Genere: Introspettivo, Romantico.
Pairing: Mario/Davide.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Mario torna in Italia per assistere a Juventus-Inter. E per parlare con Davide, ovviamente. Solo che Davide non sembra averne davvero voglia.
Note: Poco da dire. Ci ho messo dentro una serie di cose che non mi aspettavo di poterci mettere dentro, ma alla fine è nata perché per una sola sera ho sentito Mario molto "mio", come se fosse ancora qui. Stuuuupido, lo so. Ma va be'.
Pairing: Mario/Davide.
Rating: PG-13
AVVERTIMENTI: Slash.
- Mario torna in Italia per assistere a Juventus-Inter. E per parlare con Davide, ovviamente. Solo che Davide non sembra averne davvero voglia.
Note: Poco da dire. Ci ho messo dentro una serie di cose che non mi aspettavo di poterci mettere dentro, ma alla fine è nata perché per una sola sera ho sentito Mario molto "mio", come se fosse ancora qui. Stuuuupido, lo so. Ma va be'.
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TALK TO ME
like lovers do
Cerca con tutte le proprie forze di non saltargli addosso nel momento stesso in cui scorge la sua figura familiare nei pressi dello sportello del pullman, e per essere totalmente onesto con se stesso, l’unico motivo per cui si trattiene dal farlo è che non sa esattamente cosa accadrebbe se si lasciasse andare. Una parte di lui vorrebbe prenderlo a schiaffoni. L’altra parte, semplicemente, no.
Perciò resta quasi in disparte quando anche gli altri lo notano e gli si avvicinano, ricoprendolo di saluti e allegre prese in giro. Non è che si tolga di mezzo o si nasconda dietro al gruppo, non è che stia fuggendo da lui, questo no, o almeno crede, solo che non gli va di mettersi troppo in mezzo, di esporsi troppo. D’altronde, ha imparato a sue spese che farlo con Mario non può che portare dolore e sofferenza. Mario, come tutti coloro che si sono costruiti addosso una corazza indistruttibile per sopravvivere ad una vita che, differentemente, li avrebbe schiacciati, non possiede un minimo di sensibilità, quando si parla di sentimenti umani. Per lui è tutto un gioco, tutto uno scherzo, ed è così perché se solo si azzarda a prendere qualcosa seriamente, finisce per sprofondarci dentro.
Davide non può, onestamente, dire che Mario abbia nei confronti della vita un atteggiamento sbagliato. Lui è il suo opposto, e nei drammi della sua vita è sempre affogato, volta dopo volta, proprio perché si è sempre preso troppo sul serio. L’esclusione dai titolari, l’infortunio. La sua partenza. Tutte cose che l’hanno sommerso, soffocato per mesi, prima che riuscisse a liberarsene. Mario, invece, sta lì, sorride e si fa abbracciare da tutti, come non avesse neanche un problema. Eppure il suo ginocchio è fuori uso, non gioca e a quanto si legge in giro in Inghilterra non è che faccia poi la bella vita che tanto desiderava.
Lentamente, tutti i suoi compagni di squadra lo salutano, scambiano con lui quattro chiacchiere e poi passano oltre, salendo sul pullman. Davide lascia passare gli altri riscoprendosi un po’ più spaventato man mano che la fila davanti a lui si fa meno affollata e poi scompare del tutto, lasciandolo solo di fronte a Mario. Abbassa lo sguardo, ma anche se non lo vede riesce a sentire il suo sorriso nell’aria.
- Hai giocato bene. – commenta. Davide si stringe nelle spalle, e solleva il viso solo quando sente i passi di qualcuno da qualche parte alla sua sinistra. Benitez si affaccia dallo sportello ancora aperto del pullman e lo fissa con aria interrogativa.
- Andiamo? – gli chiede, con una gentilezza talmente genuina, soprattutto se paragonata ai sarcastici “ci muoviamo?” di Mourinho, che Davide si sente correre un brivido di disagio e quasi di fastidio lungo tutta la schiena.
- Mister, Dade viene via con me, stanotte. – risponde Mario per lui, sorridendo spavaldo. Benitez inarca un sopracciglio e poi, molto saggiamente, decide di ignorarlo, tornando a concentrarsi su Davide.
- Andiamo? – ripete, lo stesso tono gentile di poco prima, invariato. Non sta cercando di obbligarlo ad andare con loro, vuole solo sapere cos’ha intenzione di fare.
