua,” mi fa, e io sono già lì che penso che ora mi dirà addio e non vorrà più vedermi, e invece lei resta. Tipo che io mi ero trasferito in un appartamento che Savas mi aveva fatto affittare, si era anche preso cura lui della caparra e tutto il resto, e ovviamente non posso più restare lì, e lei mi fa “vieni a stare da me”. Che lei non è che stia in una reggia, poi, ma a me sembra che lo sia perché è un appartamento così carino e così pulito e così profumato, e tutte le stanze hanno una parete dipinta, ogni stanza di un colore diverso, e i mobili sono in tinta. Che poi sono i mobili dell’IKEA, ma non si nota perché sono così carini e il tutto è assemblato con tanto gusto che io boh.
E quindi niente, io per un po’ cerco qualche altro lavoro, non funziona niente, provo a chiedere al vecchio signor Wagner di riprendermi con sé che così almeno cerco di provvedere per la spesa come un brav’uomo dovrebbe fare per la sua donna, ma lui con quel suo unico dente residuo in bocca mi dice “aria, ragazzo!”, che ha già preso un altro tipo più giovane e scemo di me e può pagarlo la metà per fare il doppio delle cose.
Nel mentre, Savas non può sguinzagliarci contro i cani perché io e Valezka ci teniamo ben lontani dalla sua proprietà, ma nel mentre, per pura soddisfazione, mette in moto la macchina delle diss, e in un paio di settimane tutte le radio underground che passano rap locale risuonano del nome mio e di quello della mia ragazza affiancati ad epiteti non proprio piacevoli tipo troia, vacca, stronzo e derivati. Una roba di una tristezza immensa che va avanti per settimane, ma che dico settimane, mesi!, ma che dico mesi, no, mesi, giusto, non va avanti per più di qualche mese.
Perché? Perché a un certo punto arriva Bushido.
Bushido arriva che io ho da poco trovato lavoro in un bar e preparo caffè per gente triste con lavori seri dalle sei del mattino alle sei di sera. È un lavoro abbastanza schifoso che mi costringe a stare in piedi a fare sempre le stesse cose per dodici ore filate, che dopo mesi che tu sei stato un cantante è una roba un po’ schifa, ma anche che dopo anni passati a vendere scarpe da tennis per un matusalemme con un solo dente e la gengiva più bavosa del west è una cosa un po’ schifa, il che dovrebbe funzionare bene come termine di paragone, perché quanto credete che potesse essere bello lavorare per il vecchio Wagner? Ecco, lavorare al Falce di Luna era pure peggio. Volete sapere perché si chiamava così? Ecco, perché Youssuf, il proprietario, si vantava che il bar apriva quando ancora la luna non era tramontata, e chiudeva che già era sorta di nuovo da un pezzo. No, dico, vi pare un buon motivo per vantarsi? Io dico che se vi vantate per una roba simile siete degli schiavisti impenitenti che sfruttano i lavoratori bisognosi pagandoli dieci centesimi all’ora senza neanche permettere loro di portarsi a casa le mance, ecco.
Comunque, la cosa principale del Falce di Luna, oltra al fatto che è il posto peggio del mondo in cui lavorare, è che è un bar di Tempelhof. E voi a chi pensate se io dico Tempelhof? Eh, infatti.
Bushido mi si para davanti un giorno che sono le sette del mattino e io ho sonno. La cosa che ci accomuna, quella sulla quale troviamo subito terreno di comunicazione, è che ha sonno anche lui. Entra, mi fa “non ho dormito tutta la notte”, e io, che sono una persona sincera, dico “io sì, ma ho sonno uguale”. Al che lui mi guarda, si abbassa gli occhiali da sole palesemente troppo costosi sul naso e sorride divertito. Mi fa “e tu chi sei?”, e io potrei anche rispondergli dandogli tutti i miei dati anagrafici e una breve cronistoria della mia esistenza, ma mi dico, a che pro? E gli dico “sono Eko, il barista. Caffè?”, e lui fa “certo, Eko il Barista, caffè”.
Poco dopo entra Youssuf, che nel mentre era impegnato a scaricare il camioncino con le ciambelle. Entra con la sua bella confezione di ciambelle e vede che io ne voglio palesemente una, ma mica me la dà, lo stronzo. No! Si mette lì a sistemarle nella vetrinetta accanto al bancone, con compiacimento, proprio, che, se potesse, si metterebbe a cantare “ed Eko niente ciambelle, ed Eko niente ciambelle!”.