- Mister, se non è un problema, - accenna Davide, imbarazzato, - vorrei andare con lui. Tornerò in Pinetina domattina di buon’ora, promesso.
Benitez inarca anche l’altro sopracciglio. È evidente che non capisce cosa esattamente stia succedendo, perché quel ragazzino biondo e un po’ malconcio che però oggi sembra avere ritrovato se stesso per la prima volta dopo un anno dovrebbe avere anche il minimo interesse ad andar via con un ex compagno di squadra piuttosto che tornare in ritiro con i suoi.
- Mister, le spiego io, le spiego io. – dice Dejan dal fondo del pullman, e Benitez si volta a guardarlo con aria un po’ curiosa, prima di indietreggiare e sgusciare maldestramente fra le due file di sedili per raggiungerlo dove si trova, dando l’ordine all’autista di partire. Lo sportello si chiude a due centimetri dalla sua faccia, e Davide sa che Deki spiegherà la situazione al mister chiaramente, senza giri di parole e senza dettagli inopportuni, motivo per il quale, almeno per stanotte, può stare tranquillo.
Si volta a guardare Mario dritto in viso, per la prima volta quella sera, e nota che non ha ancora smesso di sorridere.
- Che ci fai qui? – si rassegna a chiedergli, sospirando pesantemente.
- L’avevo detto che forse sarei venuto a vederla. – risponde lui scrollando le spalle e facendogli strada verso la propria macchina. – Non hai letto i giornali?
- Sì, ma credevo che scherzassi. – risponde lui, - Ma puoi guidare? – chiede, lanciando una lunga occhiata incerta alla macchina sportiva nuova di zecca che li aspetta a due passi dall’uscita del parcheggio.
- Per la verità no, ma in qualche modo dovevo pur venire. – ride Mario, rovistando nelle tasche dei jeans alla ricerca delle chiavi, che trova e gli lancia prontamente due secondi dopo. – È per questo che adesso guidi tu.
- Non me l’hai mai fatto fare. – dice Davide, un po’ stupito, afferrando le chiavi al volo.
- Non mi ero neanche mai spaccato il ginocchio in mille pezzi. – risponde lui, girando attorno alla macchina e raggiungendo il sedile del passeggero.
- Giusta osservazione. – commenta Davide, prendendo posto al volante ed avviando il motore. Allontanando le mani dal portachiavi, si rende conto di quanto la forma sia familiare al tatto, ed accende un attimo le luci sopra lo specchietto retrovisore per lanciargli un’occhiata incerta. Scoppia a ridere quando si rende conto che i suoi sensi non l’hanno ingannato, e che il portachiavi ha la forma esatta dello stemma dell’Inter. – E questo? – lo prende in giro, facendo ondeggiare il portachiavi con un paio di colpi. Mario sorride, perfettamente a proprio agio.
- Mi è rimasto. – risponde, - Come un sacco di altre cose. Andiamo da me o da te? – chiede quindi, e Davide si irrigidisce sul posto, prendendo immediatamente a guidare più nervosamente. – Calmati. – dice subito Mario, appoggiandogli una mano sulla spalla, - Solo per parlare.
- E per dirsi cosa? – chiede lui seccamente, l’irritazione evidente nella voce.
- Non voglio parlare nel senso di parlare, Dade. – sospira Mario, alzando gli occhi al cielo, - Noi non abbiamo niente di cui parlare. Intendevo così, giusto per farsi una chiacchierata fra amici.
- Noi non siamo amici. – risponde Davide, irritato.
- Però lo eravamo. – sospira ancora Mario, e Davide si sente improvvisamente stringere il petto in una morsa al pensiero di ciò che avevano, che era bellissimo e puro e completo anche prima di mettersi insieme, e che non avranno mai più, perché quando posi le tue labbra su quelle di qualcun altro, anche se non lo vuoi, stai spazzando via in un colpo tutta la vostra storia per dare il via a qualcosa di nuovo, qualcosa che cancella qualsiasi passato abbiate condiviso. Innamorandosi di Mario, Davide ha detto addio alla loro amicizia. Ora non saprebbe nemmeno da dove partire per cominciare a recuperarla, sempre che una cosa del genere sia possibile.
- Perché sei tornato? – gli chiede a bassa voce.