Ovviamente, Bushido e i suoi occhiali da sole palesemente troppo costosi se ne accorgono. E fanno, “Youssuf, Atze, fammi un favore, allungami una di quelle ciambelle, una di quelle con la crema, grazie”, che io non so neanche come facesse a sapere che volevo proprio quella lì, ma lo sapeva. Io non lo sapevo ancora, cazzo, ma lui sì.
E Youssuf, uno stronzo che io non gli ho mai visto neanche offrire una caramella a un moccioso, prende e gli dà la ciambella. “Certo, Atze,” gli fa. E io lì capisco che ho davanti un tipo importante. O pericoloso. O anche entrambi, perché porre limiti alla Provvidenza?
Comunque, lui aspetta che Youssuf sia sparito di nuovo, e poi, tranquillo come se non stesse succedendo niente, come se non stesse violando delle leggi, tipo, nel farlo, mi offre la ciambella. Lui la ciambella non l’ha nemmeno pagata, eh, gli è stata offerta a sua volta. E lui la offre a me. “Tieni,” mi fa, “Sembri avere fame.”
Dico, c’ho la faccia del bambino africano con la pancia rotonda e la mosca sull’angolo dell’occhio? Ce l’ho? Non mi pare. Ma la ciambella ha un aspetto appetitoso e io ho effettivamente fame, quindi mi faccio passare il rigurgito di orgoglio e la mangio, non prima però di aver fatto all’uomo un cenno di ringraziamento, non si dica che mia madre mi ha cresciuto ineducato.
Poi, mentre sorseggia il suo caffè, mi fa “io comunque ti conosco”, e a quel punto, mentre pulisco il bancone e servo gli altri clienti che man mano entrano ed escono dal bar, ci mettiamo a chiacchierare del più e del meno, chi sono, chi non sono, che ho fatto, che non ho fatto, dove mi ha già visto?, boh, forse da qualche parte mentre ero in concerto, o forse ha visto qualche video che hanno passato in televisione, e quando glielo dico lui s’illumina, spalanca l’occhione color cioccolato e mi indica. “Eko,” fa, “Eko Fresh!”, e io “presente!”, tristezza. Lui scoppia a ridere e mi fa “senti, sono curioso: cos’è successo davvero fra te e Kool Savas?”, e io, placido, “gli ho rubato la ragazza”. Pausa di silenzio. La pausa si prolunga. Io nel mentre gli ho preparato un altro caffè e lui, prima di parlare ancora, lo beve tutto. “Ma che, davvero?”, mi fa, e io annuisco. E mentre sono lì che penso con serietà alla mia vita, alle mie scelte e al fatto che servo caffè al banco di un bar nel quartiere peggiore di Berlino perché non sono stato in grado di tenere l’uccello nelle mutande, metaforicamente parlando, Bushido sorride. Sul momento è un sorriso che non riconosco, anche perché non lo conosco, come fai a riconoscere una cosa che non conosci? Passaggi logici che si perdono ovunque. Comunque, sul momento non lo riconosco, ma col passare degli anni imparerò a capire cosa vuol dire. Vuol dire soldi, e sembra che io sia appena diventato una gallina dalle uova d’oro.
“Eko il Barista,” mi fa lui, tirando fuori dal portafogli una banconota da cento euro e posandomela lì sul bancone, “Io ho un sogno.”
“Minchia,” penso io, occhieggiando la banconota, “Forse lo sto avendo pure io.”
Insomma, com’è, come non è, due giorni dopo torno a casa da Valezka con un contratto ed un sacco di soldi per produrre un album di coppia, io e lei insieme. È il periodo più bello della mia vita. Io e Valezka non facciamo altro che cantare insieme, limonare ovunque ed improvvisare pic nic sul tappeto peloso rosa del suo salotto. Nel mentre, io comincio a partecipare alle spese di gestione dell’appartamento, e quindi casa di Valezka piano piano diventa casa nostra, ed è una cosa bellissima. All’improvviso non importa più a nessuno dei due che fuori da quelle quattro stanze ci sia un mondo tremendo in cui sia io che lei abbiamo tradito la fiducia di un caro amico, ed ora che quel caro amico, ferito, ci odia, noi ci facciamo sovvenzionare da uno che sta facendo la propria fortuna sulle diss che riesce a produrre su qualsiasi altro rapper di una certa rilevanza della scena tedesca. A Bushido non importa che l’obbiettivo sia Sido, piuttosto che Fler, piuttosto che Kool Savas, gli interessa semplicemente averne uno, perché ogni volta che abbatte qualcuno sale di un gradino sul fianco della piramide sociale, e a lui interessa la cima. Poi, se glielo chiedi, lui ti dice che è un romantico, eh. Ti dice che lo sta facendo per proteggere il tuo amore e quello della tua donna, che la vostra storia l’ha commosso, che l’amore vince sempre e lui modestamente è il cavaliere dei puri di cuore e tutto il resto, ma la verità la sappiamo noi e la sa anche lui, quindi non importa.
Poi succede quello che succede sempre quando le cose vanno così bene che tu quasi non riesci a crederci: tutto finisce. E no, non succede d’improvviso. Non è che da un giorno all’altro cose che fino al giorno prima avevano sempre funzionato benissimo improvvisamente smettono di funzionare lasciandoti a piedi come l’auto nuova comprata due mesi fa e dalla quale non ti saresti mai aspettato un tradimento simile.
Le cose richiedono sempre una buona quantità di tempo prima di accadere. La cosa è che, mentre loro lavorano in background per rovinarsi come l’antivirus mentre navighi su YouPorn lavora in background per bloccare i peggio pop up e i peggio malware, tu non te ne accorgi. Non le noti nemmeno, le piccole cose che capitano. Loro capitano e tu niente, completamente ignaro. Chiaro che, quando poi ti esplodono in faccia come i palloncini quando li gonfi troppo, ti prendono di sorpresa. Ma non è che siano davvero sorprese, lo sono solo per te.
E infatti, quando Valezka dopo un paio d’anni di convivenza è venuta da me e mi ha detto “e allora?” è stata una sorpresa solo per me, che avevo vissuto quei due anni in uno stato di beatitudine perfetta inseguendo il sogno del cantante innamorato sotto protezione dell’eroe romantico del nuovo secolo; non è stato per niente sorprendente per lei, invece, che quei due anni li aveva vissuti aspettandosi qualcosa che non arrivava mai e che probabilmente avrebbe continuato a non arrivare mai se lei avesse continuato ad attenderla silenziosamente.
A quei tempi, tutta la questione mi sembrò surreale. Avevo ventidue anni, ma mi sentivo ancora un ragazzino, e sentirmi dire cose tipo “dobbiamo pensare al nostro futuro”, “ci servirà una casa più grande”, “mi piacerebbe avere un giardino” e “se fosse femmina potremmo chiamarla Cynthia” mi terrorizzò profondamente. Non ci avevo mai pensato, non avevo la minima intenzione di pensarci e mi sembrava assurdo che Valezka lo stesse facendo, per cui ogni volta che lei tirava fuori uno di questi argomenti con quella sua aria sognante e piena di speranza per il futuro la mia reazione era l’unica possibile: tacere.
E infatti sono stati i miei silenzi ad uccidere la nostra relazione. Un giorno lei è venuta da me – e posso solo immaginare quanto le sia costato raccogliere il coraggio e confrontarsi apertamente con me per una cosa che, avessi io avuto un cervello normale, non avrebbe avuto bisogno di nessun confronto – e mi ha chiesto “e allora?”, ed io non ho neanche potuto fare il finto tonto, perché sapevo esattamente a cosa si stava riferendo. E perciò le ho detto l’unica cosa che potevo dirle in una situazione come quella, che poi era la verità. “Non sono pronto, Vale,” le ho detto. E lei, donna con due palle così, che quando a me mi dicono che la donna era meglio nel Medioevo io m’incazzo perché come Valezka non ce n’erano mica, nel Medioevo, l’ha accettato. Non c’è stato odio o risentimento, nel nostro addio, niente stronzate del tipo “ho sprecato i migliori anni della mia vita per starti dietro”. Nessuno aveva sprecato niente, e lo sapevamo. Eravamo stati felici. Non c’era nessun motivo di rovinare il ricordo di ciò che era stato solo perché, da quel momento in poi, non poteva più esistere.