- Sono qui da settimane, Davide. – sbotta Mario, infastidito, - Mi ci sono operato, qui, ho fatto avanti e indietro dallo studio del dottor Combi per giorni e sono tutti venuti a trovarmi a casa almeno una volta, tutti tranne te. Non chiedermi perché sono tornato, sono tornato perché il mio ginocchio ha deciso di darmi il tormento, ecco perché sono tornato.
- E allora perché hai voluto vedermi?! – insiste Davide, stringendo con forza le mani attorno al volante mentre si ferma esattamente sotto casa sua. Ci è arrivato senza pensarci, il suo corpo ha ricordato la strada prima ancora che la sua mente avesse bisogno di ordinargli di farlo.
Mario non risponde subito. Aspetta che lui spenga il motore e si volti a guardarlo. Dopodiché ricambia la sua occhiata piena di paura, e schiude le labbra.
- Perché mi mancavi tantissimo. – risponde. – Sali un po’?
Sfila la giacca ed aspetta che Mario abbia tolto la propria e l’abbia appesa all’attaccapanni per imitarlo, dopodiché lo guarda e solo quando lo vede muoversi verso il salotto si azzarda a fare lo stesso. La cosa è ridicola, soprattutto se pensa che fino a non più di sei mesi fa muoversi all’interno di questo appartamento era la norma, e se non riusciva ancora a considerarlo come casa propria era perché in realtà la maggior parte del tempo che passavano insieme era in Pinetina, ma questo restava comunque uno dei loro spazi, uno dei posti in cui andavano quando volevano un po’ di tempo solo per loro, uno dei luoghi che conosceva meglio al mondo, dove si sentiva più tranquillo. Sentirlo tanto ostile in questo momento non lo aiuta, lo rende nervoso. Vorrebbe avere la lucidità mentale sufficiente per affrontare questo momento per quello che è – una semplice parentesi, è solo questione di giorni, poi Mario tornerà in Inghilterra e chissà quando potrà rivederlo di nuovo – ma non ci riesce. Non è mai stato sufficientemente lucido, quando s’è trattato di Mario in passato, e non riesce proprio a trovare un motivo per cui dovrebbe cominciare adesso.
- Siediti. – lo invita Mario, battendo un paio di colpi con la mano aperta sul divano accanto a sé. Davide annuisce, accorgendosi solo in quel momento di essere rimasto in piedi come un idiota fino ad ora. Si siede al suo fianco, restando talmente sulle proprie che, potendo, si prenderebbe a schiaffi da solo. È così irritante, alle volte, l’atteggiamento difensivo che usa con gli altri quando si sente minacciato. È irritante per se stesso in primo luogo. Ma Mario sembra non farci caso, o se lo nota non gli dà granché peso. Si limita a sorridere e guardarlo come se averlo ritrovato gli facesse proprio un gran piacere, e Davide si trattiene a fatica dal gridargli in faccia che no, non ha ritrovato un bel niente, perché lui si rifiuta, si rifiuta di lasciarsi ritrovare. Di lasciarsi riprendere. Non dopo tutta la fatica che ha fatto per lasciarlo andare.
- Dobbiamo restare qui al buio? – chiede nervosamente. Mario scrolla le spalle, muovendosi impercettibilmente sul divano per avvicinarsi.
- Ti infastidisce?
- Un po’. – risponde lui di scatto, - Non è mica tanto normale. E poi avevi detto di voler parlare, e invece stai lì in silenzio, sorridi e basta. A te sembra normale?, perché a me no.
- Da quando ti fai problemi per cose simili? – gli chiede Mario, inarcando un sopracciglio e squadrandolo con aria dubbiosa.
- Da quando sto cercando di rimettere ordine nella mia esistenza, Mario. – risponde lui, esasperato, massaggiandosi stancamente le tempie. – Senti, - riprende dopo un sospiro stanco, - mi va bene qualsiasi cosa. Mi va bene anche se scopiamo, davvero, tutto pur di non restare qui a— a fare cosa, Mario? A guardarci negli occhi per cercare di capire se c’è ancora qualcosa che ci leghi? Non c’è. Ci siamo allontanati e non potrà che peggiorare, col tempo. – abbassa lo sguardo, mordendosi un labbro. – Non prendermi in giro, non me lo merito.
Mario gli si avvicina ancora un po’, e stavolta Davide lo sente. Lo sente per forza, perché Mario gli appoggia una mano sulla spalla e lo costringe a voltarsi per guardarlo negli occhi.