Quella sera, dopo aver preparato una borsa con un po’ di biancheria pulita e lo spazzolino da denti, sono uscito da casa di Valezka per non rimetterci più piede, e sono andato da Bushido. Lui mi ha accolto in casa sua, che ai tempi non era ancora la Villa Gialla, ma ci stavamo arrivando, e mi ha ascoltato pazientemente di fronte ad un’insalatiera piena fino all’orlo di kebab preso dal suo kebabbaro di fiducia. Dopodiché mi ha guardato con quegli occhi che fa sempre quando ti vuole bene ma pensa che tu sia stupido, e mi ha detto “Eko! Dopo tutta la fatica che abbiamo fatto per farvi diventare i nuovi Romeo e Giulietta del giovane rap tedesco,” e poi ci siamo messi a ridere. Al che mi ha chiesto come stavo, ed io ho risposto sinceramente che, tutto considerato, stavo piuttosto bene. Lui ha annuito, mi ha ospitato per la notte e il giorno dopo mi ha trovato un appartamento, che poi è quello in cui vivo ancora oggi, ed un contratto per entrare a far parte dell’Ersguterjunge.
Non è che io sia triste per come le cose sono andate, alla fine. Ho una visione della realtà semplicistica abbastanza da pensare che le cose vanno in un modo perché devono andare in quel modo lì, poi sta a te prenderne il meglio e non lasciarti sommergere dal peggio. Secondo me, se a fine giornata puoi andare a letto pensando “bene! Oggi non mi sono lasciato sommergere dal peggio”, hai già vinto. Ed io, modestamente, non mi sono lasciato sommergere mai. Anche perché sarebbe un problema, non so nuotare.
Ogni tanto, però, tipo adesso, o meglio adesso specialmente, visto che ce l’ho di fronte che canta l’ultimo successo di Alicia Keys, ripenso a Valezka e alla sua casa con le pareti colorate e al suo tappeto di pelo rosa sul quale facevamo lunghi pic nic indoor parlando della danza d’accoppiamento delle api o del ritrovamento di uno scheletro alieno in fondo all’Oceano Pacifico, e mi viene da pensa che sì, forse le cose sono andate esattamente come dovevano andare. Ma forse, se mi ci metto d’impegno, potrebbero tornare com’erano.
*
Mi si avvicina con quel sorriso che io non so come affrontare, seriamente. A parte che sono ridicolo perché la sto fissando come se fosse impossibile per lei trovarsi qui, mentre in realtà lo sapevo pure che s’era trasferita negli Stati Uniti un paio d’anni fa. È che mi fa un’impressione pazzesca trovarmela di fronte dopo tutto questo tempo.
Lei, ovviamente, è ancora bellissima, perché le persone che hai amato e che poi hai perso senza mai davvero smettere di amarle non diventano mai brutte. Anzi, semmai su di loro – ma solo su di loro – il tempo e la distanza hanno più effetto di una ricostruzione facciale completa, tipo, mentre tu hai sempre l’impressione che su di te il tempo sia passato senza pietà, rendendoti più vecchio e più brutto e con gli occhi un po’ più a palla e le guance un po’ più cascanti e la pancia un po’ più tonda e sporgente. E quindi io sono qui che la fisso chiedendomi se sia un fantasma o un’apparizione anche se so che non lo è, e tutto quello che riesco a pensare è “oddio, lei è bellissima e invece io sono diventato un roito!”, e mi prendo malissimo per questa cosa anche se coscientemente so che non è che posso essere diventato così tanto più brutto rispetto a quello che ero qualche anno fa, e poi lei finalmente arriva, si siede sulla poltroncina qui accanto a me, mi abbraccia stretto e mi chiama per nome. Così, con la voce della dolcezza. Ed io mi sciolgo perché questi anni che sono passati in mezzo a noi vengono spazzati via solo da quel nome, dal modo in cui lo pronuncia. Apro gli occhi e la guardo e siamo in quella casa, su quel tappeto peloso rosa. Anche se poi non è vero. Io mi sento come se fossi ancora lì.
E perciò potremmo parlare di un sacco di cose, tipo che lei potrebbe chiedermi come va, se sto con qualcuno, se ho in preparazione un nuovo album o anche qualche informazione sulle palesi pazzie che avvengono nella vita di noi tutti da quando Bushido è tornato dalla morte trasformandoci nell’avamposto tedesco dell’Arcigay, oppure io potrei chiederle cosa sta facendo per ora a parte le cover di Alicia Keys nei locali di Las Vegas, o potrei mettermi in ginocchio ed implorarla di uscire a cena con me anche se mi sa che a stento è mezzogiorno, ma niente di tutto questo accade. Io la guardo e le dico “sai cosa? Mi servirebbe qualcuno per cantare ad un matrimonio, stasera”. E lei mi fissa e la sua faccia dice tipo “cosa?”, e io annuisco. “Si sposano Chakuza e Fler,” dico, “Di nuovo. Ora, non sono sicuro che la principessa abbia previsto la presenza di una cantante, ma sono sicuro che le farà piacere. Vieni con me?”
E sono sicuro al cento percento che, di quello che dico, Valezka non capisca un accidente. Si starà chiedendo chi diamine sono Chakuza e Fler, perché sentano il bisogno di sposarsi un’altra volta, e soprattutto chi sia la principessa, ma non fa nessuna di queste domande, ed io non le do nessuna di queste risposte. Si mette a ridere, però, ed annuisce. Poi si alza e viene con me. È un buon inizio.
*
Quella sera, Valezka indossa un vestito pieno di volant e trine della stessa tonalità di fucsia degli orli e delle pochette che spuntano dai completi neri di Bill, di suo fratello e di Kay One, forzati a fare le damigelle d’onore in mancanza di donne più adatte allo scopo. Bushido, avvolto in un elegante completo grigio scuro, siede in prima fila, imbronciato come se gli fossero morti tutti i cani tutti insieme, una roba vergognosa. Io, infilato in un completo di lino beige, gli batto un paio di pacche sulla spalla.
- Coraggio, Atze, - gli dico, - È un po’ come dar via una figlia, no? – provo a consolarlo, mentre di fronte all’altare Fler e Chakuza si scambiano pigramente i loro anelli dalle forme improponibili per una seconda volta che non dev’essere per niente meno surreale della prima, sul sottofondo musicale di Bill che si perde in singhiozzi e di Valezka che canta No One.
- Ecco, appunto, Eko. – dice lui, ringhiando, - Ti pare che, se avessi una figlia, la darei in sposa ad uno come Chakuza?
E qui non aggiungo niente perché in effetti mi rendo conto che sarebbe crudele. Povero Bushido. Praticamente, se aveva un erede, nel mondo, quell’erede era Fler. Ora è come avere indirettamente regalato tutto il proprio impero a Chakuza. Il nano austriaco. Due volte! Avremo bisogno di molto champagne, più tardi.
La cerimonia finisce che il mal di testa di Fler è, se possibile, ancora peggiorato. Bill chiede a Chakuza di restare per un brindisi, ed è evidente che Chakuza vorrebbe dire sì perché è l’unica reazione che il suo corpo concepisce di fronte a Bill, un sì proprio generalizzato che si espande in tutte le direzioni e su tutti i piani di accettazione dell’uomo, ma prima di dare aria alla bocca si volta a guardare Fler, vede in che condizioni è e, miracolosamente, risponde di no.
- Devo riportarlo in camera o sviene. – aggiunge con una mezza risata. Fler gli tira un cazzotto contro una spalla che non dev’essere stato nemmeno tanto tenero, e lui non si lamenta neanche. Mi volto verso Bushido con l’intenzione di dirgli “guarda! Almeno lo tratta bene, con rispetto”, ma lui mi zittisce prima ancora che io possa provarci. Eh, se vuoi essere geloso della tua progenie, allora. Siilo. Cosa vuoi da me.
Lo lascio andare, che tanto prima di poter pensare razionalmente a questa cosa che Fler s’è sposato con l’uomo che gli ha rubato Bill gli serviranno degli anni, e mi volto verso Valezka.
- È sempre così, da voi? – mi domanda ridendo mentre si sfila dai capelli i fermagli fucsia intonati col vestito.
- In realtà ci hai preso in una giornata quasi normale. – rispondo io. La cosa divertente è che non è nemmeno una battuta, sono serissimo.
È ancora più divertente, però, quando lei mi chiede se ho qualcosa da fare e se non mi piacerebbe andare a cena insieme da qualche parte. Sul momento vado nel panico perché, oddio, cosa le rispondo? Cosa sta succedendo? Farò bene ad accettare? Dovrei ritrasformarmi in Tarzan e colpirla sulla nuca con una mazza per poi trascinarla in camera mia fra le mie liane e le mie pozze acquitrinose?, però alla fine mi calmo, le sorrido, annuisco, la prendo per mano e camminiamo tranquilli verso l’uscita.
Quando domani partiremo per abbandonare il Nuovo Mondo e tornare nel Vecchio, lei sarà seduta al mio fianco, sull’aereo. Ma in quel momento lì io ancora non lo so. Mi godo la serata, il casino per le strade, la voce dolce e melodiosa di Valezka mentre chiacchieriamo del più e del meno di fronte a una buona bistecca ed abbondanti dosi di vino rosso, e penso che l’inizio non è buono, è proprio ottimo. E dalle premesse sembra che possa solo migliorare.