- Cos’hai nella testa? – gli chiede, scrutandolo con aria preoccupata, - Cosa c’è là dentro che ti distrugge? Io voglio che quando pensi a me tu sia felice, Dade.
- Non posso. – risponde lui, trattenendo a stento un singhiozzo che pressa per uscire dal fondo della gola, mozzandogli il respiro, - Quando penso che ti vorrei e non ci sei, e non ci sarai mai più, come faccio ad essere felice? Ricordarti mi fa solo male. Rivederti, adesso, mi fa solo male.
- Non voglio che sia così. – insiste Mario, accigliandosi.
- Ma lo è! – sbotta lui, dibattendosi nella sua stretta, intenzionato a scappare da lui, da quella casa e, possibilmente, anche dalla città, fino a domattina.
- Devi crescere! – quasi urla Mario, stringendo la presa attorno alle sue spalle e scuotendolo un po’, - Devi crescere. – ripete più dolcemente, accarezzandolo piano da sopra il tessuto leggero della maglia che indossa. – Io non vivo più qui. Non sarà possibile vederci tutti i giorni o anche solo spesso, ma— Cristo, Davide, non ti è neanche mai passato per la testa il desiderio di provarci, a continuare questa relazione?
- …non ne abbiamo mai parlato, prima che tu partissi. O anche dopo. – biascica lui, abbassando lo sguardo.
- Tu hai smesso di parlarmi, Davide, è per questo che sono venuto a trovarti. – dice Mario, sollevandogli il mento con due dita, così da non interrompere il loro contatto visivo. – Tu mi hai— mi hai buttato fuori come se non contassi più niente. Cazzo, col ginocchio conciato in questo modo, non hai pensato a quanto avrei avuto bisogno di te, proprio di te al mio fianco?
- Non potrei comunque stare al tuo fianco! – ritorce Davide, spintonandolo un po’ ed arrendendosi subito quando capisce che Mario non ha alcuna intenzione di allontanarsi. – Mario, siamo troppo lontani.
- Tu non mi ami più? – gli chiede a bruciapelo, guardandolo dritto negli occhi. Davide boccheggia.
- Questo non c’entra.
- Questa è l’unica cosa che c’entri. – insiste Mario, stringendolo con più forza ed avvicinandosi ancora. – Tu non mi ami più? Perché se tu non mi ami più, Davide, io ti giuro che quando sarai uscito da questo appartamento fra noi due non ci sarà più niente. E non ti cercherò, non ti penserò e non saremo più parte l’uno della vita dell’altro. Ma se mi ami ancora… - si interrompe per qualche secondo, e il suo silenzio è talmente carico che Davide si sente quasi scoppiare il petto mentre cerca di assorbirlo tutto e farlo proprio, - …se mi ami ancora, Dade, non devi nemmeno dirlo. – gli si avvicina ancora, coprendo i pochi centimetri che li separano e sfiorando le sue labbra in una carezza incerta, aspettando prima di ogni altra cosa la risposta del suo corpo. – Non devi nemmeno dirlo.
Mario sorride sotto di lui, accarezzandogli le punte del capelli cortissime sulle nuca, e dà proprio l’aria di essere uno in grado di goderseli, questi momenti minuscoli, uno in grado di tollerare pesi infiniti col solo desiderio di arrivare a vivere quell’attimo speciale in cui tutto è facile indipendentemente da ogni altra cosa. Davide s’è sentito così per un istante brevissimo, mentre veniva fra le sue dita e Mario si spingeva dentro di lui con tanta forza da dare l’impressione di volersi scavare un posto eterno dentro il suo corpo, ma quella sensazione è svanita subito, fugace come un alito di vento. Mario sa assaporarla, invece, sa conservarla, morderla piano, staccarne pezzi minuscoli e aspettare di sentire scivolare via dalla lingua il sapore del primo, prima di attaccare il secondo.
- Insegnami. – gli sussurra all’orecchio, nascondendo il viso contro il suo collo.
- A fare cosa? – ride Mario, stringendoselo contro e sistemandosi più comodamente sul materasso. Davide sorride sulla sua pelle, sfiorando la sua guancia con un bacio umido e breve.
- A parlare con te. – gli risponde, appoggiandosi contro la sua spalla e restando in attesa come faceva da piccolo quando mamma entrava in camera sua aspettandosi di trovarlo già a letto per raccontargli la favola della buonanotte.
Mario sorride ancora, visibilmente più felice di quanto non fosse prima, e poi, lentamente, comincia a parlargli.